MICHELE SCOTO

Federiciana (2005)

Michele Scoto

Piero Morpurgo

Magister, traduttore arabo-latino, filosofo, enciclopedista, astrologo, scienziato, nacque intorno al 1190; forse discendente della famiglia degli Scott di Balwearie presso Kirkcaldy nel Fife. Fu attivo a Toledo, Parigi, Roma, Bologna, Salerno, Melfi, Palermo e questo percorso permette di cogliere il significato del progetto scientifico federiciano, che dal principio della 'corte itinerante' sviluppò l'idea di una rete di relazioni culturali mediterranee nonché tra l'Europa settentrionale e il Vicino Oriente.

M. collaborò dapprima con la Curia pontificia e ‒ dal 1220 ‒ con l'imperatore Federico II. Il fatto che M. fosse lo scienziato dell'imperatore non portò a una rottura con il papato. Nel 1224 il pontefice Onorio III chiese a Stefano Langton, arcivescovo di Canterbury, di destinare a M. una rendita ecclesiastica; nello stesso anno gli fu assegnato l'arcivescovato di Cashel in Irlanda, che egli rifiutò affermando di non conoscere linguam terrae illius. Nel 1225 furono conferite a M. ulteriori rendite ecclesiastiche, una in Inghilterra e due in Scozia. Nel 1227 il papa Gregorio IX esaltò la sua abilità nel tradurre in latino i testi tramandati in arabo e in ebraico; tuttavia Ruggero Bacone (1859, p. 61) non condivise questa ammirazione poiché scrisse che M. si attribuì molte traduzioni pur non conoscendo le lingue e le scienze. Ma è pur vero che lo stesso Bacone (1964, I, p. 55; III, p. 66) attribuì a M. il merito di aver diffuso ‒ intorno al 1230 ‒ le opere aristoteliche.

L'attività di M. presso Federico II è simbolo di quella corte federiciana ove si raccolsero filosofi e scienziati di orientamenti estremamente diversi. Tra questi: Davide di Dinant, già cappellano di Innocenzo III, condannato per il suo panteismo al concilio di Sens del 1210; Adamo da Cremona autore di un trattato di medicina militare, il De regimine et via itineris et fine peregrinancium; Gualtierio d'Ascoli maestro a Napoli e autore di uno Speculum artis grammatice; Teodoro di Antiochia traduttore dall'arabo del trattato di falconeria di Moamin; Roffredo di Benevento giudice della Curia imperiale; Riccardo di San Germano cronista formatosi a Montecassino; i poeti italo-bizantini Giorgio da Gallipoli, Giovanni da Otranto, Giovanni Grasso.

L'organizzazione della corte federiciana insospettì la Chiesa poiché essa sembrava annunciare la venuta dell'Anticristo, che, per Adso, "habebit autem magos, maleficos, divinos et incantatores" (1976, p. 24). In effetti Federico II accolse astrologi, alchimisti, filosofi, medici e scienziati e imitò Ruggero II nel favorire le traduzioni dall'arabo e dal greco.

La vita di M. fu accompagnata da leggende che attesterebbero le sue abilità di mago. In effetti fu noto per le sue capacità divinatorie e per questo motivo figura tra i personaggi danteschi della Divina Commedia: nell'Inferno (XX, 116 s.) M. è definito come colui "che veramente / delle magiche frode seppe il gioco". Questo passo è preso ad esempio da Jacopo della Lana per sottolineare come le arti magiche fossero utilizzate da M. per allietare la vita del re di Sicilia: "qual fu indivino dell'imperador Frederico; e ave per mano la arte magica, sí la parte della coniurazione como eziandeo quella delle ymagini: delle quale si rasona che stando a Bologna e uxando cum genti homini e cari, e manzando cum s'usa tra loro im brigada a casa l'uno de l'altro, che quando venía la volta a lui d'aparchiare mai non facea fare alcuna cosa de cusina in soa casa, ma avea spirti a lo comandamento, che 'l facea tôrre lo lesso della cusina del re de França, el rosto de quella del re d'Ingelterra, le tramesse de quel de Cecilia, lo pane d'un logo, el vino d'un altro; confeti e frute donde li piaxea" (Jacopo della Lana, 1924, I, p. 507A).

