Monottongo

Enciclopedia dell'Italiano (2011)

monottongo

Silvia Calamai

Definizione

Il monottongo è un’articolazione vocalica stabile caratterizzata da un unico timbro, in opposizione alle articolazioni vocaliche che mostrano un cambiamento qualitativo nel corso della loro produzione (➔ dittongo).

In diacronia, un monottongo è spesso l’esito finale di un processo di ➔ semplificazione dei dittonghi. Alcuni dittonghi sono realizzati come monottonghi già nel latino volgare: ad es., ae e oe sono prodotti, rispettivamente, mediante una vocale breve (e aperta) e una vocale lunga (e chiusa) fin dal I secolo d.C. Gli esiti [ɛ] e [e] hanno poi subito i processi attivi per quelle vocali nelle singole lingue romanze: in italiano si è avuto dunque regolare dittongamento in sillaba aperta per i continuatori di ae (l[jɛ]to < laetu), ma non per i continuatori di oe (p[e]na < poena). Sono molto rari gli esiti in vocale lunga del dittongo ae (vedi, ad es., s[e]ta < saeta).

Nella Romània, appaiono più diversificati gli esiti del dittongo au: esso è mantenuto nei dialetti dell’Italia meridionale, in alcuni dialetti friulani e trentini, nel romeno, nell’antico provenzale e nella maggior parte delle parlate occitane moderne; viene monottongato in [o] nel portoghese; viene monottongato, in fase antica, in [ɔ] nella Gallia settentrionale, nella Spagna e nell’Italia settentrionale e centrale; viene infine monottongato in [a] in sardo (Lausberg 19762: 249-250). L’assenza di dittongamento degli esiti monottongati di au in fiorentino e in italiano dimostra che il monottongamento di au è posteriore al dittongamento di ŏ in [wɔ] in sillaba aperta (c[ɔ]sa < causa, ma b[wɔ]no < bŏnu). Le forme italiane che mantengono [au] (come, ad es., causa, tesauro, lauro) sono ➔ cultismi. Specularmente, la presenza di [o] in luogo di au nei dialetti meridionali che conservano il dittongo (vedi, ad es., calabrese, siciliano e pugliese [ˈtauru], abruzzese [ˈtaurə] toro) è dovuta all’influenza della lingua italiana: siciliano e calabrese pocu, rrobba (Rohlfs 1966: §§ 41-44).

Il monottongo può anche essere l’esito di un dittongo metafonetico (➔ metafonia). Nell’area barese (➔ siciliani, calabresi e salentini, dialetti), ad es., dai dittonghi metafonetici da ĕ e ŏ si sono avute, per monottongazione, vocali alte tese /i u/ (come in [vind] «vènti», [sutːs] «uguale»), che si oppongono alle vocali alte non tese /ɪ ʊ/ (come in [vɪnd] «vénti» e in [sʊtːs] «sporco»). Secondo una trafila comparabile, nelle parlate calabresi dell’area Lausberg si registrano le seguenti opposizioni: [ˈpinːəʧə] «grappolo d’uva» ~ [ˈpɪnːəʧə] «cimice»; [ˈ(ɣ)rusːə] «grosso» ~ [ˈrʊsːə] «rosso» (Trumper 1979).

A partire da questi processi (dittongazione metafonetica e successiva monottongazione), relativamente alle vocali alte, si sono generate opposizioni di tensione reputate piuttosto

inusuali per l’italo-romanzo che distingue ab origine e tuttora in molte varietà, a partire dai dialetti toscani, vocali medie tese e non tese (/e/ ≠ /ɛ/, /o/ ≠ /ɔ/), ma non presenta la stessa opposizione per le vocali alte (come invece si osserva ad es. in tedesco) (Loporcaro 2009: 122).

