MIRONE di Eleutere

Enciclopedia Italiana (1934)

MIRONE di Eleutere (Μύρων, Myron)

Goffredo Bendinelli

È lo scultore greco più illustre di cui si abbiano precise notizie per il sec. V, insieme con Fidia e con Policleto. M. è detto anche di Atene, perché stabilitosi presto colà. Scarsi e incerti sono però i dati cronologici che di lui si posseggono. Egli sembra essere stato discepolo di Agelada di Argo, scultore fiorito tra la fine del sec. VI e i primissimi decennî del V a. C.; M. inoltre ebbe un figlio, Licio, la cui attività come scultore era già conosciuta in Atene anteriormente all'inizio della guerra del Peloponneso. Mentre la nascita di M., quindi, può essere posta circa alla fine del sec. VI, la fioritura e l'attività prolungata del grande scultore si racchiudono entro i termini estremi del cinquantennio 480-430 a. C. Inaccettabile come inesatta rimane l'affermazione di Plinio, secondo il quale Fidia e Policleto sarebbero stati discepoli dello stesso maestro di M., che è invece certamente di alcuni lustri più vecchio degli altri due.

Nonostante la scarsezza relativa delle fonti monumentali, sappiamo che eccezionalmente vasta e varia fu l'attività dello scultore. Le sue opere, eseguite generalmente in bronzo, consistevano in statue-ritratti di atleti vincitori nei giuochi nazionali, in immagini di eroi e divinità, e anche in figure di animali (probabilmente immagini votive), di un'esecuzione perfetta.

In uno dei Dialoghi di Luciano di Samosata (Philopseudos., 18), si trova descritta come di M. una statua di ginnasta "discobolo" o lanciatore di disco. Il passo di Luciano servì nel 1783 a C. Fea, per identificare il Discobolo di M. in una buona replica in marmo del palazzo Lancellotti in Roma (Discobolo Lancellotti). Come una copia ancora più perfetta, per quanto incompleta e acefala, della medesima statua, specialmente celebre nell'antichità, si riconosce oggi il Discobolo rinvenuto nel 1906 tra i ruderi di un'antica villa romana presso Castel Porziano e ora nel Museo delle Terme. Copie più o meno frammentarie e di minore importanza sono: il Discobolo del Museo Vaticano di scultura; il Discobolo del British Museum (Londra), da Villa Adriana; il Discobolo del Museo Capitolino (malamente restaurato come un combattente ferito).

Nella statua M. intese rappresentare un giovane atleta, nel momento in cui egli si raggomitola quasi su sé stesso, per scattare un istante dopo a lanciare il disco. Nel complesso atteggiamento (v. tav. CVIII) le varie parti della figura sembrano svilupparsi secondo un movimento a spirale, dagli arti inferiori al tronco e alla testa. Così, partendo da una rigorosa esperienza della realtà, l'artista riusciva a differenziare nettamente la sua opera statuaria da quella veduta unilaterale, da bassorilievo, a cui sembra a tutta prima ridursi la figura di un ginnasta discobolo, e a cui tale motivo era stato in effetto ridotto dalla scultura greca arcaica. Secondo la realizzazione geniale di M. il Discobolo risulta di una molteplicità considerevole di piani, e presenta vedute nuove, interessanti e inattese, a seconda dei diversi punti dai quali si guarda.

Altra opera nota di M., perfettamente ormai identificata nelle repliche, è il gruppo di Atena e Marsia, il cui originale, in bronzo, si ammirava tra le sculture votive che fiancheggiavano la strada dai Propilei al Partenone, sull'Acropoli. Atena appariva nel momento successivo a quello in cui aveva gettato a terra le tibie, strumento a fiato di sua invenzione, che deturpava la bellezza della dea. Il sileno Marsia, alle spalle di Atena, era nell'aspetto di colui che, stupito del gesto improvviso della dea, viene preso dal desiderio incauto di raccogliere l'oggetto abbandonato e maledetto. In una statua marmorea del Museo Lateranense, già malamente restaurata come quella di un suonatore di nacchere, H. Brunn riconobbe, nel 1853, l'esatta replica del Marsia di M.