Walter Scott (1908, p. 1) riporta che M. era in grado con una bacchetta magica di far suonare le campane di Notre- Dame dalle grotte di Salamanca. Le abilità del mago M. sono ricordate nella letteratura italiana da Boccaccio, Fazio degli Uberti e Teofilo Folengo. Questa fama fece sì che fossero ascritte a M. molte profezie sull'avvento dell'Anticristo. Molti dei versi profetici a lui attribuiti hanno un'impostazione antighibellina e non sono riconducibili all'astrologo dell'imperatore. Tuttavia queste profezie contengono brani di discussioni verosimilmente autentiche. Infatti nel 1227 il matematico pisano Leonardo Fibonacci inviò a M. presso la corte di Federico II la seconda redazione del Liber abaci chiedendogli di emendarla. Del rapporto epistolare tra M. e Fibonacci fu informato il cardinal Ranieri Capocci che, per propaganda contro Federico II, inserì in una profezia antighibellina alcuni passi tratti dai quesiti rivolti dallo Svevo al suo astrologo. Sull'efficacia di M. indovino e profeta si soffermò Giovanni Villani che scrisse tra l'altro: "E bene difinì il grande filosofo maestro Michele Scotto quando fu domandato anticamente della disposizione di Firenze, che ssi confa alla presente matera; disse in brieve motto in latino: 'Non diu stabit stolida Florenzia florum; decidet in fetidum, disimulando vivet'. Ciò è in volgare: 'Non lungo tempo la sciocca Firenze fiorirà; cadrà in luogo brutto, e disimulando vive'. Ben disse questa profezia alquanto dinanzi la sconfitta di Monte Aperti" (Villani, 1990-1991, p. C348). Boccaccio tramandò l'immagine di un M. maestro di una scuola di nigromantia (1976, p. 561) e Guglielmo Maramauro specificò come fosse "omo malicioso sopra li altri" (1998, p. 331). Il tema fu ripreso da Franco Sacchetti che ne sottolineò l'intesa con il diavolo (1936, p. 257). Segni questi di una tradizione letteraria tutta volta a sottolineare il carattere diabolico della corte di Federico II. L'immagine di un Federico che, servendosi di maghi e astrologi, controlla gli eventi della storia fu ridicolizzata da Albert Behaim sulla base del fatto che quei collaboratori non riuscirono ad impedire la sconfitta di Parma del 1247. E a M. si attribuisce quella profezia secondo cui Federico II sarebbe morto sub flore, per cui l'imperatore non entrò mai a Firenze; tuttavia il sovrano svevo morì effettivamente sub flore, a Castelfiorentino in Puglia il 13 dicembre 1250.

M. fu attivissimo traduttore. Intorno al 1210 arrivò a Toledo dove collaborò cum Abuteo levite per tradurre, dall'arabo al latino, testi scientifici e astrologici. Nel 1215 accompagnò Rodrigo, arcivescovo di Toledo, a Roma per partecipare ai lavori del IV concilio lateranense e per discutere con il papa Innocenzo III l'attribuzione della primazia arcivescovile alla sede toledana. Il 18 agosto 1217 M., tornato a Toledo, completò la traduzione del De motibus caelorum di Alpetragio; a questa traduzione si riferì nell'offrire a Stefano di Provins la versione latina del commento di Averroè al De coelo et mundo di Aristotele. La dedica è importante perché Stefano di Provins partecipò alla commissione parigina che nel 1231 venne incaricata da papa Gregorio IX di censurare le opere aristoteliche di filosofia naturale. Da questo contatto con Parigi dipenderebbe il titolo di magister di Michele. Thorndike (1961) ipotizza che in questa Università M. abbia svolto lezioni nel 1230 commentando il trattato De Sphaera di Giovanni Sacrobosco, che fu utilizzato da Dante Alighieri e che costituì verosimilmente la base della discussione veronese sulla disposizione del globo terrestre.

