MINERVA

Enciclopedia Italiana (1934)

MINERVA (lat. Minerva)

Giulio GIANNELLI
Enrico PARIBENI

Antica divinità italica, nota soprattutto per il posto importante che tenne nella religione dei Romani, nella quale penetrò sia con gli attributi suoi originarî, sia con quelli che le derivarono dal culto resole in Etruria; a Roma, la figura della dea subì, in progresso di tempo, notevoli modificazioni, in seguito alla sua identificazione con la greca Atena.

Che M. fosse ignota agli stadî più remoti della religione romana, è dimostrato dalla mancanza di un flamine addetto al suo culto e dall'assenza di feste a essa dedicate, nel più antico calendario sacro dei Romani: il suo nome compare, è vero, nel canto dei salî, ma è noto ch'esso vi fu introdotto solo dopo che M. fu accolta nella religione pubblica di Roma. E pertanto il suo ingresso nel culto ufficiale dei Romani si deve ritenere avvenuto quando era ormai chiusa la serie dei cosiddetti dei indigeti e probabilmente, come dai più si ritiene, al tempo dei Tarquinî.

La prima forma sotto la quale la dea penetrò in Roma al tempo dei Tarquinî, fu quella di membro della triade capitolina (v. giove; giunone), il culto della quale derivò a Roma dall'Etruria. Il culto di tale triade risale in Etruria a tempo assai antico, come hanno rivelato gli scavi della città etrusca di Marzabotto (presso Bologna): ivi, sull'acropoli, vennero in luce due templi, risalenti al sec. VI a. C. e dedicati l'uno alla triade ctonica e l'altro alla triade celeste: Tinia (Giove), Uni (Giunone), Menrva (Minerva). Il nome di Minerva ricorre poi frequentemente su monumenti etruschi, anche molto antichi, e specialmente su specchi.

Benché sia così dimostrata l'antichissima appartenenza della dea alla religione etrusca, non pare per questo che M. debba ritenersi etrusca anche di origine: il suo nome infatti risale probabilmente a radici italiche. Onde sembra cogliere nel segno la felice ipotesi del Wissowa, il quale ammette che patria d'origine della dea sia stata la città di Falerii, nella quale l'antico elemento latino-falisco seppe mantenersi sempre vivo sotto l'elemento etrusco a esso sovrappostosi. E del resto, in Falerii le testimonianze antiche del culto di Minerva sono senza confronto più numerose che in qualsiasi altra parte d'Italia. Da Falerii dunque la dea sarà passata nella religione etrusca, dove entrò tosto a far parte della ricordata triade, che fu poi, a Roma, la triade capitolina.

Il più antico santuario in cui M. ebbe culto, in Roma, pare sia stato il cosiddetto Capitolium vetus, sul Quirinale, contenente un sacello per Giove, Giunone e Minerva. Più noto e sicuro è il suo culto nel tempio capitolino della triade, dedicato (come ormai dai più si ritiene) nel 509 a. C.; in esso le tre divinità erano venerate in tre distinte celle, trovandosi quella di M. a destra di quella centrale, di Giove. All'età regia pare risalga anche l'importante santuario dedicato a Minerva sull'Aventino. Quarto in ordine di tempo deve considerarsi il tempio di Minerva capta, eretto ai piedi del Celio, quando, dopo la conquista e la distruzione di Falerii (241 a. C.), fu trasferito a Roma il culto falisco della dea. A età repubblicana (essendo incerta la data) risale pure il tempio di Minerva Medica, sull'Esquilino.

Poiché il giorno anniversario della dedicazione del tempio sull'Aventino (19 marzo) coincideva con l'antica festa di Marte chiamata Quinquatrus, così si finì per considerare quel giorno come sacro anche a M.: ciò che non cambiò neppure quando, in seguito al restauro del tempio ordinato da Augusto, il giorno anniversario fu spostato al 19 giugno.

L'aspetto e il significato originario del culto di M. in Roma derivarono dal modo e dal tempo della sua introduzione nella religione popolare. Press'a poco, infatti, nel tempo stesso in cui M. veniva accolta nella religione ufficiale come membro della triade capitolina, il suo culto si diffondeva anche fra il popolo, per opera soprattutto di artigiani etruschi, i quali veneravano la dea come protettrice di ogni forma di operosità artigiana e industriale. E tale fu infatti l'aspetto più antico della dea in Roma: e il suo tempio sull'Aventino fu riguardato come il centro religioso delle corporazioni di arti e mestieri riconosciute dallo stato, i cui membri potevano ivi liberamente convenire e riunirsi. S'intende così come anche il Quinquatrus - che nella religione ufficiale valeva come festa di Marte - fosse invece considerato dal popolo come una festa operaia (artificum dies), la quale, in seguito a una falsa etimologia del nome, si prolungava per cinque giorni. A tale festa partecipavano, insieme a tutte le altre categorie di operai e di professionisti, anche i medici e gl'insegnanti: questi ultimi anzi, i maestri, riguardarono il Quinquatro, dal principio dell'impero in poi, come la loro festa particolare, in occasione della quale le famiglie dei loro discepoli elargivano a essi speciali gratificazioni.