Il monottongo [wo]

Ha un rilievo storico-culturale oltre che linguistico il monottongamento di [wɔ] (b[ɔ]nobuono, n[ɔ]vonuovo), sviluppatosi nel fiorentino fra Sei e Settecento (Ventigenovi 1993). Si tratta di una innovazione concernente solo uno dei due esiti dittongali originati dalle vocali brevi latine in sillaba aperta ĕ e ŏ: il dittongo [jɛ] < ĕ, al contrario, non ha subito modifiche.

Il processo, tuttora diffuso nella Toscana centrale a livelli popolari e informali (➔ toscani, dialetti), si è generalizzato nella lingua soprattutto dopo consonante palatale (spagnuolospagnolo, figliuolofigliolo) e fu utilizzato da  ➔ Graziadio Isaia Ascoli come esempio dell’inapplicabilità delle proposte linguistiche manzoniane. L’incipit del Proemio all’«Archivio glottologico italiano» (1873) si riferisce proprio alla presenza programmatica del monottongo nel titolo Novo vocabolario della lingua italiana secondo l’uso di Firenze (1870-1897) di Giovan Battista Giorgini ed Emilio Broglio:

Un vocabolario che si viene stampando in Firenze […] rappresenta un principio, o un’innovazione, di cui gli riesce far mostra nella prima parola del suo frontespizio, poiché egli si annunzia per nòvo anziché nuovo, così riproducendo la odierna pronuncia fiorentina, ch’egli trova urgente di rendere comune a tutta l’Italia (Ascoli 1873).

Fenomeni di pronuncia

Oltre che esito diacronico, il monottongo può essere un prodotto sincronico dovuto a particolari stili di pronuncia (veloce, ipoarticolata; ➔ fonetica articolatoria, nozioni e termini di), i quali portano a semplificare sequenze di vocali in timbri unici (spesso intermedi).

Si tratta di fenomeni «non sistematici» (Albano Leoni & Maturi 20023: 67), esito di meccanismi coarticolatori. Ad es., una sequenza come [ai] hai potrebbe realizzarsi come [ɛ] o [æ] nel parlato veloce, cioè attraverso la coalescenza dei due timbri di partenza [a] e [i] in un timbro che si trova a metà strada fra i due. Analisi strumentali sistematiche in merito alla presenza di coalescenza, soprattutto tra due vocali a confine di parola, appaiono oltremodo necessarie, anche in considerazione della fonotassi dell’italiano (➔ fonologia; ➔ fonetica sintattica): in una lingua ove le parole terminano prevalentemente in vocale la contiguità vocalica è estremamente frequente e sembra produrre spesso, anche all’interno di un parlato controllato, casi di coalescenza, acusticamente realizzati attraverso una vocale «nuova», che solo parzialmente «recupera gli indici acustici dei timbri non realizzati» (Marotta & Sorianello 1998: 103).

Monottongo e dittongo

In sincronia, esiti monottongali possono alternare con esiti dittongali in base alla posizione della vocale bersaglio all’interno della struttura prosodica dell’enunciato (il fenomeno compare in letteratura sotto il nome di dittongazione spontanea, non essendo condizionato dalla natura delle vocali toniche finali). Le varianti dittongali sono di solito presenti in posizione finale di sintagma intonativo, mentre le varianti monottongali compaiono in posizione interna.

L’alternanza monottongo-dittongo sulla base di variabili prosodico-sintattiche (➔ prosodia) – registrata già da Rohlfs (1966: § 12) nell’Italia meridionale più che nell’Italia settentrionale e sul versante adriatico più che su quello tirrenico – trova molte conferme nella letteratura dialettologica e fonetica sperimentale più o meno recente: si vedano a questo proposito Savoia (1974) e Carpitelli (1995) per il lunigianese; Loporcaro (1988) per l’altamurano; Sornicola (2001) e Abete & Simpson (2010) per l’area flegrea; Varvaro (1988), Ruffino (1991), D’Agostino & Pennisi (1995) per l’area palermitana.

Fonti

Ascoli, Graziadio Isaia (1873), Proemio, «Archivio glottologico italiano» 1, pp. V-XLI.

