MONGOLIA

Enciclopedia Italiana - IV Appendice (1979)

MONGOLIA (XXIII, p. 667; App. I, p. 872; II, 11, p. 344; III, 11, p. 152)

Costantino Caldo
Domenico Caccamo

La funzione di cuscinetto fra l'Unione Sovietica e la Cina, che poteva dirsi cessata durante il permanere di relazioni amichevoli fra le due potenze, è tornata ad avere la sua importanza dopo il 1960. Il deterioramento delle relazioni cino-sovietiche ha però avvicinato la M. all'URSS, con cui è stato stipulato il 15 gennaio 1966 un trattato ventennale di cooperazione, mentre l'influenza cinese è assai diminuita.

Nelle aree desertiche e steppiche la densità di popolazione è assai bassa (0,7 ab./km2), pur in presenza di un coefficiente di accrescimento naturale molto elevato (2,7-2,8% annuo). Una densità superiore alla media s'incontra nella provincia di Khangai settentrionale e di Bajan Ulegei (1,3 ab. /km2), oltre che nell'area urbana della capitale Ulan Bator (133 ab./km2), la quale ha una popolazione stimata di 282.000 ab. nel 1971. La popolazione totale della Mongolia, stimata per il 1974, è di 1.403.000 abitanti. I dati rilevati in occasione dell'ultimo censimento (1969) sono riportati nella tabella.

Negli ultimi anni è stato accentuato lo sforzo per trasformare l'economia pastorale nomade in agricola sedentaria e per sviluppare l'industria. Il IV piano quinquennale (1966-70) e il V (1971-75) puntavano a un incremento del 50% della popolazione agricola, tramite l'irrigazione e metodi scientifici di coltura; miravano inoltre allo sviluppo dell'industria leggera. Il patrimonio del bestiame è la ricchezza più cospicua e conta un totale di 22,6 milioni di capi (1970), così ripartiti: ovini 13,3 milioni, caprini 4,2, equini 2,3, bovini 2,1, cui si aggiungono quantità minori di cammelli e di suini. Il suolo dedicato al pascolo copre oltre l'85% della superficie. La collettivizzazione si è estesa al totale delle terre coltivate e all'80% del bestiame: esistono 272 fattorie collettive e 32 fattorie di stato, ciascuna delle quali si estende per vaste aree e ha in media circa 80.000 capi di bestiame, ma solo poco più di 2000 addetti.

L'industria è concentrata nei centri urbani di Ulan Bator e Darkhan ed è rappresentata da industrie conserviere, tessili, dei laterizi e del cemento; l'energia elettrica è alimentata dalle modeste risorse carbonifere locali.

L'esportazione, costituita essenzialmente da bestiame e da prodotti derivati dall'allevamento, si dirige esclusivamente verso paesi comunisti e per l'80% verso l'Unione Sovietica.

Bibl.: A. J. Sanders, The people's Republic of Mongolia. A general reference guide, Londra 1968; V.P. Petrov, Mongolia: a profile, ivi 1971; A. Stolypine, La Mongolie entre Moscou et Pékin, Parigi 1971; The Statesman's year-book 1975-76, Londra 1973.