L'essere stata M. eletta a patrona dei medici, spiega l'aspetto peculiare che essa pure rivestì, nella religione romana, di divinità salutifera e l'epiteto, che le venne apposto, di Minerva Medica (venerata nel tempio ricordato sull'Esquilino).

Soltanto sotto l'influsso della religione greca si accentuò in Roma l'importanza dell'aspetto politico e guerriero, che già era proprio a M. come membro della triade: così la Minerva della religione ufficiale romana finì per identificarsi con l'Atena Polias, venerata dai Greci come custode e protettrice della libertà cittadina.

L'ellenizzazione del culto romano di M. cominciò durante la guerra annibalica, col famoso lettisternio del 217 a. C.; e da allora progredì rapidamente. Cicerone la chiama custos urbis (che vale quanto il greco "poliade"); Augusto e Domiziano dedicarono templi a Minerva Chalcidica. Questo imperatore professò anzi per Minerva una speciale venerazione, arrivando fino a dichiararsi figlio della vergine dea, alla quale edificò un tempio sul Palatino e un altro nel Foro Transitorio; di questo si conservano, in parte, i bellissimi rilievi del fregio, che rappresentano la dea sotto il suo aspetto popolare, di protettrice delle arti e dei mestieri (v. aracne, III, p. 911, fig.).

Il culto di Minerva ci è testimoniato, per l'età imperiale (essenzialmente da documenti epigrafici), per quasi tutte le regioni dell'impero: la dea compare ordinariamente nel suo significato primitivo italico-romano, cioè come divinità protettrice dei mestieri e delle professioni; anche fra i soldati, essa pare fosse riguardata specialmente come protettrice dei musicanti e degli scritturali.

Bibl.: L. Preller-H. Jordan, Römische Mythologie, Berlino 1881-1883, I, p. 289 segg.; Roulez, in Annali dell'Instituto, 1872, p. 216; L. Savignoni, in Römische Mitteilungen, 1897; G. Wissowa, Religion und Kultus der Römer, 2ª ed., Monaco 1912, p. 252 segg.; id., in Roscher, Lexicon der griech. und röm. Mythologie, II, col. 2982 segg.; C. Anti, in Monumenti dei Lincei, 1920, p. 305; C. Bailey, Phases in the religion of ancient Rome, Berkeley 1932, passim e specialm. p. 118 segg.; F. Altheim, in Pauly-Wissowa, Real-Enc., XV, col. 1774 segg.; id., Römische Religionsgesch., I, II, Berlino 1932-32, passim.

Iconografia. - Il tipo di Atena, fissato fin dai primordî dell'arte greca, si ritrova quasi inalterato nelle rappresentazioni figurate etrusche o romane, o comunque italiche. Tuttavia si può notare una predilezione per certi caratteri della dea, meno apparenti e più rari nel mondo mitico greco: così il tipo di M. alata, documentato da una serie di specchi etruschi, che si è voluto avvicinare nel mondo greco o al tipo di Atena Nike o all'altro ancor meno noto di Atena Aithia, una dea meteorica dei mari e della navigazione. Interessante è anche il tipo di Minerva kourotróphos, non ignoto all'arte greca, che riproduce spesso la dea accogliente Erictonio, il figlio di Gea e di Efesto.

Ma è certo che nelle rappresentazioni etrusche si deve trattare di un mito diverso, perché in un famoso specchio del museo di Berlino abbiamo la testimonianza d'indubbî rapporti tra Minerva ed Eracle, dimostrati dall'atteggiamento della dea e dell'eroe, intenti a un infante che è nelle loro braccia riunite, e dalla presenza di Turan, la dea dell'amore.

Un interessante ciclo di rappresentazioni che fanno capo a M., come inventrice delle arti del tessere e del filare, ci è conservato nel fregio del tempio della dea nel Foro Transitorio iniziato da Domiziano e compiuto da Nerva. Anche per queste rappresentazioni noi non conosciamo modelli nel mondo artistico greco.

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