MONUMENTO FUNERARIO

Enciclopedia dell' Arte Antica (1963)

Vedi MONUMENTO FUNERARIO dell'anno: 1963 - 1995

MONUMENTO FUNERARIO

G. A. Mansuelli
A. Tamburello
L. Lanciotti
A. Tamburello

A. Generalità; B. Civiltà egiziana; C. Civiltà mesopotamica; D. Civiltà greca classica ed ellenistica; E. Civiltà dell'Asia Minore; F. Civiltà persiana; G. Siria, Fenicia, Giudea e regioni contermini; H. Civiltà etrusca; I. Civiltà romana: 1. Generalità; 2. Il recinto funerario; 3. Tipi e forme (a-k); 4. Conclusioni; J. India e Asia sud-or.; K. Civiltà cinese; L. Corea e Giappone.

A. - Generalità. - La semplice esigenza di contrassegnare con un riferimento esterno visibile il luogo della sepoltura, che è all'origine del m. f. è praticamente superata in tutte le civiltà artistiche, in quanto la contingenza, per così dire, topografica, si è immediatamente combinata con altre complesse esigenze di carattere simbologico, rituale o con altre ancora, per il particolare contenuto spirituale di ciascuna civiltà e per i rapporti che fra esse sono intercorsi; la sfera religiosa e funeraria è infatti naturalmente eclettica. Il m. f. riveste in sostanza un carattere antitetico a quello della tomba decorata; questa ha uno svolgimento risolto in se stesso, costituisce un mondo segreto ed inaccessibile, mentre il m. f., al contrario, con la sua struttura architettonica, e, dove esiste, il suo apparato figurativo e simbologico o anche epigrafico, istituisce un rapporto dialogico fra trapassati e viventi. Il concetto stesso della sopravvivenza assume un'accezione particolare, in quanto s'intende come possibilità di perpetuare la memoria di sé di fronte ad una posterità che si continua indefinitamente nel tempo. Il carattere "comunicativo" del m. f. spiega le diverse finalità, commemorative e financo "pubblicitarie" che gli sono state attribuite di tempo in tempo. Che poi esso, nella sua appariscente esteriorità, si sia più volte combinato anche con la tomba decorata, oppure abbia scambiato forme e concetti con altre categorie di monumenti votivi, commemorativi ed onorarî, ciò rientra nella molteplicità stessa di ogni fatto umano ed è tanto più avvertibile, quanto più una civiltà è colta. La storia del m. f. appartiene fondamentalmente alla storia dell'architettura, giacché esso non è concepibile se non attraverso una forma architettonica, ma non si risolve unicamente in essa, essendo la forma architettonica inscindibile dall'apparato figurativo, simbolico e dichiarativo, e la tettonica sempre strettamente connessa con la semantica. È accaduto così che tipologie architettoniche originatesi da altre esigenze vi siano state adattate o che elementi originariamente anarchitettonici abbiano assunto dimensione architettonica trasformandosi in m. f; in tesi generale si può osservare che una tipologia propria del m. f. non esista, in quanto ci si trova costantemente di fronte a significati funerarî assunti secondariamente, a forme desunte da altre sfere, soprattutto da quella religiosa.

B. - Civiltà egiziana. - Si vedano le voci: mastaba; piramide; egiziana, arte.

C. - Civiltà mesopotamica. - Si veda: mesopotamica, arte; ur; warka.

D. - Civiltà greca arcaica, classica ed ellenistica. - Il segnacolo preistorico, pietra informe, squadrata o antropomorfa (menhir e stele menhirica), è piuttosto da considerare il capostipite del cippo e della stele che del m. f. in senso proprio, per quanto esso corrisponda a quell'individualizzazione del sepolcro che è alla base anche della concezione del m. funerario.

Più direttamente ci si deve ricollegare ad altri tipi monumentali, il dolmen e il circolo di pietra, manifestazioni classiche del megalitismo e del submegalitismo; il circolo in particolare interessa, perché stabilisce una delimitazione dell'area sepolcrale e, dove è in connessione con la pietrafitta, istituisce già un rapporto architettonico fra questi elementi. Il circolo di pietre è presente nella civiltà micenea, e altrove nel bacino del Mediterraneo come in Etruria (Vetulonia, Marsiliana) e in Sardegna (Limuri). Il mondo egeo miceneo ha compreso tanto il tumulo, espressione anarchitettonica, quanto la stele figurata, che ha più lontani precedenti nel mondo asiatico e in Egitto. Il tumulo è, dalla preistoria, il solo m. f. che potesse raggiungere proporzioni imponenti con i mezzi più semplici, ossia accumulando terra fino ad ottenere un'elevazione artificiale subconica. Insieme il tumulo conciliava con questa ricerca di vistosità l'esigenza di realizzare la camera sepolcrale sotterranea, dove non fosse possibile la escavazione di tombe rupestri. Per tradizione rituale esso si mantiene poi, in differenti ambiti, anche in età storica più che inoltrata. La mastaba egizia (e la piramide che ne costituisce lo sviluppo) è la prima versione architettonica del tumulo, che si traduce in solidi definiti, attraverso la forma costruttiva tecnicamente più semplice, anche se enormemente dispendiosa, quella della sovrapposizione di assise progressivamente più strette. Attraverso la mastaba a gradoni ("piramide" di Zoser, a Saqqārah, quella turriforme di Snofru a Medum) la piramide (i celebri esempî di Gīzah) è una ulteriore geometrizzazione vincolata, sembra, da rapporti proporzionali, e introduce il senso delle superfici continue, della definizione formale, dei valori, cioè, architettonici sulla base di elementi rettilinei. Il problema della camera interna della piramide esula dai fini di questa esposizione, non così la geometrizzazione, che può esser posta alla base di una quantità di interpretazioni e di versioni posteriori. Il tumulo vero e proprio, nella forma geometrica del cono, si realizza in forme architettoniche soltanto molto più tardi, in ambiente asiatico (cosiddetta Tomba di Tantalo al Sipilo) negli elementi rimasti fondamentali dello zoccolo modanato, del cono e, forse, della cimasa, la quale ultima conferma la funzione del m. f. come sostegno di un elemento terminale, verso cui convergono le linee e le superfici del cono, concentrando su di esso l'attenzione, particolare che sembra estraneo invece alla geometrizzazione egizia della piramide. Il particolare poi sembra concretare il concetto dell'equivalenza fra σῆμα e μνῆμα che è implicito già nell'epoca omerica (Il., xxiv, 759) e segna un'esteriorizzazione dell'interesse, un fatto diverso cioè dalla dissimulazione del sepolcro che è perseguita invece, nonostante le apparenze grandiose, nel tumulo preistorico e nella piramide. L'esigenza della esteriorizzazione, che finisce col manifestarsi soprattutto nella stele figurata (Velanideza, Maratona) menzionata del resto già nei poemi omerici e documentata in Asia già nel secondo millennio, convive con la tradizione del tumulo (τύμβος) comune all'area microasiatica e ionica (tumuli del Sangario; tumulo di Gordion, altezza m 23; tumulo di Aliatte) è diffusa tanto nell'Asia Minore (Frigia, Lidia, Caria) tanto nella Grecia continentale europea (Attica). Il tumulo (χῶμα γῆς), individuale nelle descrizioni omeriche e negli esempî ionico-asiatici, è familiare nella Grecia continentale: in Attica le tombe a tumulo con tèmenos indicano che la tradizione ionica si è combinata con quella dell'ambiente continentale miceneo. Il tumulo dell'alto arcaismo ha una crepidine in pietre (Velanideza, Vourva, Maratona) ma l'estrinsecazione è data dalla stele e dai σήματα. L'area di diffusione delle stele connesse col tumulo arriva del resto alla Crimea. Il tumulo, che è sepolcro collettivo (di γένη o di gruppi, come il tumulo degli Ateniesi a Maratona del 490) si mantiene in Attica fino ad epoca più recente, sopravvivendo in dimensioni ridotte per tutta l'età classica, come indicano anche figurazioni funerarie su vasi dipinti. L'evidenza dell'elemento terminale è sviluppato talora, combinando tradizioni diverse, nella costruzione turriforme alla sommità del tumulo (Eretria). Il piccolo τύμβος delle figurazioni del V sec. a. C. è talora decorato esteriormente da figure ed è rappresentato sempre come oggetto di culto. Il Matz ha rilevato che la morfologia esteriore non presenta sostanziali varianti nella preistoria ed in età storica, ma la descrizione platonica (Nom., xii) di un tumulo con camera interna e klinai attesta la concezione del sepolcro come casa dei defunti e l'allusione delle klìnai al banchetto, ciò che del resto è largamente attestato nei corredi funerarî dell'arcaismo e della periferia greca, anche dove in luogo della camera con le klìnai si trova la sola fossa con il vasellame e le suppellettili deposte attorno alla salma. Tumuli si sono costruiti in gran numero in Macedonia durante il III sec. (Pidna, Pella, Palatitza, Niausta, Langaza) in Asia (Termessos, tumulo di Alcestas; Pergamo) e ad Alessandria d'Egitto, per influenza macedone. Il segnacolo funerario è particolare dell'Attica in differenti forme: il vaso funerario del sepolcreto più antico del Dipylon è già una estrinsecazione della tomba, mentre risponde allo scopo di raccogliere le offerte, è già quindi, in certo senso, un elemento persistente ed attuale del "dialogo" fra il sepolcro e i viventi sotto specie funzionale.

Importante per i suoi sviluppi in senso architettonico la τράπεζα, di cui abbiamo menzioni letterarie - Temistocle (Plut., Them., 22) e Isocrate (Plut., Isocr., 838) - e per i sepolcri indirette testimonianze in pitture ceramiche. La τράπεζα, tavola per offerte, quindi espressamente tema rituale, si qualifica come μνῆμα attraverso l'iscrizione (Thera). Il carattere rituale è forse meglio qualificato nelle piccole dimensioni dei monumenti più antichi, ma già dall'arcaismo in Attica essa è una costruzione in pietra squadrata o in laterizio (Vourva) con divisione interna a sezioni, cornice superiore a πίνακες applicati esteriormente. L'esemplare di Haghia Triada indica già da epoca assai antica il carattere di costruzione di lusso, ma l'uso si generalizza presto, anche in materiale deperibile. Certo più tardi in taluni casi si arriva a dimensioni grandiose, con nicchie nella faccia frontale. Non è aberrante dal significato originario il fatto che la τράπεζα diventi una base destinata a sorreggere, come in quelle di Polyxenos di Messene nel cimitero del Ceramico, lèkythoi di marmo, altre volte anche loutrophòroi. Inoltre la base sorregge anche delle stele o altri tipi di segnacoli e riceve nella fronte, talora, una iscrizione. Il complesso diventa così monumento in pieno senso, anche senza una vera e propria elaborazione architettonica. Nei monumenti familiari attici, spesso si trovano disposti, senza un vero ordine, segnacoli vari ed anche opere plastiche, qualche volta dovute a maestri famosi: Pausania (1, 2, 3) ricorda il gruppo di un cavaliere, opera di Prassitele (di Kephisodotos?). Il m. f. degli Eracleoti al Dipylon, ricostruito dal Brückner, reca alla sommità una serie di stele di forma e dimensioni diverse, e due lèkythoi, allineate in maniera paratattica, con simmetria approssimativa. Così un altro cospicuo m. f. della fine del V sec., con alto basamento ad opera quadrata ha tre stele alla sommità. Lo sviluppo del basamento ha suggerito la definizione di "terrazza funeraria" (Ohly). Diverso e più elaborato il m. f. di Dexileos del 394, configurato ad esedra su basamento e al di sopra della quale è messa in evidenza la stele. Questa in genere, per il suo apparato figurale ed epigrafico, è in sostanza il vero μνῆμα circostanziatamente allusivo, e finisce con l'assumere essa stessa la forma, non la semplice sagomatura architettonica, e l'aspetto di naiskos (stele di Aristonautes) nel corso del IV sec., aspetto che rimarrà poi largamente diffuso nelle stele di età ellenistica. Del IV sec. è anche un m. f. di carattere pubblico, al Ceramico: il basamento si articola in due ante alle estremità con, nel mezzo, un corpo rotondo, su cui è impostata una costruzione cilindrica, a tetto conico e con una grande loutrophòros alla sommità.

La legge suntuaria di Demetrio del Falero (317-307) contro il lusso dei sepolcri, interruppe le più vistose manifestazioni funerarie in senso artistico, ma non si può dire che alterasse sostanzialmente gli indirizzi proprî di Atene nel settore contemplato, in quanto la tradizione attica aveva sempre mantenuto i programmi funerarî entro limiti assai discreti. Demetrio ammise la tràpeza (mensa nella trascrizione ciceroniana: De Zeg., 11, 66), la quale, secondo lo spirito del provvedimento, si deve pensare abbia perduto la dimensione architettonica, χιονίσκοι (columellae), λουτη230ρια (labella; v. menadi). Di questi elementi il solo che si può riconnettere con l'architettura sono i χιονίσκοι, per la loro affinità con la colonna. Ad Haghia Triada è conservato del resto un segnacolo a colonna, di notevoli dimensioni: quello di Bion e Archelaos, recante alla sommità un vaso. M. f. a colonne su basi sono ricordati del resto per Sicione. Colonne funerarie appartenevano altresì al cimitero del Ceramico, come già in precedenza (Xenvares, Corcyra).

Più che per particolari realizzazioni delle città d'Asia, l'area ionica è interessante per la diffusione delle forme architettoniche greche e per le conseguenti realizzazioni dell'entroterra è delle stesse zone costiere non greche e solo parzialmente grecizzate. Il m. delle Arpie di Xanthos è una costruzione licia a torre in cui l'acquisizione dell'arte greca è limitata al solo fregio figurato. La stessa genesi è anche quella dello heròon di Trysa (GiölbaŞi), ma nel m. delle Nereidi l'adozione dell'architettura templare modifica già sostanzialmente, in senso greco, la struttura del m. f.; il m. delle Nereidi è un tempio ionico eretto su di un alto basamento. Il fregio figurato svolto sulle due assise superiori del podio è un tratto anellenico: esso riassume ad un tempo il recinto con figurazioni di Trysa e il coronamento figurato del m. delle Arpie. Il m. delle Nereidi è della fine del V sec. a. C.; del 394 è il m. di Cnido, eretto ufficialmente dagli Ateniesi: il m. del Leone, non è tuttavia un vero inserto attico, esso costituisce sì una interpretazione architettonica del χῶμα, ma per la sua altezza deve essere messo in rapporto anche con i precedenti m. locali: il corpo, sul basamento, è circondato da una pseudoperistasi dorica, con fregio dorico nella trabeazione. Il coronamento a gradoni sorregge l'emblema funerario del leone, che appare qui per la prima volta, ma è ripetuto poco dopo, nel corso dello stesso IV sec., ad Amphipolis e nel leone su piramide a Cheronea, ma senza un'analoga sostruzione architettonica. M. delle Nereidi e m. del Leone costituiscono i precedenti diretti del Mausoleo di Alicarnasso, che è l'esempio più imponente dell'eclettismo greco-indigeno sotto il segno della libertà inventiva ionica (v. mausoleo), il più imponente ma non l'unico, perché nell'età ellenistica la "rinascenza" ionica di cui già il Mausoleo è una espressione, produce altri monumenti, i quali rientrano nel suo clima anche se l'ordine architettonico non è espressamente lo ionico. I motivi del Mausoleo sono in parte ancora quelli del m. delle Nereidi: il fregio figurato alla sommità del basamento, le statue negli intercolumni, ma più prossimi al m. del Leone sono la terminazione a gradoni e l'acroterio figurato alla sommità. Posteriore di un secolo circa al Mausoleo è il grande m. di Belevi; a parte la terminazione, che è incerta, lo schema è quello del m. più antico e più famoso, solo che la peristasi è corinzia e alla sommità del basamento corre, in luogo del fregio ionico figurato, un triglỳphion dorico, embrione della sovrapposizione degli ordini, che è uno dei portati dell'ellenismo. Alquanto differenziato è il più tardo m. di Mylasa (circa 75 a. C.) dove il podio regge una peristasi corinzia senza cella interna e con pilastri in luogo delle colonne angolari. Il coronamento era a piramide, con elementi interni che svolgevano in ottagono il quadrato della trabeazione. Il m. di Hamrath a Suweida in Siria, circa contemporaneo, ricorda invece più da vicino il m. del Leone di Cnido: la pseudoperistasi a mezze colonne doriche con fregio dorico regolare, lo sviluppo in larghezza dànno al m. un aspetto pesante e massiccio; elementi figurati di panoplia sono rilevanti negli intercolumni, la terminazione era a piramide a gradoni. Successivi sviluppi di questi tipi monumentali appartengono cronologicamente all'epoca romana e pertanto se ne tratterà più oltre nel corso di questo articolo; conviene però fissare qui un punto fondamentale, che cioè essi rappresentano la persistenza del filone ellenistico e tradizionale asiatico, e, con le loro numerose varianti, il più evidente collegamento con aree diverse e vaste della oikoumène romanizzata.

Vere costruzioni templari funerarie non sono ignote, ma nemmeno molto comuni: il tempio dedicato sulla via sacra di Eleusi da Arpalo all'etera Pythionike, del resto apoteosizzata, rappresenta in Attica un innesto asiatico, da collegare con la permanenza di Arpalo in Asia come tesoriere di Alessandro. In questa accezione di heròon sono da intendere il tempio di Cambasli (Cilicia), in antis, distilo corinzio, quelli di Arros e di Delfi, di Magnesia al Meandro e Priene. Singolare il complesso di Léon a Kalidon, della fine del II secolo, con una piccola aula a T e una serie di camere prospicienti un peribolo dorico. A questo proposito vanno pure ricordate le tombe a corte porticata di Nea Paphos (Cipro) e le più tarde tombe a cortile della Siria. Il Charmylèion di Coo era una costruzione a più piani con camere nell'inferiore e un portico ionico aperto nel superiore. Altri tipi di edifici sepolcrali monumentali non sono in realtà molto numerosi nei paesi di cultura greca. A Cirene, nella vasta necropoli composta prevalentemente di tombe rupestri, si distinguono sepolcri a recinto con camera coperta a terrazza, cui sovrasta un enorme sarcofago, con testate a timpano e acroterî. Il m. turriforme compare in Occidente, ma molto tardi, nella cosiddetta Tomba di Terone ad Agrigento; per il resto l'architettura delle colonie greche d'Italia e di Sicilia non ha prodotto monumenti funerari di rilevante importanza, essendo generalizzato l'uso delle tombe a fossa e, specialmente nella periferia, delle tombe a camera ipogee con fronte architettonica.

