Mondo

Enciclopedia Dantesca (1970)

mondo (sost.)

Bruno Bernabei

Voce di larga frequenza e molteplici significati, usata anche nel Fiore e nel Detto. Indica anzitutto l'ordinato insieme della terra e delle sfere celesti che ruotano intorno ad essa.

Si vedano i luoghi di Cv II III 11 lo soprano edificio del mondo [l'Empireo], nel quale tutto lo mondo s'inchiude; III II 17 tu, bellissimo [Dio], bello mondo ne la mente portante (cfr. Boezio Cons. phil. III m. IX 78 " pulchrum pulcherrimus ipse / mundum mente gerens "; il m. è detto bello perché creato secondo l'idea divina); XV 15 Iddio cominciò lo mondo; If IV 136 Democrito che 'l mondo a caso pone; Pd II 121 organi del mondo (le sfere celesti, " membra e organi del gran corpo dell'universo ", Scartazzini-Vandelli; cfr., col medesimo significato, le espressioni mondo di sù, IX 108, e volumi / del mondo, XXIII 113; cfr. anche Cv II IV 13); Pd III 41 Colui che volse il sesto / a lo stremo del mondo; XXIX 33 cima / del mondo (le Intelligenze motrici, le quali occupano il posto più alto nella scala degli esseri creati); XXIX 57 da tutti i pesi del mondo costretto (Lucifero, schiacciato dal convergere del peso di tutti i corpi, attratti dalla legge di gravità). Cfr. anche Cv II IV 10, XIV 13, III V 21, XV 15, If XII 43, Pd V 87, VII 109, XIV 98, XXII 128, XXVI 58, XXVII 106, XXVIII 46 e 49, XXIX 39.

In accezione più determinata, m., spesso unito a un aggettivo dimostrativo o possessivo (questo mondo, il nostro mondo, ecc.), vale " globo terrestre ", ovvero " la terra ": Rime LXVII 69 questo mondo; Cv III V 3 lo mondo dal sole è girato... per lo mondo io non intendo qui tutto 'l corpo de l'universo, ma solamente questa parte del mare e de la terra, e 7; If XIV 122, XXIV 13 veggendo 'l mondo aver cangiata faccia (" la terra, la campagna ", Chimenz); XXVI 26 colui che 'l mondo schiara (il sole; cfr. Pg XIII 19, Pd I 38, X 29); If XXIX 104 primo mondo (la terra in quanto sede della prima vita terrena); Pd XXVIII 27 quel moto che più tosto il mondo cigne (il Primo Mobile, il più veloce dei cieli che ruotano intorno alla terra), XXX 2.

E dolce mondo (If VI 88 e X 82) è detto con rimpianto dai perduti dell'Inferno il nostro pianeta, che, nella sede celeste, il poeta stesso o le anime beate definiscono invece, per la sua contingenza, mortal mondo (Pd II 48 e XXV 35) o mondo mortal (XXI 97). In If XXVI 117 mondo sanza gente e XXXIV 134 chiaro mondo, il termine indica precisamente l'emisfero australe. Cfr. ancora, sempre nel significato di " terra ", Rime LXXXIV 1, C 42, Cv 8; Cv III V 4 e 14, VI 1, IV XIII 11, XV 2; If V 90, XIII 76, XX 9 e 60, XXVII 62, XXXIII 54 e 153, XXXIV 108, Pg V 130, Pd III 99, IX 119, X 15, XII 18, XXI 26, XXV 129, XXXI 110; Fiore XCIII 1, XCv 11, CIII 2.