M. nell'autunno del 1220 si trasferì da Toledo a Bologna, dove compilò diagnosi ginecologiche. Fu a Bologna che M. incontrò sia il filosofo Rolando da Cremona sia Federico II e da quel momento rimase legato come scienziato all'entourage dell'imperatore. L'organizzazione della ricerca scientifica alla corte federiciana fu caratterizzata da frequenti consulti con molti scienziati nonché da aspri confronti. Ad esempio Rolando da Cremona fu colui che sfidò e umiliò l'astrologo Teodoro di Antiochia. Le cronache raccontano concordemente che, durante l'assedio di Brescia (1238), Federico II aveva organizzato dispute di ogni materia e che "uno de' suoi filosofi o astrologi, per nome Teodoro, fece co' suoi sofismi ammutolire due religiosi domenicani"; fu allora che Rolando da Cremona intervenne e "sciolse vittoriosamente i lacci e i nodi dialettici, ne' quali erano stati involti i suoi meno dotti compagni" (Boncompagni, 1854, p. 63). Era stato proprio M. ad aver invitato Federico II a "inquirere diversos doctores et magistros propter diversas scientias eo quod diversi diversa sentiunt scientiarum" (Morpurgo, Il "Sermo suasionis in bono", 1983, p. 287), affinché l'imperatore fosse in grado di avere tutti gli strumenti per ben governare; con questi intenti erano stati mandati i quesiti al filosofo Ibn Sab῾īn, al matematico Leonardo Fibonacci, al medico Guglielmo di Saliceto. Federico II incontrò a Pavia il medico e in quell'occasione si sviluppò un confronto scientifico; la tradizione attesta che proprio da quel dibattito sia poi stata redatta la Cyrurgia del famoso medico bolognese, infatti l'explicit del manoscritto Pal. Lat. 1309 della Biblioteca Apostolica Vaticana riporta che l'opera fu redatta "ad petycionem domini Frederici imperatoris" (Pesenti, 1990, p. 457). In questo quadro si svilupparono i contatti con il sultano al-Kāmil e con il centro di ricerca di Mosul (sulle rive dell'Eufrate), dove un inviato di Federico recapitò quesiti astrologici e scientifici e da dove giunsero alla curia federiciana lo scienziato Teodoro di Antiochia e il filosofo al-Urmawī (Hasse, 2000).

Questo stile di indagine fondato sui dibattiti tra diversi scienziati fu ripreso anche da Ezzelino III da Romano, alleato ed emulo di Federico II, che interrogò spesso astrologi come Guido Bonatti e Gerardo da Sabbioneta. Il risultato di questi confronti appare nella collezione di quesiti astrologici che si trova nella parte finale del Liber quattuor distinctionum e può essere confrontata con il testo di Salione da Toledo, astrologo di Ezzelino III da Romano (Thorndike, 1957). In quest'ultimo trattato (Venezia, Biblioteca Nazionale Marciana, ms. Lat. 6, 108 [= 2555], cc. 42-110) si insegna a stabilire secondo criteri astrologici come si possa rispondere a domande quali: se si avranno figli o meno, in quale periodo della propria vita si potrà essere affetti da malattie, se ci si sposerà o meno, come scegliere un itinerario, come si comporterà un re, un amico, un nemico. Si propone anche il momento migliore per procreare secondo determinate scelte astrali, tecnica utilizzata anche da Federico II a Magonza dopo il matrimonio con Isabella d'Inghilterra. L'insieme delle quaestiones ‒ che riprendono un genere letterario presente anche nel manoscritto Digby 134 della Bodleian Library di Oxford ‒ al di là dell'improbabile validità astrale testimonia quali fossero le preoccupazioni dell'uomo medievale; pertanto si chiede di sapere se un figlio sia legittimo o prodotto da adulterio, se il nascituro sarà un sapiente o un bruto, come si interpretino i segni del volto, nonché gli occhi ytalicorum vel gallicorum. Seguono i temperamenti umani regolati dai pianeti: ad esempio, se domina Marte la persona sarà di colore rosso, con occhi bianchi, di grande statura e naso di notevoli dimensioni, con un buon ingegno e con un cuore che lo induce a pensare e a parlar male. Così alla c. 92r si legge come l'influsso del Sole e della Luna in Marte porteranno il nascituro ad avere grandi possedimenti, dignità "et habebit auxiliatores et sequaces et scribas et portabuntur vexilla ante ipsum et perficitur mandatum eius a populo". Seguono poi i quesiti sulle possibilità di vita di un neonato (se riuscirà a nutrirsi, se crescerà, se invece morirà appena nato) e si assegna l'influsso dei diversi pianeti sull'indole di ciascun neonato (ad esempio, Mercurio contribuirà a farne un uomo di legge, di buone qualità oratorie, appassionato alle antiquas res gestas, e quindi avrà un intelletto veloce e possiederà molti libri).