E. - Civiltà dell'Asia Minore. - L'Asia Minore costituisce una delle aree più interessanti per lo sviluppo e la conservazione di talune tipologie, e per le varianti causate da influssi esterni e per l'irradiazione delle forme locali in altre aree anche vaste e lontane. I tipi caratteristici, oltre il tumulo, documentato anche per l'età omerica (Il., xxiv, 795), sono le tombe rupestri a camera, con facciata architettonica, spesso scaglionate irregolarmente su scoscendimenti rocciosi, e le tombe a torre, le quali presentano numerose varianti. Fra le più antiche della prima categoria è la tomba di Lĕgen (Bossert, Altanatolien, [in avanti citato BAA] 1027) della fine del VII sec. a. C., con facciata a timpano e decorazione geometrica a meandri, svolta su di una unitaria superficie riquadrata. Di poco posteriore una tomba di Demir Kalè (BAA, 1023) senza uno schema architettonico, ma con una figurazione araldica di due leoni ai lati di un betilo; il gruppo ha disposizione piramidale e pertanto si inserisce nella tipologia della decorazione a timpano, anche se questo non è espresso propriamente in termini architettonici. Nella stessa epoca il tipo si estende alla Licaonia con la tomba di Kalekop, dove solo i contorni della facciata a spioventi sono scolpiti sulla roccia e sulla superficie della facciata stessa sono disposti con approssimativa simmetria animali simbolici (leoni-capri, tori) e gruppi di animali in lotta; la porta è distinta da un incavo rettangolare con due tozze semicolonne: questo particolare appariva già del resto nella semplicissima facciata di Siğauli Su, nella regione del Mar Nero (BAA, 1032) anteriore al X sec. a. C. Forse alquanto anteriori le facciate architettoniche di Karakonyulu che svolgono già il tema della parte inferiore spartita da un pilastro centrale (BAA, 1039) e quella più semplice di Amasya (BAA, 1041). Molto affini al tipo di Leğen sono la tomba di Yazilikaya, detta Tomba di Mida (BAA, 1028) del principio del VI sec. e una tomba di Demir Kalè (BAA, 1033) coeva con riquadri anziché meandri e una più netta distinzione fra il corpo inferiore ed il timpano, esattamente descritto nei suoi elementi. Nella cosiddetta tomba di Azerastis a Doğanli Derezi (BAA, 1029), della metà del sec. VI, si hanno solo rinfasci decorati a motivi geometrici a rilievo assai basso, secondo un tema che si ripete in un edificio di Gordion (BAA, 1044) con rinfasci a formelle di ceramica policroma.

Alcuni caratteri sono assai chiari in sede generale: l'analogia che si è costantemente voluta sottolineare con l'architettura delle case, ad elementi strutturali di legno con motivi decorativi e soprattutto il fatto che in queste facciate rupestri, dove il tema architettonico è praticamente al di fuori di ogni esigenza funzionale, sono semplicemente allusive. Si afferma così quella tendenza alla funzionalità apparente, alla "rappresentazione architettonica" che diventa poi frequentissima nella tematica funeraria del mondo antico. Collateralmente s'inseriscono elementi figurativi di un apparato simbologico (Leğen, Demir Kalè, Kalekop) della cui ascendenza ci siamo già occupati.

Dal VI sec. la pseudoarchitettura funeraria microasiatica comincia ad affermare un'esigenza di organicità, la quale non si trasforma subito in funzionalità architettonica, ma impone almeno una ricerca di definizione nella "descrizione architettonica" (Gordion) o sottolinea gli elementi portanti come in una facciata di Sardi con paraste finenti in palmette ioniche (BAA, 149).

Alla fine del V sec. tali esigenze si concretano nella "traduzione", che si rileva nella facciata di BahŞayiŞ (BAA, 1030) del tema accennato nella seconda tomba di Demir Kalè, delle forme del prostilo tetrastilo ionico, sicché si può ritenere che il fenomeno dipenda dall'influenza greca. Al IV sec. si riporta tutta un'imponente serie di tombe rupestri licie, fra cui i numerosi gruppi di Köyçic e quello, con tipi assai semplificati, di KöybaŞi. Queste tombe licie, che talora occupano a gruppi intere pareti rocciose, sono sempre organizzate rigorosamente sul motivo della facciata ripartita verticalmente in zone e presentano una riproduzione ad alto rilievo, con una minuta analisi dei particolari struttivi, degli elementi dell'architettura ad intelaiatura di legno. Non di rado come a Pinara e KöybaŞi la pietra è stata asportata attorno in modo da conferire al monumento un volume architettonico pronunciato. Tale indirizzo verso la verosimiglianza di forme architettoniche in realtà non funzionali, perché ricavate scolpendo la roccia, mantiene la tipologia locale senza essere influenzata dall'arte greca. L'influenza, se mai, è di ordine figurativo, come nella tomba di Limyra (BAA, 245) con figurazioni di offerenti ai lati della porta e quella, meno nota, della stessa località (BAA, 240) dove i membri di una famiglia sono rappresentati numerosi ai lati di una facciata di tipo tradizionale con solo marginali accenni a forme decorative dell'architettura lignea (BAA, 240). In una tomba di Kekova (BAA, 244) un complicato apparato figurativo (scena di pròthesis) s'inserisce nel consueto contesto pseudoarchitettonico. Contemporaneamente a Pinara (BAA, 242) una tomba rupestre ha una fronte ogivale (cfr. altra tomba di Hoyran, BAA, 243) che include la tipica partitura degli elementi portanti verticali e di quelli orizzontali. Soltanto in età ellenistica nelle tombe rupestri di Gözlük Uyu (Caria) (BAA, 215) e di Krya (BAA, 216) la fronte è quella di un prostilo greco nelle sue forme originali. La tradizione delle tombe rupestri si mantiene durevolmente in Anatolia ed ancora in età imperiale romana alcune facciate della Licaonia la conservano: a Gargara con semplici arcature che includono la porta, a Bozkir con porte architettoniche sormontate da rilievi con leoni (BAA, 1114-15), a Fasillar, la tomba di Loukianos ha una porta ad arco su paraste munite di capitelli e, di fianco, una figura di cavallo a rilievo. In tutta questa lunga escursione cronologica, di oltre un millennio, è evidente la sentita esigenza di estrinsecare il sepolcro conferendogli non solo una tematica ben precisa, ma anche, sebbene saltuariamente, una comunicatività attraverso figure e simboli, fino a perpetuare figurativamente la pietas dei superstiti nei rilievi di Limyra. È evidente anche la persistenza del concetto originario della tomba sotterranea, che non può avere consistenza di edificio autonomo. Fa eccezione solamente la Licia dove, nel corso del sec. IV, la semplice rappresentazione allusiva cede gradualmente all'esigenza di una dimensione e di un volume architettonici, mentre si costruiscono anche edifici a sé stanti, cioè le tombe a torre. Elementi distintivi di queste sono la precisa definizione geometrica dei volumi e la distinzione funzionale dei vari piani sovrapposti. Già nel V sec. il monumento di Xanthos detto "delle Arpie,, è un parallelepipedo verticale con copertura espansa, sotto la quale correva il notissimo fregio, opera di influenza attica. Anche in questo caso l'influenza greca si arresta in un primo momento all'apparato figurativo; così è anche in un secondo monumento di Xanthos (BAA, 254) dove la torre sormonta una facciata architettonica del tipo tradizionale già esaminato. Nel monumento di Trysa (GiölbaŞi) che è essenzialmente un monumento a recinto, la torre licia sorge entro uno spazio circoscritto da un muro, coperto dai notissimi rilievi. Questo concetto dello spazio recinto non è licio, ma piuttosto greco, e non discende dalla sfera funeraria normale, ma da quella religiosa degli heròa. La torre è a cubi sovrapposti in un esemplare di Limyra della fine del V sec., a prisma come a Xanthos o ad Hoyran (BAA, 232, dove un riquadro alla sommità chiude una figura) oppure, come a Sura, Limyra, Fettyé è sormontato da un elemento coperto dalla tipica copertura ogivale. Nel monumento di Sura si ha l'associazione della torre con la fronte architettonica come a Xanthos; il corpo con copertura ogivale si trova anche sovrapposto ad elementi d'altra forma come a Cyndan, dove uno zoccolo iscritto lo separa da un basamento col motivo consueto delle facciate (circa 450 a. C.; BAA, 236). Esempî consimili sono pure a Limyra e Fettyé (BAA, 248-51), Aperlay e Pinara (BAA, 252-53). Poiché la copertura ogivale è stata usata anche per sarcofagi, questi si possono considerare derivati dal tipo anzidetto, dove l'elemento a copertura ogivale è essenzialmente un loculo sepolcrale che si è inteso elevare su di un basamento architettonico. Il trasferimento del loculo dal sotterraneo alla sommità del monumento implica tutto un complesso di motivi, non escluso quello della sicurezza, ma soprattutto va inteso come un attolli super ceteros mortales, principio che sarà ripreso in età ellenistica in accezione diversa ed entrerà largamente nella tematica del monumento onorario.

Alla fine del V sec. il monumento a torre assume forme grecizzanti. Nel citato Monumento delle Nereidi di Xanthos (v.) la camera sepolcrale alla sommità è contornata da una peristasi ionica. Il tipo ha un'importanza grandissima, perché, trasformando la torre in una edicola templare su podio, anticipa il Mausoleo di Alicarnasso di Caria, del sec. IV, opera originale degli architetti Pitheos e Satyros, che si fonda tuttavia su di una larghissima base culturale. Lo ionismo delle forme architettoniche, primo avvio al ritorno all'attualità dell'ordine ionico in programmi grandiosi, riveste un concetto anellenico, dove il substrato anatolico si complica per l'imposizione della cuspide di copertura, stilizzazione geometrica del tumulo protostorico attraverso l'intermedio della piramide o meglio forse della mastaba a gradoni egizia. Poiché il Mausoleo è datato e non si hanno esempi anteriori del tipo, si può ritenere che la celebrità di questo monumento sia stata determinante nel successivo moltiplicarsi di costruzioni funerarie a copertura piramidale in Oriente e soprattutto in Occidente. Monumenti e cippi dell'area fenicio-palestinese coperti da piramidi non entrano in discussione a causa dell'incertezza sulla loro datazione.

F. - Civiltà persiana. - L'eclettismo dell'arte della Persia nella regione centrale dell'impero riflette influenze del Mediterraneo e dell'Egitto, delle quali anzi l'area persiana costituisce l'estrema propaggine orientale. La grandiosità fastosa dell'architettura di corte non si riflette tuttavia nei monumenti funerarî. Il tipo rappresentato dalla tomba di Giro a Pasargade, consiste in una camera sepolcrale con tetto a spioventi circondata per tre lati da un portico a colonne. Non è un monumento a recinto, il portico ha infatti la funzione di un fondale scenografico che sottolinea la solennità della semplice camera elevata sul podio a gradoni. Il risalto che il sepolcro viene così ad avere è un tratto nuovo e anticipa soluzioni posteriori. In seguito tuttavia questo tipo è abbandonato per la tomba rupestre, per influenza, si è supposto, egiziana, ma forse piuttosto anatolica, dato che all'ampia facciata corrisponde un minimo spazio interno. Il complesso di Naqsh-i Rustam presenta un tipo uniforme: l'incavo della facciata è a croce il cui braccio trasverso è tutto occupato da un colonnato, riproducente il prospetto dell'apadāna; in alto è il rilievo con il re davanti all'altare del fuoco, mentre dal cielo scende il dio Ahura Mazdāh. L'inserimento della fronte colonnata è apparso a qualche studioso una novità, rispetto alle facciate rupestri egiziane, ma appunto per questa versione architettonica si deve pensare anche all'Anatolia; nuova è l'introduzione del rilievo celebrativo, portato all'esterno e quindi assunto come elemento di comunicatività del m. funerario. Costruzione tipica persiana è la torre, edificio isolato, di cui non è del tutto sicura la funzione di sepolcro. Esemplari molto semplici di facciate rupestri di stile di tipo anatolico non sono ignoti in Persia (Zerpul). Il grande m. f. scompare con la dinastia degli Achemènidi, intorno alla quale si è svolta la grande architettura persiana.

G. - Civiltà dell'Asia sud-occidentale: Siria, Fenicia, Giudea e regioni contermini. - Per la sua situazione geografica l'area siro-fenicia è aperta largamente a rapporti esterni e suscettibile di acquisizioni e di propagazioni. Non si può dire che essa abbia avuto, nelle costruzioni di m. f. una sequenza cronologica continua né una tipologia esclusiva. Nella Siria centrale è antichissimo l'uso delle stele figurate con simbolo o con la personificazione del defunto (Ramḥ, Kalè, Rās Shamrah, Tell Aḥmar, Arslan TaŞ, ecc.) ma questo elemento non ha avuto un proprio e conseguenziale sviluppo. Una certa diffusione ha avuto la tomba rupestre, non di rado a fronte architettonica, talora in serie regolari con ripetizione di forme identiche, come negli esemplari a doppio fregio geometrico, di modeste dimensioni. In esse, a differenza delle tombe rupestri anatoliche, è costantemente perseguita la definizione volumetrica, senza limitarsi alla "semplice rappresentazione architettonica" a rilievo. Le tombe di epoca ellenistica e romana offrono esempî di un eclettismo che non riesce a fondersi in espressioni originali. Interessante a questo proposito è la sequenza delle tombe rupestri transgiordane che vanno da una semplice porta architravata (Perrot-Chipiez [in seguito PCh], 143), alle più fastose facciate di Medā'in Ṣāliḥ (v.), del I sec. d. C. Esse presentano un ordine applicato che inquadra la porta architettonica, la quale in un caso (BAA, 1219) ha l'architrave con fregio dorico; in un'altra tomba la porta è sormontata da un gruppo araldico di animali.

La tomba con la porta "dorica" ha la fronte a due piani, il secondo dei quali appare sostenuto da pilastri. Il coronamento è a merlature a gradini. Un terzo monumento, che nelle paraste presenta motivi egittizzanti, è pure a due piani e termina con un frontone sormontato da un'aquila acroteriale. Un secondo tipo di fronte rupestre ha la facciata inquadrata da elementi turriformi, in un caso (PCh, iv, 43,) più alte della fronte che ha coronamento egittizzante, m un altro caso (PCh, iv, A 44) il corpo centrale reca una loggia di ordine dorico, il cui architrave sopporta una serie di gradoni; la facciata è terminata a timpano. Un sistema analogo si riscontra in cippi triplici della Sardegna fenicia (Tharros). Una terza tomba (PCh, iv, 143) ha una vera fronte di edicola dorica in antis a due colonne.

Più varia la tipologia delle costruzioni sepolcrali vere e proprie e dei monumenti isolati, in genere di epoca non molto antica. Il monolito di Siloam (PCh, iv, 187) è un dado resecato dalla roccia, incavato internamente a camera e finito in alto da una pesante cornice ma più frequenti sono le costruzioni autonome: la tomba di Hiram (PCh, iii, 113) è essenzialmente un sarcofago a spioventi elevato su un alto basamento, senza decorazioni; allo stesso sistema verticale appartengono i meghāzil di Amrit, già di età romana. I monumenti risultano dalla sovrapposizione di una piramide ad un cubo (PCh, iii, 6; in questo monumento si ha nel lato anteriore una finta scalea) con l'intermedio di una pesante cornice; di due elementi a prisma quadrato terminati da una piramide; da elementi cilindrici, in quest'ultimo esempio (BAA, 379) della prima età imperiale romana, il monumento termina con una semisfera e dal cilindro di base sporgono avancorpi di leoni. Forme analoghe si trovano anche in piccoli segnacoli funerarî: un cippo di Sidone (PCh, iii, 121) è terminato a semisfera e uno di Kition (PCh, iv, 203) è un pilastro quadrato su basamento, terminato da una piramide. Da ricordare la presenza di piccoli monumenti analoghi nelle aree occidentali d'influenza fenicia, come due cippi di Tharros (PCh, iii, 172-173), uno formato da un cubo e da una piramide, l'altro da due parallelepipedi e da una mezza sfera. Due monumenti di Amrit sono costruiti con massicci blocchi di grandi proporzioni i quali sovrastano una camera sotterranea cui si accede mediante una lunga scala. Sono essi quindi esclusivamente dei segnacoli esterni e si differenziano pertanto dalla maggior parte dei monumenti asiatici, destinati tutti a contenere la sepoltura in qualche loro parte. Perciò è soltanto morfologica l'analogia con monumenti di Amatunte di Cipro a parallelepipedo oppure a spioventi (PCh, iii, 153-154).

I monumenti siriaci più diffusi sono quelli ad edicola cuspidata, per cui si deve accennare al rapporto con la piramide; in effetti una piramide a gradoni esiste a Damit el-Alya, peraltro di datazione incerta. Il tipo a dado con piramide sovrapposta è esemplificato dal monumento di Dana, di età romana (v. sotto) dove però il dado ha la funzione di camera e un colonnato precede l'ingresso. In genere il monumento è formato da un podio che regge un'edicola a colonne, in diversi esempi tardi anche un arco quadrifronte, il tutto con terminazione a piramide; la funzione di camera è svolta dal basamento. È evidente qui l'influenza del Mausoleo (el-Hermel, circa 100 a. C.). Concetto analogo in forme diverse è rappresentato in Palestina dalle tombe della valle del Cedron dette di Assalonne e di Zaccaria, la prima che sovrappone un cilindro ad un dado, con terminazione conica, l'altra a cubo con terminazione a piramide e un sistema di paraste attorno al corpo dell'edificio.

Soprattutto la Tomba d'Assalonne (v. gerusalemme) è esempio del permanere dell'eclettismo che giustappone elementi tradizionali, grecizzanti ed egittizzanti. La Siria ha conservato una quantità di monumenti a copertura piramidale, con diverse sfumature tipologiche, mentre in altre zone è caratteristica la torre funeraria, come a Palmira e Dura-Europos.

H. - Civiltà etrusca. - Le tombe più largamente diffuse nell'Etruria meridionale fin dall'arcaismo sono quelle a camera senza alcun elemento esterno di riferimento, fuorché l'apertura del dròmos di accesso, privo in ogni caso di apparato architettonico. La costruzione funeraria esterna è unicamente il tumulo, con camera interna. Fra gli esemplari più arcaici il tumulo Regolini-Galassi, cui seguono nel tempo quelli della necropoli ceretana della Banditaccia, alcuni dei quali discendono fino ad epoca molto tarda, continuando sempre la stessa forma esterna: uno zoccolo in pietra che limita il terrapieno subconico. Nell'Etruria centro-settentrionale è pure diffuso il tumulo (Camucia, Vetulonia, Quinto Fiorentino) che non si diffonde però nelle zone etruschizzate oltre l'Appennino dove sono esclusive le tombe a fossa (o a cassa di pietra, ciottoli, tavolati lignei) con segnacolo esterno a cippo, stele o analoghi (Bologna, Marzabotto, Spina). La tomba a cippo e a stele è del resto diffusa in tutta l'area centro-settentrionale, da Chiusi alla zona di Firenze.