A volte D. si avvale della voce per designare i m. del suo mistico viaggio (ai quali va riferito l'uso iterativo di m. in Pg V 63 di mondo in mondo): l'Inferno, detto cieco mondo (If IV 13), perché privo di luce materiale e morale, o mondo basso (VIII 108; alcuni intendono qui precisamente il basso Inferno, " ma i due poeti sono soltanto davanti ad esso ", Chimenz), mal mondo (XIX 11), mondo cieco (XXVII 25; come il precedente, ma qui " tragicamente ambiguo in bocca a un dannato che ha la vista fasciata dalla fiamma ", Terracini), mondo gramo, " doloroso " (XXX 59), mondo defunto, sede dei morti nel peccato (Pd XVII 21), mondo sanza fine amaro (v. 112). La parola designa anche il Purgatorio (Pg XXVI 60 e 131) e il Paradiso, definito mondo pulcro (If VII 58) e mondo felice (Pd XXV 139).

Per estensione, essendo la sede dell'esistenza umana, m. è riferibile a quest'ultima (v. ad es. If XVIII 54 mondo antico, " la vita terrena ", e Pd VIII 36 tu del mondo, " uomo mortale " [Petrocchi; e si ricordi tu del ciel, Pg V 105]; cfr. anche Rime LXVII 39, LXVIII 41, Cv IV IV 6, If XI 43, Pd VIII 49, Fiore CI 2) o al complesso delle umane vicende (v. ad es. Pd XI 28 La provedenza, che governa il mondo, XXI 71 e Detto 128).

Metonimicamente, m. vale " l'umanità ", " gli uomini ", nella loro totalità o in gran parte, ed è spesso assunto secondo accezione negativa, a significare l'umanità peccatrice: Rime CIV 78 se giudizio o forza di destino / vuol pur che il mondo versi / i bianchi fiori in persi (in riferimento alla fatale corruzione degli uomini, che sovvertono i valori e la condizione stessa delle cose); If III 49 Fama di loro il mondo esser non lassa; XIX 104 vostra avarizia il mondo attrista (invettiva contro la corruttrice cupidigia dei papi simoniaci); Pg XVI 58 Lo mondo è... tutto diserto / d'ogne virtute, 66 lo mondo è cieco (entrambi con valore fortemente negativo), e 82 'l mondo presente (gli uomini della nostra epoca; cfr. Cv IV XXII 15).

Così ancora in Rime LXXXVII 13; Cv I IX 5, III VII 1, IV I 7, V 8, VI 16; If XIV 96, Pg VIII 131, XVI 104 e 106, XVIII 69, XXIV 99, XXXII 103, Pd VI 8, 56, 80 e 140, VIII 142, XIII 124, XIX 59 e 102, XX 8, 60 e 70, XXVII 62, XXIX 110; Fiore XCII 1, XCIX 11, CIII 8, CLIX 6. A una sola parte dell'umanità, quella aderente al paganesimo, si allude in Pd VIII 1 e XXIV 106 (cfr. anche XXIX 45); il mondo errante di Pd XII 94 e XX 67 è l'umanità soggetta all'errore e al peccato.

Con valore figurato, m. indica la molteplicità dei casi della vita, la varietà dei costumi e delle umane indoli: cfr. If XXVI 98 del mondo esperto; Pg XVI 47 del mondo seppi; Fiore CXCI 2 del mondo ben savio.

