MITO e MITOLOGIA

Enciclopedia Italiana (1934)

MITO e MITOLOGIA

Goffredo COPPOLA
Guido CALOGERO
Konrad Theodor PREUSS

. Il mito come elemento dei fenomeni religiosi. - Per precisare la posizione del mito nel campo della religione, è necessario richiamarci ai tre elementi costitutivi della religione e cioè: 1. il numinoso (secondo R. Otto); 2. il culto; 3. il mito. Il numinoso è l'oggettivazione del divino come forza esistente fuori di noi e operante in modo più o meno personale, la quale può essere sentita nella coscienza in maniera molto indeterminata. Il culto non consiste soltanto nella preghiera e nel sacrificio: anche la cosiddetta magia (v.), non è altro che un agire sul numinoso: l'attività abitualmente concepita come operazione magica può essere designata come tale solo finché non sia da riconoscervi un intervento del numinoso. Ma in realtà la forma esteriore della magia è presente fino nelle religioni più alte, nelle quali si nota sempre uno sviluppo, per cui l'"operazione magica" viene nelle fasi più progredite compiuta per appagare la divinità e a richiesta di essa, finché in ultimo ne deriva un sacramento, cioè un'operazione magica eseguita per comandamento divino e dalla divinità, a richiesta e con la cooperazione dell'uomo. Così, mentre l'operazione magica rimane sempre la medesima, l'evoluzione si compie solo nei riguardi del numinoso, che da una forma non individuabile, o appena individuabile, assume una più determinata personalità. Il mito serve a dimostrare come abbiano avuto origine, in epoca primitiva, certe istituzioni attualmente esistenti, con che il mito dimostra anche l'esistenza del numinoso e serve a precisarlo. L'essenza del numinoso sta proprio in questo, che esso è, in certo qual modo, ciò che riceve le manifestazioni di desiderio (magia), nonché preghiere e offerte; queste ultime come riconoscimento d'un successo ottenuto (offerte di primizie). In questo stato di cose, il numinoso può ancora mancare di forma precisa. Ma quando un mito racconta, per esempio, che una divinità ha creato il mondo e che ha introdotto tra gli uomini queste o quelle costumanze, queste o quelle istituzioni, dando agli uomini stessi feste religiose e incantesimi, ecco che il nume è personale e palpabile. Tuttavia il presupposto necessario è che una simile rappresentazione di un creatore numinoso sia già esistita in connessione con varie operazioni magiche. Una prova che esso non sia già esistito in antecedenza noi non l'abbiamo. Anzi, tale presupposto è inverosimile, perché l'affacciarsi improvviso dell'idea che un dio abbia creato qualche cosa, senza nessun passaggio da un precedente stato latente, è inconcepibile.

Perciò la concezione di N. Söderblom, di un creatore soltanto mitico, che non potrebbe essere un dio appunto per il fatto d'essere mitico, è erronea, perché in contraddizione col concetto della continuità dello sviluppo, senza contare che azioni cultuali rivolte a siffatti creatori si riscontrano effettivamente nei gradi inferiori dei popoli "raccoglitori" (Sammelvölker). Anzi, noi possiamo e dobbiamo andare anche oltre, e considerare tutte quante le operazioni magiche che vediamo svolgersi senza essere ordinate da una divinità, o senza una divinità che ne sia lo scopo, come dipendenti da un'istituzione introdotta al tempo delle origini e perciò come dipendenti da un numinoso.

Miti demiurgici. - Quando adunque ci troviamo in presenza di miti come questo dei Botokudos, che "l'uso delle rotelle inserite nelle labbra è voluto dal Vecchio Maret, e tali rotelle non possono quindi essere da noi rimosse", vuol dire che quest'uso è già stato saldamente connesso con un dio supremo (Hochgott), la cui figura è anche altrimenti delineata dal mito. Apparentemente, il mito non offre che una spiegazione senza importanza d'un fatto attuale; ma in realtà esso è assai di più, e cioè una professione di fede in un potere più alto che, come nume più amorfo, è da far risalire a un'epoca molto più remota.