L'organizzazione interna del tumulo, a corridoio o a vani multipli sul modello della casa, è analoga a quella delle tombe a camera scavate nella roccia, spesso decorate da pitture o rilievi. L'estrinsecazione della tematica figurale funeraria si trova spesso nelle stele e, a Chiusi e nella regione fiorentina, anche nei cippi. A Chiusi si trova anche, come a Marzabotto, la colonnetta funeraria che sorregge un elemento terminale sferoide o a forma di frutto di fico. La maggior varietà di m. f. architettonici si trova nelle fronti di tombe rupestri (Castel d'Asso, Barbarano, Norchia, Sovana, Blera). In un sepolcro arcaico di Castel d'Asso è una semplice porta, al di sopra della quale corre una modanatura. È in questo sepolcro già evidente il carattere commemorativo attraverso l'iscrizione incisa nella cornice. Un altro sepolcro arcaico (S. Giuliano di Barbarano) ha un'alta base liscia sulla quale è un dado con modanature. Lo stesso tipo, ma in un caso con fronte più estesa, ritorna nella necropoli di Blera, dove il dado, per la presenza della porta, si caratterizza come fronte della camera funeraria. Più largamente svolte in senso architettonico le cosiddette "tombe doriche" di Norchia, che ripetono una fronte templare con fregio dorico e timpano decorato da rilievi. Anche sulla parete frontale di una di esse è un rilievo figurato; la Tomba Lattanzi nel doppio ordine di portici su zoccolo squadrato, ripete forme dell'architettura civile ellenistica. Il vastissimo complesso di Sovana presenta una tipologia assai varia: le tombe della località Folonia sono a dado rastremato con finta porta e cornice superiore, una è a semplice dado; nel gruppo di Poggio Stanziale si trovano il dado modanato o sormontato da una colonnetta, accanto al tipo "a capanna", rappresentazione architettonica di una capanna con tetto a spioventi e larga apertura centinata. Si ha ancora a Sovana la fronte templare in antis con timpano e columen e finta porta. La Tomba Sirena è costituita da un corpo cubico con fregio dorico in cui è figurata un'apertura ad arco entro il quale è il rilievo del defunto sul letto funebre; ai lati sono due statue su basi, al di sopra del fregio si eleva una grande fronte con una figura di Scilla a rilievo, che sembra essere pensata come "portata" dal corpo sottostante. Lo schema templare ritorna in alcune tombe ad edicola, sempre con finta porta, in un caso inserita entro un vano ad arco (Tomba 118). Le più importanti sono indubbiamente la Tomba Pola e la Tomba Ildebranda, entrambe di età ellenistica. La fronte della Tomba Pola è quella di un tempio octastilo con frontone, elevantesi su di un alto basamento liscio. La Tomba Ildebranda ha gli elementi architettonici nettamente e profondamente separati dalla roccia di fondo: su di un alto basamento modanato, fiancheggiato da scalette, è una vera edicola tetrastila con quattro colonne anche sui lati; i colonnati laterali terminano contro un'anta per parte; la peristasi definisce l'ambulacro su tre lati dell'edicola. Non risulta che sopra la trabeazione si elevassero altri elementi. I capitelli sono interessantissimi perché rappresentano già un ordine "composito" (Bianchi Bandinelli). La Tomba Ildebranda è un unicum nell'architettura funeraria etrusca, perché ormai resa autonoma dal semplice concetto della "rappresentazione architettonica" comune alle tombe rupestri. In essa, come nella Tomba Pola, l'accentuazione della forma templare esce dai limiti semplicemente tipologici per insistere sul valore semantico, in rapporto al concetto della eroizzazione.

Plinio (Nat. hist., xxxvi, 91) descrisse come tomba di Porsenna un monumento formato da uno zoccolo, al di sopra del quale era una piramide, fra quattro piramidi angolari minori. Lo schema è quello stesso del m. f. di Ariccia (v. sotto) e difficilmente era così arcaico come l'attribuzione ha fatto supporre.

Per quanto non si tratti di m. f., è tuttavia necessario richiamare qui due altri documenti dell'architettura funeraria etrusca, per il loro valore induttivo: l'urna di Tanquilus Masnia del Museo Gregoriano Etrusco, cilindrica a pseudomonoptero ionico, certamente derivata dall'architettura reale, e il sepolcro di Arnth Velimna nell'ipogeo di Perugia, consistente in un'urna con figura recumbente, sorretta da un basamento davanti al quale seggono due Lase: il rapporto è evidente con la Tomba Sirena di Sovana, anche perché al centro del basamento è un'apertura arcuata; ma qui nel vano arcuato è rappresentata una processione, per cui il monumento si configura come un fornice di passaggio, rilevando l'accezione funeraria del fornix, adottata anche in età romana (Pompei; v. sotto).

A m. f. appartenevano anche figure di animali come il grandioso leone di Vai Vidone, nel Museo Archeologico di Firenze e altri (Cerveteri, Bologna) di dimensioni minori. Non è tuttavia noto il contesto architettonico cui queste figure erano sovrapposte, da supporre almeno nel caso di Val Vidone, di carattere monumentale. Con il leone sono conservati resti di un grande basamento cilindrico.

I. - Civiltà romana. - 1. Generalità. - Nessuna civiltà antica ha moltiplicato i m. f. come quella romana, in parallelo con la serie vastissima di monumenti commemorativi, segnatamente in età imperiale, per quanto la storia del m. f. romano cominci relativamente tardi, non prima, in sostanza, del III sec. a. C. e la costruzione di monumenti su larga scala non prima della fine dell'età repubblicana. Il concetto di monumentum, quale è dichiarato da diversi scrittori latini, anche nell'accezione funeraria (Varro, De ling. Lat., vi, 49; Sulpic., in Cic., Adfam., iv, 12; Cic., Phil., xiv, 12, 31; Nep., Attic., 22; Ovid., Metam., xiii, 524; Plin., Nat. hist., vii, 187 c; xxxix, 1, 5; Paul. Diac., 139, 6; cfr. pure Dig., xi, 7, 42; Thes. Lat., s. v. Monumentum; Ernout-Meillet3, 1951 e Walde-Hoffmann 1954, s. v. Moneo), implica la complementarietà fra forma architettonica ed apparato figurativo ed epigrafico, che si generalizza e diventa canonica, qualunque sia la tipologia monumentale adottata. La varietà tipologica, in un periodo di quasi cinque secoli, le riprese, gli accostamenti e le compenetrazioni conferiscono alla storia del m. f. romano un eccezionale interesse, anche perché si deve tener conto dei diversi ambienti e della diversa temperie in cui i varî m. f. sono stati costruiti. Peraltro, nonostante le singolari differenze di tempo, di cultura e di ambiente ed il polimorfismo esteriore, il significato è sostanzialmente uniforme, implicito nella genesi stessa del fenomeno risultante di concetti insiti nel romanesimo e di apporti ellenistici. La tradizione del culto funerario e delle imagines degli antenati, connessa al concetto particolare romano della gens e della famiglia, si è ab antiquo combinata con quello della riservata proprietà e intangibilità dell'area sepolcrale. Ma l'acquisizione della cultura e della sensibilità ellenistiche ha portato ad una interpretazione nuova della coscienza della personalità, che si è riflessa anche sul concetto della famiglia. La religione funeraria è perciò uscita dall'ambito familiare per diventare fatto pubblico: attraverso il monumentum il defunto e il suo passato sono esposti e quasi imposti alla conoscenza generale. Nel corso del tempo i nuovi rapporti sociali e le possibilità economiche hanno fatto sì che l'uso si generalizzasse, sia come dovere di pietas, sia come coscienza del diritto di affermare, attraverso il monumentum, la propria personalità o il carattere della propria famiglia, presso i posteri e gli estranei. La formula giuridica in uso, di escludere dalla eredità il sepolcro, indica che questo è diventato spesso un fatto personale, per cui l'individuo ha inteso distinguersi dalla stessa continuità familiare, si è concretato in un feticismo della propria personalità oltre la tomba. Il noto testamento del Lingone (C.I.L., xiii, 5708) che vincolava gli eredi con complicate norme per assicurarsi il culto funerario, ne offre un esempio efficace. Questa accezione è confermata dal fatto che la storicizzazione di se stessi avviene di solito fuori di qualsiasi riferimento cronologico, che non siano i termini della vita del defunto o al più la sequenza genealogica, interna cioè al gruppo familiare: riferimenti ad una cronologia assoluta mancano sempre. Da Roma all'Italia ed alle province questi concetti si sono diffusi e sono stati universalmente accettati, variamente combinandosi con tradizioni ed atteggiamenti locali; si sono diffusi contemporaneamente alle differenti tipologie monumentali o hanno dato origine a forme nuove. Una cura esterna è spesso rivolta a caratterizzare il defunto anche più che nei suoi tratti fisionomici, nei suoi attributi e negli elementi allusivi al suo mondo spirituale, alla sua attività, alle sue funzioni. L'integrazione figurale al testo epigrafico, la maggiore immediatezza ed analisi della prima, vanno aumentando nel corso del tempo, fino a sovrapporsi quasi all'iscrizione ed a mettersi in primo piano rispetto al sistema architettonico. Questo processo, avvenuto un po' dovunque, è più evidente in taluni settori provinciali, dove questa concezione ha dato luogo a forme artistiche particolari. In Italia l'attribuzione alla forma architettonica ed all'iscrizione del significato primario si è protratta più a lungo, per quanto l'orientamento verso l'apparato figurativo sia in diretto rapporto, come trasposizione dalla sfera ufficiale alla privata, con l'analogo fenomeno avvertibile nel monumento commemorativo di carattere pubblico. Nel contesto figurativo, accanto all'elemento tradizionale del ritratto, non di rado più allusivo che iconografico, le scene di attività agricola o artigianale esprimevano il senso della vita vissuta, la simbologia a sfondo religioso o mitologico, siguificavano il patrimonio spirituale, la cultura di personaggi o di strati sociali. Dal monumento romano del fornaio Eurisace a quello dell'appaltatore di traffici fluviali del paese dei Treveri si sviluppa una tendenza a sostituire nel corpo stesso del monumentum valori figurativi a quelli architettonici, attribuendo dimensione architettonica ai primi. Nel continuo scambio fra architettura e plastica e nel contemporaneo processo di declassamento di elementi architettonici a funzione decorativa e di elementi decorativi o figurali enfatizzati alla misura architettonica si riconosce un fenomeno di carattere fondamentalmente barocco, tendente a sostituire l'espressionismo alla funzionalità, cioè alla razionalità. Questo sbocco è in parte implicito nello stesso carattere non funzionale di molti monumenti, non costituenti per sé problema architettonico in senso tecnico e strutturale e quindi predisposti a far trascurare i valori architettonici effettivi.

Nel lungo percorso storico dell'architettura romana i m. f. subiscono naturalmente l'effetto non solo delle diverse temperie del gusto, ma anche oscillazioni notevoli dipendenti dalla mentalità e dalle idee dei committenti, trattandosi di manifestazioni direttamente condizionate da fatti molto soggettivi, specialmente nel caso di realizzazioni architettoniche, per loro natura autonome rispetto alla routine artigianale della produzione in serie. In seguito saranno più ampiamente esaminati gli aspetti tipologici, qui si accennano alcuni caratteri generali, comuni a molti tipi. Gli esempî dell'Italia centrale presentano per lungo tempo delle costanti che si mostrano nella predilezione per i valori intrinsecamente architettonici e per i volumi definitivi. L'apparato figurativo è rilevante nel periodo repubblicano, come indicano numerosi rilievi funerari pompeiani e centro-italici. A Pompei sono diversi esempi anche di decorazioni pittoriche all'esterno delle costruzioni, oltre che all'interno, dove ciò è abbastanza normale. Una maggiore stringatezza e un uso più parco dell'apparato figurale è determinato dal diffondersi del gusto classicistico fra la fine del I sec. a. C. e l'inizio del successivo ed è un carattere che si estende anche al resto d'Italia: anche i monumenti padani insistono generalmente sull'aspetto architettonico e sulle iscrizioni dichiarative. Il monumento di Eurisace, abnorme per la forma e per la figurazione di soggetti di attività quotidiana, è in fondo un'eccezione, motivata dall'origine allogena del personaggio. Anche nell'area, sostanzialmente provinciale, dell'Italia del N, figurazioni del genere sono abbastanza rare. La policromia esteriore dell'edificio sepolcrale, mai abbandonata, riemerge frequentemente alla fine del I sec. d. C. e nel corso del II, attraverso l'impiego di laterizi di tonalità diverse, ma già prima una dicromia almeno si aveva anche senza ricorso alla pittura, per l'inserzione di elementi di pietra in un contesto laterizio (monumenti a cuspide di Bologna). L'impiego di materiali colorati nelle strutture è un concetto barocco che si accompagna, di fatto, con l'orientamento verso forme barocche anche nelle piante e nell'elevato degli edifici funerarî, con ricerche di effetti di plastica murale, per cui l'originaria funzionalità riesce fortemente modificata. Il m. f. anzi è uno dei campi in cui la fantasia degli architetti si esplica con maggiore libertà. Dopo l'età dei Severi si ritorna progressivamente alla integrale ricerca dei valori "architettonici": l'uso sempre più largo degli schemi a pianta centrale orienta gli architetti verso forme diverse dalle tradizionali. Un nuovo e più chiaro rapporto organico condiziona l'aspetto esteriore ai sistemi interni: lo spazio interno è il vero protagonista e si risolve così il dissidio fra la duplice tradizione della camera sepolcrale, funzionalmente necessaria, e quella del monumento concepito come segnacolo senza vero e proprio spazio interno. I monumenti tardoantichi s'impongono per la mole e, restituendo all'edificio una vita interna, si ricollegano al concetto ancestrale dell'intimità della tomba, riducendo e spesso eliminando ogni apparato figurativo.

Nella tarda antichità il numero dei grandi monumenti architettonici è ridottissimo, mentre i piccoli segnacoli (cippi, stele e similari) sono praticamente inesistenti.

2. Il recinto funerario. - Nell'ambiente romano la tradizione dell'heròon si combina, come elemento ancestrale e insieme come acquisizione culturale, con altre componenti più intrinsecamente connesse con la mentalità romana, al concetto soprattutto, specificato in senso giuridico ed etico, della definizione dell'area sepolcrale, concetto in cui il senso della proprietà si associa a quello dell'intangibilità religiosa del sepolcro. Il numero veramente imponentissimo di cippi terminali e di menzioni epigrafiche delle misure delle aree, indica che in pratica una definizione del confine esisteva sempre, quando essa non fosse già implicitamente stabilita nelle tombe a camera, nei colombarî e simili. Si dovranno considerare qui solo quei monumenti in cui l'insieme del recinto ha assunto fisionomia architettonica, il che è direttamente testimoniato fin dall'età repubblicana e dalla prima epoca imperiale. L'altezza della recinzione anzi sottolineava spesso la conchiusione e l'inaccessibilità dell'area in numerosi sepolcri delle necropoli ostiensi e pompeiane; in certo senso rientra nello stesso ordine di idee il triclinio funerario pompeiano ipetrale, che specifica la funzione dell'area conchiusa in rapporto alla riservatezza familiare delle cerimonie del culto funerario. Un'organicità architettonica dei diversi elementi del m. f., del recinto, cioè, e del segnacolo, era già realizzata nei sepolcri ostiensi e pompeiani, portando il segnacolo (altare) su alto basamento sulla linea frontale del recinto, determinando un'articolazione e talora una centralizzazione della fronte stessa. Non si conosce quale elemento monumentale fosse compreso nel recinto, munito di cippi angolari, di Aulo Irzio a Roma, datato sicuramente nel 43, e notevolmente esteso, ma non amplissimo; così è anche l'area del secondo recinto rinvenuto alla Cancelleria; forse in relazione alla disponibilità dell'area nel Campo Marzio. I muri del recinto del sepolcro di Irzio erano alti m 2,65, di altezza quindi tale da garantire la riservatezza dello spazio interno. Nell'età augustea cominciano ad essere ricordate aree di dimensioni enormi che hanno incontrato la riprovazione di Orazio (Sat., i, 8, 12-13) come pure il costume sempre più diffuso di escludere il sepolcro dalla successione ereditaria. Il m. f. a recinto assume in seguito, a Roma, sviluppi architettonici diversi, sempre sul tema dell'area conchiusa: così nel sepolcro di Vigna Codini e nella tomba 97 della necropoli di Porto. Anche più concretamente questo risultato si vede raggiunto in un altro sepolcro della stessa necropoli portuense: l'alto muro perimetrale, in cui è praticata la porta d'accesso, comprende all'interno più serie di nicchie, come un colombario ipetrale; al fondo è una costruzione a due arcate con una camera alla base del pilastro centrale; agli effetti di massa e di volumi si associa quello della policromia per l'uso del laterizio e della pietra. Un rilievo del m. degli Haterii testimonia l'esistenza a Roma anche di un'altra versione del recinto funerario: una balaustra con pilastrini disposti di spigolo. Il m. degli Haterii è di età flavia e può servire quindi come utile riferimento cronologico. Questo tipo è diffuso particolarmente, anche in epoca più antica, in Italia settentrionale: a Sarsina piccoli recinti racchiudenti un'area in cui si elevava una stele o un altare erano già costruiti alla fine del I sec. a. C.; ad Aquileia il m. dei Curii, di età augustea, aveva un recinto a muratura continua, con cippi angolari che ripetono la terminazione a cuspide dell'edicola (v. sopra). Sempre ad Aquileia, tutto un gruppo di recinti funerarî flavî, organizzato in senso urbanistico lungo una via, presenta lo stesso tema: all'interno dell'area cippi, segnacoli ed anche sarcofagi si dispongono senza ordine apparente; uno di questi recinti ha una balaustra con pilastrini quadrati di spigolo. Una balaustra analoga, con elementi lisci, appartiene al m. dei Concordii di Boretto. Qui la stele è spostata sulla linea frontale e con il suo alto basamento serve da elemento di centralizzazione del recinto. A Verona, nel m. dei Sertorii, al centro era un altare su base, mentre due stele concludevano agli angoli la balaustra.

Sembra che altri monumenti veneti presentassero questa moltiplicazione della stele; elementi di m. f. a recinto si trovano nel Settentrione un po' dovunque; le balaustre sono in media piuttosto basse: lo scopo è quello di delimitare l'area, ma insieme di lasciare la massima evidenza al segnacolo principale, talora, come a Verona (m. dei Sertorii) artificiosamente innalzato per esser visto al di sopra della balaustra.

3. I tipi e le forme del m. f. - Un esame per classi tipologiche in senso assoluto è di per sé esteriore e quindi acritico, ma considerazioni sulle forme monumentali, sui loro sviluppi e rapporti reciproci sono utili ed anche necessarie, per chiarezza, allo scopo di puntualizzare caso per caso, fenomeni genetici e semantici, imprestiti ed interpolazioni. Si possono riconoscere alcune classi fondamentali, sia sulla base dell'aderenza e continuità di tradizioni proprie anche dell'Italia antica (m. a tumulo), sia sulla base della destinazione (m. con spazio interno, a camera cioè, a tempio, infine a pianta centrale e m. con funzione prevalentemente di segnacolo, come i m. a dado, quelli pseudoarchitettonici, i "piloni" e simili). Qui di seguito sono illustrati tipi fondamentali e derivati. È ovvio che formalmente i m. a monoptero e a pseudomonoptero, a tamburo cilindrico o poligonale debbano classificarsi come derivati del tumulo e con esso più o meno ancestralmente connessi, mentre i m. a edicola, a pseudoedicola, a podio ed a torre si ricollegano col concetto del m. come "santuario" e quindi con l'edificio di forma templare. Altri tipi sono trattati a parte, sia quelli con caratteri peculiari (m. a fornice) sia quelli che risultano dalla compenetrazione di tradizioni diverse, come i "piloni".

a) M. f. a tumulo e derivati. - Il tipo di m. f. romano che risale in modo evidente alla tradizione più antica è certamente il tumulo, per quanto esso sia esclusivo del patrimonio italico. Comunemente il tumulo romano è riconnesso con i precedenti etruschi. Ma gli esempî conservati non risalgono a data molto alta. Certo è che l'architettura romana esplicitamente traduce in espressione architettonica il semplice cono di terra attraverso soluzioni organiche nella struttura interna. Il cosiddetto Tumulo degli Orazi al V miglio dell'Appia e quello un po' più tardo detto "dei Curiazi" è contraddistinto da un giro di cippi, concettualmente una corona di altari (cfr. il cenotafio di Ettore in Verg., Aen., iii, 304-305), i quali presto diventano coronamento del podio e confluiscono nella "merlatura" dei monumenti a tamburo cilindrico (v. sotto). Per quanto il tumulo vero e proprio sia stato presto abbandonato, per il suo carattere anarchitettonico, e lo sviluppo comprenda quasi esclusivamente monumenti a tamburo cilindrico, tuttavia le proporzioni proprie del tumulo, molto basso in rapporto al diametro, riaffiorano a tratti anche nelle soluzioni architettoniche. L'esempio più illustre è dato indubbiamente dal mausoleo di Augusto e della sua famiglia, che conferisce al tumulo dimensioni non comuni (ma che saranno poi largamente superate più tardi nel mausoleo di Adriano). Nella veduta esterna l'Augusteo era in sostanza un basso tamburo cilindrico; alla sommità un elemento acroteriale era sostenuto dal pilastro centrale attorno a cui era organizzato tutto il sistema invisibile di murature necessarie al sostegno e alla distribuzione delle spinte del terrapieno. Quest'ultimo non era forse un semplice cono, ma si divideva in gradoni, alternando le pendenze con elementi cilindrici. L'architettura tropaica, di cui l'architettura augustea aveva dato un insigne esempio alla Tourbie (v. trofeo) non è estranea alla modificazione dell'aspetto della costruzione tumulare. L'Adrianeo, a parte la strutturazione interna, è in sostanza uno sviluppo dell'Augusteo anche per quanto riguarda la linea concettuale che unisce i sepolcri dinastici alla tradizione protostorica.