Studi

Abete, Giovanni & Simpson, Adrian (2010), Confini prosodici e variazione segmentale. Analisi acustica dell’alternanza monottongo/dittongo in alcuni dialetti dell’Italia meridionale, in La dimensione temporale del parlato. Atti del V convegno nazionale dell’Associazione italiana di scienze della voce (Zurigo, 4-6 febbraio 2009), a cura di S. Schmid, M. Schwarzenbach & D. Studer, Torriana, EDK, pp. 297-323.

Albano Leoni, Federico & Maturi, Pietro (20023), Manuale di fonetica, Roma, Carocci (1a ed. Roma, NIS, 1995).

Carpitelli, Elisabetta (1995), Description des systèmes des voyelles toniques de quelques dialectes de la Toscane nord-occidentale, «Géolinguistique» 6, pp. 43-73.

D’Agostino, Mari & Pennisi, Antonino (1995), Per una sociolinguistica spaziale. Modelli e rappresentazioni della variabilità linguistica nell’esperienza dell’ALS, Palermo, Centro studi filologici e linguistici siciliani, Facoltà di lettere e filosofia.

Lausberg, Heinrich (19762), Linguistica romanza, Milano, Feltrinelli, 2 voll., vol. 1° (Fonetica) (ed. orig. Romanische Sprachwissenschaft, Berlin, de Gruyter, 3 voll., vol. 1°, Einleitung und Vokalismus).

Loporcaro, Michele (1988), Grammatica storica del dialetto di Altamura, Pisa, Giardini.

Loporcaro, Michele (2009), Profilo linguistico dei dialetti italiani, Roma - Bari, Laterza.

Marotta, Giovanna & Sorianello, Patrizia (1998), Vocali contigue a confine di parola, in Unità fonetiche e fonologiche. Produzione e percezione. Atti delle VIII giornate di studio del Gruppo di fonetica sperimentale (Pisa, 18-19 dicembre 1997), a cura di P.M. Bertinetto & L. Cioni, Pisa, Scuola Normale Superiore, pp. 101-113.

Rohlfs, Gerhard (1966), Grammatica storica della lingua italiana e dei suoi dialetti, Torino, Einaudi, 1966-1969, 3 voll., vol. 1º (Fonetica) (ed. orig. Historische Grammatik der italienischen Sprache und ihrer Mundarten, Bern, Francke, 1949-1954, 3 voll., vol. 1º, Lautlehre).

Ruffino, Giovanni (1991), Dialetto e dialetti in Sicilia. Appunti e materiali del corso di dialettologia italiana, Palermo, CUSL.

Savoia, Leonardo M. (1974), Condizioni fonetiche nel fiorentino comune e alcune proposte per una teoria fonologica concreta, «Studi di grammatica italiana» 4, pp. 209-330.

Sornicola, Rosanna (2001), Alcune recenti ricerche sul parlato: le dinamiche vocaliche di (e) nell’area flegrea e le loro implicazioni per una teoria della variazione, in Scritto e parlato. Metodi, testi e contesti. Atti del colloquio internazionale di studi (Roma, 5-6 febbraio 1999), a cura di M. Dardano, A. Pelo & A. Stefinlongo, Roma, Aracne, pp. 239-264.

Trumper, John (1979), La zona Lausberg ed il problema della frammentazione linguistica, in I dialetti e le lingue delle minoranze di fronte all’italiano. Atti dell’XI congresso internazionale della Società di Linguistica Italiana (Cagliari, 27-30 maggio 1977), a cura di F. Albano Leoni, Roma, Bulzoni, pp. 267-303.

Varvaro, Alberto (1988), Sicilia, in Lexikon der romanistischen Linguistik (LRL), hrsg. von G. Holtus, M. Metzeltin & C. Schmitt, Tübingen, Niemayer, 8 voll., vol. 4º (Italienisch, Korsisch, Sardisch), pp. 716-731.

Ventigenovi, Arrigo (1993), Il monottongamento di “uo” a Firenze, «Studi linguistici italiani» 19, pp. 170-212.

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