Un tale nume più indeterminato presentano, per esempio, gli Hupa della California, che sono, al pari dei Botokudos, un popolo raccoglitore. Essi narrano di una popolazione dotata di poteri divini ed esistita prima del genere umano, i Kuchunai, che si sarebbero generati da sé al pari della divinità suprema Yimantuwinyai. A loro sono attribuite le medicine che gli Hupa adoperano ancora oggi, per avere successo, nelle varie contingenze importanti della vita umana, come nell'esecuzione di danze magiche, nella pesca, nella caccia al cervo, in viaggi pericolosi in barca, nell'esecuzione d'ogni lavoro, nei casi di gestazione, in occasione di ferite, malattie e simili. Essi sono dei veri eroi salvatori (Heilbringer), tanto più che le invenzioni furono fatte sempre in considerazione e per uso degl'Indiani che dovevano venire al mondo. In questi esseri singoli, cui dà vita la formulazione del mito, si riscontra, in fondo, un'unità amorfa, qualche cosa di numinoso. Ora è significativo che la medicina viene concepita efficace solo quando sia esattamente narrato il mito dell'invenzione. Di qui si vede l'alto valore attribuito alla formulazione della concezione (per sé stessa amorfa) di un nume che presiede alle operazioni magiche. Qui dunque il mito diviene culto. Attraverso il mito diviene palpabile certezza ciò su cui prima gli uomini non potevano, a causa del carattere amorfo, intendersi affatto, ma che però era già presente all'uomo nell'esecuzione delle operazioni magiche. È anche significativo il fatto che talvolta è aggiunta una curiosa preghiera da cui risulta che anche un numinoso, la cui efficacia sta solo nel racconto della sua invenzione, può tuttavia essere particolarmente oggetto di preghiera. Così la donna, che vuole adoperare la medicina per una ben riuscita confezione di canestri di treccia vegetale, dopo avere raccontato il mito: "Ha, ha, ha, ha", dice: "Credo di avere sentito che la giovane Kichunai fece questo in Isdiname (la punta meridionale all'entrata della baia di Humboldt). Prestami la tua medicina: Sì - diceva - sono io che l'ho fatta". Qui senza dubbio non c'è altro che un'accreditamento del mito; non una personalità viva e operante come fine della credenza, bensì un nume indeterminato e amorfo.

La forza religiosa del mito si rivela in modo specialissimo nei casi in cui esso non è associato a nessuna operazione magica e anche i miti non contengono nessuna allusione diretta a ciò che si spera di realizzare raccontandoli. La popolazione dei Kai, nel retroterra della Baia di Finsch (Nuova Guinea), racconta i suoi miti solo al tempo che precede la seminagione, perché ritiene che il racconto dell'essere primordiale, al quale si fa risalire l'origine delle messi, influisca beneficamente sulla loro crescita. Finita la semina, e in specie quando le giovani piante cominciano a crescere, il raccontare miti ha termine. Alla fine di ogni racconto, il narratore ripete la caratteristica formula di chiusura: Gabuing Kwande, Kwande animaka Keli Waling, ukine faline, angasa, kwasasa. Le prime parole sono semplici nomi di Jam; il resto vuol dire: "germogli (per una nuova semina) e frutti (da mangiare) in grande abbondanza". Alcuni aggiungono anche jambona ("ciò deve certamente accadere"). Fatto è che i miti dei Kai non dicono nulla circa l'origine delle messi in rapporto con l'essere primordiale a eccezione di un solo mito il quale racconta l'origine delle varie specie di Jam dal corpo fatto a pezzi d'un serpente boa. Il riferimento indeterminato all'epoca primordiale, dove il nume amorfo, mediante il mito di esseri primordiali determinati è reso responsabile delle istituzioni attuali, è sufficiente ai fini dell'azione religiosa cultuale.

Questa specie di miti demiurgici, come si potrebbero chiamare, si trova tanto nello stadio della raccolta quanto in quello del mito naturalistico, nel quale si distinsero nel mito i destini dei corpi naturali visibili nell'atmosfera, nel cielo e in tutto l'universo. I primi sono quanto mai semplici: spesso, per es., nella creazione del mondo, non figura altro che il nudo fatto della creazione, mentre più tardi si aggiungono particolari corrispondenti a una più approfondita concezione del mondo. Così gli Uitoto concepiscono la creazione del mondo alla guisa del nascere della falce lunare apparentemente da un nulla - cioè la luna nuova - che però non è del tutto privo di esistenza: "la cosa splendente" (naino). Essi raccontano miti durante le molte notti della loro festa del giuoco della palla (uike), che è anche una festa dei frutti identificati con la palla di caucciù, mentre durante il giorno giuocano a palla. Il mito principale è questo: che nei frutti, come nella palla, viene ogni anno l'anima del "nostro padre", il dio creatore, che è nel medesimo tempo la Luna primordiale, e vive attualmente nel secondo dei mondi sotterranei. Anche l'origine dei frutti è, dunque, concepita al modo del formarsi della luna dalla luna nuova. Nella festa i visitatori arrivano gli uni dopo gli altri con frutti diversi, eseguiscono una danza, e ogni volta domandano al "signore della festa" da quale "cosa splendente" (naino) ha tratta la propria origine quel tale albero o quella tale pianta. Se l'interrogato non sa dare la spiegazione mitica appropriata, viene coperto d'ingiurie; in caso diverso tutti sono soddisfatti e contenti. Qui si tratta dunque di una domanda e risposta importanti dal punto di vista religioso, perché dall'esattezza della risposta mitica dipende la ricomparsa dei frutti nell'anno successivo.