Storia. - La M. esterna si è imposta all'attenzione mondiale nel momento in cui il contrasto cino-sovietico si trasformava in aperta polemica e in fattore determinante delle relazioni internazionali. Obiettivo di opposte sollecitazioni, la M. si è giovata per alcuni anni del doppio aiuto sovietico e cinese per accelerare il processo di sviluppo; poi, di fronte alla presenza sempre più marcata dell'URSS, ha affidato sostanzialmente a quest'ultima la guida della trasformazione industriale. Il giuoco delle influenze esterne e l'impegno di modernizzazione sono, dunque, gli aspetti fondamentali d'interesse offerti da quel paese asiatico di frontiera, tuttora legato a forme di vita precapitalistiche. Riconosciuta nel gennaio 1946 dal governo del Kuomintang, la Repubblica Popolare Mongola (RPM) era stata inserita nel sistema delle democrazie popolari con un trattato decennale di amicizia e aiuto reciproco, firmato a Mosca nel febbraio dello stesso anno; nel 1948 essa aveva varato il suo primo piano quinquennale, in corrispondenza con la seconda e più radicale ondata di pianificazione nei paesi dell'Est europeo. In seguito alla vittoria della rivoluzione cinese, nel quadro del trattato cino-sovietico del 1950, Mao Tse-tung ne aveva riconosciuto anch'egli l'indipendenza; e in virtù di tale riconoscimento aveva potuto aprire una rappresentanza diplomatica, inviare nel paese 20.000 operai, costruire un secondo collegamento ferroviario Pechino-Ulan Bator, stringere vari accordi per l'assistenza tecnico-scientifica. Ma l'equilibrio così stabilito tra la presenza russa e quella cinese non aveva risolto i problemi connessi a un lungo passato d'influenze concorrenti. La volontà cinese di attirare le simpatie del nazionalismo mongolo risultava con evidenza dalla simbolica costruzione nel Territorio autonomo della M. interna (1954) di un mausoleo dedicato a Genghiz Khān, il fondatore di un impero asiatico che si era esteso fino alle terre russe; nel 1957 le carte geografiche cinesi segnavano il confine con la RPM mediante una linea che stava a indicare le frontiere "non fissate definitivamente", mentre quelle sovietiche, al contrario, registravano come validi a ogni effetto tutti i confini settentrionali della Cina. Agivano allora, in seno al Partito Popolare Rivoluzionario Mongolo (PPRM), considerevoli tendenze filocinesi: durante il tentativo di "balzo in avanti" e il controverso esperimento delle Comuni popolari, gli apprezzamenti più favorevoli, all'interno del movimento comunista internazionale, vennero proprio dai Mongoli.

Il quadro politico mutò all'inizio degli anni Sessanta, quando la pressione sovietica fu intensificata su tutte le democrazie popolari asiatiche tramite la concessione di generosi aiuti economici. Nel luglio 1961 il PCUS fu rappresentato al XIV congresso del PPRM da M.A. Suslov: e in quell'occasione il principale ideologo sovietico dichiarò che "il sostegno politico, l'aiuto economico e la potenza militare dell'URSS rappresentano una confortante garanzia per il felice avanzamento della M. sulla via dell'indipendenza, della democrazia e del progresso", lasciando capire che ogni tentativo cinese per la revisione dei confini sarebbe stato respinto con fermezza. Nell'ottobre, grazie all'interessamento sovietico, la M. fu ammessa all'ONU e nel giugno 1962 fece ingresso nel Comecon. Nel settembre dello stesso anno il III plenum del Comitato centrale mongolo eliminò un gruppo filocinese, che era rappresentato anche in seno all'Ufficio politico; quindi il PPRM prese posizione contro gli Albanesi, mentre nel gennaio 1963 Ju. Tsedenbal, presidente del Consiglio da oltre un decennio, tenne due discorsi a Ulan Bator e a Berlino Est, indirizzati contro la linea ideologica e politica del maoismo. Dal canto suo, nella nota intervista ai socialisti giapponesi (10 luglio 1964), Mao Tse-tung rinnovò le vecchie rivendicazioni sulla M. già manifestate in un colloquio del 1936 con E. Snow. Egli attribuì alla conferenza di Jalta l'assegnazione della M. esterna all'URSS, sotto la copertura di una formale indipendenza: "L'Unione Sovietica ha occupato troppi territori. Alla conferenza di Jalta si è lasciata un'indipendenza nominale alla M. esterna; nominalmente la si è solo staccata dalla Cina, ma in realtà essa è caduta sotto il controllo dell'Unione Sovietica". Inoltre rivelò come il problema mongolo fosse stato toccato senza risultati durante la visita di Chruščëv e Bulganin in Cina nel 1954.

