POZZO, Modesta

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 85 (2016)

POZZO, Modesta

Adriana Chemello

POZZO, Modesta. – Nacque a Venezia il 15 giugno 1555, secondogenita di Ieronimo, avvocato, e di Marietta Moro.

eronimo da Pozzo era «di onorata famiglia de’ cittadini di questa città», aveva studiato a Bologna e, nell’anno di nascita della figlia, «essercitava in Palazzo nelle cause civili» (Doglioni, 1593); era dotato di cospicue rendite e, dopo il matrimonio, risiedette nel sestiere di S. Marco, nella parrocchia di S. Samuele.

Modesta Pozzo e il fratello Lunardo (o Leonardo) rimasero orfani in tenera età e vennero allevati in casa della nonna materna, Cecilia de’ Mazzi, che sposò in seconde nozze Prospero Saraceni. La fanciulla venne presto collocata presso il monastero di S. Marta, dove ricevette una prima educazione e dove rivelò subito un’intelligenza vivace e una buona predisposizione per le lettere. Nel 1566 venne accolta, insieme con il fratello, nella contrada del «Santo Apostolo» in casa di «messer Prospero Saracini», come risulta dalla dichiarazione patrimoniale comprensiva di quindici case oltre a un possedimento in terraferma, a Borgoricco (Archivio di Stato di Venezia, Dieci savi alle decime in Rialto, b. 132, n. 209). Nel 1582 nel dare conto della consistenza del suo patrimonio, Modesta Pozzo dichiarò di abitare in S. Zulian «in casa con messer Zuan Nicolò Dogion nodaro di Venezia mio barba al quale pago per le spese all’anno ducati quaranta» (b. 157 bis, n. 751). Nello stesso anno sposò Filippo Zorzi, «avocato fiscale alle acque», figlio di Pietro e di Leandra Franco, dal quale ebbe quattro figli (due maschi, Pietro e Girolamo, e due femmine, Cecilia e l’ultima nata, che sopravvisse di poco alla morte della madre).

Determinanti per la sua formazione letteraria furono gli anni trascorsi in casa di Nicolò Doglioni (1548-1618), che nel 1576 aveva sposato Saracena, la figlia di Prospero Saraceni. Bellunese di origine, ma veneziano di nascita, Doglioni studiò a Padova e si dedicò alla compilazione di numerosi trattati di carattere storico-erudito e di filosofia naturale, come l’operetta L’Anno (1587). Era bene introdotto nei circoli letterari della città e poteva contare su una discreta rete di relazioni con le tipografie veneziane del tempo. La cultura letteraria di Modesta Pozzo, formatasi sotto la guida vigile e accorta di Doglioni, si ricostruisce dalla lettura delle sue opere: studiò il latino pur senza acquisire una padronanza sicura della lingua; ebbe dimestichezza con la tradizione lirica da Petrarca ai petrarchisti e da queste frequentazioni imparò a comporre sonetti, canzoni e madrigali. Oltre al Canzoniere, lesse con

attenzione i Trionfi, come documentano numerose citazioni disseminate nelle sue opere. Avendo libero accesso alla biblioteca di Doglioni, poté leggere i poemi epico-cavallereschi, in particolare l’Orlando furioso, che diventò il modello strutturale del suo poema Il Floridoro.

A metà Cinquecento tante donne, nobili o «cittadine onorate», appresero l’arte di comporre versi ed ebbero tra le mani un ‘petrarchino’, ma non tutte arrivarono come Gaspara Stampa e Veronica Franco a pubblicarli. Coetanea della più rinomata Veronica, di cui i torchi veneziani stamparono nel 1575 le Terze rime e nel 1580 il volumetto delle Lettere familiari a diversi, donato a Michel de Montaigne in visita a Venezia, Modesta Pozzo, quando affidò la sua prima opera alla tipografia, scelse di celarsi sotto lo pseudonimo di Moderata Fonte.

