Misure cautelari personali e presunzione di adeguatezza

Libro dell'anno del Diritto 2014

Misure cautelari personali e presunzione di adeguatezza

Luigi Ludovici

Nel commento che segue, l’Autore ricostruisce l’assetto vigente della disciplina ex art. 275, co. 3, c.p.p. alla luce delle interpolazioni ad essa apportate dal d.l. 23.2.2009, n. 11 (l. 23.4.2009, n. 38) e delle declaratorie di illegittimità costituzionale che ne sono seguite. Nella parte finale del lavoro, il fuoco dell’indagine si sposta, invece, sui problemi interpretativi e di diritto intertemporale che la novella ha suscitato e sui profili di criticità che, nonostante le soluzioni sviluppate a livello giurisprudenziale, ancora sembrano profilarsi in tema de libertate.

La ricognizione

Nel nostro sistema processuale, tra i criteri cui l’art. 275 c.p.p. àncora la scelta della misura cautelare da applicare – in presenza dei presupposti di legge (artt. 273, 274 e 280 c.p.p.) – nel caso concreto, figura il parametro della cd. adeguatezza, per cui la misura va raccordata alla natura e al grado delle esigenze predicabili a carico del prevenuto (art. 275, co. 1, c.p.p.).

In tale prospettiva, si inserisce, però, ed in termini di assoluta specialità, la regola di cui all’art. 275, co. 3, secondo periodo, c.p.p. in forza della quale, in presenza di alcune tipologie di reato, opera un duplice ordine di presunzioni: una presunzione relativa (iuris tantum) di sussistenza delle esigenze cautelari; una presunzione assoluta (iuris et de iure) di adeguatezza della custodia in carcere.

La focalizzazione

Il regime di cui all’art. 275, co. 3, c.p.p. ha fatto, di recente, registrare una notevole implementazione del catalogo dei reati attratti nel suo cono d’azione1 ad opera del d.l. 23.2.2009, n. 11 (l. 23.4.2009, n. 38).

La scelta di dilatare la portata applicativa dell’art. 275, co., 3 c.p.p. non ha, però, incontrato il favore della Consulta che, infatti, attraverso una serrata sequenza di decisioni2, ha dichiarato il regime de quo non conforme a Costituzione in relazione a gran parte dei reati di cui alla novella.

In tutti i casi scrutinati, la declaratoria di illegittimità costituzionale poggia sulle seguenti ragioni. Ad avviso del giudice delle leggi, nei procedimenti relativi alla fattispecie di cui all’art. 416 bis c.p. la deroga alle regole generali si giustifica3 in forza di una massima di esperienza generalmente condivisa che, facendo leva sulle peculiarità proprie del fenomeno criminoso considerato – l’inscindibilità del sodalizio criminoso, la profondità e l’estensione del suo radicamento territoriale, l’uso della forza intimidatrice – individua come non idonee le misure “minori” a recidere i legami tra l’indiziato e l’ambito delinquenziale di appartenenza e quindi a neutralizzarne la pericolosità.

Lo stesso non può dirsi invece per altre tipologie di reato di cui all’art. 275, co. 3, c.p.p., potendosi in relazione ad esse agevolmente ipotizzare modalità di commissione del fatto foriere di pericula fronteggiabili con misure non carcerarie.

A motivo di ciò, la disciplina de qua viene, quindi, giudicata in contrasto con l’art. 3 Cost. in quanto detta regolamentazioni omogenee di situazioni non sovrapponibili. Né la ragionevolezza del regime in esame è assicurata dal grave trattamento sanzionatorio comminato per i reati di cui al decreto, atteso che, in questa prospettiva, non si spiegherebbe, allora, il perché del regime di favore accordato agli indagati di reati altrettanto gravi ma inspiegabilmente non interessati dalla presunzione assoluta di adeguatezza.

Peraltro, non ricorrendo, nei casi di cui alle ordinanze di rimessione, motivo per derogare al principio – immanente nel concetto di inviolabilità della libertà personale – del “minor sacrificio necessario”, il nuovo art. 275, co. 3, c.p.p. risulterebbe in contrasto anche con il parametro di cui all’art. 13, co. 1, Cost.