Tuttavia Ulan Bator non aveva interrotto i rapporti con Pechino: sul piano economico, anzi, seppe garantirsi per alcuni anni, da entrambe le fonti sovietica e cinese, un afflusso mai prima registrato di apporti finanziari e tecnici. Fu migliorato il livello di vita, ripresa la difficile lotta contro il nomadismo, intensificato il processo di trasformazione sociale che prima aveva segnato il passo (nel 1957 l'allevamento privato toccava ancora il 75% del totale); inoltre un secondo centro industriale, nella città di Darkhan, si alfiancò a quello della capitale. Solo dopo la visita di Brežnev a Ulan Bator (gennaio 1966), seguita dalla garanzia di nuovi, larghi aiuti sovietici, gli ultimi contingenti di operai e tecnici cinesi lasciarono la Mongolia. Il programma d'industrializzazione è stato perseguito sul fondamento ideologico della transizione diretta dal feudalesimo al socialismo, con il salto della fase capitalistica e dell'accumulazione primitiva, che sarebbe garantito dall'aiuto internazionale sovietico; in effetti, attività di trasformazione o comunque di produzione di beni di consumo sono state promosse da specialisti russi, affluiti nel paese in condizioni di privilegio rispetto ai quadri locali, e da investimenti sovietici, cecoslovacchi, polacchi, bulgari. Considerata sia la carenza di una classe operaia mongola, sia la scarsa densità di popolazione, lo sviluppo di una moderna vita industriale risulta destinato a favorire l'immigrazione, con esiti analoghi a quelli già avuti, sia pure per altre vie, nella Repubblica autonoma dei Buriati (dove la maggioranza degli abitanti è di nazionalità russa) e nel Territorio autonomo della M. interna (dove la maggioranza è cinese). L'influenza culturale russa è favorita dall'adozione dell'alfabeto cirillico e dal sistema degli studi, che elimina ogni elemento occidentale, giapponese o lamaista; e inoltre dall'afflusso di personale qualificato russo e dall'esclusione di ogni influenza cinese (nel 1967 fu chiusa l'ultima scuola cinese, presso la rappresentanza diplomatica). Durante la rivoluzione culturale, violenti attacchi sono stati portati dalle guardie rosse contro i dirigenti di Ulan Bator; in seguito agli scontri del 1969 sull'Ussuri, i Cinesi non hanno mancato di fare appello al sentimento nazionale e alla solidarietà asiatica del popolo mongolo, mentre nel dicembre 1971 il capo della delegazione cinese all'ONU ha accusato l'URSS di mantenere nella RPM truppe fornite di armamento atomico. Ma il saldo inserimento della M. nella "comunità socialista" emerge ancora dai rapporti con alcuni paesi dell'Europa orientale. Nel giugno 1973 un nuovo trattato di amicizia mongolo-cecoslovacco ha sostituito quello del 1957; nel novembre dello stesso anno una delegazione bulgara si è recata in visita in Mongolia. In entrambe le occasioni sono stati ripetuti alcuni principi della politica sovietica: si è dichiarata, infatti, l'urgente necessità di un sistema di sicurezza collettiva in Asia e si è colpita polemicamente l'attività scissionistica del maoismo. Ulteriori accordi mongolo-sovietici prevedono un nuovo complesso per l'estrazione di rame e molibdeno, e una società mista per la prospezione e lo sfruttamento di metalli non ferrosi; vengono trascurate, invece, le prospettive petrolifere della regione, mentre non è stato preso in considerazione un progetto giapponese relativo ai giacimenti di rame.

Bibl.: J. Glaubitz, China im Ostblock, in Osteuropa, XI (1961), p. 366; XIII (1963), pp. 336-37; XIV (1964), p. 71; O. Lattimore, Nomads and commissars. Mongolia revisited, New York 1962; R. A. Rupen, Mongols of twentieth century, Bloomington 1964; K. Mehnert, Pechino e Mosca, Firenze 1964, pp. 302-17; I. Ja. Zlatkin, S.K. Roščin, Mongolskaja Narodnaja Respublika ("La Repubblica Popolare Mongola"), in Sovetskaja Istoričeskaja Enciklopedija, IX, Mosca 1966, coll. 612-40; K. Mehnert, Die Schüsse am Ussuri and ihr Echo, in Osteuropa, XIX, 1969, p. 556; D.S. Zagoria, The sino-soviet conflict 1956-1961, New York 1969, p. 380; O. Lattimore, La frontiera. Popoli e imperialismi alla frontiera tra Cina e Russia, Torino 1970, pp. 243-87; W. Bach, Schicksalszeit eines einst grossen Volkes. Die Mongolische Volksrepublik, in Osteuropa, XX (1970), pp. 679-98; A.V. Manikin, Sovetsko-mongolskie dogovory i soglašenija ("Trattati e accordi sovietico-mongoli"), in Sovetskaja Istoričeskaja Enciklopedija, XIII, Mosca 1971, coll. 159-61; G. Rinaldi, La Mongolia alla prova del socialismo, in Relazioni Internazionali, XXXVII (1973), pp. 1302-303; G.M. La Pira, La via mongola allo sviluppo, ibid., XXXIX (1975), pp. 1100-101; id., Mongolia e Unione Sovietica, ibid., XL (1976), p. 621.

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