Sempre per Federico II M. tradusse (ca. 1230) l'Abbreviatio Avicenne de animalibus. Inoltre gli si attribuiscono la versione greco-latina dell'Ethica Nicomachea e la traduzione arabo-latina dei commenti di Averroè alle opere aristoteliche. Su queste attribuzioni non v'è certezza. Tuttavia M. è stato considerato uno dei primi esponenti dell'averroismo in Occidente (Renan, 1866, pp. 205-210, 278-291), anche se nelle sue opere non si riscontrano riferimenti alla filosofia di Averroè. Anzi, M. si dichiara contrario alla tesi averroistica dell'eternità del mondo.

Dai testi di M. si delinea un progetto che avrebbe dovuto introdurre il lettore alla conoscenza dell'astrologia e delle relazioni tra microcosmo e macrocosmo. Quest'opera influenzò lo Speculum doctrinale (Lib. I, cap. I) di Vincenzo di Beauvais e i libri III e IV del De proprietatibus rerum di Bartolomeo Anglico ove sono riprese le argomentazioni di M. sull'anima. Il piano del Liber Introductorius fu esposto dallo stesso autore: un Proemio seguito dal Liber quattuor di-stinctionum, dal Liber Particularis e dal Liber Phisionomiae. Il Proemio riporta i quesiti presenti già nell'Elucidarium di "Honorius Augustodunensis" della prima metà del XII sec. (le cause dell'agire divino, la disposizione del Cielo e della Terra, il ruolo degli animali e dell'uomo, l'attività degli angeli). A questi temi M. aggiunge un'esaltazione dell'astrologia: questa scienza è definita inferiore solo alla teologia. Dopo l'introduzione, prevalentemente basata sulle fonti dell'enciclopedismo del XII sec., appare l'organizzazione del Liber quattuor distinctionum con i 'nuovi' temi astrologici e filosofici. Nelle quattro parti si affrontano questi argomenti: 1) le proprietà dei pianeti e il loro influsso sull'agire dell'uomo; 2) l'armonia musicale; 3) i problemi connessi all'utilizzazione dell'astrologia e le risposte da offrire ai quesiti proposti dai clienti; 4) la natura e le qualità dell'anima umana.

L'Universo descritto da M. è racchiuso dalle nove sfere e circondato dalle acque sovracelesti; all'interno tutte le creature vi si muovono in virtù della Prima Causa, tesi questa derivata dal Liber de Causis. La Terra essendo la parte inferiore del firmamento è il luogo ove i componenti della materia sono meno nobili; infatti sono chiamati elementata, o elementi secondi, per distinguerli da quelli puri che si collocano nelle sfere più alte del firmamento. Le proprietà della natura potranno essere utilizzate da ogni creatura razionale: dagli angeli, dai diavoli, dall'anima umana. Gli angeli costituiscono il raccordo necessario tra microcosmo e macrocosmo, tra l'uomo e Dio. Nell'Universo vi sono gli spiriti deputati al male. Infatti nel Liber quattuor distinctionum vengono descritte le attività dei demoni che amant sanguinem et proprie humanum. È con i demoni che si legano quanti praticano la necromanzia. Quest'arte è condannata, benché M. ammetta che chi esercita la magia possa utilizzare quei segreti a fin di bene. Tuttavia l'autore avverte che praticare questa scienza comporta il rischio di venire a contatto con quei mali angeli che provocano carestie, guerre e pestilenze e che accorrono per invocacionem mulierum supersticiosarum. Contro le potenze dei demoni malvagi combattono gli angeli buoni cui spetta il compito di portare l'anima umana verso la sede eterna (Inferno, Purgatorio, Paradiso). Nel Liber quattuor distinctionum si sviluppano le indicazioni del trattato salernitano De adventu medici ad egrotum del XII secolo. Nel testo M. invita ogni medico non solo a considerare il colore delle urine e il battito del polso, ma anche a tener conto del mestiere dell'infermo, nonché delle condizioni igieniche della sua abitazione. In definitiva il medico dovrà avere un ampio quadro clinico del paziente; pertanto dovrà considerare l'eventualità che la malattia sia stata causata da un dispiacere affettivo o da una perdita finanziaria.