Laddove, poi, la ratio della modifica venga ancorata alla necessità di placare l’allarme sociale generato dalle gravi fattispecie criminose contemplate, la disposizione risulterebbe incostituzionale a mente dell’art. 27, co. 2, Cost. nella misura in cui alla custodia in carcere verrebbe attribuita una finalità propria della pena, con conseguente assimilazione del presunto innocente con il condannato in via irrevocabile.

Quanto poi agli effetti delle pronunce di incostituzionalità, la formula additiva impiegata dalla Consulta opera una conversione, da assoluta a relativa, della presunzione di adeguatezza del carcere: così facendo la Corte ritiene, infatti, che la disciplina de qua venga ricondotta entro margini costituzionali accettabili venendo in tal modo asportato il nucleo di illegittimità del nuovo assetto normativo costituito proprio dall’impossibilità – tipica delle presunzioni iuris et de iure – di ammettere la prova contraria in ordine alla non adeguatezza di misure meno afflittive.

I profili problematici

Un primo problema connesso alle tematiche trattate riguarda la sorte del novellato art. 275, co. 3, c.p.p. nelle parti ancora non attinte dalle pronunce di incostituzionalità.

A questo proposito, occorre precisare che, laddove si dovessero ritenere validi anche rispetto ai reati ancora soggetti al regime più rigoroso i principi che hanno indotto, in più situazioni, la Consulta ad una rimodulazione della disciplina di cui all’art. 275, co. 3, c.p.p., analogo risultato non potrebbe conseguirsi da parte dei giudici ordinari mediante il canone dell’interpretazione costituzionalmente conforme, dovendo essi comunque coltivare l’incidente di costituzionalità.

Diversamente opinando, si scardinerebbe, infatti, il principio che vuole quale condizione base dell’attività esegetica il carattere polisenso del dettato normativo, senza contare che abilitando il giudice a travolgere la lettera della legge si conierebbe un controllo “diffuso” di costituzionalità delle leggi completamente bandito dal nostro ordinamento4.

Un ulteriore ordine di problemi sollevato dall’entrata in vigore della novella de qua attiene, poi, all’efficacia intertemporale delle modifiche processuali in tema de libertate.

Punto centrale della questione è se, in virtù del solo ius superveniens, possa o meno procedersi ad una modifica in peius del regime cautelare già applicato prima dell’entrata in vigore della novella del 2009.

Disattendendo un indirizzo ormai risalente5, le Sezioni Unite6 hanno fornito risposta negativa al quesito in questione anche se le ragioni fondanti il nuovo dictum hanno suscitato le giustificate perplessità della dottrina.

Nella sentenza si afferma, infatti, che l’applicazione retroattiva del novellato art. 275, co. 3, c.p.p. è, tra l’altro, scongiurata dalla mancanza, nel testo del decreto, di una norma transitoria: argomento questo con cui la Cassazione implicitamente avalla la possibilità di concepire norme processuali sfavorevoli capaci di applicarsi ultrattivamente a regimi cautelari già instauratisi prima della loro entrata in vigore muovendosi così sulla scia di una linea teorica di dubbia compatibilità con il concetto di “materia penale” che si sta diffondendo in seno alla giurisprudenza europea7.

Note

1 Trattasi dei delitti di cui agli artt. 51, co. 3-bis e 3-quater, 575, 600 bis, co. 1, 600 ter, escluso il co. 4, 600 quinquies, nonché – in assenza delle circostanze attenuanti ivi contemplate – 609 bis, 609 quater e 609 octies c.p.

2 Cfr., C. cost., 21.7.2010, n. 265; C. cost., 12.5.2011, n. 164; C. cost., 22.7.2011, n. 231; C. cost., 16.12.2011, n. 331; C. cost., 18.4.2012, n. 110; C. cost., 3.7.2013, n. 213.

3 C. cost., 24.10.1995, n. 450.

4 Giuliani, L., Violenza sessuale di gruppo e discrezionalità del giudice de libertate: dalla Corte di Cassazione una quinta declaratoria di incostituzionalità della presunzione di adeguatezza della custodia cautelare, in Cass. pen., 2012, 924.

5 Cass. pen., S.U., 27.3.1992, n. 8.

6 Cass. pen., S.U., 31.3.2011, n. 27919.

7 Spagnolo, P., Inapplicabilità del nuovo regime cautelare alle misure in corso di esecuzione, in Cass. pen., 2011, 4165.

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