Mielodisplasia

Dizionario di Medicina (2010)

mielodisplasia

Massimo Breccia
Claudio Cartoni

Patologia ematologica causata da una modificazione del processo di differenziazione e proliferazione della cellula staminale. Nelle m. vi è un aumento di morte cellulare programmata (➔ apoptosi) responsabile del tipico quadro di citopenia periferica. Le m. sono patologie caratteristiche dell’età avanzata e possono avere diversi fattori eziopatogenetici predisponenti, per es. l’esposizione a sostanze tossiche (benzene e radiazioni).

Classificazione

Nel 2003, l’Organizzazione mondiale della sanità ha rivisto la prima classificazione delle m., realizzata nel 1982 dal gruppo FAB (French-American-British), distinguendo 4 sottotipi in base a criteri morfologici (aspetti displastici delle cellule midollari e del sangue venoso periferico e presenza di cellule indifferenziate o blasti), che presentano una buona correlazione con la sopravvivenza: anemia refrattaria (AR), quando non sono presenti blasti in periferia e la loro percentuale nel midollo è inferiore al 5%; anemia refrattaria con sideroblasti (ARS), quando la percentuale dei sideroblasti ad anello è superiore al 15%; anemia refrattaria con eccesso di blasti (AREB), quando i blasti in periferia sono inferiori al 5% e la loro percentuale nel midollo è compresa tra il 5 e il 10% (tipo 1) o tra l’11 e il 19% (tipo 2); leucemia acuta, quando la percentuale dei blasti nel midollo è superiore al 20%.

Prognosi

I fattori prognostici sono vari: sicuramente la percentuale dei blasti midollari è importante e si correla direttamente con l’incidenza della trasformazione in leucemia acuta; le anomalie cariotipiche midollari e la complessità delle citopenie periferiche sono state incluse nel 1997 nell’IPSS (International Prognostic Scoring System) che ha suddiviso i pazienti in quattro categorie di rischio, significative per la sopravvivenza (basso, intermedio-1, intermedio-2, alto).

Terapia

Non esistono terapie codificate per le m., a causa dell’eterogeneità clinica e biologica, e l’unico trattamento che può portare a guarigione è il trapianto di midollo. Diversi sono gli approcci sperimentali proposti nel corso degli anni, che possono indurre soppressione del clone displastico (basse dosi di chemioterapia o terapia con citochine o fattori di crescita), abolizione completa (chemioterapia ad alte dosi), differenziazione (agenti differenzianti e/o citochine). Tra i fattori di crescita, l’eritropoietina può causare la proliferazione della linea cellulare eritroide, con riduzione del fabbisogno trasfusionale in più del 30% dei pazienti. Vari approcci hanno associato il beneficio di quest’ultima terapia con i fattori di crescita per la stimolazione dei globuli bianchi a basse dosi. In alcuni casi è possibile la terapia con immunosoppressori (ciclosporina e siero antiglobulina), per la probabile espansione di cloni linfoidi T e l’associazione con quadri autoimmuni. Gli agenti ipometilanti (decitabina e azacitidina) sono in grado di indurre l’espressione di geni in cui vi è stata una abnorme ipermetilazione del DNA e hanno dimostrato efficacia nelle m. ad alto rischio con alterazioni citogenetiche clonali. Nella m. con delezione del cromosoma 5q, la lenalidomide (agente immunomodulante) ha fornito risultati incoraggianti con azione diretta sul clone patologico e riduzione del fabbisogno trasfusionale.

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