In minori proporzioni, l'organizzazione interna è ricercata in molte costruzioni private, in parte anche anteriori all'Augusteo, nei tumuli di Todi, della Maragliana, in quello citato "dei Curiazi", dove è l'elemento centrale portante l'acroterio e alla base del quale è praticato il cinerario. In realtà monumenti come l'Augusteo, per la presenza delle camere sepolcrali, razionalizzano organicamente il tipo mediterraneo della tomba a camera sotto tumulo; gli altri equivalgono a semplici seguacoli. Così anche nel più tardo tumulo di West Mersea (Sussex) che estrinseca il sistema dei diaframmi radiali in speroni aggettanti all'esterno del tamburo. In sostanza sembra che il problema base del tumulo sia stato quello dell'organicità interna, che si rifletterà poi in altre varianti tipologiche. Di età augustea può essere ricordato ancora un sepolcro a crepidine marmorea sulla via Casilina, mentre altri esempi si hanno nel corso del I sec. d. C. Il sistema delle concamerazioni interne del tipo Maragliana è esteriorizzato in un tumulo sulla via Cassia da una serie di esedre esterne, forma che appariva anche in altro monumento presso Capua, disegnato dal Sangallo; qui le concavità periferiche erano delle nicchie, inquadrate da un ordine architettonico. Lo stesso sistema rimane nel grande monumento campano detto "Carceri Vecchie" dove al giro inferiore si sovrapponeva un basso tamburo spartito da scorniciature quadrate. L'effetto raggiunto è quello della continuità di un unico ritmo, come negli anfiteatri. Le "Carceri Vecchie" si datano già forse nel II sec. d. C. Alla fine del I sec. d. C. le forme tradizionali sono rispettate nel tumulo dei Lollii di Costantina. In Africa d'altra parte il possibile apporto romano si fondeva con la tradizione locale del Medracen (v. sopra) cui è stato riferito il cosiddetto Tombeau de la Chrétienne presso Algeri, di datazione controversa, oscillante dall'età preromana al tardoantico. Per una data bassa deporrebbero le forme dei capitelli; comunque il monumento di Algeri, che per l'andamento curvilineo del corridoio interno presuppone forse l'esperienza dell'Adrianeo, è un tumulo in cui il riempimento di terra è eliminato, sostituito per intero dall'opera quadrata. Ancora nel III sec. si continuano costruzioni tumulari a Roma (cosiddetto "Monte del Grano" con camera centrale a cupola) e più tardi ancora, nel IV-V secolo ad Anchialos sul Mar Nero (tumulo con cella anulare).

Un diretto sviluppo del tumulo è il monumento a corpo cilindrico, che ne riflette fin dalle prime esperienze l'organizzazione strutturale interna; anzi, per quel che sappiamo, monumenti a corpo cilindrico e monumenti a tumulo hanno avuto uno sviluppo press'a poco parallelo. Il monumento cilindrico non è infatti che un tumulo il cui zoccolo ha assunto una rilevante altezza rispetto al diametro: la copertura è ancora conica e in principio a terrapieno ed i sistemi interni delle concamerazioni e degli ambulacri sono affini. Il problema base consiste, anche in questo caso, nel dare organicità al complesso dei vani interni, generalmente centralizzati o simmetrici e poi nell'orientamento verso il corpo integralmente costruito, senza più ricorso al riempimento di terra.

Fra i più antichi esempî rimasti, il notissimo sepolcro di Cecilia Metella, del terzo venticinquennio del I sec. a. C., ha un imponente corpo cilindrico su base quadrata; un fregio alla sommità a festoni e bucranî, che stabilisce rapporti con la decorazione dell'altare; la copertura era conica a tumulo, con coronamento di cippi; l'unica camera interna circolare è al centro. Il sistema della sovrapposizione del tamburo cilindrico ad una base a prisma quadrato si è generalizzato in seguito ed anzi questo accostamento di forme geometriche è rimasto come uno dei canoni fondamentali di molta parte della tipologia monumentale romana. I due monumenti di Gaeta, di L. Munazio Planco e di L. Sempronio Atratino, eretti circa il 20 a. C., differiscono solo per l'organizzazione interna, all'esterno sono sostanzialmente identici, a cilindro con coronamento "merlato" e copertura conica. Nel primo era certamente un elemento acroteriale alla sommità, sorretto dal pilone centrale, asse di tutta là costruzione. Non molto diverso, ma con crepidine quadrata, il sepolcro detto "Casal rotondo" al VI miglio dell'Appia; mentre il sepolcro dei Plauzii a Ponte Lucano, che ha una iscrizione del 2 a. C., ha un avancorpo a semicolonne che vincola il volume cilindrico alla veduta frontale obbligata, tipica della maggioranza dei monumenti romani. Del resto anche la crepidine quadrata ha essenzialmente la funzione di vincolare la costruzione alle esigenze di carattere "urbanistico" determinate dal percorso delle strade. Augusteo è anche il monumento detto "di Pomponio Grecino" a Gubbio, con cella cruciforme. Il sepolcro di Ennius Marsus di Sepino ripete il tipo del cilindro su base quadrata con copertura a cono e corona di cippi collegati da un attico. Il sistema si complica nel sepolcro "dei Giulii" di Boulle, con l'inserzione di un tamburo ottagono che alterna il passaggio fra la base e il cilindro. Il monumento era contornato da un recinto. Si è pensato ad un secondo piano per il tumulo di Mícara, a Tuscolo, ritenuto tomba di L. Licinio Lucullo (cfr. Plut., Luc., 14; Mart., Epigr., viii, 3, 5) che ha la cella ricavata nella sostruzione quadrangolare. Si fa cenno, più che altro per la sua notorietà, alla cosiddetta Tomba di Virgilio, a Napoli, con camera interna a nicchie. Un monumento oggi scomparso, di Sarsina, è un raro esempio del tipo nell'Italia del N, insieme con quello di S. Maurizio di Reggio Emilia, forse claudio. Recintato era anche il Mausoleo Rotondo, della via dei Sepolcri a Pompei, di dimensioni abbastanza modeste.

L'adozione della base quadrangolare è estranea alla tradizione vera e propria del tumulo, piuttosto essa si ricollega a esempî come il monumento di Lisicrate, di carattere votivo, ed all'architettura tropaica che ne deriva: l'esempio del trofeo della Tourbie spiega forse lo sviluppo in altezza della base, diventata presto un vero e proprio dado e tendente ad acquisire una importanza particolare rispetto al corpo cilindrico. Non sono estranei nemmeno i monumenti del tipo "a podio" o "a torre" (v. sotto) che talora hanno inserito nel loro contesto elementi cilindrici come nella nota Tomba di Assalonne a Gerusalemme, del I sec. d. C. Contemporaneamente il cilindro spesso perde la continuità di svolgimento della superficie e assume partiture verticali per mezzo di semicolonne o paraste. Il sepolcro detto La Conocchia allo Scudillo presso Napoli, della seconda metà del I sec. d. C., ha un alto dado in cui si aprono nicchie, cui si sovrappone un corpo cilindrico. In proporzioni notevolmente grandi, la stessa combinazione del dado e del cilindro ritorna in un gruppo di monumenti di Alifae ("il Torrione"), nel mausoleo degli Acilii Glabriones, in un terzo monumento. Il monumento degli Acilii presenta un particolare interesse per lo spazio interno a cupola, con un rapporto fra altezza e diametro che anticipa quello del Pantheon. Nel monumento neroniano di Falerii l'altezza del cilindro prevale su quella del dado, che è molto ribassato. La parte superiore del cilindro recava un fregio ed era coronata da una "merlatura" attorno alla copertura conica. Ancora a cilindro sono diversi monumenti della fine del I sec., a Tor di Quinto, al km 11 dell'Appia ("Berretta del prete").

Le varianti che discendono dal monumento a cilindro si svolgono su varie linee principali: sulla sostituzione del cilindro con altri solidi geometrici, sullo sviluppo in altezza prevalente sulla larghezza, sulla sostituzione al cilindro di un monoptero aperto. In tutti questi casi gioca sempre fortemente il variare dei rapporti fra le diverse parti: dal tumulo architettonico al monumento a cilindro, a questi esiti differenziati il significato originario si perde nella progressiva geometrizzazione e soprattutto nella progressiva prevalenza del fatto architettonico su quello puramente semantico. Alla metà del I sec. d. C. un monumento di Pola sovrappone al podio un corpo ottagono con colonne angolari, la cui presenza determina l'articolazione della cornice di coronamento; la copertura era forse a piramide. Ottagono è anche il corpo superiore del sepolcro di Baiano (Avellino), che ha il dado di base spartito da paraste. Il sistema di Pola è sviluppato più tardi (inizio del II sec.) nel monumento di Adalia e in uno di Neumagen, a dado basso e corpo dodecagono con pilastri d'angolo, per cui la trabeazione e l'attico sono articolati; il coronamento aveva forse una merlatura e finiva a piramide. Nel tardo monumento di Tarsebt (Algeria) il corpo stesso più basso è ottagono, con colonne angolari, mentre in quello di Qasr el-Berber (III sec. ?) fra le paraste del corpo superiore s'incavano delle nicchie. Il sistema del tamburo a nicchie era già del resto noto in Italia fin dalla fine del I sec.: il sepolcro detto di Priscilla sull'Appia aveva dodici nicchie nel basso tamburo cilindrico su base quadrata e un giro esteriore di esedre è nel sepolcro detto "Tor Inviolata" sulla via Prenestina in cui il giro di esedre esterne esteriorizza l'interna struttura di tipo tumulare: un prospetto colonnato vincolava l'edificio alla visione frontale. Si delinea in questi monumenti il gusto barocco della plastica murale e dei forti effetti d'ombra che esclude le superfici definite sia dal punto di vista del volume che della luce.

La testimonianza dell'impiego di edicole circolari a protezione di statue, almeno del IV sec. a. C., come nel famoso esempio dell'edicola della Afrodite di Prassitele a Cnido, indica l'antecedente classico in quel mondo microasiatico così fertile di idee e di forme in campo monumentale.

Un edificio funerario di Efeso, della fine del I sec. a. C. conferma l'area di genesi del monoptero sepolcrale. L'adozione da parte romana, oltre che dall'influenza ellenistica è forse spiegata dall'analogia morfologica con i templi rotondi per lo scambio frequente in architettura fra le sfere sacra e funeraria. L'aedificium, menzionato spesso nei testi epigrafici come protezione d'immagini cuituali o votive, rientra nello stesso ordine di idee. Un'aderenza alla versione templare è testimoniata nel m. degli Istacidii di Pompei e più tardi nella "Tour d'Horloge" di Aix-en-Provence nei quali il colonnato gira effettivamente attorno ad un tamburo centrale. L'edicola monoptera protettiva è invece nel m. dei Giulii di St. Remy-en-Provence, monumento che sfugge veramente ad una classificazione per la molteplicità di elementi che vi sono stati riuniti. Certo in questo m. si nota l'influsso dell'architettura tropaica, come nel "grande mausoleo" di Aquileia, dove l'edicola è sostenuta da corpi cubici di larghezza ridotta dal basso all'alto. Per la funzione, non per la forma, va ricordato anche il m. di Altino, a basamento cilindrico, dove un intercolumnio è lasciato più largo al fine di consentire la veduta della statua. Tutti questi monumenti hanno copertura conica più o meno alta, terminata da un elemento acroteriale.

L'interferenza, sotto questo rispetto, con i m. a edicola cuspidata è comune agli pseudomonopteri, ai m. cioè a tamburo cilindrico con paraste o mezze colonne, quasi tutti a più piani e con basamento prismatico. Tale è la nota Tomba di Assalonne, tale è anche un m. presso Nettuno, fra i pochi esempî in Italia della versione turriforme del tipo.

Lo sviluppo in altezza assai rilevante rispetto alle dimensioni della base è comune a quasi tutti questi m. f., mentre ai rapporti dimensionali del m. tumulare si accostano di più le versioni poligonali, il m. ottagono di Pola, o quello dodecagono di Neumagen. In realtà questi m. sarebbero da considerare piuttosto derivati del tumulo, ma la decorazione pseudomonoptera è indice di un eclettismo non soltanto formale, ma sostanziale e concettuale. La "Tour Magne" di Nîmes ne rappresenta la versione turriforme. In sostanza, anche il tardo m. di Kyrros, a pianta esagonale con edicola ad archi inquadrati da paraste e copertura a piramide, si può riconnettere con questa forma e così il m. ottagono di Tarsebt (Algeria) con colonne angolari (corinzie?) e finta porta e quello esagonale di Suma Giazzia, con tre intercolumni aperti e tre chiusi. L'allontanamento dal concetto originale, templare o votivo, del monoptero, ha condotto alla sua riduzione a semplice elemento partizionale di superficie o a spunto di plastica murale. Nei più coerenti almeno, ma più o meno anche nei derivati, è chiaro che l'elemento più importante è appunto la peristasi, non la copertura, anche se in qualche caso (Aquileia) il cono ha assunto la stessa funzione della cuspide piramidale di un'altra classe di monumenti, come supporto di un elemento acroteriale. L'architettura tropaica e i più antichi esempî della sfera votiva (monumento coregico di Lisicrate) autorizzano del resto questa versione, non soltanto dovuta a semplici esigenze estetiche. Sta a sé non per la funzione protettiva della statua, ma per la forma, l'edicola del m. aquileiese dei Curii, a monoptero triangolare, con copertura a cuspide, terminata da un capitello. È una versione decorativa, si potrebbe dire capricciosa, del tipo, visibilinente influenzata dai m. a cuspide.

b) M. f. a camera. - Tutto un gruppo di m. f. è caratterizzato dall'esistenza dello spazio interno inteso come spazio organico, determinante cioè della forma esteriore, laddove nei tumuli e derivati le camere e gli spazi interni sono condizionati dalla struttura esterna; le costruzioni sepolcrali con spazio interno, che potremmo definire come monumenti a camera, sono abbastanza frequenti specialmente nella regione di Roma, ma anche nelle province e sono di tipo abbastanza uniforme, senza una vera e propria evoluzione tipologica. Appartengono a questa categoria anche numerosi colombarî (v.). In generale potrebbero ben definirsi m. "a cella" per la loro forma esteriore più volte apparentemente influenzata dall'architettura templare; ma la terminazione a timpano della facciata dipende più semplicemente dalla forma displuviata del tetto. La porta, originariamente aperta fuori asse, si stabilizza più tardi nel mezzo della fronte, anche per le dimensioni generalmente piccole delle costruzioni. Le tombe a camera e a cella delle necropoli repubblicane ostiensi sembrano suggerire una interpretazione come tombe a recinto coperte; la loro vita architettonica è puramente esterna e si risolve nell'applicazione di elementi pseudofunzionali (via Laurentina tomba 29, di Vitellius Amphio) e più spesso in effetti di policromia (via Ostiense tomba 17, "degli archetti"). In realtà nessun elemento è mai allusivo alla forma esteriore della casa, come la ripartizione interna degli ambienti quando sono plurimi, non è mai modellata su quella della domus: questa particolare categoria esplicitamente dimostra che il concetto arcaico della tomba come casa, inteso in senso realistico, di sistema modellato sulla casa dei viventi, è estraneo alla mentalità romana; se ne trova una conferma nella generale esteriorizzazione e nel generale disinteresse per l'organizzazione interna se non per quanto concerne la funzionalità e la utilizzazione dello spazio, situazione superata soltanto nei sistemi tardoantichi a pianta centrale (v. sotto). La tomba a camera si distingue peraltro per l'assenza di vistosi elementi plastici; le superfici si svolgono normalmente in maniera semplice ed uniforme; la policromia interviene spessissimo a movimentare queste superfici, negli esempî repubblicani come in quelli di media età imperiale della necropoli del Portus Romae e in quelli anche più tardi rinvenuti sotto S. Pietro in Vaticano. A Porto è abbastanza largamente documentato anche un tipo semplificato di tomba a camera, una semplice cella sepolcrale coperta a botte e con testate semicircolari. Un esempio forse più antico era nella necropoli di Sarsina (era almeno compreso nell'area dei monumenti della fine del I sec. a. C.). Alla policromia esterna corrisponde spesso all'interno una decorazione a stucchi o a pitture che uniforma l'architettura funeraria alla generale ricerca dello spazio colorato. In più si rileva che usualmente la tomba a camera non è isolata: parecchi sepolcri si giustappongono in serie organizzate secondo un principio urbanistico. Anche per questo motivo non possono considerarsi veramente come tali alcune tombe di via Nocera a Pompei, il cui apparato esterno le configura più che come camere vere e proprie, come basamenti monumentali praticabili.

Sviluppi della tomba a camera sono peraltro nell'avanzata età imperiale edifici come quelli dei Cercennii, al secondo miglio dell'Appia, disegnato dal Ligorio, a pianta cruciforme, altri a Nicopoli d'Epiro. Tale è da ritenersi anche la tomba di Claudia Antonia Sabina a Sardi, del 191, una cella trichora risultante da un quadrato, con un pronao tetrastilo, archetipo di numerose celle tricore dell'architettura paleocristina. Il largo pronao praticamente dissimula in fronte la profonda articolazione dell'assieme. Certo il m. di Sardi costituisce un "passaggio" fra le sepolture a camera e quelle a pianta centrale. Un rapporto con le tombe a camera si può istituire anche per i sepolcri stauromorfi del tipo del cosiddetto mausoleo di Placidia a Ravenna, la cui pianta è suggerita dall'emblematica e dalla semantica cristiane.

c) M. f. naomorfi. - Alla serie considerata si ricollegano, dal punto di vista architettonico, i m. di forma templare, nel cui ambito distinguiamo una categoria numericamente ridotta in cui l'edificio sepolcrale ha la forma veramente del tempio da quella, assai più numerosa, in cui elementi dell'architettura templare ed edicole naomorfe si sovrappongono ad alti basamenti (Crema: "m. a podio"). La sostanza concettuale stessa, pur fondamentalmente identica, rivela sensibili differenziazioni: l'assimilazione al tempio estrinseca più esplicitamente il concetto dell'edificio funerario come heròon, la costruzione elevata mostra interferenze sincretistiche già accennate a proposito di altre classi di m. f. soprattutto a proposito dei m. monopteri e di quelli a edicola cuspidata.