M. sviluppò così una scienza medica attenta sia alla mente del malato sia alla creazione di farmaci; si mescolava in questo modo la tradizione degli erbari con quella dei testi ermetici e quindi si diffondeva il principio per cui l'uso di particolari fiori o specie vegetali, accompagnato da speciali cerimonie che permettevano la trasmissione dei raggi planetari, poteva rendere possibile la creazione di talismani in grado di prevenire o curare le malattie. Inoltre, poiché tutto doveva esser fatto per alleviare le sofferenze del paziente, il medico avrebbe dovuto consigliare l'infermo di avvalersi di incantatrices. Questo metodo, avverte M., è condannato dai filosofi e dai religiosi; pertanto il consiglio di ricorrere a pratiche magiche si potrà dare solo quando il medico si sia reso conto di non essere in grado di "rationaliter subveniri per viam physice" (Morpurgo, Il capitolo De informacione medicorum, 1984, p. 658) e con l'unico scopo di offrire al malato un trattamento per alleviare i dolori. È comunque rilevante che l'attenzione di M. per l'igiene dei luoghi costituì l'evidente presupposto di quella parte del Liber Augustalis (II, 48) intesa a preservare la salubrità dell'aria e dell'acqua e ad allontanare dai luoghi abitati quelle attività "quae fetorem faciunt" (Marongiu, 1987, p. 79).

Su questi temi l'elaborazione di M. non fu sempre coerente. Infatti, nonostante l'entusiasmo che mostrava verso l'astrologia, egli distinse nettamente l'influsso che hanno le stelle sui fenomeni della generazione e della corruzione dei corpi da quello di un'anima umana libera di conoscere e non condizionata dagli influssi stellari. Invitava infatti i genitori, prima di avviare i figli agli studi, a considerare gli astri per scegliere la disciplina più adatta alla loro formazione. Inoltre consigliava a Federico II di interrogare i sapienti solo con la Luna crescente poiché la fase calante intristisce gli uomini e le bestie, così che "argumenta ingenii perdunt" (Morpurgo, Fonti di Michele Scoto, 1983, p. 67 n. 34). I medici dovranno tener conto della Luna poiché quando la Luna est in ariete non si potrà medicare la testa che è soggetta a quell'astro. Queste direttive caratterizzano il De notitia regiminis astrologi, in cui M. esalta il mestiere dell'astrologo che è degno di lode e di onori perché attraverso la sua dottrina riesce ad avvicinarsi a Dio; in più i sovrani richiedono spesso i suoi servigi permettendogli notevoli guadagni. Però M. avverte che per avvicinarsi all'astronomia occorrerà avere la possibilità di studiare a lungo e di non essere gravati dalla preoccupazione di guadagnarsi da vivere: l'astrologia è una scienza inadatta ai poveri privi dei molti libri necessari.

