Minoranze. Diritto internazionale

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Il concetto di minoranza nazionale, presente nel diritto internazionale, non è di agevole delimitazione; il tentativo di elaborare una definizione, resosi necessario di fronte alla diversa terminologia usata negli accordi internazionali che disciplinano la materia, è stato intrapreso dalla Società delle Nazioni, proseguito dall'Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) e affrontato a più riprese nell'ambito del Consiglio d'Europa.

Tra le tante proposte di definizione, la più esauriente è quella suggerita dalla sottocommissione dell'ONU per la lotta contro le misure discriminatorie e la protezione delle minoranze, pubblicata nel 1977: per minoranza si intende dunque un "... gruppo numericamente inferiore al resto della popolazione di uno Stato, in posizione non dominante, i cui membri, cittadini dello Stato, possiedono, dal punto di vista etnico, religioso o linguistico, caratteristiche che differiscono da quelle del resto della popolazione e manifestano anche un sentimento di solidarietà allo scopo di preservare la loro cultura, la loro tradizione, la loro religione e la loro lingua».

La tutela delle minoranze nella Società delle Nazioni. - Storicamente, il problema si è manifestato in Europa con riferimento alle minoranze religiose: con i primi trattati bilaterali in materia, nei secoli 17° e 18°, le potenze firmatarie riconoscevano la libertà di culto alle minoranze religiose presenti sul proprio territorio. Nel 19° secolo al concetto di minoranza religiosa si affiancò quello di minoranza nazionale: il primo strumento multilaterale a occuparsi del problema fu l'Atto del Congresso di Vienna (1815), che affermava il diritto dei Polacchi, soggetti alle potenze contraenti, alla conservazione della loro nazionalità.

Alla fine della prima guerra mondiale, lo smembramento dei grandi Stati multinazionali in numerosi nuovi Stati tendenzialmente nazionali comportò il sorgere di complessi problemi di minoranze. Fallita la proposta, avanzata dal presidente degli Stati Uniti T. W. Wilson, di inserire nel patto della Società delle Nazioni una disposizione specifica sulle minoranze, si decise di realizzare un complesso sistema di protezione delle minoranze fondato su trattati speciali, i cosiddetti trattati delle minoranze, su disposizioni inserite nei trattati di pace e su successivi accordi bilaterali stipulati nel corso degli anni Venti sotto l'egida della Società delle Nazioni. La tutela delle minoranze era assicurata tramite alcuni strumenti di garanzia previsti dagli accordi: gli Stati si impegnavano ad adottare le norme interne relative alle minoranze nella forma di leggi fondamentali, cui non potessero derogare eventuali leggi successive contrarie; tali norme interne, in quanto frutto di un obbligo internazionalmente assunto, venivano poste sotto la garanzia della Società delle Nazioni, il che comportava che potessero essere modificate solo con il consenso del Consiglio di questa. Alla Corte permanente di giustizia internazionale era attribuita la giurisdizione obbligatoria per la soluzione di eventuali controversie (Controversia internazionale).

Con un rapporto elaborato il 22 ottobre 1920 il Consiglio della Società delle Nazioni istituì il diritto di petizione: gli Stati o anche i membri di una minoranza potevano segnalare al Consiglio eventuali violazioni o pericoli di violazioni. Tali segnalazioni costituivano delle semplici informazioni, che non obbligavano il Consiglio a intervenire. Una risoluzione del 25 ottobre 1920 completò la procedura, istituendo i Comitati delle minoranze i quali potevano chiedere che la questione, se considerata rilevante, venisse iscritta nell'ordine del giorno del Consiglio, o avviare negoziati con le parti interessate. Nonostante la sua complessità, il sistema non si rivelò efficace, avendo sofferto delle stesse debolezze che decretarono l’insuccesso di tutto l'assetto creato dalla Società delle Nazioni.

Minoranze e diritti umani. - Il secondo dopoguerra ha visto un mutamento nell'approccio al problema delle minoranze, coincidente con il progressivo sviluppo delle norme internazionali per la protezione universale dei diritti dell'uomo (Diritti umani. Diritto internazionale). Sulla base di tale impostazione, la Carta dell'ONU (1945) e la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (1948), così come le Convenzioni interamericana (1969) e africana (1981) sui diritti dell'uomo non contengono norme specifiche sulle minoranze, ma affermano il principio di non discriminazione.

Norme a tutela delle minoranze sono inoltre contenute in numerosi trattati per la protezione dei diritti umani. Tra questi è da menzionare anzitutto la Convenzione per la repressione del crimine di genocidio del 9 dicembre 1948, che identifica il genocidio con una serie di atti commessi allo scopo di distruggere un gruppo nazionale, etnico, linguistico o religioso. Rilevanti sono altresì la Convenzione dell'UNESCO del 14 dicembre 1960 sulla lotta alla discriminazione nell'insegnamento, che afferma il diritto delle minoranze di esercitare proprie attività educative; la Convenzione dell'ONU per l'eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale, del 7 maggio 1966, che assicura ai membri di minoranze etniche la piena uguaglianza nel godimento di diritti civili, politici e culturali. La norma più significativa in materia di tutela delle minoranze è l'art. 27 del Patto dell'ONU sui diritti civili e politici, del 16 dicembre 1966, il quale attribuisce ai membri di minoranze etniche, religiose o linguistiche il diritto di avere una propria vita culturale, di professare e praticare la propria religione, di usare la propria lingua.

La protezione delle minoranze in Europa. - L'art. 14 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, del 4 novembre 1950 menziona tra le possibili cause di discriminazione l'appartenenza a una minoranza.

La questione è stata affrontata, inoltre, nell'ambito della CSCE, oggi Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE). Già l'Atto finale di Helsinki (1° agosto 1975) conteneva, tra i principi che regolano le relazioni tra gli Stati partecipanti, la regola dell'uguaglianza di trattamento e della non discriminazione nei confronti di persone appartenenti a minoranze nazionali. Il documento adottato a Helsinki il 10 luglio 1992 dal vertice dei capi di stato e di governo della CSCE ha poi istituito l'Alto Commissario per le minoranze nazionali, il quale può intervenire quando si presentino tensioni concernenti una minoranza, potenzialmente idonee a trasformarsi in un conflitto che possa pregiudicare la pace, la stabilità o le relazioni tra gli Stati partecipanti. All'Alto Commissario spettano i poteri preliminari di valutazione della situazione: raccolta di informazioni e possibilità di visita in loco (che richiede però il consenso dello Stato territoriale). Effettuata la valutazione, l'Alto Commissario può intervenire con il «preallarme» (coinvolgimento degli organi decisionali dell’OSCE e, eventualmente, attivazione del meccanismo di emergenza) e con l'«azione preventiva», tramite la quale è lo stesso Alto Commissario a suggerire le soluzioni della crisi che ritiene più opportune, agendo però sempre in stretta collaborazione con gli altri organismi dell’OSCE.

Voci correlate

Diritti umani. Diritto internazionale

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