Del m. templare il più notevole esempio in Italia è quello di Lusius Storax di Chieti, tetrastilo corinzio del I sec. d. C. L'elemento più originale è certamente lo svolgimento della decorazione figurata: uno spettacolo gladiatorio in un anfiteatro, spartito fra il fregio (combattimento gladiatorio) e il frontone (spettatori e musicanti). Pressoché contemporaneo, il m. di Sulpicio Platorino dalla Farnesina: sostanzialmente una camera rettangolare senza apparato architettonico esterno, salvo il fregio ed il frontone, sovrapposti alla muratura piena. Il m. dei Sulpicii è intermedio fra una serie di tombe a camera ancora repubblicane (Ostia) e le numerose tombe analoghe della media età imperiale (Portus Romae, Vaticano). Propria di questo tipo di tombe, che andrà meglio considerato indipendentemente dalle tombe a tempio, è la policromia delle pareti sostitutiva in genere degli elementi decorativi tradizionali o degli effetti di plastica murale. La riduzione del basamento è contraria alla stessa tipologia del tempio italico-romano e pertanto da ritenersi effetto di orientamento classicistico. In un rilievo del m. degli Haterii, da assumersi anche come riferimento cronologico di controllo, è figurato un tempietto funerario con podio e scala d'accesso e con le pareti coperte di rilievi figurati. Naturalmente ben pochi resti sono conservati di decorazione esteriore, ma sussistono notevoli avanzi architettonici, anche se il m. di forma templare, per ovvie ragioni, è il meno adatto a conservarsi. Il tempietto figurato nel rilievo ha una porta sul fianco del podio: questo era quindi accessibile indipendentemente dal tempietto vero e proprio, pensato, quindi, più come luogo per il culto funerario anziché come locus sepulturae, che è invece da localizzarsi al piano inferiore; ove era possibile la camera inferiore era in tutto o in parte ad ipogeo. In talune situazioni, come quella dell'Appia e di altre vie dove i m. f. si affollavano, questa soluzione poteva essere adatta a conciliare l'utilizzazione dell'intera area sepolcrale e la rinuncia a locali di riunione cultuale esterni al m. stesso. Il sistema sarà applicato anche nei più tardi m. a pianta centrale (v. sotto). Il periodo di più intensa costruzione dei m. a tempietto sembra essere il II secolo. In genere la tipologia si adegua a quella dell'edificio sacro italico-romano, con alto podio e concentrazione frontale, segnata dal colonnato o dalla particolare decorazione della facciata e dalla scala d'accesso che può essere larga quanto tutta la fronte o più stretta. Il m. detto "Sedia del Diavolo" sulla via Nomentana e il S. Urbano alla Caffarella costituiscono validi esempî. S. Urbano, cioè il m. di Annia Regilla eretto dal marito Erode Attico al Pago Triopio, ha un pronao corinzio di marmo, tutto il resto è in laterizio policromo; la pseudoperistasi sui lati minori è rappresentata da colonne enucleate. Una diversa soluzione del tipo a piani sovrapposti è rappresentata da un m. al V miglio dell'Appia, rilevato dal Canina: il podio assai alto forma un avancorpo nella parte anteriore del quale sono ricavate due rampe interne; entrambi i piani hanno pseudoperistasi complete, il tetto è a spioventi con frontoni. Aspetto analogo, cioè senza pronao, hanno altri tempietti dell'Appia (IV-V miglio), pure rilevati dal Canina, con scalone anteriore. Podio dissimulato aveva il m. dei Caeselli (Ligorio), fra il II e il III miglio della via: la cornice era priva di rispondenza alla struttura interna, giacché non si aveva la camera inferiore: al semplicissimo esterno corrispondeva un interno movimentato da edicole appoggiate alle pareti. Il non lontano m. dei Livii (Ligorio) era un edificio in antis con colonne ioniche e trabeazione interrotta, in corrispondenza dell'intercolumnio centrale, da un'arcata che invadeva il frontone. Le estremità dello zoccolo sembra costituissero ante fra cui era compreso lo scalone.

Il sepolcro a tempio è abbastanza diffuso nelle province. Nella Spagna il prostilo tetrastilo tuscanico di Fábara (Bassa Aragona) ha il pronao assai ridotto, con le massicce colonne quasi appoggiate alla parete, per il resto una pseudoperistasi a pilastri, fregio ionico a ghirlande e frontone in cui è l'iscrizione del defunto: L. Aemilius Lupus. Le camere sono due, entrambe coperte a botte. Del m. degli Atilii di Sádaba (Saragozza) è conservato un fianco: fra le paraste si inquadrano archi e l'attico è leggermente articolato con frontoncini a coronamento delle edicole. L'ordine è quindi reso indipendente dalla esigenza organica e diventa motivo puramente decorativo. Affine era il m. dei Sergii a Sagunto, conosciuto attraverso disegni rinascimentali (di M. Accursio). J. Mélida espose la congettura che anche il tempietto in antis esistente presso il ponte di Alcantara fosse funerario. Anche il colombario di Villarrodona (Tarragona) aveva forma templare, con paraste tuscaniche ad arcatelle inquadrate sui lati. Non pare invece che il tempio funerario abbia avuto molta diffusione nelle province gallo-germaniche: il m. di Schweinschied, ricostruito dal Krencker, è praticamente un grande pilone con due piani distinti che riproducono, abbreviandole in profondità, le forme dell'edificio templare a due piani. Vero edificio templare su alto podio (entro cui è la camera sepolcrale) è il tetrastilo di Igel, ricostruito parimenti dal Krencker, con pronao profondissimo a due ordini di colonne e in fondo cella con lati minori ad arcate. La partizione delle superfici è ad arcate. Alquanto ampia la documentazione in Africa e in Oriente. Il m. di Garama (Libia) è più che altro un'edicola distila su podio a gradoni; m. a doppia camera con la parte inferiore formante avancorpo sono a Lambesi (Gsell, 29-31i), Mdaurush (corpo inferiore alto), Setif (cosiddetta Tomba degli Scipioni), Zana, tutti a pianta tendente al quadrato. Così è anche il m. corinzio distilo in antis di Cambazli in Cilicia.

Fatte poche eccezioni (il m. figurato sul rilievo degli Haterii, il m. di Chieti e quello di Sádaba), questa categoria di edifici funerari rivela la polarizzazione sulla tematica puramente architettonica. Del resto anche nei m. di Chieti e Sádaba, l'apparato plastico è dichiaratamente subordinato e non contraddice alla prevalenza del contesto architettonico. I valori semantici del m. si riassumono dunque qui nella sua stessa forma e solo in via del tutto secondaria richiedono il concorso di elementi anarchitettonici. In questo punto sta la loro fondamentale differenza rispetto ai m. a funzionalità dissimulata o ai semplici segnacoli. La serie dei m. architettonici a podio è abbastanza omogenea e caratterizzata anche se alcune varianti richiedono considerazioni a parte (m. a edicola cuspidata, m. turriformi) ed è rappresentata da un numero elevatissimo di esempî, diffusi uniformemente per tutto il mondo romano e distribuiti in una lunga escursione cronologica dall'età repubblicana alle soglie della tarda antichità, quando il tipo o si modifica radicalmente o scompare. L'edificio funerario è, come nei m. a tempio, influenzato dall'architettura religiosa, concepito cioè come heròon, ma a questa influenza ed a questa concezione si associa l'esigenza ad elevarlo materialmente, anche se in realtà spesso il vero e proprio locus sepulturae rimaneva al piano più basso. La pseudofunzionalità, caratteristica dei segnacoli naomorfi privi di camera interna, non si rivela che nella frequente presenza di pareti piene e nella conseguente esigenza di dare alla peristasi un valore, in tutto o in parte, soltanto allusivo. Mentre il monumento turriforme dissimula l'obbligatorietà della veduta frontale, al pari del monumento a tumulo, il m. a podio l'accentua sempre esplicitamente. Gli elementi componenti poi non sono da considerare come semplicemente sovrapposti, ma chiaramente l'uno è inteso come sostegno dell'altro, al quale pertanto spetta di necessità il maggiore risalto. È in sostanza lo stesso principio per cui si sovrappone la statua alla base e l'attico-base all'arco, come estensione della generale istanza dell'attolli super ceteros. È pertanto indifferente che il corpo superiore sia chiuso o aperto ed abbia, o meno, in fronte un pronao; il basamento è di regola a pareti lisce o con elementi pseudofunzionali attenuati.

d) M. f. a podio. - Monumenti come quello "delle Nereidi", il Mausoleo, i m. di Belevi e di Mylasa sono 0vviamente da considerare alla base dello sviluppo e della fortuna di questa forma monumentale, dove il principio della verticalità è assai meno sensibile che nei m. a cuspide, turriformi o affini. Non è ammissibile che la loro presenza in Italia e in Occidente possa spiegarsi con tradizioni locali, dal momento che edifici come la Tomba di Terone e le facciate rupestri tipo Sovana (v. sopra) rivelano chiaramente la loro ascendenza ellenistica e specificamente microasiatica. I m. naomorfi su basamento sono quindi da considerare una conseguenza dell'assimilazione dell'ellenismo, di cui l'Italia e Roma si sono fatte intermediarie alle province europee e che del resto in diverse aree, come l'Africa e le province stesse europee più occidentali, si è verificata anche indipendentemente dal tramite italico. Il punto d'incontro fra l'architettura italica e le forme monumentali di cui sopra, sta unicamente nel fatto che la tradizione italica e romana esigeva per il tempio un podio di rilevante altezza e vincolava la frontalità alla profondità del pronao. Le sottoclassi, come si è detto, sono praticamente due: a edicola aperta e a corpo superiore chiuso. Se si considerano anche i m. a edicola cuspidata, gli esempî più antichi del primo tipo sono della fine dell'età repubblicana (Sarsina); prescindendo dai m. a cuspide, occorre considerare in primo luogo alcuni m. della via Nocera a Pompei, a edicola distila o tetrastila (di M. Octavius), con statue negli intercolumnî. Varianti sono offerte dal sepolcro di Elena presso Gaeta e più tardi da quello di Miralp (Guadalupe). Forma esattamente templare ha un gruppo di m. f. dell'Africa settentrionale di cui si può considerare esempio tipico il tetrastilo di Haïdra, che ha diversi altri esemplari affini (Enshir Ghergur, Mdaurush, Qasr el-Alimar, Cherchel), e in Siria (Termessos). Per il carattere di segnacolo, senza camera interna, non andrebbe qui considerato il m. di Garama (Libia), ma la sua morfologia (corpo a base quadrata con pronao su colonne, lo avvicina alla serie considerata (fine del I sec. d. C.). L'architettura romana d'Asia dell'epoca degli Antonini introduce notevoli varianti, esemplificate da un gruppo di sepolcri di Termessos: la fronte prostila tetrastila ha l'intercolumnio centrale ad arco, sicché le aperture assumono la forma di una serliana, motivo frequente nell'architettura templare locale contemporanea; a parte questa variante morfologica, è il tipo stesso di sepoltura che determina la strutturazione dell'edificio: l'elemento principale diviene il sarcofago, che nella tomba di Agathemeros è isolato su un alto podio, secondo una tradizione asiatica già ricordata (v. sopra). Affine funzionalmente è il m. dei Secundii e Secundini al III miglio dell'Appia, in cui il dado del basamento sostiene delle statue. L'edicola è concepita come protezione del sarcofago o dei sarcofagi e pertanto non ha parete che la divida dal pronao. Così è la tomba di Mamastis, della metà del II sec., mentre quella di Aurelia Ge ha il tema del colonnato ripetuto su entrambi i lati e si risolve quindi in un padiglione con vòlta a botte. La tomba 5 dello stesso tipo ha il colonnato architravato. Tre archi in fronte sono nella tomba di Comana (Antitauro). Una ulteriore variante è data dalle tombe di Armasta e Kretopolis con edicole arcuate affini agli arcosolî delle tombe rupestri (cfr. pure Hassan Ogü). In Europa tombe avvicinabili al tipo di Termessos si trovano nella necropoli di Sempeter (Celje), in cui però l'edicola è ridotta alla sola fronte arcuata, e in un m. di Donauwitz (Stiria), parzialmente ricostruito a Graz, edicola pseudoprostila con vòlta a botte.

Sta a sé un m. di Canosa, databile per le strutture murarie nel II sec., con camere nel corpo inferiore e al di sopra un vano rettangolare, aperto in fronte con due arcate.

Non di rado i m. a podio hanno nella parte superiore un nicchione incavato: così già un m. in opera incerta presso Terracina, del I sec. a. C., più tardi il m. di Berg Bellamin presso Thugga, la cosiddetta Tomba di Perseo al IX miglio dell'Appia, il m. presso il Ginnasio di Priene, tutti del II secolo. Reciproche influenze si debbono rilevare fra questa variante e m. del tipo della "Conocchia" di Capua. In certo senso si considera uno sviluppo di questo tipo il m. di Filopappo di Atene (114-116 d. C.), in cui tutta la facciata è concava, articolandosi con il nicchione centrale.

I m. a corpo superiore chiuso, con o senza ordine pseudofunzionale, impostato generalmente su quattro elementi angolari, ha un'escursione cronologica notevolmente ampia, potendo ricondursi alla Tomba di Terone. A Roma sono costruiti in un sistema analogo il m. di Bibulo, di età sillana, che si differenzia dal m. acragantino per la sua obbligata frontalità, e un m. a Porta Salaria, con podio più basso, di età augustea. Sono influenzati da queste forme diversi m. a dado, come il Sepolcro delle Ghirlande di Pompei e più chiaramente quelli dei Ceii. La "Tomba dorica" della valle del Cedron presso Gerusalemme è di questo tipo, con semicolonne costituenti una pseudoperistasi, sviluppo dei tipi di Cnido e di Suweida. Più tardi sono databili la Torre del Breny (Castellgalí, Barcellona), un sepolcro laterizio sull'Appia, rilevato dal Rossini, con paraste corinzie, altri a Qasr Tenacept (Algeria) con sole paraste angolari e copertura a vòlta ribassata, a Lambesi, con finta porta, a Henshir Zufra. Già della tarda antichità il m. di Qasr el-Berber, con cella entro il podio e nicchie incavate nella parte superiore fra le paraste. Il singolare m. di Qasr Doga (Tarhuna) ha un doppio podio, ed è in effetti un m. a forma di tempio, ma due avancorpi sono portati oltre la facciata, sicché il m. arieggia i grandi altari ellenistici (Pergamo), con, però, un accentuato sviluppo in altezza.

Costituiscono in realtà nient'altro che una variante dei m. a podio quelli ad edicola cuspidata, con i quali sono a loro volta strettamente connessi i cosiddetti m. a torre ed i m. a guglia. Si tratta di accezioni diverse degli stessi presupposti formali. In ogni caso sembra pienamente legittimo che tutti questi m. f. siano trattati insieme per le frequentissime interferenze. È anche necessario avvertire che col termine di m. a cuspide si sono spesso considerati senza distinzione tutti i m. con coronamento a piramide o a cono, ivi compresi i m. a monoptero ed a pseudomonoptero. D'altra parte anche una quantità di m. è stata inserita nella categoria dei m. a torre (Cid Priego). Il Crema ha di recente proposto di considerare "a torre" solo quei m. che risultino della sovrapposizione di più di due piani, oltre a quelli propriamente detti, privi di partizioni verticali. Occorre altresì tener presente il rapporto fra base e altezza, a meno che la superficie di base non sia minima, come in una serie di m. africani, per cui sarà preferibile il termine di m. a guglia.

e) M. f. ad edicola cuspidale. - I classici m. a cuspide sono in realtà quelli ad edicola di forma templare, alla cui fortuna ha certamente giovato la celebrità del Mausoleo, che ne costituisce in certo modo l'archetipo. La peristasi di origine templare, adottata nel Mausoleo, è ripresa, più o meno semplificata, in diversi m. soprattutto della Siria, come ripetizione dello stesso motivo su tutte le facce, mentre la cuspide ha sempre un capitello terminale e quindi funzione portante. Più tardi all'ordine con trabeazione rettilinea si sostituisce l'arco e il m. diventa un quadrifronte cuspidato (Alit, Brād). Oppure le pareti sono chiuse e le paraste formano una pseudoperistasi (el-Hermel). Manca a questi m. il carattere principale del Mausoleo, di avere cioè una vera peristasi che gira attorno ad una vera cella; rimane solamente la sovrapposizione dei tre elementi, divenuti canonici: basamento, edicola, cuspide. La forma del Mausoleo è ripresa solo tardi in m. africani: fra i m. di Ghirza uno presenta una cella chiusa con peristasi di 4 × 5 colonne e trabeazione dorica, un altro un colonnato di 4 × 4 elementi che portano archetti. Questi tardi edifici presentano anche la ripetizione dello stesso tema sui quattro lati (e la conseguente mancanza del vincolo ad una visione frontale) associata alla funzionalità del Mausoleo. Nel m. di Qalat Faqra (Siria) invece l'edificio era già obbligato alla veduta di fronte con il colonnato reale solo nel lato anteriore, sugli altri lati risolto con paraste applicate alle pareti continue. Questa è la forma adottata in Italia nei m. di Sarsina (30-20 a. C.), uno dei quali alto 14 m (m. di Rufus) con edicola prostila, tetrastila, di ordine corinzio e paraste sugli altri lati. Il minore m. di Marcius Obulaccus è prostilo distilo, con il corpo dell'edicola riassunto nella sola parete di fondo con la finta porta. Questi m. sarsinati non hanno cella praticabile, semplicemente coprivano il locus sepulturae, i cinerarî interrati al livello delle fondazioni. Questo fatto è di rilevante importanza perché segna la trasformazione del tipo monumentale, divenuto soltanto un grandioso segnacolo. Dal punto di vista formale il più largo eclettismo caratterizza queste costruzioni in cui i motivi degli ordini classici si associano spesso senza coerenza con puro intento decorativo. Rispetto ai m. siriaci, piu rivolti alla ricerca di valori architettonici, come nei più tardi africani, il gusto dei m. di Sarsina è più decorativo e chiaroscurale. Nell'edicola di Obulaccus l'inflessione della cuspide, completata dalle volute acroteriali, inclina al rococò. Il m. di questo tipo è pressoché sconosciuto al resto d'Italia, almeno non se ne posseggono esemplari completi; forse era analogo un m. di Modigliana. Alcuni esemplari del Bolognese, conosciuti in parte, erano realizzati in laterizio con parti decorative in pietra; contemporanei ai m. di Sarsina, essi rivelano una ricerca della policromia. Nel Veneto, dove sono numerosissimi i cippi cuspidati, non c'è il m. a edicola di tipo sarsinate. Nelle aree provinciali europee la terminazione a cuspide appartiene ad altre forme monumentali, le quali hanno sì rapporti con i m. a edicola cuspidata, ma presentano soluzioni formalmente diverse, di cui si tratterà più sotto. I m. del tipo Sarsina-Bologna sono, come quelli di Siria e d'Africa, terminati da un capitello, a Sarsina il capitello regge un vaso di carattere allusivo. Questo carattere, che è comune anche ai "piloni" gallo-romani e ai cippi cuspidati, qualifica il m. a cuspide come portante rispetto ad un elemento di carattere simbolico, analogo in questo funzionalmente alla colonna: le facce convergenti della cuspide concentrano l'attenzione verso il simbolo portato. Recentemente è stata espressa l'ipotesi (Will) che la cuspide di coronamento possa considerarsi la geometrizzazione di un kàlathos rovesciato. Evidenti derivati dei precedenti sono le guglie esclusive dell'Africa settentrionale; esse hanno la tripartizione classica dei m. a edicola cuspidata, basamento, edicola, cuspide, spesso anche ne hanno accennati, in forma soltanto decorativa ed allusiva, gli elementi degli ordini architettonici. Funzionalmente essi discendono da quei m. a edicola cuspidata i quali, essendo privi di camera sepolcrale, sono esclusivamente dei segnacoli.

f) M. f. a torre e a guglia. - I m. a guglia, i cui segni distintivi sono lo sviluppo in altezza rispetto all'area di base sempre minima e il verticalismo, rivelano in sostanza una coscienza funzionale; non potendo essere che dei semplici segnacoli, sono esplicitamente dichiarati come tali; la dimensione prevalente è pertanto l'altezza. Come i m. a edicola cuspidata, hanno un capitello terminale e quindi funzione portante. Alla fine dell'età antica, cui essi appartengono, i m. a guglia si riaccostano alle dimensioni dell'elemento architettonico portante per eccellenza, cioè la colonna. Il m. a torre è caratterizzato dallo sviluppo in altezza e dalle dimensioni: a stretto rigore andrebbero considerati come tali solo alcuni monumenti della Siria del I e II sec. d. C. (di Giamblico, di Elhabel) perché il loro aspetto e la loro struttura è effettivamente di torre, senza partizioni esterne che estrinsechino la sovrapposizione interna delle camere (cinque nel m. di Giamblico). Per estensione (Crema) si attribuisce questo termine ai m. in genere molto sviluppati in altezza e con più vani interni sovrapposti. La torre di tipo siriaco non è stata accettata in Occidente, dove costantemente s'introdussero elementi orizzontali di partizione e in luogo della rastremazione uniforme delle murature si preferì il procedimento a riseghe, che distingue nettamente i vari elementi sovrapposti. Qui si rivela l'interferenza con il m. a edicola, perché anche il corpo mediano e talora anche altri, assumono la forma della pseudo-edicola per mezzo di paraste (Qasrīn, Henshir es-Suffit, Tarragona), oppure si aprono a nicchia (Qasrīrn, Qasr el-Hamman, Albenga, Villablareix).