In una lettera che accompagnava l’omaggio al granduca di Toscana, Francesco de’ Medici, del suo poema Tredici canti del Floridoro, Modesta Pozzo espose il motivo per cui aveva scelto lo pseudonimo: non aver «giudicato esser bene di esponer alla publica censura» il suo nome «essendo giovane da marito, et secondo l’uso della città obligata a molti rispetti». Le convenzioni sociali del tempo erano restie a concedere a una donna ‘honesta’ una pubblica visibilità, fosse pure protetta dalla musa della poesia, e percepivano non conveniente per una «dongella non maritata» imprimere il proprio nome nel frontespizio di un libro a stampa.

Uscendo dal silenzio di un’esistenza appartata, trascorsa «stando rinchiusa infra l’anguste mure», come la descrisse Doglioni in un sonetto encomiastico premesso alla sua prima opera a stampa, Pozzo esordì sulla scena letteraria precocemente, grazie alla malleveria dello zio e tutore, con i Tredici canti del Floridoro, stampato a Venezia nel 1581 (tip. Er. F. Rampazetto). Al centro della narrazione stanno le vicende di Floridoro e Risamante, che richiamano le imprese cavalleresche e sentimentali del modello ariostesco. La critica più recente vi ha individuato echi dell’Amadigi di Bernardo Tasso e del Sacripante di Lodovico Dolce (Finucci, in Tredici canti del Floridoro, 1995, p. XVIII).

Sul finire del 1581 Pozzo diede alle stampe (Venezia, D. e G.B. Guerra) il poemetto Le feste, rappresentato in occasione della festa di S. Stefano davanti al doge Nicolò da Ponte e a lui dedicato.

L’opera si apre con la riflessione dell’anno ormai trascorso che prende congedo per lasciare spazio al nuovo e alle sue feste. Contiene una disputa tra un epicureo e uno stoico che espongono le loro rispettive ragioni intorno a «i diletti e’ piaceri» prodotti dalle feste e dal gioco, l’uno esalta la felicità e i piaceri della vita, l’altro la bellezza della virtù, capace di infondere alti pensieri. Dirime la disputa la Sibilla, che proclama la necessità del giusto mezzo e la legittimità del piacere onesto, ed elogia il principe saggio.

L’anno successivo, mantenendo lo pseudonimo, pubblicò il poemetto La Passione di Christo descritta in ottava rima [...] con una canzone nell’istesso soggetto (Venezia, D. e G.B. Guerra, 1582). Dopo un lungo periodo di silenzio in coincidenza con il matrimonio e la nascita dei figli, Moderata tornò a pubblicare nel 1592 un altro poemetto di argomento religioso: La resurrettione di Giesù Christo Nostro Signore che segue alla Santissima Passione descritta in ottava rima (Venezia, G.D. Imberti).

Oltre a svolgere una funzione tutoriale nei confronti di Modesta Pozzo, Doglioni si impegnò a introdurre la sua allieva nei circoli letterari veneziani, pur occultandone scrupolosamente l’identità sotto lo pseudonimo.

In uno dei tanti rifacimenti del dialogo di Francesco Sansovino, Venezia città nobilissima et singolare (1562), uscito a Venezia nel 1587 per le cure di Girolamo de’ Bardi, accanto al catalogo dei letterati più famosi, «parlando de’ vivi», viene menzionata una «dongella», «famosa hoggidì, et ammirabile»: «dottissima nelle scienze, per quanto si può conoscer (poi che a dir il vero, alcun non può dire di haverla presentialmente veduta) ma nella Poesia, di che particolarmente prende ella diletto, è riuscita tale che si lascia adietro i più illustri, et eccellenti Poeti: come si può scoprire dal suo poema stampato del Floridoro, dalla passion di Christo, et da tante altre degne opere sue, che tutto dì si volgono per le mani de più eccellenti letterati» (p. 201).

Nominando l’eccezionale «dongella», Bardi la fece esistere come letterata, tramandando il suo nome alla memoria storica. Una menzione dietro cui campeggia la figura del suggeritore, Doglioni, che, a distanza di qualche anno, curando un ulteriore rifacimento del dialogo di Sansovino (Venezia 1603), svelò anche la vera identità della letterata, di cui aveva steso la prima biografia a un anno dalla morte (Doglioni, 1593).

