Minore. Diritto civile

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Secondo l’ordinamento italiano, in base all’art. 2 c.c. (come sostituito dall’art. 1, l. 8 marzo 1975, n. 39), minore è la persona fisica (v. Persona fisica e persona giuridica) che non ha ancora compiuto il diciottesimo anno di età. L’ordinamento giuridico accorda una particolare tutela al minore; fondamentale importanza hanno, a questo riguardo, le previsioni generali contenute nell’art. 31 Cost. («la Repubblica […] protegge la maternità, l’infanzia e la gioventù, favorendo gli istituti necessari a tale scopo»), nell’art. 37 Cost. («la Repubblica tutela il lavoro dei minori con speciali norme e garantisce ad essi, a parità di lavoro, il diritto alla parità di retribuzione»), e anche nell’art. 30 Cost. («è dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori del matrimonio. Nei casi di incapacità dei genitori, la legge provvede a che siano assolti i loro compiti»). Il minore ha capacità giuridica, ma è privo della capacità di agire (v. Capacità. Diritto civile), che si acquista solo al compimento della maggiore età; ciò significa che potrà validamente compiere solo gli atti espressamente previsti dalla legge (per es., l’art. 1, co. 622, della l. 27 dicembre 2006 n. 296 dispone che l’età per l’accesso al lavoro è di 16 anni), mentre in linea generale gli atti compiuti dal minore sono invalidi (art. 591 c.c., art. 1425 c.c. e così via). Finché non raggiunge la maggiore età il minore sarà pertanto soggetto alla potestà dei genitori (art. 316 c.c., salve le eccezioni previste dalla legge) o, in mancanza, di un tutore nominato dal giudice: i genitori o il tutore si occuperanno allora degli interessi del minore e la loro volontà si sostituirà alla sua nel compimento degli atti; ciò non toglie che quotidianamente i minori di età compiano spesso numerosi atti giuridici (per es., l’acquisto di un libro), nel qual caso si ritiene in genere che agiscano in rappresentanza del titolare della potestà. Il minore, come ogni figlio, deve rispettare i genitori (art. 315 c.c.) e, in caso di tutela, deve rispetto e obbedienza al tutore (art. 358 c.c.). Il minore temporaneamente privo di un ambiente familiare idoneo a provvedere alla sua crescita ed alla sua educazione è affidato ad una famiglia, preferibilmente con figli minori, o ad una persona singola, in grado di assicurargli il mantenimento, l'educazione, l'istruzione e le relazioni affettive di cui ha bisogno. Ove ciò non sia possibile, è consentito l'inserimento del minore in una comunità di tipo familiare o, in mancanza in un istituto di assistenza pubblico o privato. L'affidamento familiare è disposto dal servizio sociale locale, previo consenso manifestato dai genitori o dal genitore esercente la potestà, ovvero dal tutore, sentito il minore che ha compiuto gli anni dodici ed anche il minore di età inferiore, in considerazione della sua capacità di discernimento. Il giudice tutelare del luogo ove si trova il minore rende esecutivo il provvedimento con decreto. Nel provvedimento di affidamento familiare devono essere indicate specificamente le motivazioni, nonché i tempi e i modi dell'esercizio dei poteri riconosciuti all'affidatario ed il periodo di presumibile durata, che non può superare la durata di ventiquattro mesi ed è prorogabile (artt. 1 ss. l. 4 maggio 1983, n. 184, come modificati dalla l. 28 marzo 2001 n. 149).

Minore emancipato. - Il minore emancipato è colui che, avendo compiuto 16 anni, ha contratto matrimonio con il procedimento speciale previsto dall’art. 84 c.c.: egli può compiere validamente da solo gli atti di ordinaria amministrazione, mentre per gli atti di straordinaria amministrazione deve essere assistito da un curatore.

Voci correlate

Annullabilità e annullamento. Diritto civile

Filiazione

Incapacità legale e naturale

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