La voce indica anche il m. terreno, ovvero la vita secolare, in contrapposizione a vita solitaria e, soprattutto, monastica: Pd III 103 Dal mondo... giovinetta / fuggi'mi, e 115; Fiore CXXI 9 fuor del mondo. Con valore negativo: If VII 69 i ben del mondo; Pg XI 30 la caligine del mondo; XXIII 126 voi che 'l mondo [i vizi] fece torti; Pd X 125 e XV 146 mondo fallace; XII 82 Non per lo mondo [per i beni e gli onori mondani]... / ma per amor de la verace manna. Non hanno, invece, valore negativo Cv IV XVII 5 (li onori di questo mondo) e Pg XVI 108 (l'una e l'altra strada / ... e del mondo e di Deo), indicanti la legittima esplicazione della vita terrena. Largamente usate le locuzioni ‛ al m. ', ‛ nel m. ', ‛ in m. ' ‛ per lo m. ', " fra gli uomini ", " sulla terra " (cfr. Vn VIII 5 7, XIX 7 16; Rime CII 60, CVI 133; Rime dubbie V 43; Cv IV IV 8; If II 59 e 109, XV 67 e 84, XXVII 57, XXXI 78 e 127, Pd XVI 58, XXIX 92; Fiore XVIII 3, Cv 2; Detto 149), oppure, in contrapposizione al m. dell'aldilà, " fra i vivi ", " in vita " (cfr. Cv II X 10, If VIII 46, XII 57, XV 108, XXVI 82, XXIX 119, Pd III 46). In accezione affine e solo nella prima cantica: nel mondo sù (If XIII 54, XVI 42, XXXIII 123), sù nel mondo (XII 18 e 112), nel mondo suso (XXXII 138). È da ricordare anche tutto il mondo (o il mondo tutto, tutto lo mondo, ecc.), che vale, per lo più, " tutti " (cfr. il francese " tout le monde ": così in Rime XC 10, Cv IV XXXVII 3, If XVII 3, XXX 120, Pg XX 8, XXIX 76, Pd IV 62, X 110, XI 69, XIII 39, Fiore XXXIX 3, LXXIV 8, XCvII 13, Cv 8 [" tutti e tutto "], CXXIII 13), ma anche " l'universo ", " il cielo e la terra " (Cv III XII 7, IV IX 2, Pd XX 1), oppure " il globo terrestre " (cfr. Cv III Amor che ne la mente 19 - ripreso in I 13, V 2 e 3, XII 6 -, III V 3; Fiore CXLVII 1, " dovunque "; CL 8, " tutta la terra con i suoi beni ").

A volte, poi, m. è pleonasticamente unito a un superlativo relativo (che assume valore di assoluto) e vale a rafforzare la frase: ad es. Cv IV XVI 6 la più nobile pietra del mondo; cfr. anche Fiore XVIII 8, XXII 10, XXVIII 11.

I passi controversi possono ridursi fondamentalmente a due soli, e riguardano, rispettivamente, l'interpretazione e la lezione della parola.

Dibattuta l'interpretazione di Rime LXVII 57 Lo giorno che costei [Beatrice, secondo il Barbi] nel mondo venne, la cui espressione ‛ venire nel m. ' è stata variamente intesa: " nascere "; " apparire " (in riferimento all'incontro che D. ebbe con Beatrice all'età di nove anni); e, con più sottile complessità, " essere per la prima volta ammessa a una riunione (‛ mondo ', francese monde) di persone di condizione signorile a scopo di sociale intrattenimento o festa " (così L. Mascetta Caracci sulla base di due esempi del Sacchetti e del Nelli; i quali, però, come ha giustamente rilevato il Barbi, sono affini all'espressione dantesca non nel senso preferito dallo studioso, ma nel loro senso originario e più comune). Né va dimenticata l'interpretazione allegorica del Mandonnet, secondo il quale D. si riferirebbe al giorno in cui fu battezzato e ricevette la grazia santificante (Beatrice, in accezione simbolica). Delle ipotesi proposte la prima appare la sola possibile ed è stata risolutamente difesa dal Barbi col conforto di una ricca esemplificazione. Nulla di strano " che il poeta ", egli scrive, " immaginasse d'aver provato alla nascita di Beatrice, benché in età da potersi appena reggere in piedi, una miracolosa impressione (una passion nova), tanto da rimanere quasi privo di sensi ". Basta considerare quello che di meraviglioso, nelle immaginazioni d'amore, ci viene offerto dalla poesia popolare, particolarmente in rapporto con la nascita della donna. Tale interpretazione, secondo l'illustre studioso, è, inoltre, confermata dall'inizio della stanza successiva Quando m'apparve poi la gran biltate (v. 71), " che non va inteso nel senso ‛ quando m'apparve la seconda volta ', ma sta a indicare, di seguito al presentimento. misterioso che il poeta ebbe alla nascita della donna, la prima apparizione della bellezza di lei ". Cfr. anche Vn XXIX 1, Rime XC 73, Pg XXXI 107, Pd XI 50, e soprattutto Cv IV V 4, espressioni che significano tutte " venire alla luce ", " nascere " (cfr. invece Pg XXIII 77 mutasti mondo a miglior vita, " lasciasti la sede terrena per la vita migliore ").