Negli ultimi anni della sua vita, Modesta Pozzo compose l’opera cui consegnò la sua fama letteraria, il dialogo Il merito delle donne, ove chiaramente si scuopre quanto siano elle degne e più perfette de gli uomini, che ritrae una conversazione tra sette donne, secondo le modalità del dialogo diegetico di primo Cinquecento. L’opera venne composta tra il 1588 e il 1592, come documentano alcuni riferimenti testuali a eventi o persone situabili in quell’arco temporale, e fu pubblicato postumo a Venezia nel 1600 (tip. D. Imberti) a cura della figlia Cecilia de’ Zorzi, con dedica a «la Sig. Donna Livia Feltria Della Rovere Duchessa d’Urbino».

Il dialogo è diviso in due giornate e trascrive una «domestica conversazione» tra una «nobilissima compagnia» di sette donne (Adriana, Virginia, Leonora, Lucrezia, Cornelia, Corinna, Elena) a rappresentare i diversi stati femminili (vergine, maritata, vedova), che «senza aver rispetto di uomini che le notassero o l’impedissero, tra esse ragionavano di quelle cose che più loro a gusto venivano» (Il merito delle donne, a cura di A. Chemello, 1988, p. 14). È ambientato in un «vaghissimo e delizioso» giardino veneziano, decorato da una serie di statue che ornano una fontana, che simbolicamente alludono alla condizione femminile. L’assenza degli uomini sottolinea la distanza delle donne dalla scena pubblica, dalla polis e dalla storia, consentendo loro una libertà di parola altrimenti impensabile. Al discorso figurato delle «imprese» che ornano le statue della fontana e alle virtù femminili che esse illustrano si affianca il livello tematico-referenziale, affidato ai discorsi delle sette locutrici che, nella cornice del gioco regolato da una regina, alternano le forme della laudatio mulierum e della vituperatio virorum, ripartendosi i ruoli di «accusa» e di «difesa».

Nella seconda giornata la disputatio cede a una conversazione che intreccia temi e motivi diversi. Al dialogo si alternano differenti moduli narrativi che allentano la tensione retorica del ragionamento: dalla favola all’aneddoto, dalla facezia all’orazione, dagli elogia al poemetto in ottava rima. La conversazione si espande a parlare di terremoti, pianeti, fenomeni atmosferici, animali, uccelli, pesci, mari e fiumi, piante, erbe e fiori. Moderata Fonte dimostra di aver letto qualche compendio di filosofia naturale, in particolare L’anno dove si ha perfetto et pieno raguaglio di quanto può ciascuno desiderare sì d’intorno alle cose del mondo celeste et elementare, come d’intorno a quelle de’ tempi et del calendario (Venezia 1587), e discute intorno alle proprietà terapeutiche delle piante, delle erbe, dei fiori, delle pietre. La seconda giornata del dialogo, illustrando analogie o opposizioni, somiglianze o discordanze, assume la consistenza di una piccola enciclopedia d’uso domestico, dove il criterio della farmacopea pliniana, volgarizzato nella formula «ogni cosa ama il suo simile», si estende alla coppia maschio/femmina, nel tentativo di persuadere gli uomini, con la forza della parola, a riconoscere il ‘merito delle donne’.

Secondo Doglioni (1593), Modesta Pozzo morì di parto dando alla luce la quarta figlia, il 2 novembre 1592, il giorno dopo aver completato la stesura del dialogo (la data della morte, avvenuta a Venezia, è attestata in Archivio di Stato di Venezia, Provveditori alla Sanità, Necrologio, reg. 824, c. 129, anno 1592, dove si legge: «Addì 2 novembre la Mag.ca M.na Modesta di anni 36 consorte del eccell.mo Filippo de Zorzi, S. Basso»).

Opere. Edizioni moderne: Il merito delle donne, ove chiaramente si scuopre quanto siano elle degne e più perfette de gli uomini, a cura di A. Chemello, Mirano-Venezia 1988; Tredici canti del Floridoro, a cura di V. Finucci, Modena 1995; The worth of women, a cura di V. Cox, Chicago 1997; Das Verdienst der Frauen, a cura di D. Hacke, München 2001; Le mérite des femmes, a cura di F. Verrier, Paris 2002.