La figura silenica o satiresca si tiene aderente al terreno con le sole punte dei piedi, poggiando il peso del corpo sulla gamba sinistra, flessa e arretrata. In questa posa di equilibrio instabile, il torace, non atletico, si stira indietro sensibilmente, la testa dall'ampia barba si curva sul petto, lo sguardo è fitto al suolo, mentre le braccia, sollevate, esprimono meraviglia e sorpresa. L'abbandono apparente dell'asse normale di equilibrio conferisce alla figura quell'instabilità, che è propria dei movimenti rapidi e istantanei, cari all'artista, bramoso di esprimere la realtà dell'attimo fuggente. Una nuova copia frammentata del Marsia si è rinvenuta recentemente a Castel Gandolfo nei ruderi della Villa di Domiziano.

Quella compostezza classica, che a ragion veduta appare ripudiata nel Marsia, è dallo stesso artista espressa maestrevolmente nell'altra figura del gruppo, Atena, riconosciuta nel 1909 da L. Pollak in una statua marmorea, di grandezza minore del vero, trovata a Roma, e conservata oggi nel museo civico di Francoforte sul Meno. La statua è quella di una divinità femminile clipeata, vestita di lunga tunica cinta, in dignitoso movimento di marcia, con lo sguardo volto indietro, verso la spalla sinistra. Le braccia sono oggi mancanti. La mano destra però, rinvenuta insieme con un frammento del braccio, stringe un pezzo della lancia. Secondo ricostruzioni plastiche del gruppo, effettuate nella Gliptoteca di Monaco e in quella di Brunswick (v. atena, V, p. 167, fig.) la mano destra, poco lontano dal fianco, reggeva obliquamente la lancia, mentre rimaneva aperta, descrivendo un gesto di ripulsa, la sinistra, che aveva abbandonato le tibie. Anche di questo gruppo dovettero nell'antichità essere frequenti le repliche.

Alla luce di queste poche, ma sicure opere di M. (come possono essere oggi considerate le copie abbastanza fedeli), acquistano maggiore valore e significato le testimonianze letterarie di opere mironiane andate perdute anche nelle copie. Varie statue atletiche onorarie si ammiravano come eseguite da M. nell'Altis di Olimpia: erano le statue di Lykinos, di Timante, di Chionide spartano. E a Olimpia probabilmente fu inaugurata e si ammirò per lungo tempo la statua di bronzo dell'atleta Lada (di Argo), la più celebre, sembra, di tutte le statue atletiche di M. L'artista aveva voluto rappresentare Lada in piena corsa, riuscendo a conferire alla figura l'impressione della rapidità e della leggerezza del corridore. La figura, aderente al suolo con la sola estremità di uno dei piedi, era certamente un esempio di quella originalità e di quell'arditezza di concezione plastica, che forse in minor misura, ma sempre tuttavia in misura notevole, si può riconoscere nel Discobolo e nel Marsia. Nella tipica sua concezione dinamica dell'iconografia degli atleti, difficilmente M. espresse in riposo, o in movimenti meno che concitati, anche le altre statue olimpiche ricordate da Pausania e più vagamente da Plinio.

Più incerto rimane lo schema, di riposo o di movimento, secondo cui M. ebbe a rappresentare sia Perseo uccisore di Medusa, sia il re mitico ateniese Eretteo: due opere statuarie che si ammiravano in Atene, la seconda delle quali, ricordata da Pausania come una delle migliori opere dell'artista, non si sa però se si trovasse sull'Acropoli, come l'altra. A varie riprese M. ebbe a rappresentare statuariamente la figura di Eracle. Una sua statua di Eracle era stata da Verre rapita in Sicilia, una seconda si ammirava in Roma nel tempio costruito da Pompeo presso il Circo Massimo; una terza, colossale, già facente parte di un gruppo a Samo, insieme con le figure, pure colossali, di Zeus e di Atena (in un gruppo che rappresentava forse l'introduzione di Eracle nell'Olimpo), era stata portata a Roma da Antonio, e da Augusto quindi restituita generosamente agli abitanti di Samo. Assai ipotetiche e malsicure rimangono le identificazioni che si sono di recente volute tentare dell'Eracle di Samo, e meramente arbitrari appaiono i tentativi di ricostruzione del complesso gruppo samio. Si ricordano di M. ancora due statue di Apollo: una delle quali a Efeso, asportata da Antonio e restituita pure da Augusto; l'altra nel santuario di Asclepio ad Agrigento, con la firma di M. ageminata in argento lungo la coscia. Questo secondo tipo di Apollo venne da A. Furtwängler identificato con l'Apollo detto di Cassel, giudicato come un'opera giovanile di M. Altre immagini di divinità, eseguite dal nostro artista, furono: una statua di Dioniso a Orcomeno, una statua di Ecate a Egina. All'infuori della figura di Ecate, che sappiamo essere stata intagliata in legno, non vi sono motivi per escludere che gli originali di queste, e delle altre numerose opere del celebre scultore bronzista, fossero appunto eseguiti in bronzo.