Ben nota è poi la questione, lungamente dibattuta, di If II 60, in cui Beatrice, rivolgendosi a Virgilio affinché soccorra D. e ricordando l'ancor viva celebrità del poeta latino (O anima cortese mantoana, / di cui la fama ancor nel mondo dura, vv. 58-59), afferma che essa durerà quanto 'l mondo lontana. Di tal verso si hanno due lezioni: quella ora citata (seguita dal Petrocchi), e durerà quanto il moto lontana (si tratta di variante di facile formazione grafica, del tipo di modo-mondo, in If V 102, su cui cfr. Petrocchi, ad l.). La prima, accolta dalla maggioranza dei commentatori più antichi, fu interpretata nel senso di " mondo umano, terreno ", o, più rigorosamente, ristretta nell'accezione di " cultura latina ": la fama di Virgilio durerà quanto i grammatici latini, " che si troveranno in fino alla fine del mondo, perché l'uno trasfonde la grammatica nell'altro " (Buti). Successivamente, la lezione moto, salita alla ribalta nel Cinquecento, s'impose con lunga fortuna presso i commentatori, fino alla difesa del Foscolo (che è stata ripresa dal Pagliaro), il quale, fondandosi sulla rappresentazione virgiliana della Fama (cfr. Aen. IV 174-175 " Fama... / mobilitate viget ") tradotta alla lettera da D. in Cv I III 10, pur ritenendo moto e mondo varianti d'autore, preferì la prima, quale ‛ lectio difficilior ' e perché grande immagine poetica, presentandola secondo un'accezione non generica, ma più precisamente legata alla mobilità della fama stessa: la fama di Virgilio dura a portare lodi nel mondo e durerà a portarle lontana quanto può andare col suo moto. La critica moderna si è quasi unanimemente schierata con mondo, soprattutto per ragioni di natura stilistica e di ordine concettuale. Si è, infatti, giustamente rilevato come alla " umana semplicità " (Chimenz) delle parole di Beatrice si accordi un'espressione altrettanto naturale e schiva d'implicazioni filosofiche. Attentamente esaminato nel suo insieme, il discorso della dolce guida risulta dominato dal sentimento della pietà, e assolutamente estraneo alla sua " piana ed entusiastica semplicità " (Petrocchi) appare qualsiasi elemento sia pur vagamente intellettualistico. Affatto naturale, nonché meglio aderente al verso che precede, per la tecnica della replicazione diffusa nel poema, risulta, dunque, la lezione mondo, secondo cui l'intera frase significherà che la fama di Virgilio dura ancora sulla terra, fra gli uomini, e durerà quanto questa (ovvero " si estende " e " si estenderà lontana fino ai confini del mondo ", nell'ipotesi del Pellegrini, che interpreta ‛ durare ' col valore di " estendersi ").

Bibl. - Per If XXVII 25: B. Terracini, Analisi stilistica, Milano 1966, 184. Per Rime LXVII 57: L. Mascetta Caracci, in " Giorn. d. " XXIX (1926) 252-256; P. Mandonnet, Dante le théologien, Parigi-Bruxelles 1935, 76-78; M. Barbi, in " Studi d. " XIX (1935) 108-112; Barbi-Maggini, Rime 240-241. Per If II 60: A. Pagliaro, in Studi e problemi di critica testuale, Bologna 1961, 326-331; S. Pellegrini, Saggi di filologia italiana, Bari 1962, 89-93; Pagliaro, Ulisse 725-737; Petrocchi, Introduzione 166-167.