Fonti e Bibl.: G.N. Doglioni, Vita della Signora M. P. d’i Zorzi nominata Moderata Fonte, Venezia 1593.

M.A. Superbi, Trionfo glorioso d’heroi illustri, et eminenti dell’inclita, et maravigliosa città di Venetia, Venezia 1629, pp. 140 s.; S. Bettinelli, Il Parnaso veneziano, Venezia 1796, pp. 14, 61 s.; G. Canonici Fachini, Prospetto biografico delle donne italiane rinomate in letteratura dal secolo XIV fino a’ giorni nostri, Venezia 1824, p. 129; M. Foscarini, Della letteratura della nobiltà veneziana, Venezia 1826, p. 46; E. Musatti, La donna in Venezia, Padova 1891, pp. 124-126; F.N. Mocenigo, Memorie veneziane, Venezia 1906, pp. 441-482; A. Pilot, Sette gentildonne veneziane a conciliabolo in due giornate dell’estremo Cinquecento e quel che ne seguì…, in Ateneo veneto, XXXIII (1910), pp. 281-317; E. Zanette, Bianca Capello e la sua poetessa, in Nuova Antologia, LXXXVIII (1953), pp. 455-468; G. Conti Odorosio, Donna e società nel Seicento, Roma 1979, pp. 57-63, 159-198; P.H. Labalme, Venetian women on women: three early modern feminists, in Archivio veneto, s. 5, 1981, vol. 117, pp. 81-109; A. Chemello, La donna, il modello, l’immaginario: Moderata Fonte e Lucrezia Marinella, in Nel cerchio della luna, a cura di M. Zancan, Venezia 1983, pp. 95-170; Ead., Giochi ingegnosi e citazioni dotte: immagini del femminile, in Nuova DWF, 1985, n. 25-26, pp. 39-56; P. Malpezzi Price, A woman’s discourse in the Italian Renaissance: Moderata Fonte, in Annali di italianistica, VII (1989), pp. 165-181; B. Collina, Moderata Fonte e “Il merito delle Donne”, ibid., pp. 142-164; B. Guthmüller, Non taceremo più a lungo. Sul dialogo “Il merito delle donne” di Moderata Fonte, in Filologia e critica, XVII (1992), pp. 258-272; S. Kolsky, Wells of knowledge: Moderata Fonte’s “Merito delle donne”, in The Italianist, XIII (1993), pp. 57-96; M.F. Rosenthal, Venetian womem writers and their discontents, in J.G. Turner, Sexuality and gender in Early Modern Europe: institutions, texts, images, Cambridge 1993, pp. 85-87; P. Malpezzi Price, Moderata Fonte, Lucrezia Marinella and their ‘feminist’ work, in Italian Culture, XII (1994), pp. 201-214; V. Cox, The single self. Feminist thought and the marriage market in Early Modern Venice, in Renaissance Quarterly, XLVIII (1995), pp. 513-581; J. Levarie Smarr, The uses of conversation: Moderata Fonte and Edmund Tilney, in Comparative Literature Studies, XXXII (1995), pp. 1-25; C. Jordan, Renaissance women defending women. Arguments against patriachy, in Italian women writers from the Renaissance to the present. Revising the canon, a cura di M.O. Marotti, University Park 1996, pp. 71 s.; S. Kolsky, Per la carriera poetica di Moderata Fonte. Alcuni documenti poco conosciuti, in Esperienze letterarie, XXIV (1999), pp. 3-17; C. Lesage, Le savoir alimentaire féminin dans “Il merito delle donne” de Moderata Fonte, in La table et ses dessous. Culture, alimentation et convivialité en Italie (XIV-XVI siècles), a cura di A. Charles Fiorato - A. Fontes Baratto, Paris 1999, pp. 224-234; E. Carinci, Una lettera autografa inedita di Moderata Fonte (al granduca di Toscana Francesco I), in Critica del testo, 2002, n. 3, pp. 1-11; P. Malpezzi Price, Moderata Fonte. Women and life in Sixteenth-Century Venice, Madison 2003.

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