La genialità e la versatilità di M., oltre che nelle figure atletiche in movimento e nelle immagini solenni di divinità, in posizione di riposo, ebbero a manifestarsi anche nella rappresentazione di animali, altri artisti greci avendo già trattato il genere animalistico, senza essere per questo riusciti a segnalarsi in modo particolare.

Gli elogi degli antichi si appuntano intorno alla celebre vacca di M., la quale, dopo essere stata lungamente ammirata in Atene, venne trasferita a Roma e collocata nel Foro di Vespasiano, detto della Pace. Opera non d'arte, ma d'inganno (come dice un epigramma di Leonida tarantino), l'anímale era modellato nel bronzo con caratteri così realistici da ingannare sulla sua natura le mandre e i pastori. Di altre quattro figure di buoi, dichiarate opera di M. e collocate intorno all'ara del tempio di Apollo Palatino, fa menzione Properzio (II, 31, 17). Nessuna testimonianza monumentale però ci rimane nemmeno della più celebrata opera di scultura animalistica, non potendosi riconoscere un effettivo valore storico documentario, né alla piccola giovenca di bronzo della Bibliothèque Nationale di Parigi, né alle due giovenche di marmo, una al Museo Vaticano, l'altra al Museo del Palazzo dei Conservatori. Le citazioni poi di opere di oreficeria attribuite a M., quali si contengono negli epigrammi di Marziale, sono da considerare con scetticismo.

L'alta rinomanza delle opere di M. indusse varî scrittori classici a formulare dei giudizî sull'arte in genere di questo scultore, come differenziata nettamente da quella degli altri famosi scultori greci del sec. V.

Così Plinio (Nat. Hist., XXXIV, 58) avverte che M. seppe dare interpretazioni molteplici del vero, e fu più versatile e più armonico di Policleto, e tuttavia più studioso dei corpi che non degli animi, più dei movimenti esterni che delle interne reazioni, e ancora in parte aderente allo stile arcaico. Tale giudizio si accorda, in fondo, con quello dato da Quintiliano (Inst. Or., II, 13, 8), il quale rileva la ricchezza del repertorio statuario mironiano e la complessità artificiosa del Discobolo, ch'egli appunto dichiara distortum et elaboratum, trovando tuttavia degna di lode l'originalità del concetto e la complessità della forma (novitas ac difficultas). Lo stesso scrittore (XII, 10, 7) pone, dal punto di vista della scioltezza dello stile, M. avanti ai rappresentanti più genuini della scultura greca prefidiaca, e cioè a Calamide, a Egesia e a Callone, implicitamente ammettendo una certa parentela stilistica fra questi rappresentanti dell'arcaismo maturo e M.; così come Cicerone (Brutus, 18, 70) dichiara degne di ammirazione le opere di M., per quanto ancora un poco deficienti riguardo a naturalezza.