Ogni mito demiurgico si può ricondurre al racconto della prima apparizione di quel bene umano che si vuole spiegare nella forma in cui esso attualmente si presenta. Quando, per es., l'uomo primitivo riesce a fare buona preda nella caccia, o quando gli si presenta, come presso i Kagaba, del terreno fertile accanto ad altro sterile, "bruciato", egli probabilmente concepisce l'una e l'altra cosa, cioè la selvaggina e il terreno buono, come dono di un numinoso; per lo meno la selvaggina è più spesso attribuita mediante offerte sacrificali a una divinità più o meno indeterminata. Ma soltanto se si ha eventualmente un mito di un demiurgo che va da un luogo all'altro e dà il nome alla selvaggina, la quale in tale guisa diviene in certo qual modo proprietà della tribù dimorante sul posto, oppure se si racconta come la terra fruttifera fu creata all'origine da un demiurgo, solo in questi casi abbiamo la prova dell'esistenza del numinoso latente, poiché ciascun racconto di questo genere non può essere causale ed è un atto di fede.

Mito naturalistico. - Un tipo di mito del tutto diverso ci è offerto dal mito naturalistico. Questo si riferisce sia ad animali, sia a tutte le cose possibili della natura, come vegetali, ecc., fino ai corpi celesti. Sebbene il mito demiurgico invada in gran parte l'epoca del mito naturalistico, quest'ultimo è tuttavia da considerare come posteriore, e, precisamente, esso non si trova di solito presso i popoli raccoglitori, ma soltanto presso i cacciatori più avanzati (totemisti) e agricoltori che volgevano la loro attenzione ai corpi celesti e ai complessi cosmici, trovandosi da ciò condotti a personificare anche gli animali, le piante, le montagne, le caverne, ecc., insieme con la luce e le tenebre, gli astri, le nuvole e così via, animando tutto ciò che esiste nel mondo, dal cielo al sottoterra. Le innumerevoli relazioni che in questo modo vengono a sussistere tra le cose dell'universo, hanno trovato forma concreta in molte figure e vicende.

Ma anche in questi casi non si tratta semplicemente d'un atto conoscitivo, bensì della legittimazione dello stato attuale per mezzo d'un evento verificatosi in epoca primordiale. Così i già ricordati Uitoto raccontano circa la metà dei loro miti nelle settimane di preparazione alla loro festa degli antropofagi (bai), perché tutti questi miti narrano del divoramento della luna e delle stelle da parte dell'essere solare e in genere degli abitanti del cielo fra loro, con che probabilmente gli Uitoto giustificano la loro antropofagia, e soprattutto si garantiscono per l'avvenire la vittoria sopra i nemici. Il racconto di questi miti non è dunque da considerare come magia, ma come duratura origine numinosa dell'antropofagia, sebbene non vi figuri come divinità suprema il sole, ma la luna primordiale. Appunto la luna, come causa prima di tutti gli eventi del mondo, è responsabile delle istituzioni vigenti nel cielo e di quelle corrispondenti tra gli uomini.