L'adesione di M. all'astrologia non fu priva di contraddizioni: più volte egli sottolineò come la Chiesa di Roma non tollerasse quanti tentavano di servirsi dei poteri occulti delle stelle. Eppure M. fece anche riferimento a un'approvazione dell'astrologia da parte della Chiesa. Infatti nel Liber Particularis si legge un'esaltazione di Albumasar, Alcabizio e Alfragani; M. spiega che furono sapienti astronomi ed esperti in una scienza che "credimus et confitemur penitus approbatam" (Oxford, Bodleian Library, ms. Canon. Misc. 555, c. 1rB). Inoltre M., pur dichiarando di lasciare ai teologi la questione se le stelle abbiano un'anima, afferma che i pianeti hanno capacità di sentire e di gioire. Questi astri sono governati da angeli che hanno il ruolo di offitiales celi e altrettanti tutori vigilano sulle sostanze animate e inanimate. Per M. l'uomo è la creatura più nobile dell'Universo, e supera angeli e pianeti; per di più il corpo umano ha la disponibilità di tutte le virtù possedute dalle erbe, dalle pietre, dai fiori e dalle stelle. Per questa completezza l'intelletto umano è simile al cielo perché, analogamente a quest'ultimo, racchiude in sé tutte le cose. Poiché la causa di tutto è Dio, M. avverte che, così come un servo è vincolato al suo signore, ogni "homo naturaliter est obligatus" (Morpurgo, Il "Sermo suasionis in bono", 1983, p. 296) a onorare chi creò il mondo. Tuttavia all'uomo spetta il dominio di tutte le creature terrestri che lo dovranno servire come un gastaldo serve il suo sovrano. Le relazioni tra macrocosmo e microcosmo sono raffigurate nei manoscritti del Liber quattuor distinctionum in miniature che riprendono quelle degli Aratea di Germanico. Per queste immagini M. si ispirò alla tradizione della scuola di Montecassino, inserendovi però quelle fonti islamiche da cui vengono ripresi molti dettagli (ad esempio, la testa barbuta della Medusa è identificata esplicitamente con il demone Algol). Le fonti iconografiche arabe furono integrate da M. attingendo alle Metamorfosi di Ovidio, alle Tesmoforiazuse di Aristofane e al Poeticon astronomicon di Igino. Così M. mutò radicalmente la tradizione dell'iconografia dei pianeti e questa impostazione si ritroverà negli affreschi del Cappellone degli Spagnoli (Firenze, S. Maria Novella).

Il Liber Particularis fu voluto per rendere più comprensibile l'astrologia agli studenti. In quest'opera M. riporta i quesiti che Federico II rivolge allo scienziato: qual è la struttura della Terra? dov'è l'Inferno? perché le acque del mare sono salate? qual è l'attività dei vulcani? Le domande riprendono la tradizione delle Quaestiones Salernitanae (The Prose Salernitan Questions, 1979) e sono introdotte da un Sermo suasionis in bono (Morpurgo, Il "Sermo suasionis in bono", 1983), in cui M. discute con l'imperatore sulle miserie della vita terrena e sulle speranze di ottenere la salvezza celeste.

La rappresentazione scientifica e teologica del mondo è accompagnata da osservazioni storiche sugli antichi sovrani romani: Cesare fu clemente, ma anche spietato nell'applicare i tributi, mentre solo Ottaviano fu caratterizzato da una bellezza angelica. M. nel Liber Particularis, sulla base dei Fasti di Ovidio e dei Saturnalia di Macrobio, esalta i 're astronomi' Romolo e Numa Pompilio, 'inventori del calendario'. Tuttavia egli condanna la "stultitia primatum antiquorum" (Oxford, Bodleian Library, ms. Canon. Misc. 555, c. 7rA) che portava a credere che dall'unione di Giove, Venere e Mercurio dipendesse il sangue. Con altrettanta asprezza M. ripudia i culti pagani e quei falsi cristiani che vi credono: essi non solo venerano quegli dei, come fanno anche i saraceni, ma per di più "toto tempore inquirunt divinas et sortilegos" (ibid., c. 7rB). L'intreccio tra religione e scienza connota tutte le opere di M., così come i dialoghi che aveva con l'imperatore. Questo è anche il carattere del Liber Phisionomiae in cui M. esorta Federico II affinché favorisca lo studio delle scienze e perché si possano svolgere disputationes con il sovrano ascoltando le diversità di opinione degli studiosi. Pertanto il filosofo suggeriva: "ex meo consilio doctores, magistros et homines ingeniosos invitetis apud vos" (Morpurgo, Il "Sermo suasionis in bono", 1983, p. 287). L'invito fu evidentemente accolto. Infatti la traduzione latina della Guida dei Perplessi di Maimonide, attribuita talvolta a M., è preceduta da una discussione sulle parabole e dall'analisi dell'opera maimonidea: è questo un dibattito in cui si intrecciano le argomentazioni del Policraticus di Giovanni di Salisbury e l'esegesi alla Guida dei Perplessi; tutto con il fine di sottolineare la necessità di leggere il Deuteronomio. Questa premessa alla Guida dei Perplessi richiama le pagine del Pungolo degli allievi, in cui il filosofo ebreo Jacob Anatoli raccolse gli interventi esegetici di Federico II e di M. che discutevano insieme alcuni passi biblici.