Il criterio estetico, da cui partono i critici antichi, è in genere quello, assai semplice, dei rapporti tra la comune esperienza e la rappresentazione artistica. Gli appunti che Plinio, ad es., muove a M., di non esprimere nelle sue statue i movimenti dell'animo, sembrano trovare un'eloquente conferma nella testa del Discobolo, dove appunto l'espressione serena e indifferente e i tratti idealizzati (a parte una certa asimmetria facciale altrimenti giustificabile) non dimostrano la più lontana attinenza e concatenazione con tutto il movimento concitato e quasi sforzato della figura. I caratteri tipici della testa del Discobolo, quali si ripetono in svariate repliche, hanno permesso di procedere a ulteriori identificazioni e attribuzioni: come quella dovuta a W. Amelung, di una testa di atleta lottatore che si cinge la testa: una specie di "Anadumenos".

Come oggi si può giudicare, però, l'importanza storica e immanente di M. non risiede soltanto nella profonda esperienza anatomica e in altri pregi esteriori. Essa consiste piuttosto nell'avere egli riscattato e risollevato l'arte della scultura dai rigidi schemi geometrici nei quali fino allora essa si era adagiata e minacciava quasi di cristallizzarsi, e, per un bisogno profondamente sentito di reazione, sostenuto da una innegabile genialità, nell'avere imposto alla scultura, per la sua rinnovazione, dei compiti eccezionali: come quello di esprimere il corridore sospeso nell'aria, il lanciatore di disco, raggomitolato per un balzo felino, e simili. Lungi dal riprodurre la comoda staticità delle statue arcaiche in riposo, M. intese a rendere il movimento nei suoi più fuggevoli aspetti. Una così audace missione di rinnovamento, perseguita lungo tutta una laboriosa carriera, fu provvidenziale per la scultura attica, la quale poté così completare la padronanza dei suoi mezzi di espressione, la sua essenza di dominatrice delle forme nello spazio, e poté successivamente, con quella calma e prontezza che subentra ai periodi di stasi e di crisi, attendere ad approfondire e a risolvere, col genio di Fidia, il problema dell'espressione fisionomica, infondendo vita e sentimento nelle maschere, fino allora impassibili, delle statue. Contemporaneamente o quasi, la scultura argiva, per mano di Policleto, creava quei tipi statuarî coi quali veniva codificata la regola aurea delle proporzioni del corpo umano, primo passo a una forma di accademismo, da cui M. seppe tenersi lontano non meno di Fidia. Ma più ancora di Fidia, M. dovette parere ai contemporanei un innovatore e un rivoluzionario, assai dìfficile da seguire e da imitare. M., come troppo ardito precursore, non ebbe seguaci. Strana constatazione questa, a tutta prima, essendosi il figlio Licio, dedicato egli pure, e con ottimi risultati, all'arte della scultura. Lo stile di M., però, in quanto aveva di più interessante e peculiare (il movimento concitato), rappresentava, sotto un certo aspetto, l'estremo anelito di un'età che ormai volgeva al tramonto: l'età arcaica. E Licio, al pari di tutti i giovani, si rivolse verso l'arte nuova, quella della nuova generazione, rappresentata suggestivamente da Fidia. (V. tavv. CVII e CVIII).

Bibl.: M. Bieber in Thieme-Becker, Künstler-Lexikon, XXV, Lipsia 1931, s. v. Myron, con tutta o quasi, la bibliografia precedente. Altra bibliografia generale, su Mirone e le sue opere, è data da Fr. Matz, in Katalog d. deutsch. arch. Inst., II, i (1932), p. 131 segg. Tra la bibliografia italiana ricordiamo: G. E. Rizzo, Il Discobolo di Castel Porziano, in Bollett. d'Arte del Minsitero della P. I., I (1907), p. 3 segg.; S. Mirone, Mirone d'Eleutere, Catania 1921; A. Della Seta, Il nudo nell'arte, Milano-Roma 1930, p. 201 segg. Per i varî particolari circa una più fedele ricostruzione del Discobolo: J. Jüthner, Das Problem des myronischen Diskobols, in Jahreshefte d. österr. arch. Inst., XXIV (1929), p. 123 segg.; per altre opere di M.: H. Bulle, Die Samische Gruppe d. Myron, in Festschrift P. Arndt, Monaco 1925; G. Lippold, Herakles des Myron, in Antike Plastik, W. Amelung zum 60 Geburtstage, Berlino-Lipsia 1928.