Ma il significato del mito naturalistico si può meglio cogliere nel confronto tra il mito stesso e il culto rispettivo. Come abbiamo visto, non è assolutamente necessario che ci sia una cerimonia, perché al suo posto può subentrare il semplice racconto. Ma dove interviene un'azione cultuale che rappresenti il contenuto del mito, cioè un' "azione magica", essa è molto semplificata e riproduce solo i momenti principali. Ne dà esempio un mito solare messicano: Couatlicue diviene incinta per opera d'una palla piumata che le cade addosso e che essa si mette tra le vesti. I figli di lei, cioè Coyolxauh e i suoi fratelli, i quattrocento Uitznaua, si sdegnano di questa vergogna della madre loro e vogliono ucciderla; ma il nascituro dal suo grembo la consola e conforta, e nel momento in cui gli aggressori stanno per afferrarla, nasce, e subito taglia la testa alla sorella Coyolxauh e disperde da tutte le parti i fratelli ostili. Questo mito del levare del sole si riferisce all'epoca successiva al solstizio d'inverno, quando il sole si trova a sud e perciò è minacciato dai quattrocento Uitznaua, che sono le innumerevoli stelle del cielo meridionale. Invece nel culto i motivi personali mancano completamente: nella festa di Panquetzaliztli che ha luogo in novembre ed è dedicata al figlio del sole, Uitzilopochtli, viene eseguita la rappresentazione di una lotta cruenta fra un partito che porta il costume del dio del sole e il partito degli Uitznaua; in questa lotta il partito del sole, conformemente allo svolgersi dei fatti naturali nella realtà, dapprima sta per essere sopraffatto, ma finalmente esce dalla lotta vincitore. Questa "magia analogica" per la riapparizione del sole è poi convalidata dal mito con i suoi motivi umani di carattere favoloso, con cui s'inaugura il fatto cosmico permanente. Ma il fatto implica il numinoso come base unitaria dell'ordine dell'universo.

Se dopo la formulazione del mito, né il mito stesso viene usato a scopo di culto, né c'è l'azione cultuale che su esso si appoggi, il mito è da intendere come favola; vale a dire che, non riferendosi esso in ultima analisi al benessere umano, non è religioso e perciò anche si stacca dalla fede.

Simili favole possono essere concepite fino dal principio a scopo conoscitivo, oppure possono essere derivate da miti per via di scandimento. Altre invece subiscono un'ulteriore elaborazione puramente poetica e non religiosa, come avviene, per esempio, nel caso della mitologia greca.

Ogni mito è sempre pensato come primo accadimento del relativo fenomeno naturale, e quindi come l'inaugurazione di esso. Ciò risulta con particolare evidenza quando la corrispondente azione cultuale è eseguita appunto come primo accadimento e, per mezzo del mito cantato che l'accompagna, è presentata come qualcosa di assolutamente nuovo e originario in sé stesso. Tra gl'Indiani Cora, sulle montagne del Messico presso la costa del Pacifico, nelle feste delle nuove pannocchie e dell'arrostitura del granoturco, il dio di questo, Santari, in forma d'una pannocchia, è preso dall'altare per opera d'una donna che rappresenta la dea della Terra e della Luna, cioè la madre del dio. Essa lo mostra agli dei di tutte le direzioni, e spiega loro (secondo il canto che accompagna tutte le scene) il destino che aspetta il dio del granoturco. Da ultimo, questi è consegnato alla dea Kuxkamoa che attende presso il fuoco. "Ecco che ora essa uccide il figlio di nostra madre... Nostra madre piange sul figlio suo perché lo hanno ucciso. Ella è triste...". Ma nel canto successivo si racconta che Santari è morto, ma è andato in cielo. "Già lo sa la madre nostra nel cielo (la dea della Terra e della Luna). Ed ecco che sua madre gli parla: È proprio vero che non sei morto. Non sono morto. Io so (disporre), io li ingannerò (gli uomini). I miei giovani fratelli (gli uomini) appaiono una sola volta. Non muoiono essi effettivamente per sempre? Io invece non muoio mai e durevolmente apparirò (sulla terra)". Così il canto mostra che gli stessi dei partecipanti alla festa non sanno nulla del destino che li attende; mostra che la scena la quale si ripete ogni anno è rappresentata ogni volta come se fosse la prima, e che questo mito naturalistico, come ogni altro, accenna a un nume dapprima informe che ha preordinato le cose.

L'irreale nel mito. - Mentre il mito naturalistico serve sempre unicamente ad accreditare i fenomeni che attualmente si ripetono, il mito demiurgico ha molte volte per oggetto anche istituzioni irreali e puramente fantastiche, esistite o progettate nell'epoca primordiale, prima che fosse introdotto lo stato di cose attuale. Tale è, per es., l'idea che il cielo si trovasse dapprima vicinissimo alla terra; o che gli uomini fossero originariamente formati in modo assai più imperfetto, per es., senza ano, o con membra incomplete; che le donne non avessero mestruazioni; che gli uomini si nutrissero di pietre e di legno e non conoscessero il fuoco, da essi ottenuto per la prima volta con un'azione più o meno violenta; che non vi fosse la morte e che non l'atto sessuale desse luogo alla procreazione, ma che gli uomini venissero al mondo in altri modi e già adulti; che l'umanità fosse vissuta per lungo tempo nell'oscurità, non esistendo il sole; che un'inondazione o un incendio avesse distrutto la Terra e tutti gli uomini, ecc.