Una larga adesione concettuale ai portati dell'ellenismo spiega l'altrettanto larga diffusione dei tipi sopra esaminati in tutto il mondo romano, con una sensibile prevalenza numerica, anzi, nelle province occidentali europee e africane, su quelle orientali, dove anzi m. di questi tipi si trovano quasi unicamente in un ambito abbastanza limitato della Siria; non nell'Anatolia, dove il il m. a torre ha avuto una notevole diffusione in età classica, con un parallelo nella Siria costiera. L'ipotesi che il m. turriforme rappresenti l'espressione di locali esperienze preromane, può esser valida per l'Africa settentrionale, dove si basa peraltro sul solo esempio del m. di Thugga, non altrettanto per l'Italia e le province centro-occidentali europee, dove si può fare riferimento se mai solo a piccoli seguacoli non di carattere architettonico. Ciò che accomuna le diverse categorie considerate non è tanto la terminazione conica o piramidale (necessaria per raccordare il corpo del m. con il capitello o l'elemento acroteriale terminale, sempre di dimensioni ridotte) quanto la verticalità dell'insieme, che sembra escludere sia l'accostamento alle forme del tempio e della casa, sia a quella del tumulo o della piramide. L'evidenza, connessa appunto con la verticalità, e quasi sempre la vistosità delle dimensioni, hanno contribuito alla diffusione del m. turriforme in Occidente. Il Cid Priego ha considerato tale diffusione come un fatto mediterraneo e l'area di diffusione della maggioranza dei m. sembra dare di ciò una conferma, ma l'affinità tipologica come elemento di determinazione critica, è compromessa dalla diversa cronologia dei singoli esemplari noti. Pur non essendovi ragione di sottovalutare l'importanza dell'Asia come area di sviluppo dei tipi considerati, è tuttavia opportuno rilevare che i m. siriaci noti non sono in genere anteriori all'inizio dell'età imperiale, mentre monumenti turriformi si trovano in Occidente già nel I sec. a. C. in Africa (Thugga; v.) e in Sicilia (Agrigento) e che nell'ambiente fenicio-punico è documentata l'esistenza di edicole su basamento che, a parte la forma della copertura, sono strettamente analoghe ai m. di cui si è detto (Tuburbo, Lilibeo). Nelle pitture della tomba del Gebel Mlezza è figurato un m. turriforme a copertura conica, davanti al quale è un altare (G. Picard, Le monde de Carthage, tav. 52). M. turriforme è da ritenere anche quello di Eurisace in considerazione dello sviluppo in altezza rispetto all'area di base; in esso tuttavia l'assenza di un'organica tessitura architettonica in senso classico è motivata dalla necessità di mettere in rilievo gli elementi allusivi alla personalità ed all'attività del defunto. Di qui risulta quell'effetto di volumetria murale così vicino a certi momenti e a certe espressioni dell'architettura moderna e così difficile invece da inquadrare nelle categorie tradizionali del mondo antico. In considerazione anche del fatto che nella discussione entrano anche i m. a monoptero e pseudomonoptero e i loro derivati, che assumono spesso caratteri e dimensioni turriformi, si dovrà concludere che tutti questi m. sono il prodotto di un clima largamente sincretistico nei concetti ed eclettico nelle forme e che i passaggi e gl'imprestiti, le influenze e le dipendenze dall'una all'altra serie tipologica rivelano che i concetti originali si erano persi di vista e che le tipologie fisse, valide in senso classico, avevano perduto la loro ragion d'essere. Il m. diventa spesso un pretesto per "variazioni" da parte degli architetti che amano abbandonare le ancestrali connessioni semantiche e funzionali perseguendo risultati complicati e associando tradizioni diverse. Più che quelle tipologiche in senso stretto, non facilmente precisabili talora, resta come categoria distintiva appunto la verticalità, connessa sia con la vistosità che con la funzione di supporto. La confusione concettuale si rivela anche nell'adozione di forme originate per m. a camera interna in m. che, come le edicole di Sarsina, la Torre dei Secondini di Igel o le guglie tripolitane, sono semplici seguacoli, e nella non corrispondenza funzionale, non rara, fra le divisioni esterne a piani e la utilizzazione degli spazî interni o la estrinsecazione di questi.

Se si considerano i documenti monumentali in modo analitico, si può rilevare che ogni esempio è un caso a sé. Il Matz ha messo in rilievo l'importanza degli elementi asiatici come generatori di questa serie di tipi, soprattutto il concetto di "casa" del defunto, non in senso realistico, ma trascendente, di casa intesa come santuario del defunto eroizzato. La diffusione di questo concetto, vulgato anche nell'Occidente romano e nelle aree provinciali in ispecie, dove si sono svolte le estreme conseguenze dell'ellenismo, spiega la fortuna che i m. turriformi hanno avuto nella convivenza imperiale. Criticamente peraltro è necessario tener sempre presenti le ascendenze riconoscibili: i m. a monoptero sono in parte connessi col tempio rotondo, in parte con l'aedificium protettivo di statue: l'elemento su cui l'attenzione deve polarizzarsi, per estrinsecare il concetto, è nel primo caso l'intera costruzione, nel secondo l'immagine funeraria; lo stesso modo di vedere la sopravvivenza del defunto è quindi diverso. Così è dei m. a edicola cuspidata, i più coerenti rispetto ad un precedente illustre, cioè il Mausoleo; ma i termini della questione mutano quando gli uni e gli altri assumono aspetto turriforme, enfatizzando il fattore dell'altezza e della verticalità.

g) M. f. ad altare. - Lo studio dei m. a forma templare nella loro varia morfologia ha portato a considerare anche semplici segnacoli. I segnacoli funerarî in genere non costituiscono problema architettonico, salvo in casi particolari. Uno di questi è il caso dell'altare, adottato come segnacolo nel mondo romano in maniera almeno altrettanto larga che la stele. L'altare di grandi dimensioni, elevato su di un basamento, con il suo volume è già un fatto architettonico. Così è nei m. pompeiani di Porta Nocera e di Alleius Libella, così nell'altare cuspidato, di epoca flavia, di Etuvius Capreolus di Aquileia. Ma già assai più anticamente il m. dei Festoni in pietra albana al III miglio dell'Appia, che dovrebbe classificarsi come m. a dado (v. sotto), reca alla sommità due guance. Alla storia dell'altare funerario romano non è estraneo lo stesso sarcofago di Scipione Barbato con le sue volute superiori. Specialmente in area provinciale tuttavia l'altare è tradotto in proporzioni particolarmente vistose: quello proveniente dal Convento della Esperanza a Barcellona, quello di Neumagen detto dei Tritoni; a Neumagen esistevano almeno altri due grandi altari funerarî. Così i m. ad altare vengono a confondersi con i m. a dado, numerosissimi in ogni parte del mondo romano. Concettualmente i m. a dado associano la sacralità dell'altare alla funzione commemorativa della base, la funzione di sostegno essendo dichiarata in più casi: un m. di Pompei del I sec. d. C. porta due leoni funerarî, quello dei Secundii o Secundini sull'Appia sosteneva statue, quello di Agathemeros a Termessos in Pisidia era il supporto di un sarcofago. Nel rilievo del m. degli Haterii è figurato un dado entro un recinto (v. sopra); esso ha le facce decorate di sculture: al di sopra è un padiglioncino a vela retto da quattro sostegni. Dalle proporzioni appare chiaro che padiglioncino e sostegni erano di metallo. Forse anche alcuni dei m. a dado conservati sostenevano elementi simili. Il m. a dado fin da epoca abbastanza antica (il m. del console Galba a Roma è forse del II sec. a. C. o del principio del successivo) si assimila ad una costruzione reale e si riveste di elementi architettonici: nel vetusto sepolcro di pietra albana al III miglio dell'Appia il coronamento è segnato da un fregio dorico, motivo spesso utilizzato in funzione decorativa al di fuori di qualsiasi congruenza funzionale o strutturale. Il tipo è presente anche nell'Italia del Nord (Rimini, forse Faenza, ma in Italia settentrionale predomina largamente il m. ad altare di medie e piccole dimensioni) e frequente a Pompei, dove l'alternarsi con i m. ad altare conferma il significato: il m. delle Ghirlande è rivestito di un'intessitura architettonica (paraste corinzie) e così in parte il m. dei Ceii. La concezione del m. a dado, in questa accezione, come convergenza dell'altare e del heròon è dimostrata da un cippo cubico di Milano, sulla cui fronte è rappresentato un tempietto tetrastilo. Il dado altariforme, come l'altare, si vede spesso inserito nel contesto di m. a recinto come negli interessanti esempi repubblicani di via Statilia a Roma e di Ostia. Ad Ostia il più insigne esempio di m. a dado interpretato architettonicamente è quello grandioso di Cartilius Poplicola, ricostruito dal Gismondi: su di uno zoccolo a gradoni è impostato il corpo con paraste angolari corinzie, coronato da un fregio ionico figurato; tutta la vasta specchiatura frontale è occupata dall'iscrizione e dai fasces, emblemi delle magistrature municipali esercitate dal defunto. Il m. di Cartilius fu eretto a spese pubbliche: il carattere ufficiale di esso risulta anche dal testo della lunga epigrafe (Scavi di Ostia, iii, pp. 214 ss.; cfr. l'iscrizione metrica del console Attilius Calatinus in Cic., De fin., ii, 35, 116). Il m. di Cartilius non è dunque un semplice m. f., ma insieme anche onorario e sensibilizza la convergenza e l'analogia semantica fra m. funerarî ed onorarî, in un momento storico particolarmente significativo. Altri m. a dado della fine della Repubblica sono nelle necropoli ostiensi (via Ostiense, 14, forse 8, oltre a quelli ricordati). Affinità col m. di Cartilius ha il m. pompeiano di P. Arrius Diomedes. Per tutta l'età imperiale si sono costruiti m. a dado sia in Italia e a Roma (via Appia) sia nelle province, particolarmente in Africa. La contemporanea trasformazione del m. a piramide per l'innalzamento dello zoccolo ha portato spesso a confusioni fra i due tipi: già il m. sarsinate di Verginius Paetus, tribunus militum a populo, della seconda metà del I sec. a. C. è un m. a dado con paraste tuscaniche, coperto probabilmente da una bassa piramide. Il displuvio di questa può essere stato suggerito dalla necessità di evitare infiltrazioni d'acqua nel corpo del m., ma si è spesso dimensionato in una vera piramide per influenza di altri tipi. Il m. rupestre di Palazzolo sul lago di Albano, di cronologia controversa (metà del I sec. a. C., II sec. d. C.) è anch'esso un m. a dado, coronato da una specie di piramide a gradoni. In complesso questo tipo monumentale, uno dei più frequenti in ambiente romano e da considerarsi in sostanza più originalmente romano, è stato continuato specialmente nelle province fino alle soglie della tarda antichità.

h) M. f. ad esedra e a colonna. - Un gruppo a sé formano due tipi di m. f., non molto numerosi, ma particolarmente significativi, perché paralleli di monumenti onorarî per i quali nell'antichità stessa è stato formulato un rapporto di antinomia (Plin., Nat. hist., xxxiv, 27; cfr. anche Serv., Ad Aen., viii, 664), colonne cioè e fornici. La forma colonnare del segnacolo era già diffusa in Grecia (anche nella versione ridotta del χιονίσκος) e in Etruria e già nel III sec. a. C. i Romani avevano adottata la colonna onoraria (v. colonna), sentita in seguito (Plin., loc. cit.) come un elemento del passato e quasi come contrapposizione di un concetto ellenistico ad un concetto romano. Questo carattere ellenistico è del resto messo in evidenza specialmente a Pompei nell'associazione della colonna all'esedra. La colonna non è, comunque, molto frequente, pur essendo probabile che diversi elementi cubici, di cui non si conserva la parte superiore, abbiano servito a supporto per colonne, giacché la colonna romana, onoraria o funeraria, è sempre provvista di una base atta ad accentuarne sia l'altezza, sia la funzione di elemento isolato da ogni contesto architettonico. La percentuale più elevata di colonne funerarie si nota a Pompei, circostanza indicativa anche della cronologia. A Pompei la colonna è d'ordinario combinata con l'esedra (sepolcri di M. Tullius, di Tertulla, di A. Veius, di Septumia, di Esquilia Polla). Nel m. di Polla la colonna sorregge ancora un'urna di carattere allusivo. Quindi anche nella accezione funeraria la colonna libera è pensata come sostegno di un elemento da porre in risalto, riprendendo l'accezione votiva dell'antichità arcaica e classica. Rappresentazioni figurate come il noto mosaico pompeiano dei "Sette Sapienti" indicano forse l'ascendenza ellenistica del tipo, per quanto le esedre abbiano avuto anche significato onorario o religioso; nel sistema, comunque, di tutti questi m. la colonna è l'elemento di centralizzazione dell'esedra. Una colonna funeraria a fusto liscio è quella di Yaat in Siria. Non risale al progetto originario la destinazione funeraria della Colonna Traiana, comunque essa, una volta utilizzata come tale, diventò il più grandioso e complesso m. colonniforme che si conosca. Non sono propriamente colonne, ma piuttosto sono da interpretarsi come resti di grandi candelabri, i fusti nascenti da cespi d'acanto, di Malta e Padova (di Claudia Toreuma).

Dal m. onorario ellenistico a due colonne su unica base, superiormente legate da una trabeazione, che forma una grandiosa iconostasi, deriva la sua accezione funeraria la colonna doppia. Si sono trovati m. di questo tipo nel II sec. d. C. in Siria, in connessione con ipogei a camera (tomba di Alexandros a Sermada, di Isidotos a Sitt er-Rum, quest'ultima con pilastri quadrati anziché colonne). Nel sepolcro di Aemilius Regillus a Qatura la colonna doppia forma sistema con l'apertura esterna del dròmos di accesso all'ipogeo. Significato funerario possono avere le "porte sacre" con urne a vasi, sovrapposti alla trabeazione, spesso raffigurate in affreschi e mosaici nella pittura pompeiana del I secolo. Del resto che l'accezione funeraria del tipo sia da più antica data passata nell'ambiente romano è documentato dalla sua trasposizione su stele (dei Concordii di Boretto, degli Egnatii di Brescia, altre a Brescia e Verona) che non ripetono il tipo consueto della pseudoedicola, ma sono "rappresentazioni architettoniche" di monumenti distili (v. stele).

i) M. f. a fornice. - L'accezione funeraria del fornix, suggerita da antefatti etruschi (v. sopra) appartiene, come documentazione diretta, al ristretto ambito pompeiano. Il concetto di passaggio e quello di limite, impliciti nel fornix come poi nell'arco, sono facilmente estensibili al limite fra mondo sensibile e mondo dell'Oltretomba ed alla connessione con la porta funeraria. I fornices funerarî pompeiani, che non hanno assunto la forma dell'arco, pur comprendendone alcuni elementi, la struttura e, ovviamente, l'iscrizione, sono tutti di piccole dimensioni. Una evoluzione tipologica del fornix funerario non si può tracciare per il ridotto numero dei monumenti rimasti. Archi come quelli dei Sergii a Pola, di Pompeius Campanus ad Aix-les-Bains, dei Gavii a Verona non sono sicuramente funerarî, anzi è più probabile che non lo siano, almeno nel senso di locus sepulturae. I fornices funerari pompeiani conservano del passaggio solo un senso allusivo, in quanto non cavalcano realmente una strada, ma sono disposti lateralmente alla via, nello stesso rapporto urbanistico dei m. degli altri tipi. Essi sono tuttavia abbastanza antichi, probabilmente alcuni di essi precedono di poco i primi archi onorarî conservati, non quelli documentati dalla tradizione letteraria. Non è possibile quindi stabilire una priorità della versione onoraria o di quella funeraria. Non si può escludere un rapporto fra il fornix funerario ed il m. a nicchia, pure documentato a Pompei e la cui conca absidale s'iscrive in un ordine pseudofunzionale come l'arcata degli archi onorarî. Il m. a nicchia è del resto la combinazione, molto probabilmente, del concetto dell'arco con quello dell'esedra.

j) Piloni. - Vanno considerati a parte, per i varî problemi che li riguardano, i piloni funerarî (fr. piliers, ted. Grabpfeiler), spesso considerati unitariamente sotto il rispetto topografico e sotto quello formativo. In realtà (Hatt) i piloni non sono peculiari della Belgica, né si possono spiegare come risultato delle stesse influenze.

La loro genesi è stata variamente spiegata: il Drexel e il von Massow hanno accentuato la derivazione dalla stele, aumentata nelle dimensioni ed ispessita, il Mariën e il Kähler quella dall'altare cuspidato e dal cippo. Questi ultimi hanno poi particolarmente cercato, come anche lo Hatt, prototipi nell'arte funeraria locale della valle padana; i primi propendono verso una genesi locale. Si tratta in realtà di fatti di convergenza e di espressioni di una mentalità eclettica in cui diversi fattori confluiscono: certo il "pilone", se non altro per la prevalenza dell'elemento figurale su quello architettonico, rivela la sua origine come ampliamento a dimensione architettonica di segnacoli anarchitettonici, ma non si devono trascurare le influenze dei m. a edicola cuspidata e a torre, già ridotti, in terreno provinciale, a segnacoli: stele (Digione) e cippi (Metz). Sul Danubio la stele, rimanendo tale, è stata portata a dimensioni eccedenti la norma ("Prauger" di Ptuj), sul Reno è sostituita dal pilone almeno dal II sec. con alcuni paralleli steliformi come il m. di Nikenich (Bonn, Landesmuseum), risultante dalla giustapposizione di tre stele a nicchia con acroterî (fine del I sec. d. C.).