Fu così che M., commentando Osea 14, 10, sottolineò che l'uomo è come l'abete che innalza le sue ramificazioni verso il cielo e queste simboleggiano ‒ nel loro essere sempreverdi ‒ la vitalità di tutte le scienze. M. e Anatoli, nell'esaminare il testo di Maimonide, si trovarono a dover controbattere Federico II che sosteneva l'idea neoplatonica di una materia preesistente alla creazione del mondo. M. ammise però che il problema dell'origine della yle, o del chaos primordiale, era stato oggetto di cavillose definizioni dai filosofi ed era comunque di difficile risoluzione. Tutto il Liber Introductorius è fortemente influenzato dagli studi teologici; per ciò M. avverte che la conoscenza della natura e delle creature è uno dei mezzi per conoscere il Creatore e che è con l'astronomia che si conoscono "multa secreta Dei" (Oxford, Bodleian Library, ms. Bodley 266, c. 178vB). La natura è controllata da Dio che ne può alterare le leggi con eventi miracolosi, definiti "omnia que sunt contra naturam" (ibid., c. 15rB). Le fonti di M. sono riconducibili ai commenti allo Hexaemeron, nonché a Boezio, Agostino, Isidoro di Siviglia, Beda, Alcherio di Clairvaux, Ugo di S. Vittore, Abelardo e Guglielmo di Conches; mentre scarsi sono i riferimenti ad Aristotele, Avicenna e Averroè. D'altra parte il Liber Phisionomiae riprende il Secretum Secretorum, il secondo libro del Ad Almansorem di al-Rāzī, il De coitu di Costantino Africano e il De nativitatibus di Abū Bakr (Albubather), ove si descrive come le caratteristiche fisiche e intellettuali del nascituro dipendano sia dalla posizione dei pianeti sia dalla qualità dei semi, nonché dall'umore dei genitori. È per questo che il Liber Phisionomiae è introdotto da una minuziosa descrizione delle fasi del concepimento e della formazione dell'embrione. Per M. l'embriologia e la neonatologia appaiono indispensabili per comprendere i comportamenti umani individuati dalla fisiognomica. Questa scienza, definita come una "ingeniosa scientia nature" (Agrimi, 2002, p. 102) grazie alla quale si conoscono le virtù e i vizi di ogni animale, è presentata come utilissima per l'imperatore 'scienziato' Federico II, desideroso di comprendere e giudicare le intenzioni dei suoi collaboratori. Così di un uomo con i capelli rossi si potrà dire che è invidioso, velenoso, superbo e malevolo; dal colore del viso si potrà notare che il pallore del volto non indica solo cattiva salute, ma anche un carattere malizioso e lussurioso incline all'infedeltà e all'illegalità. M. tentò così di assimilare la fisiognomica alla scientia naturalis scolastica facendo in modo di "neutralizzare le componenti più decisamente deterministiche e magiche della tradizione divinatoria islamica, accentuando il valore conoscitivo della congettura da segni, piuttosto che l'elemento operativo" (ibid.). Il Liber Phisionomiae è stato pensato da M. come parte di un progetto enciclopedico di filosofia della natura che esalta la conoscenza scientifica dell'uomo e ne ricerca le relazioni tra le qualità naturali interiori e i rapporti con gli influssi astrali, sviluppando una scienza del comportamento umano il cui metodo di indagine appare anche nello studio dell'etologia animale, come risulta nel De arte venandi (ibid., p. 101).

