Mendelssohn, Moses

Dizionario di filosofia (2009)

Mendelssohn, Moses


Filosofo (Dessau, od. Land Sassonia-Anhalt, 1729 - Berlino 1786). Di famiglia ebrea di modeste condizioni, si recò ancora adolescente a Berlino, dove, formatosi una vasta cultura filosofica e letteraria, divenne amico dei giovani illuministi tedeschi e soprattutto di Lessing. Impiegatosi in un’azienda commerciale, la sua casa divenne centro di riunione degli spiriti più vivi del tempo. Nel 1755 Lessing pubblicò di M., anonimi, alcuni Philosophische Gespräche. Nel 1763, vinse, in concorrenza anche con Kant, un concorso bandito dall’Accademia delle scienze di Berlino (Über die Evidenz in metaphysischen Wissenschaften, 1764), e nel 1767 pubblicò il Phädon, oder über die Unsterblichkeit der Seele (trad. it. Fedone, ossia della spiritualità ed immortalità dell’anima) rifacimento, in tre parti, del dialogo platonico, in cui i principi etici di Socrate e la sua fede nell’immortalità dell’anima sono sostenuti con motivi del pensiero illuminista. Pregato dai membri della comunità ebraica dell’Alsazia di adoperarsi in loro favore per ottenere da Luigi XVI leggi che li tutelassero dai soprusi cui erano sottoposti, pubblicò la sua opera maggiore, Jerusalem, oder über religiöse Macht und Judenthum (1783; trad. it. Jerusalem: ovvero sul potere religioso e il giudaismo), ove l’asserzione della propria fede era accompagnata da così energica rivendicazione della libertà di coscienza che Kant se ne entusiasmò fino a considerare l’opera come l’annuncio di una grande riforma che avrebbe conquistato tutte le nazioni. M. fu ebreo osservante e volle privilegiare i soli aspetti religiosi dell’ebraismo, convinto dell’utilità dell’integrazione degli ebrei nella cultura e nella società circostanti. In questo spirito tradusse il Pentateuco in tedesco e ne compilò un commento semplice e razionale. Il suo pensiero, osteggiato dagli ambienti più ortodossi, influenzò profondamente il movimento di illuminismo e quello della riforma in seno all’ebraismo. Nel 1785, in seguito a una polemica con Jacobi, per chiarire ulteriormente il suo pensiero, pubblicò l’opera Morgenstunden, oder Vorlesungen über das Dasein Gottes, compendio di lezioni tenute al figlio e ai fratelli Humboldt, e stese lo scritto An die Freunde Lessings (post., 1786). Notevole influenza ebbe la teoria estetica di M., fondata sulla sua psicologia, che assegnava alla sensibilità un posto autonomo accanto alle tradizionali facoltà dell’intelletto e della volontà. In polemica con le tesi wolffiane e con le teorie dell’arte come imitazione, M. sostenne che l’arte tende piuttosto a ingenerare un piacere soggettivo, sminuendo quindi il valore delle regole e delle precettistiche nei confronti della creatività artistica (Betrachtungen über die Quellen und die Verbindungen der schönen Künste und Wissenschaften, 1757). Scrisse anche opere in lingua ebraica, tra cui il commento a Maimonide Millōt ha-higāyyōh («Termini logici», 1769), e il commento Bī’ūr («Commento», 1780-83) al Pentateuco da lui tradotto in tedesco.

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