Alcuni "piloni" hanno base rettangolare e pertanto potrebbero considerarsi stele ingrandite, tanto più che quasi tutti hanno paraste piatte angolari, ma in genere l'ispessimento è sempre molto forte e il retro è quasi sempre lavorato, contrariamente a quanto avviene nelle stele. Il "pilone" dunque, per quanto abbia un vincolo di visuale ad una delle facce maggiori, è tuttavia concepito come entità autonoma e nella redazione di maggior mole, il m. dei Secundini di Igel, che costituisce l'estremo limite per cui dal "pilone" si passa nuovamente al m. turriforme (il m. dei Secundini essendo in effetti un segnacolo turriforme) non esiste vera differenziazione d'importanza fra le facce, tutte egualmente caricate di rilievi simbolici e corrispondenti fra loro a due a due. L'ordine architettonico pseudofunzionale, presente nella maggior parte dei casi, assimila il pilone all'edicola; in casi più rari (Augusta) interviene l'analogia con i "pilastri quadrati" o "pietre dei quattro dèi", tipici dell'area renana. La genesi del pilone risulta di molteplici componenti: la stele, l'altare architettonico e il cippo cuspidato, fra i segnacoli, l'edicola fra i m. architettonici. Che poi sia da considerare obbligatoriamente un intermediario padano, non è certamente tassativo; anche nella Gallia meridionale esistono infatti altari architettonici e con rilievi contemporanei a quelli padani. Del resto nella media età imperiale e in una zona di frontiera a popolamento composito, è facile spiegare storicamente il convergere di tradizioni diverse, estranee e locali. La plurifrontalità del pilone è documentata dalla ripetizione del frontone sui quattro lati, anche quando il m. è terminato a cuspide, il che rappresenta un fatto nuovo, dato che in tutti gli altri monumenti cuspidati, di qualsiasi tipo, l'elemento terminale nasce costantemente dalla trabeazione rettilinea. Considerando poi che nello stesso ambiente e nella stessa temperie anche elementi anarchitettonici e specialmente figurati si sono ingranditi a dimensione architettonica come nel m. delle "barche della Mosella" (o nell'Orso di Neumagen) in funzione commemorativa, il processo di enfatizzazione del segnacolo si qualifica come prodotto di una mentalità barocca ed a questa mentalità è naturale il più largo eclettismo; nel II-III sec. del resto un atteggiamento come questo è proprio di tutto il mondo romano, non soltanto di un settore provinciale. Il "m. delle barche", tuttavia, secondo la ricostruzione del von Massow, geometrizza in volume piramidale il tema realistico del cumulo delle anfore caricate sulla doppia imbarcazione. In certo senso si collega con i "piloni" belgi e treveri anche uno dei m. di Sempeter, per quanto sia terminato semplicemente a frontone e sia chiaramente unifrontale (v. sempeter).

La tradizione della tomba ipogea esteriorizzata da una fronte architettonica si prolunga in aree diverse in età romana, chiaramente come continuazione di fatti locali. S'inserisce, in Italia, nel filone degli ascendenti italici (Blera, Norchia, Sovana) la stessa tomba degli Scipioni, ipogeo a pilastri e loculi con fronte architettonica costruita su due lati; quello conservato in parte e ricostruito (Visconti) aveva un podio nel quale si aprivano gli accessi e al di sopra una facciata in opera quadrata, con al centro sei mezze colonne tuscaniche. La costruzione era coronata da un fregio dorico. Il più tardo ipogeo dei Sempronî al Quirinale aveva come tema della facciata un arco e il coronamento a fregio ionico. Più che dalle facciate templari etrusche di Sovana, la fronte architettonica della tomba degli Scipioni si ricollega agli ipogei di Canosa e di Lecce, in cui sono applicati elementi di ordini classici. Vicini alle tombe rupestri etrusche più antiche sono i sepolcri a facciata liscia di via S. Croce, con apertura fuori asse e iscrizioni e nicchie con busti inorganicamente distribuiti sulla fronte. L'esemplificazione continua molto più tardi con le tombe semisotterranee presso S. Sebastiano. In generale però in età imperiale la tomba rupestre tradizionale non ha avuto molta fortuna a Roma e in Italia nell'epoca imperiale; i piani sotterranei dei sepolcri romani del II sec. e posteriori hanno organismo diverso ed un legame diverso con la costruzione esteriore.

Estraneo alle province europee continentali, l'ipogeo sepolcrale è assai diffuso invece in Spagna, dove può esser messo in rapporto con i precedenti degli ipogei punici (Carmona, fine del I sec. d. C.).

Alle tombe rupestri microasiatiche possono farsi risalire le facciate rupestri di Petra (v.), altrettanto celebri quanto discusse, sia per la cronologia che per la destinazione. Non è infatti del tutto sicuro che si tratti di m. f., anche se in alcuni casi (Tomba con l'Urna, el-Khasne) lo pseudomonoptero centrale del secondo piano, coperto a cuspide conica e terminato da un capitello, possa far pensare effettivamente ad architettura funeraria.

k) M. f. a pianta centrale. - Si possono considerare per ultimi, per ragioni cronologiche e per la loro particolare accezione, i m. a pianta centrale. Concettualmente essi possono riferirsi in parte almeno ai m. a camera e, per la forma, solo molto esteriormente ai m. a tamburo derivati dal tumulo nel senso che con la forma cilindrica si combina lo spazio interno e questo, secondo i concetti organicistici dell'architettura del medio e tardo Impero, informa e suggerisce l'aspetto esteriore. L'edificio a pianta centrale, quasi sempre autonomo, rappresenta la più rilevante novità nello sviluppo storico dell'architettura funeraria. L'esistenza di ambienti praticabili nel basamento (talora con gli ambulacri anulari) continua la tradizione dei m. cilindrici, la sovrapposizione del grande ambiente indiviso, spesso articolato da nicchie (pianta radiata), richiama i m. a vani sovrapposti e insieme ripristina la vita interna dell'edificio funebre, reagendo in certa maniera all'esteriorizzazione dei segnacoli e di molti degli stessi m. a camera e ad edicola; anche la tradizione degli ambienti dipendenti per il culto confluisce nella realtà dei grandi vani polivalenti. All'esterno una fronte architettonica sensibilizza l'ingresso e stabilisce, nella tradizione del Pantheon adrianeo, un fermo punto di visuale nell'uniforme superficie cilindrica del tamburo. L'analogia con il Pantheon, che pone nella prima metà del II sec. l'ascendenza delle forme architettoniche della media e tarda romanità, rivela anche il valore delle costruzioni a pianta centrale, più orientate verso il concetto del santuario funebre che verso quello della semplice memoria esteriorizzata. D'altra parte la grandiosità delle proporzioni, mentre restringe il quadro sociale cui i m. possono essere attribuiti, accentua con mezzi diversi da quelli del normale monumentum la vistosità e quindi il valore del m. funerario come affermazione della famiglia o dell'individuo.

Il m. di Duranius, sull'Appia, conosciuto attraverso un disegno del Ligorio, associa il sistema delle nicchie esterne all'unico vano circolare interno contornato da colonne, rivelando l'influenza dei m. cilindrici a nicchie della prima età imperiale; fra questi precedenti, in altro senso va ricordato il m. degli Acilii di Allifae, in cui il tema delle nicchie si trova all'esterno ed all'interno e la cupola era dissimulata da un alto tamburo con copertura conica. Nelle realizzazioni più tarde la cupola è invece solitamente dichiarata o protetta dal tamburo soltanto fino al rene. Nel severiano Tempio di Portuno un peribolo esterno trabeato su colonne esteriorizza il nascimento della cupola e assume lo stesso valore dei tamburi sovrapposti e scalati (m. di Priscilla). Due piani ha anche il m. di Gallieno al IX miglio dell'Appia. Il tipo Pantheon è rappresentato chiaramente nel m. detto Tor de' Schiavi sulla via Prenestina, forse della metà del III sec. e nel m. di Valerius Romulus, figlio di Massenzio, sull'Appia. È notevole il fatto che Roma sembri esser stata il centro di sviluppo di questi edifici sepolcrali, molto rari invece nelle province occidentali, presenti invece nell'area traco-pontica (Salonicco, Istanbul). Il m. di Diocleziano, inserito nel contesto della sua villa salonitana, iscrive in una pianta ottagona l'interno volume cilindrico, seziona all'esterno lo sviluppo in altezza per mezzo di un peribolo, mentre un avancorpo rileva l'ingresso.

Il sistema dei tamburi scalati determina un doppio ordine nel costantiniano m. di S. Elena (Tor Pignattara), e il sistema è maggiormente evidente nella S. Costanza, all'incirca coeva, dove si ha un'ulteriore assimilazione: il peribolo è assorbito nell'interno e produce una continua evasione spaziale rispetto al cilindro interno, impostato sul giro di doppie colonne. Nel m. di Galerio a Salonicco (poi chiesa dello Haghios Gheorghios) lo scalarsi dei cilindri esterni è il risultato dell'eccezionale ispessimento dei muri dell'ordine inferiore, entro cui s'internano profonde nicchie. Così forse era anche il m. di Costantino a Istanbul, terminato da Costanzo II. Il m. di Galerio non era isolato, ma collegato da un'ampia strada porticata all'arco onorario dello stesso tetrarca. Il m. rotondo a pianta centrale è in altri casi connesso con altri edifici. Il caso di Salonicco è il più grandioso; il m. di Romolo sorgeva al centro di un quadriportico con propileo, connesso con un complesso di edifici fra cui era anche uno stadio. Anche il grandioso m. dei Calventii, sull'Appia, noto da un disegno del Ligorio, e nel quale il sistema delle nicchie articolava esternamente l'ordine inferiore del tamburo, era inserito fra edifici rettilinei, così come il m., pure tramandato dal Ligorio, degli Atilii Calatini al III miglio della stessa via e come lo heròon di Romolo sulla via Sacra, terminato da Costantino. I m. f. erano stati in passato solo assai raramente un problema costruttivo e tecnico; salvo il caso dei tumuli e dei derivati, tipo Augusto (v. sopra) i problemi tecnici erano stati in genere abbastanza modesti, quando non erano affatto inesistenti. L'adeguamento al gusto contemporaneo si verificava per lo più nella plastica murale o negli elementi decorativi. Con i m. a pianta centrale l'architettura funeraria si attualizzava ed entrava nel vivo della problematica architettonica del tardoantico, con una varietà di soluzioni e di esperienze per cui si perseguivano gli stessi risultati, in termini tecnici ed estetici differenziati. Per gli architetti la ricerca fondamentale non era più quella simbologica e semantica e lo stesso eclettismo si eliminava nel preciso indirizzo della ricerca tecnica ed estetica.

La "Rotonda" di Ravenna, elevata per il re Teodorico, rappresenta l'estrema espressione dell'architettura funeraria antica sulla linea indicata: vi si conservano la sovrapposizione dei vani, estrinsecata nettamente all'esterno, e il sistema a pianta centrale, dissimulato dalla forma esterna poligonale. La cupola non è strutturale, ma ottenuta da un enorme monolito scavato all'interno e convesso all'esterno, i cui risalti perimetrali richiamano e concretano nella pietra l'aspetto esterno delle tende dei nomadi. Il che rappresenta ancora una volta l'espressione architettonica di elementi anarchitettonici, di cui nell'arte romana si sono avuti nel tempo numerosi esempî.

4. - Conclusioni. - Nei m. f. romani, molte centinaia dei quali sono in tutto o in parte conservati, si riescono a distinguere alcune categorie, ma in realtà nessuna di esse è pienamente definita e precisa, per le numerose reciproche interferenze d'ordine concettuale e formale. L'architettura funeraria, espressione capillare e aderente della multiforme convivenza dell'imperium populi Romani, partecipa della varietà estrema di idee e di tendenze che si faceva sempre più complicata man mano che i concetti si divulgavano e, nella fattispecie, man mano che l'uso del m. f. si generalizzava. La ricerca tipologica mette in rilievo solo una parte dell'eclettismo formale e del sincretismo concettuale del mondo romano, dimostra che, in effetti, ogni monumento costituisce un problema a sé, del quale vanno cercati i termini, cioè le componenti. Gli ancestrali ascendenti laziali ed etruschi non sono che una parte, spesso minima, di tali componenti. Sta di fatto che la più larga tematica monumentale funeraria deriva più o meno direttamente dall'Oriente, sui cui originali schemi tipologici la romanità italica e poi provinciale ha lavorato per secoli, assimilando e modificando, fino a farli proprî e distaccati dalla loro origine, anche se la romanità, dal II sec. a. C. al III d. C. è fenomeno, per gran parte, occidentale ed europeo, e che nella sostanza esiste, nei primi secoli, un dualismo fra Oriente e Occidente, che l'esteriorità formale dell'unità politica dell'Impero non bastava a coprire. Da un lato appunto fedeltà alla lunga tradizione ellenistica ed aperture verso il retroterra asiatico, dall'altro un fervore, talora anche caotico, di assimilare e di coordinare, che era in realtà una ricerca di sintesi, comprensiva di una quantità di tradizioni non classiche. D'altra parte è stato proprio l'insegnamento ellenistico orientale (cominciato ad apprendere quando la libertà del barocco aveva finito con l'incrinare profondamente la sistematicità razionale greca) che ha permesso ai Romani ed agli occidentali in genere di acquisire la mentalità necessaria a realizzare ciò che hanno realizzato. La comunicatività del barocco ha permesso di dar forma, di estrinsecare in termini architettonici e figurali le proprie istanze agli Italici come ai provinciali. Il mondo classico essendo incomunicabile per i non Greci, a causa del suo razionalismo logico, solamente l'apertura ellenistica asiatica poteva servire a questa sensibilizzazione del mondo non greco. In questa situazione è antistorico parlare di "origini" e difendere la paternità di certi tipi monumentali a questa o a quella regione. Inoltre la circolazione di cartoni, l'uscire della produzione dai "centri di genesi" artistica, l'allontanarsi dalla cultura artistica, il defluire sia verso la routine artigianale che verso l'improvvisazione, porta a quegli assurdi architettonici che sarebbero altrimenti inesplicabili. In questo processo ha la sua parte anche la progressiva tendenza dell'architettura di tutta la convivenza romana, di valorizzare gli elementi strutturali relegando sempre più a ruoli decorativi gli elementi tradizionali degli ordini classici.

Circa la funzione dell'Oriente va ancora precisato che la continuità dell'ellenismo è stata per secoli se non la pietra di paragone rispetto alla quale si misurava, in Occidente, l'apprendimento degli insegnamenti ellenistici, certo la fonte continua di tali insegnamenti. Il flusso orientale, fattosi più energico dopo gli Antonini, ha portato effettivamente ad una koinè concettuale e formale, di carattere ecumenico, ed è stato un fatto assai più concreto che non la recettività orientale rispetto alle esteriori introduzioni specificatamente romane, sulle quali l'Oriente ha lavorato, nel senso di una nuova creatività dell'ellenismo. Una ricerca che è limitata finora per la sua stessa difficoltà a riparti settoriali abbastanza ridotti, concerne il rapporto fra i tipi, le qualità e le dimensioni dei m. f. e le categorie sociali cui essi appartenevano. Non esiste di fatto una regola: noi possediamo ancora soltanto in minima parte m. f. di personaggi storicamente noti. Una corrispondenza fra l'impegno nei programmi funerarî e l'importanza dei personaggi e delle famiglie è controllabile, se mai, solo per la media Repubblica. Nelle necropoli ostiensi della fine della Repubblica molti m. appartengono a liberti e così nelle necropoli pompeiane del I secolo. La costruzione di m. impegnativi rimane indice soltanto di potenzialità economica, nelle province è anche un contrassegno del grado di romanizzazione raggiunto e, in certo senso, un indice della permanenza di aspetti e differenziazioni sociali indigene; il testamento del Lingone (C.I.L., xiii, 5708) è un documento significativo al riguardo. Dai non molti esempî di sepolcri di personaggi noti sembra risultare che il sepolcro gentilizio rifuggisse in genere dall'ostentazione dell'apparato esteriore, limitandosi alla struttura architettonica ed al testo epigrafico.

La distribuzione dei varî tipi monumentali è ineguale nei diversi settori del mondo romano, come diverso è il rapporto fra l'architettura funeraria e l'architettura ufficiale e privata. In generale si nota che la diffusione dei segnacoli è inversamente proporzionale a quella dei m. f. architettonici veri e proprî; lo stesso, ma in diversa misura, si verifica per quanto riguarda gli elementi figurativi in rapporto alle operazioni architettoniche. Fatta eccezione per l'area centrale nella tarda epoca repubblicana, l'apparato figurativo è diffuso in Italia assai meno di quanto comunemente si creda (prescindiamo naturalmente dai ritratti). L'enfatizzazione dell'elemento figurativo che soverchia e talora sostituisce quello architettonico è fenomeno tipico di certi settori europei (Norico, Pannonia, più specialmente Belgica) dove tuttavia l'architettura ufficiale si è mantenuta in limiti abbastanza strettamente canonici. È altresì un fenomeno piuttosto tardo, del medio Impero. Merita un cenno a questo proposito anche il problema della policromia del m. f., occorrendo distinguere fra policromia architettonica, vitalizzazione cromatica cioè delle superfici murarie o distinzione funzionale dei varî membri per via del colore, e policromia figurale, rilievo cioè per mezzo del colore degli elementi figurativi. Nel primo caso la più coerente continuità si osserva in Italia, dove in ogni tempo si è usato largamente il laterizio; è anche possibile si sia fatto uso del colore anche nell'architettura in pietra, ma ciò è scarsamente controllabile per la facilità della caduta dell'epidermide policromata. La policromia figurale è invece più largamente documentata dove il m. f., come nell'area gallo-romana settentrionale, è concepito come fatto più narrativo e rappresentativo che architettonico (Neumagen, Arlon). Già a partire dal II sec. l'apparato figurativo si polarizza spesso nel sarcofago (v. sarcofago) che non ha rapporto con il m. f. se non per il fatto di esserne contenuto. È evidente il ritorno a posizioni molto antiche, risalenti a tradizioni orientali oltre che italiche. L'uso del sarcofago introduce non di rado anche una dissociazione rispetto alla complementarietà fra elemento figurativo ed elemento epigrafico.

La diffusione degli elementi figurali sembra far passare in seconda linea quelli epigrafici, essenziali in Italia, nelle regioni di cultura parallela e in quelli di tradizione ellenistica. Nella penisola iberica si nota un rilevante disinteresse per il rilievo funerario narrativo o simbologico, mentre la grande architettura funeraria si allinea con quella civile nell'adesione ad un gusto di disciplinata sobrietà, governato dall'influenza culturale greca. Se nelle regioni settentrionali della Gallia prevalgono i segnacoli e si sviluppano da essi i "piloni", mentre è poco diffusa, come nelle Germanie, ogni altra forma di m. f., tipico della Gallia meridionale è il parallelismo con l'Italia per quanto riguarda le tipologie monumentali, con casi di costruzioni monumentali (Nîmes, Aix), conforme al gusto ed alla diffusa tendenza gallo-romana per le vistose proporzioni e la grandiosità delle realizzazioni architettoniche. Le province danubiane manifestano una vera e propria renitenza ad esprimere concetti funerarî in termini architettonici reali; a parte casi come quello di Sempeter, i programmi più ambiziosi si concentrano nell'ingrandimento della stele ("Prauger" di Ptuj), con un sensibile distacco, quindi, dall'architettura civile di diverso carattere. Un fenomeno un pò diverso si verifica in Africa, dove è molto evidente la tendenza alla riduzione dimensionale delle costruzioni funerarie, senza peraltro sacrificare l'evidenza degli elementi architettonici, ed il disinteresse per l'apparato figurativo. Ciò rivela un notevole distacco rispetto all'architettura civile, ovunque assai grandiosa e fastosa, specialmente dal II sec. d. C. in poi. L'Asia, in età romana, è una delle zone in cui si è perseguita più intensamente la realizzazione di programmi funerarî monumentali, rilevandosi in ciò una stretta coerenza con le tradizioni locali, anche se molte forme locali sono abbandonate o si circoscrivono a zone limitate. In Asia è tipico l'interesse preponderante per il fatto architettonico con la subordinazione ad esso degli altri elementi del monumentum. Del resto la diffusione delle varie tipologie è determinata quasi ovunque dal diverso grado della romanizzazione e dalla diversa forza di reazione dei substrati locali: in più casi forme locali preistoriche e protostoriche sono state abbandonate per trapianti tipologici.