A queste concezioni della fantasia mitica, le quali in massima parte si possono rintracciare già nella fase culturale dei popoli raccoglitori, è da attribuire per lo più un significato religioso. In parte esse servono appunto a presentare ancora meglio lo stato di cose attuale come irrevocabile, dando luogo a un sentimento di sicurezza o anche di rassegnazione a quanto è ormai decretato. Ciò si applica, per es., all'impenfezione iniziale del corpo umano, all'alimentazione a base di pietra e legna - sostituita poi da quella a base di frutta e radici -, all'esistenza di un'epoca senza fuoco o senza sole. Il rapimento del fuoco (assai più frequente che non la scoperta del modo di prepararlo) e anche l'elargizione di un'alimentazione migliore da parte dell'eroe incivilitore, "demiurgo", confermano l'idea che il numinoso è in azione. Anche il diluvio o la conflagrazione rientrano in questo ordine d'idee, in quanto propriamente si dovrebbe dire: in origine gli uomini vivevano nell'acqua o nel fuoco. Ma questo era anche, per i primitivi, inconcepibile; e perciò queste catastrofi poterono trovare posto soltanto dopo che la Terra e gli uomini furono creati. Ma queste due distruzioni per opera degli elementi si trovano per lo più riportate a poco dopo la creazione della Terra.

L'abbondanza effettiva o presunta (sia in cielo, sia sotto terra) dell'acqua e del fuoco e la potenza distruggitrice di questi due elementi, fuori dei quali non c'è altro mezzo atto a distruggere tutta quanta l'umanità, li fanno entrare in azione, talora senza motivo, ma per lo più come strumenti di divinità punitrici e di esseri soprannaturali in seguito alla violazione di un tabu o ad altra trasgressione che abbia dato luogo al castigo. In questo caso subentra talvolta il timore che il diluvio e l'incendio si possano ripetere, ciò che dà luogo a riti di scongiuro.

Quanto all'assenza della morte, essa va spiegata col fatto che la morte per sé stessa è considerata dagli uomini come qualche cosa d'innaturale; onde viene spesso attribuita alla divinità l'intenzione opposta, dalla quale a sua volta si fa dipendere, come effetto, un'altra creazione di nuovi uomini. Con queste due cose si trovano congiunti già presso i popoli raccoglitori accenni a una comoda vita paradisiaca, che si trovano poi ampiamente sviluppati in seguito. L'idea che la scoperta della funzione sessuale, precedentemente ignorata, abbia avuto per conseguenza la morte (si confronti l'albero della scienza e l'albero della vita nell'Eden biblico), corrisponde alla realtà biologica in quanto la procreazione e la morte dànno un senso alla vita. Questa idea ha fatto sì che in molteplici casi l'atto sessuale sia sentito come momento critico e ha dato luogo, per es., nelle iniziazioni dei giovani, a molti riti che hanno lo scopo di allontanare la morte e di regolare la procreazione secondo forme prescritte.

Ciò può essere chiarito con un esempio. Il primo antenato degli Ona o Selknam, nella grande isola della Terra del Fuoco, era Kenós. Egli fu il demiurgo del suo popolo ed eseguì in tutto i comandamenti della divinità suprema, Temankel. Da principio gli uomini non morivano. Divenuti vecchi e senza forza, si stendevano entro la terra e vi rimanevano pochi giorni come morti, finché cominciavano di nuovo a muoversi e si rialzavano ringiovaniti. Però, per seguitare a vivere, gli uomini dovevano essere lavati da Kenós per non avere più addosso il cattivo odore (l'odore di cadavere). Il lavaggio avveniva come quello praticato su gl'iniziandi prima d'introdurli nella capanna Klóketen (la capanna dove aveva luogo l'iniziazione). Nell'epoca delle origini gli antenati furono creati in questo modo: Kenós foggiò con terra melmosa un organo genitale maschile e uno femminile, i quali durante la notte si unirono. L'uomo che ne nacque fu subito adulto. Ma in seguito, tanto il ringiovanimento quanto la procreazione extraumana cessarono del tutto. Ma nell'iniziazione dei giovani è rimasto il lavacro, come mezzo salutare contro la morte.

