moda Fenomeno sociale che consiste nell’affermarsi, in un determinato momento storico e in una data area geografica e culturale, di modelli estetici e comportamentali (nel gusto, nello stile, nelle forme espressive), e nel loro diffondersi via via che a essi si conformano gruppi più o meno vasti, per i quali tali modelli costituiscono al tempo stesso elemento di coesione interna e di riconoscibilità rispetto ad altri gruppi. In questo senso la m. rientra nei meccanismi di acculturazione che garantiscono la persistenza nel tempo di usi e vigenze collettive e si differenzia dalla semplice tendenza a ripetere occasionalmente alcuni moduli di comportamento sociale. Come espressione del gusto predominante (tipico/">tipico di una determinata società) la m. interessa ambienti intellettuali, ideologici, movimenti artistici e letterari, o, più genericamente, abitudini, comportamenti, preferenze.
Senza particolari specificazioni, il termine fa in genere riferimento all’ambito dell’abbigliamento (ma anche delle acconciature, degli ornamenti personali, del trucco ecc.), nel quale il fenomeno è caratterizzato, soprattutto in tempi recenti, dal rapido succedersi di fogge, forme, materiali, in omaggio a modelli estetici che in genere si affermano come elementi di novità e originalità.
Dalla metà del 19° sec., grazie a telai meccanici e macchine per cucire,
Agli inizi del 20° sec., abiti a vita alta o a sirena, con una linea che impaccia il passo, inserti di merletto e bordure di pelliccia, sono creati dalle sorelle Callot, M. Chéruit, J. Doucet, J. Paquin. Ma già intorno al 1910 la donna rompe con il passato, preferendo una m. funzionale e dalle fogge più morbide: l’abito delphos di M. Fortuny, mosso da un peculiare uso del plissé, ricorda la semplicità del chitone; P. Poiret con linee rievocative e orientaleggianti, semplici e dritte, elimina il busto e scandalizza scoprendo la caviglia o facendo indossare i pantaloni alle donne. Artisti come G. Klimt, S. Delaunay, R. Dufy, futuristi e costruttivisti, creano tessuti o abiti per le maisons; disegnatori quali G. Barbier, G. Lepape, P. Iribe, Erté immortalano le creazioni dei couturiers parigini in raffinate pubblicazioni.
Negli anni 1920,C. Chanel impone una figura affatto diversa: essenziale e mascolina, con gonne sopra il ginocchio e capelli corti alla garçonne. Ogni maison ha il suo stile: M. Vionnet esalta i tessuti con sbiechi e drappeggi, J.
Negli anni 1940, comunque, sotto eccentrici cappellini, la linea è austera, le spalle più squadrate, la gonna spesso sfiora il ginocchio. Dal 1945 la m. francese conosce nuovi trionfi: con il théâtre de la mode, mostra itinerante di piccoli manichini accuratamente vestiti e accessoriati dai couturiers; e poi con il new look di C. Dior: la silhouette con vita sottile e gonna ampia, busto aderente e spalle arrotondate (raffinatezze ottocentesche già preconizzate dall’outsider americano
L’alta m. italiana, tenuta a battesimo da G.B. Giorgini, si svincola da quella francese, anche se a volte con forzata opulenza decorativa. Tra i primi protagonisti: le
Ma il sistema dell’haute couture, nonostante una nouvelle vague con la m. spaziale di A. Courrèges, le hippy di lusso di E. Ungaro e con
La contestazione giovanile orienta fortemente verso una m. più pratica e finto povera: dall’America si importanojeans, abiti usati e, sia pur brevemente, quelli di carta; R. Gernreich con il topless lancia il nude-look; con M. Quant o J. Delahye a
Gli anni 1970 lanciano la m. folk, con gli ingenui tessuti liberty di L. Ashley e
Anche a Parigi, negli stessi decenni, il prêt-à-porter prende corpo: C. Montana veste di cuoio una donna ‘spaziale’, J.C. De Castelbajac dipinge a mano abiti essenziali e grandi come tele, nostalgiche divine e dive da fumetto sono disegnate da A. Alaïa, T. Mugler e poi da H. Léger. J.P. Gaultier sovverte il folk mescolando etnie di un mondo globalizzato, mentre celebrano metropolitane eleganze N. Cerruti e A. Tarlazzi, fanno ricerche concettuali su abiti informali o sport A.M.
Per fronteggiare il prêt-à-porter, dominante per quote-mercato specie nella fascia di lusso, molte maisons di haute couture si rinnovano: fra le prime Chanel (con K. Lagerfeld) e Dior (con
Nell’ultimo scorcio del Novecento, per soddisfare da un lato il crescente bisogno di margine di libertà e di autonomia in contrapposizione alla globalizzazione e dall’altro i desideri di stabilità e tradizione, si diffonde quel fenomeno culturale noto come vintage, termine inglese derivato dal linguaggio enologico che significa ‘annata’, ‘produzione’ e, per estensione, passato nella moda a indicare l’usato ‘d’autore’. Alle soglie del Duemila, sull’onda del grande successo del vintage, molti stilisti propongono capi d’annata o riedizioni di classici.
Nella moltitudine di tendenze l’omogeneità della m. è progressivamente sostituita da una quantità di stili diversi. La m. ormai non si impone più rigidamente, ma diventa ‘facoltativa’. Questa molteplicità di ‘mode’ lascia più spazio alla personalità e la possibilità per ognuno di identificarsi con questa o quella griffe. L’abito, lungi dall’essere un’entità dotata di vita propria e di dare forma a chi lo indossa, viene scelto e chi lo indossa gli attribuisce un senso in base al suo stato d’animo. Il successo di un marchio di m. è legato essenzialmente alla sua presenza in una pluralità di campi; l’estetica della maggior parte delle griffe (da Armani a