Moda etica

Lessico del XXI Secolo (2013)

moda etica


mòda ètica locuz. sost. f. – Settore del sistema moda che si propone di dare impulso allo sviluppo sociale e alla sostenibilità ambientale, nel rispetto dei diritti e delle condizioni di lavoro della manodopera impiegata. Se quest’ultima è delocalizzata nei paesi del terzo mondo, l’obiettivo è generalmente quello di promuovere lo sviluppo di comunità locali con investimenti a medio e lungo termine, come nel caso del marchio francese Antik Batik, disegnato dall’italiana Gabriella Cortese, o di Royah, progetto fondato nel 2005 dall’italiana Gabriella Ghidoni con il proposito di dare autonomia lavorativa alle donne afghane. Il nuovo atteggiamento responsabile di fronte al consumo di moda si articola secondo tre parametri (sociale, biologico e di recupero), che in molti casi si sovrappongono, come per il marchio Dosa, fondato dalla sudcoreana-statunitense Christina Kim, che lavora in stretta collaborazione con gruppi di artigiani in America Latina, India ed Estremo Oriente riciclando gli scampoli di tessuto naturale in un’ottica ecosostenibile. La m. e. infatti tende a utilizzare materiali riciclati o con un basso impatto ambientale per la realizzazione di prodotti slow fashion ovvero durevoli, che valorizzino manualità e creatività tradizionali. Così opera il progetto Ethical fashion, che vede impegnate Alta Roma e International trade center (ITC, agenzia delle Nazioni Unite e dell'Organizzazione mondiale del commercio) nella realizzazione di una moda responsabile, capace di dare un futuro alle popolazioni dell’Africa subsahariana. Collabora con ITC anche il marchio Carmina Campus, creato nel 2006 da Ilaria Venturini Fendi, che realizza borse e accessori in pezzi unici con materiali di riuso, così come le stiliste inglesi Vivienne Westwood con il suo Ethical fashion Africa programme e Stella McCartney, che propone scarpe con tacco e plateau biodegradabili. Con sempre più fashion weeks dedicate – a partire dalla prima, organizzata a Portland nel 2003, per passare all’Ethical fashion show di Parigi, l’Estethica di Londra, la Vancouver eco fashion week, la milanese So critical so fashion o i Green shows di New York –, la m. e. rientra in un settore, quello dei consumi critici, che sta crescendo a ritmi vertiginosi. Tanto da determinare anche l’istituzione di specifici percorsi formativi per gli studenti di moda: se la newyorkese Parsons the new school for design combatte gli sprechi con il primo corso di zero-waste fashion, il London College of fashion ha istituito nel 2007 un vero e proprio centro per la moda sostenibile, mentre al Chelsea College of arts esiste un progetto dedicato allo studio e alla valorizzazione dei tessuti ecologici. Tra i pionieri europei della m. e. il marchio olandese Kuyichi, fondato nel 2001, realizza streetwear e denim di soia, bottiglie in plastica, cotone organico, lino, canapa e bambù, mentre l’azienda svizzera Freitag ricicla teloni dismessi dei camion, copertoni delle biciclette e cinture di sicurezza delle automobili per produrre borse e accessori. Negli Stati Uniti il leader mondiale della responsabilità sociale è American apparel, azienda che oltre a opporsi allo sfruttamento della manodopera nei paesi del terzo mondo, ha messo a punto anche un sistema di recupero del tessuto in eccesso. Anche i colossi internazionali del fast fashion hanno lanciato le loro linee biologiche come la Conscious collection di H&M e l’Eco warning di Zara. In Italia alcuni esempi di m. e. sono i jeans in cotone no OGM di LifeGate, il portale ecosostenibile Yooxygen della piattaforma e-commerce Yoox, l’accordo siglato da Filature Miroglio per produrre la propria gamma di filati Ingeo, rivoluzionario polimero biodegradabile proveniente dal mais, e la linea d’abbigliamento in cotone organico firmata da Katharine Hamnett in esclusiva per Coop. Nel campo dello sviluppo sociale si possono annoverare la collezione disegnata da Marina Spadafora per Altromercato e il brand Cangiari («cambiare» in calabrese), interamente realizzato in Calabria da cooperative di ex detenuti, persone con handicap o migranti utilizzando materiali pregiati e biologici secondo lo standard GOTS (Global organic textile standard).