Si può dunque ammettere che la fantasia mitica abbia avuto gran parte nell'inventare condizioni esistite in epoche anteriori, senza che sia necessario ammettere sempre, alla base di un mito, sia qualche accadimento effettivamente prodottosi (come diluvî, incendî, ecc.), sia qualche reale convinzione dei popoli primitivi, come quello, per es., che gli uomini non conoscessero l'interdipendenza tra accoppiamento e procreazione. È vero che alcuni pochi ricercatori hanno voluto talvolta scoprire tali concezioni in fasi culturali più avanzate (per es., B. Malinowski presso gl'isolani della Trobriand). Ma simili concezioni possono essersi semplicemente sovrapposte alla concezione più arcaica - constatabile presso i popoli raccoglitori - quando, in seguito al diffondersi del mito naturalistico e dell'animismo presso i popoli agricoltori e i totemisti, la provenienza dei bambini divenne oggetto principale del pensiero religioso.

Per le figure mitologiche dei diversi popoli, si vedano le singole voci (p. es.: germanici, popoli: Mitologia e religione; grecia: Religione; roma: Religione; ecc.) nonché le voci dedicate alle singole divinità e ai singoli miti.

Bibl.: P. E. Goddard, The Hupa, Berkeley, Cal. 1903-04 (Univ. of California. Pubblications in American Archaeology and Ethnology, I); M. Gusinde, Die Selknam, Mödling presso Vienna 1931; B. Malinowski, The Sexual Life of Savages in Northwestern Melanesia, Londra 1929; R. Neuhauss, Deutsch Neu-Guinea, III, Berlino 1911; R. Pettazzoni, Dio: formazione e sviluppo del monoteismo nella storia delle religioni, I, Roma 1922; K. Th. Preuss, Die Religion der Cora-Indianer, Lipsia 1912; id., Religion und Mythologie der Uitoto, voll. 2, Gottinga 1921-23; id., Forschungsreise zu den Kagaba, Mödling presso Vienna 1926; id., Tod und Unsterblichkeit im Glauben der Naturvölker, Tubinga 1930; id., Der religiöse Gehalt der Mythen, ivi 1933; N. Söderblom, Das Werden des Gottesglaubens, Lipsia 1916.

Filosofia. - Di un concetto specificamente filosofico del "mito" si può parlare prescindendo dal problema (che è pure anch'esso in certa misura filosofico) dell'interpretazione dei miti storicamente sussistenti, quale si è venuta attuando nell'evoluzione della scienza storico-religiosa. Non si tratta infatti, in questa sede, delle indagini circa la genesi e il significato, o logico o religioso o storico, dei miti tramandati dalla tradizione, ma bensì delle teorizzazioni filosofiche concernenti la stessa attività spirituale del "mitizzare", o comporre miti. In questo senso, già per il primo (e massimo) pensatore che si ponga il problema del rapporto tra la facoltà mitopoietica dello spirito e quella propriamente generatrice di verità e di conoscenza, e cioè per Platone, il mythos (il racconto fantastico) sta al logos (la dimostrazione ben fondata della verità) come l'opinione alla scienza, come l'incertezza del sensibile alla certezza del razionale. Tuttavia Platone stesso pensa che in certi casi, non potendo il logos attingere tutta la verità, questa possa essere manifestata attraverso il mythos: e solo in forma di tali miti, com'è noto, Platone manifesta p. es. le sue credenze circa il destino oltremondano dell'anima. Spesso essi si presentano con l'autorità di antiche tradizioni, o di racconti miracolosi, e quindi aspirano all'assenso per ragioni non dipendenti dalla loro forma mitica: ma in altri casi (p. es. nel Fedro) essi valgono soltanto per sé, come grandiose rappresentazioni intuitive e visive di ciò che in realtà trascende il potere dell'occhio mortale. Di qui il valore simbolico del mito, che si connette col suo valore estetico (già Platone osserva come il poeta non componga loghi, ma miti), spiegando come l'attenzione per l'attività mitopoietica dello spirito debba essere venuta meno in età più esclusivamente preoccupate dei problemi metafisici e meno sensibili ai fenomeni artistici. Nella filosofia recente si è tornato a parlare di "mito", o considerandolo come forma d'intuizione estetica sentita come vera e reale, e perciò agente in senso politico o religioso sulle convinzioni pratiche degli uomini (Croce), o riconnettendolo, come attività simbolica, alle altre forme simboliche dell'espressione (Cassirer).