La pluralità degli orientamenti che appare dalle opere di M. mostra un filosofo cristiano che utilizza tutte le possibilità offerte dalle nuove scienze della natura sviluppatesi nel XII secolo. Infatti M., non trascurando quanto proveniva dai libri sibillini e dalle opere di magia, utilizzò il Liber Alchandraei, il Liber ymaginum, il Testamento di Salomone, il De secretis angelorum, il Liber Lune ove si mescolano i temi di tradizioni ermetiche, arabe ed ebraiche. L'insieme di queste dottrine costituiscono per M. quella "scientiam secretorum que exaltat hominem inter magnates et facit eum quantum ad corpus quasi habere principium Paradisi" (Morpurgo, 1987, p. 174).

Tra le opere minori di M. c'è una glossa al De urinis di Mauro Salernitano, in base alla quale è stato ipotizzato che M. sia stato uno dei maestri della cosiddetta Scuola medica di Salerno. In realtà M. si mostrò distante dagli indirizzi di quella Schola: lo scienziato non si servì dell'antologia medica nota come Articella e utilizzata come manuale in scuole e università. Infatti M. legò la scienza medica all'astrologia, legame che i maestri salernitani non avevano mai accolto. Inoltre il filosofo redasse una Ars Alchemiae con l'intento di chiarire le oscurità che i filosofi avevano diffuso su questa disciplina.

Per quel che riguarda l'iconografia, la tradizione individua M. nell'affresco di Andrea di Bonaiuto nel Cappellone degli Spagnoli in S. Maria Novella a Firenze (1366-1368): M. sarebbe il filosofo vestito da ebreo che straccia le Scritture Sacre dinanzi a un s. Domenico che reprime gli eretici (da Ario ad Averroè). Nel 1860 Giacomo Conti dipinse Michele Scoto consegna a Federico II le traduzioni delle opere di Aristotele (Palermo, Palazzo dei Normanni).

Non vi sono certezze sulla morte di Michele Scoto. Il poeta Henry d'Avranches accenna, intorno al 1235, alla scomparsa dello scienziato. L'affermazione contrasta però con quanto scrisse l'astrologo ebreo Judah ben Salomon ha-Cohen che riferì come, dal 1233, per dieci anni fu in corrispondenza con M., il che fa pensare che M. sia morto più tardi. Potrebbe essere che egli sia tornato in Inghilterra nel 1235 come accompagnatore di Pier della Vigna, quando quest'ultimo fu incaricato di trattare il matrimonio tra Isabella, sorella del re Enrico III d'Inghilterra, e Federico II. M. viene identificato talvolta con quel "magistrum Michaelem Cornutensem clericum nostrum dictum Scotum" (Clerval, 1895, p. 350) che, negli anni 1252-1253, era cancelliere di Giovanni e Matilda di Chartres. C'è poi un testo, il manoscritto Kues 209 della Hospitalsbibliothek di Bernkastel-Kues (Burnett, 2001), attribuito a Guglielmo Scoto (o forse Michele, per una W letta invece di M), che, ricalcando il Liber Introductorius, sviluppa argomentazioni astrologiche successive alla morte del re Manfredi (1266).

fonti e bibliografia

Oxford, Bodleian Library, ms. Bodley 266, Liber quattuor distinctionum (Introductorius). Ivi, ms. Canon. Misc. 555, Liber Particularis; Venezia, Biblioteca Nazionale Marciana, ms. Lat. 6, 108 [= 2555].

Michele Scoto, Liber Phisionomiae, Venetiis 1477.

Ruggero Bacone, Opera quaedam hactenus inedita, I, 1, Opus Tertium, a cura di J.S. Brewer, London 1859.

Jacopo della Lana, Chiose alla "Divina Commedia" di Dante Alighieri. Inferno, in La Divina Commedia nella figurazione artistica e nel secolare commento, I, a cura di G. Biagi, Torino 1924, pp. 1-790, in partic. p. 507A.

Franco Sacchetti, Il libro delle rime, a cura di A. Chiari, Bari 1936.

S. Harrison Thomson, The Texts of Michael Scot's Ars Alchemiae, "Osiris", 5, 1938, pp. 523-559.

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