È tipico il caso del tumulo che in età pre- e protostorica è notoriamente diffusissimo e che si continua con fedeltà in Italia e in Oriente, meno in Africa dove i sepolcri tumulari si riducono spesso a dimensioni minime (Fezzan).

Il tumulo è invece abbandonato quasi del tutto in Europa e dove si trovano suoi derivati essi appaiono più come importazioni romane (West Mersea) che come permanenza di forme protostoriche. In Africa per i casi di grandi costruzioni tumulari si può forse parlare di tradizioni locali (Medracen) parallele del tumulo a tamburo italico che ha condizionato gli sviluppi romani.

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(G. A. Mansuelli)

I. - India e Asia sud-orientale. - Il rito dell'incinerazione, introdotto nell'uso già con l'Induismo e seguito anche con il Buddismo sino a sostituire talora completamente la più antica pratica della inumazione, fu in parte causa determinante la scarsa diffusione e la mancata evoluzione tipologica ed architettonica del m. f. in territorio indiano.

1. - Risalgono, tuttavia, all'epoca vedica o pre-Maurya (v. indiana, arte) i colossali tumuli funerarî di Lauriya Nandangarh, che contraddistinsero forse le tombe di sovrani o di principi. Essi consistono essenzialmente in tumuli cupoliformi, al cui vertice sono infissi pali di legno di probabile significato simbolico. Secondo molti studiosi, nella forma caratteristica di questi tumuli sarebbero da ricercare direttamente i precedenti tipologici dello stūpa (v.) buddista, il monumento commemorativo che, in quanto reliquiario, si può considerare nella sua origine m. funerario. Esso consiste schematicamente in una costruzione di mattoni o di pietra costituita da un basamento di forma circolare o quadrata su cui si imposta un corpo cupoliforme al cui vertice è montato il pilastro simbolico coronato di parasoli circolari.

Risalgono pure all'epoca vedica o pre-Maurya certe strutture sepolcrali a camera, scavate nella roccia, rinvenute a Mennapuram e Calicut nel Malabar, nell'India meridionale. Nella struttura del soffitto esse ripetono la copertura cupoliforme dei tumuli o delle cosiddette capanne vediche di forme tondeggianti, cui del resto sono state riaccostate per la struttura generale dei vani interni. Un pilastro in pietra fissato al centro del vano costituirebbe inoltre l'equivalente simbolico dei pali di legno infissi sui tumuli di Lauriya Nandangarh.

Parallelamente allo sviluppo di questa consuetudine sepolcrale costituita da tumuli e tombe a camera scavate nella roccia, trae diffusione nelle regioni meridionali dell'India una pratica di megalitismo funerario, rappresentata da menhir, da strutture dolmeniche semplici e a corridoio, da circoli o allineamenti di pietre.

Il megalitismo funerario che anche nell'India meridionale persiste durante tutta l'Età del Ferro, trova eccezionale diffusione e persistenza nelle regioni dell'Asia sud-orientale, e specialmente nell'Indocina e nell'Indonesia, ove sembra tragga iniziale sviluppo con le culture del tardo neolitico e dell'Età del Bronzo e del Ferro (v. indocinese e indonesiana, arte).

Sia in Indocina che in Indonesia le strutture funerarie di tipo megalitico sono di genere sepolcrale e commemorativo e comprendono tombe dolmeniche e a cista, tombe a camera ricoperte da alti tumuli di terra, sarcofagi di pietra sorretti talora da pilastri scolpiti, menhir, cippi funerarî, ecc. La varietà delle pratiche sepolcrali in uso è documentata anche dalle tombe a camera e a grotticella scavate nella roccia e dalla consuetudine dei campi di urne. Legata pure alla pratica funeraria megalitica sembra fosse la consuetudine di erigere rozze statue di pietra (o anche di legno) dei defunti più illustri.

Bibl.: G. Jouveau-Dubreuil, Vedic Antiquities, Londra 1922; F. Haimendorf, The Problem of Megalithic Cultures of Middle India, in Man in India, XXV, 1945; P. Brown, Indian Architecture, Buddhist and Hindu, Bombay 1956; H. G. Quaritch Wales, Prehistory and Religion in South-East Asia, Londra 1957; H. R. van Heekeren, The Bronze-Iron Age of Indonesia, L'Aja 1958.

(A. Tamburello)

K. - Civiltà cinese. - Le numerose ricerche (effettuate da Cinesi, Giapponesi e Svedesi) nelle prime necropoli preistoriche cinesi (v. cinese, arte), hanno portato alla luce una ricca suppellettile funeraria in pietra, in ceramica e, successivamente, in bronzo; hanno provato l'esistenza di differenti pratiche funerarie, ma non hanno trovato traccia né di bare né di qualcosa che, almeno rudimentalmente, potesse essere avvicinata ad un monumento funerario. La diversità di suppellettile e quella di disporre i cadaveri stanno ad attestare differenti stadi culturali, ma sarà soltanto con la seconda dinastia cinese (Shang-Yin, XVIXI sec. a. C.) che appariranno sepolture con caratteristiche vere e proprie di monumento.

Va notato come fin dall'antichità, e con sole poche eccezioni, i Cinesi abbiano preferito tombe isolate, individuali od al massimo familiari, a tombe comuni od a cimiteri propriamente detti. Se, in età preistorica ed anche protostorica, le sepolture si trovavano prevalentemente in grotte o sull'alto di colline, solo in età molto posteriore (dinastia Chou) apparirà il tumulo, l'elemento cioè più particolare della sepoltura cinese, così tipico da giungere a modificare parzialmente persino il paesaggio naturale cinese.

1. - Le prime sepolture con carattere di monumento sono le camere ipogee della dinastia Shang. In particolar modo vanno ricordate le cosiddette tombe regali, ritrovate a Hsiaot'un, nei pressi di Anyang, là dove sorgeva l'antica capitale della seconda dinastia cinese. Esse si presentano come vere e proprie camere sotterranee o come depositi di tesori. Hanno, per lo più alcuni requisiti che le accomunano. Si tratta, in genere, di camere a pianta quadrata o rettangolare, più raramente a pianta cruciforme; la loro profondità varia da 4,5 m ad un massimo di cfrca 13 m. Si accedeva a tali camere funerarie mediante rampe digradanti o scalini intagliati nella terra; queste rampe o scalinate erano abbastanza larghe (in genere oltre due metri) e lunghe dai quindici ai venti metri circa. All'interno della camera si trovava un pozzo centrale di profondità varia (m 4, 5, ad esempio, nella tomba presso il villaggio di Wukuan, Anyang) a cui si accedeva mediante scalini scavati nella terra; anche questo pozzo, a sua volta, terminava con un pozzo di minore profondità. In tali camere funerarie non sono state trovate tracce di bare, mentre doveva esserci un rivestimento ligneo con decorazione incisa policroma; tale rivestimento si è putrefatto ma rimangono le impronte della decorazione e dei colori sulle pareti di terra a provarne l'esistenza. A volte, sotto la tomba regale vera e propria è stato trovato un altro pozzo ancora, entro il quale era deposto il cadavere di una persona armata di alabarda, per proteggere evidentemente il sovrano dai nemici o da nefaste influenze sotterranee. In alcune di queste sepolture regali sono stati trovati numerosi cadaveri di animali e di accompagnatori (uomini e donne), sacrificati al momento del funerale; infatti essi sono, perlopiù, decapitati. Secondo l'ipotesi di alcuni studiosi (Consten) non è improbabile che la prima camera, in cui era deposta la maggior parte dei bronzi sacrificali e della suppellettile funeraria, restasse accessibile per qualche tempo a chi doveva fare sacrifici e rendere i riti funebri ai trapassati. Solo in un secondo momento veniva anch'essa chiusa e, generalmente, riempita di terra pressata. Come si è detto sopra, nessun tumulo era innalzato al di sopra di tali tombe che, pertanto, restavano ignote ai più ed, in tal modo, protette da eventuali rapinatori di tesori. Il monumento funebre Shang si presenta, quindi, più che come un ricordo per i vivi come la testimonianza della credenza in una vita ultraterrena, in cui necessitava che il trapassato fosse accompagnato oltre che da una ricca suppellettile anche da animali, da servi, aurighi, concubine, guerrieri. Tale credenza si ricollega a quella che poteva ispirare le più antiche sepolture preistoriche del Kansu e dell'Honan, messe in luce da Andersson e, forse, ancora più ad occidente ad analoghi tipi di sepoltura ritrovati in Iran a Tepe Hissar.

2. - Se la camera funeraria con pozzi dell'epoca Shang era il m. f. abitazione del defunto, e tale rimase anche nel successivo periodo Chou, il ricordo perenne del trapassato era simbolizzato dalla tavoletta dell'antenato conservata in ogni abitazione e rimasta in uso sino ai nostri giorni.

Scavi più recenti effettuati a Hsünhsien, nell'Honan, hanno portato alla scoperta di tombe del periodo Chou che presentano somiglianze notevoli con le camere sepolcrali di Anyang. Si pensa che si tratti di tombe di nobili, simili nella forma a quelle dell'epoca Shang, con accessi digradanti da N e da S (generalmente si trovano rampe a S e scalini a N); le camere tombali sono qui però più piccole, ma anch'esse nempite di terra battuta e lasciate al livello del suolo circostante senza traccia alcuna di tumulo. Anch'esse (almeno le maggiori di proporzioni) hanno sul fondo una cameretta su cui veniva deposto, senza bara, il cadavere. Camere lignee appaiono in tombe Chou sia nel meridione della Cina (Ch'angsha) che a Lo-lang, in Corea.

È durante la dinastia Chou che appare per la prima volta la tomba a tumulo. Le grandi tombe hanno addirittura una collina che le ricopre e su cui si apre il loro ingresso ad anfiteatro; le piccole tombe hanno un semplice tumulo. È questa la forma tanto frequente in Cina e praticata sino all'età nostra.

3. - Shih Huang-ti, fondatore della dinastia Ch'in (III sec. a. C.) ed unificatore della Cina, si fece costruire un mausoleo all'interno della collina Li; secondo la tradizione oltre 700.000 uomini furono adibiti ai lavori; il sarcofago fu circondato da pietre preziose, difeso con frecce e balestre automatiche dall'insidia di eventuali profanatori; sulla vòlta della tomba furono raffigurati il Cielo e la Terra ed un gran numero di accompagnatori fu ucciso al momento delle esequie assieme agli operai che conoscevano i meccanismi segreti dell'immane monumento funebre celato nella collina. Tali particolari sono dati da Ssŭma Ch'ien nel suo Shi-chi (Memorie storiche), ma la tomba è ancor oggi visibile nei pressi di Hsian. L'altezza della sua terrazza è di m 12, la lunghezza dei lati di circa m 600; la piramide di terra si innalza per un'altezza di m 48.

4. - Molto meglio documentato è il successivo periodo Han (III sec. a. C.-III sec. d. C.) per la ricchezza di monumenti funebri e per la loro complessa decorazione oltre che per la sovrabbondanza di suppellettile funeraria di grande valore artistico.

Il complesso architettonico del monumento funerario Han è più ricco. Oltre alla camera funeraria in cui il cadavere, deposto in una bara, è sempre circondato da una abbondante suppellettile che comprende anche figurine di terracotta (derivate dai mu-yung della dinastia Chou, o figure lignee usate in sostituzione dei cadaveri degli accompagnatori), altri elementi si aggiungono. Nei pressi del tumulo ci sono spesso due colonne o pilastri (ch'üeh), indicatori del complesso tombale, la cui decorazione fa sembrare che originariamente fossero di legno e solo successivamente di pietra o muratura. Da essi inizia il "sentiero degli spiriti" (shên-tao), fiancheggiato, a volte, da leoni di pietra o da altri animali. Questo schema architettonico che appare per la prima volta nel periodo Han sarà usato successivamente nelle grandi costruzioni funerarie delle dinastie successive (dai Liao ai Ming). Dietro i ch'üeh e lo shên-tao si elevano i tumuli od il singolo tumulo che ricopre la camera mortuaria. Spesso, per le tombe di una certa importanza, nello spazio fra i ch'üeh ed il tumulo si aggiungevano stele o tempietti per offerte rituali ai trapassati. Tale tempietto (tz'u o tz'u-t'ang), in epoca Han, ha le seguenti caratteristiche architettoniche: è chiuso su tre lati ed aperto frontalmente; è fornito di un tetto a spioventi; tutta la costruzione è in miniatura. Esso è infatti il tempio degli spiriti e l'offerente non deve entrarci, ma limitarsi dall'esterno a riverire e presentare offerte alla tavoletta del defunto che è situata all'interno. Più che tempietti veri e proprî si potrebbero definire gli tz'u edicole funerarie. Il materiale di cui son fatti gli tz'u del periodo Han è sempre la pietra; ma come nel caso dei ch'üeh, il fatto che essi ripetono o riecheggiano motivi tipici dell'architettura lignea o mista in legno e mattoni, può stare ad indicare, che mentre sono giunti sino a noi gli esemplari costruiti in materiale più duraturo delle tombe dei personaggi più importanti, con ogni probabllità altri esemplari in legno od in muratura e legno meno costosi e più diffusi sono andati irrimediabilmente perduti. In tali tz'u (come in quello famoso del Hsiao-t'ang Shan, nello Shantung, del II sec. d. C.) sono importanti le lastre funerarie incise a bassorilievo. I migliori esempi di tali lastre di pietra incise sono quelli degli tz'u della famiglia Wu presso Chiahsiang, nello Shantung; la decorazione di tali lastre deriva da modelli pittorici, in gran parte andati perduti. Oltre alle lastre di pietra cominciano ad apparire, in special modo nel Szüch'uan, lastre fittili con decorazione a stampo, anch'esse usate nelle tombe, e parimenti di grande importanza per lo studio della primitiva pittura cinese da cui possono aver derivato temi ed ispirazione.

Recenti scavi effettuati in alcune tombe (ad esempio la tomba ad oriente di Wangtu, nell'Hopei, databile agli Han Orientali, 28-220 d. C.) hanno dimostrato l'esistenza di complessi funerari ipogei forniti di più camere. La pianta è a volte perfettamente simmetrica, altre volte no. Il numero delle camere può arrivare sino a sette o ad otto, collegate da corridoi e con vòlte ad ogiva e bassi archi a sesto acuto nei corridoi. Alcune di queste tombe avevano le pareti stuccate o ricoperte da pitture murali e da iscrizioni esplicative delle pitture. Tutte queste tombe sono ricoperte dal tumulo. Un certo numero di esse è stato esplorato in Cina dopo il 1949 e le caratteristiche principali si sono ritrovate abbastanza simili anche ad enormi distanze. Ciò che cambia è l'orientamento della tomba; particolare cura doveva essere messa, come attestano i rituali dell'epoca ed anche di età precedente, nella scelta della direzione assiale del monumento funerario per evitare le influenze nefaste (fêng-shui).

Nel periodo successivo agli Han, sin verso il V-VI sec. d. C., non troviamo modifiche alla tomba a tumulo. Scavi del 1954 in una tomba presso Yinan hanno portato alla luce un complesso di otto camere ipogee, con ingresso da S, larga m 7,55 e lunga m 8,70, databile fra il 220 ed il 313 d. C. Le caratteristiche sono ormai fissate secondo un modello ed uno schema che si andranno perpetuando con poche varianti e ciò che cambierà sarà soprattutto la suppellettile funeraria caratteristica dei varî periodi.

Bibl.: An-yang fa chüeh pao kao (Rapporto preliminare sugli scavi di Anyang), Pechino-Shanghai 1921-1931; W. Eberhard, Bericht über die Ausgrabungen bei An-yang (Honan), in O. Z., 8, 1932, pp. 1-15; H. G. Creel, Studies in Early Chinese Culture, First Series, Wakefield 1938; E. Chavannes, Mission archéologique dans la Chine Septentrionale, Parigi 1913; Sekino Tei, Ancient Chinese Stone Shrines, in Kokka, 225, 1909; W. Fairbank, The Offering Shrines of Wu Liang Tz'u, in Harvard Journal of Asiatic Studies, VI, 1941, pp. 1-36; Tseng Chao-chü, Yi-nan ku-hua-hsiang shihmu fa chüeh pao-kao, Pechino 1956; Lartigue, Au tombeau de Houo K'iuping, in Artibus Asiae, 1927, pp. 85-94; R. C. Rudolph Wen Yu, Han Tomb Art of West China, Berkeley 1951; V. Segalen, L'art funéraire à l'époque des Han, Parigi 1934; Wang-tu Han-mu pi-hua (Dipinti murali di una tomba Han, a Wangtu), Pechino 1955.

(L. Lanciotti)

L. - Corea e Giappone. - I primi esempî di strutture funerarie di tipo monumentale nella penisola coreana e nell'arcipelago giapponese risalgono per lo più all'Età del Bronzo e del Ferro e sono per la massima parte costituite da menhir, circoli di pietre, tombe dolmeniche, nonché tombe a camera e a grotticella scavate nella roccia, panchine, sarcofagi di pietra e terracotta ed infine tombe a camera e a corridoio ricoperte da alti tumuli di terra. Sia in Corea che in Giappone la consuetudine sepolcrale dei tumuli funerarî sembra direttamente connessa con la Cina.

Un gran numero di questi monumenti sono stati scoperti in Corea nei territori corrispondenti agli antichi regni di Koguryo e di Silla, cioè nelle regioni settentrionali e sud-orientali della penisola. I più antichi datano agli ultimi secoli anteriormente l'èra cristiana. Internamente i tumuli sono costituiti in prevalenza da grandi tombe a camera, precedute talora da corridoi di accesso, e costruite con blocchi e lastroni di pietra. Sulle pareti interne una decorazione si esplica in composizioni pittoriche di ispirazione realistica o in temi ornamentali geometrici.

In territorio giapponese la consuetudine sepolcrale dei tumuli funerari si venne diffondendo soprattutto nel corso dei primi secoli dell'èra cristiana. Particolarmente notevoli per le loro caratteristiche monumentali, i tumuli furono quasi sempre le tombe di imperatori e di principi, di membri delle loro famiglie e di alti dignitari. Colossali furono talora le dimensioni di questi monumenti: si ricorda che il tumulo dell'imperatore Nintoku innalzato sul finire del IV sec. d. C. nella piana di Sakai, nella prefettura di Osaka, misurava una lunghezza di circa 486 m, una larghezza di 305 m ed un'altezza di m 34,6. Di dimensioni altrettanto considerevoli erano i tumuli del IV e V sec. degli imperatori Ojin e Richû, entrambi nell'attuale prefettura di Osaka.

Le tombe presentano generalmente pianta circolare od oblunga o spesso anche a forma di colossale toppa, cioè con una pianta articolata in una parte anteriore a sagoma trapezoidale ed una retrostante circoliforme. Le costruzioni consistono in una grande camera sepolcrale di forma generalmente allungata, che risulta talora preceduta da un atrio o da un corridoio di accesso. Le diverse strutture sono ottenute con la sovrapposizione di massi e di lastroni di pietra od anche con semplici muri a secco. Nell'interno della camera sepolcrale, e spesso anche all'interno del sarcofago che accoglie il defunto, è disposto un ricco corredo funebre. I sarcofagi sono di pietra o di terracotta, a forma di cilindri chiusi all'estremità, di cassettoni o di case dai tetti piani o a spioventi arcuati. Sulle pareti interne delle tombe una decorazione si dispiega a volte incisa o dipinta a motivi geometrici o naturalistici fortemente stilizzati. Sui tumuli, disposti in cerchio ad ordini degradanti, sulla cima, lungo i pendii od anche alle falde a delimitare un recinto, sono gli haniwa, che consistono in cilindri di terracotta a pareti plastiche sormontate da figure umane e animali, o anche in modellini di case e di barche (v. giapponese, arte).

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(A. Tamburello)