MOTORE

Enciclopedia Italiana (1934)

MOTORE

Michele MITOLO
Pietro LEMMI
Gino BURO
Pericle FERRETTI
Enrico PISTOLESI
Gino BURO

Si chiamano motori le macchine che operano la trasformazione dell'energia dalle diverse forme, disponibili in natura, in energia meccanica. Tenendo conto delle forme dell'energia utilizzata nei motori, si possono distinguere questi in motori elettrici (v. dinamoelettriche, macchine), motori idraulici (v. ruota idraulica; turbina), moton a vapore (v. vapore), ecc.

Qui si tratta dei motori animati, dei motori ad aria compressa, dei motori ad aria calda, dei motori a combustione interna, dei motori a vento e dei motori a colonna d'acqua.

Motori animati.

Da un punto di vista meccanico generale, tutti gli animali viventi possono considerarsi come macchine animate. In una monografia, pubblicata nel 1874 da É.-J. Marey e intitolata La machine animale (in Bibliothèque scientifique internationale, III), il fisiologo francese ha sostenuto che il paragone tra animali e macchine non è soltanto legittimo, ma riesce anche molto utile, in quanto costituisce il mezzo per una buona comprensione dei fenomeni meccanici che si svolgono negli esseri viventi, avvicinandoli a fenomeni simili, generalmente meglio noti, che si osservano nel funzionamento delle comuni macchine industriali.

In molti trattati di fisiologia, antichi e recenti, è riferito spesso il termine di meccanica animale, connesso con la descrizione dei fenomeni vitali. Apparecchi motori destinati all'attività della vita vegetativa sono quelli del cuore, dei vasi, del tubo gastroenterico, dei polmoni, ecc. Nel campo della vita di relazione si trovano organi attivi, quali i muscoli scheletrici, e passivi, quali le ossa, le cartilagini, i legamenti, ecc.; tutti questi organi concorrono a formare il più complesso apparato motore della vita di relazione, rappresentato dall'apparato della locomozione (terrestre, acquatica, aerea). Anche nelle macchine utilizzate dall'industria si distinguono gli ordegni attivi, che sono la sede della produzione o sviluppo dell'energia destinata a trasformarsi in lavoro utile, e gli ordegni passivi di trasmissione di essa, rappresentati da leve, da pulegge, da piani inclinati, da pompe, ecc. Si può anzi sostenere che l'uomo si è manifestamente ispirato alla natura nella costruzione di alcune sue macchine; la carena della nave è tagliata sul modello della carena degli alati nuotatori; i remi delle barche imitano le zampe membranose di alcuni animali acquatici, i quali con esse battono l'acqua.

Alfonso Borelli più di due secoli fa, studiando le condizioni di stabilità e di spostamento dei pesci, tracciava il piano di un naviglio subacqueo, basato sullo stesso principio che informa la costruzione degli odierni sottomarini. Leonardo da Vinci antivedeva la perfezione dell'attuale tecnica aviatoria osservando il volo degli uccelli.

D'altra parte concetti e termini meccanici si sono oggi affermati in anatomia e fisiologia, tanto da divenire insostituibili. Le parole apparato, apparecchio, organo, sono state prese dalla meccanica da parte degli anatomi e dei fisiologi per designare i varî pezzi che compongono la macchina animale.

Per effetto del metabolismo o ricambio dinamico ed energetico, il motore animato trasforma quantità di energia potenziale, penetrante nell'organismo prevalentemente sotto forma di energia chimica degli alimenti, in energia attuale (energia fisiologica, energia vitale) che si manifesta sotto forma di energia calorica e di energia meccanica (movimenti). L'organismo vivente appare quindi come un trasformatore di energia chimica, come un generatore di calore e di lavoro, cioè come un motore termochimico.

Un esempio viene dato da due ossa riunite insieme da un'articolazione mobile e da un muscolo che va da un osso all'altro, inserendovisi con i suoi due capi: in tal modo si costituisce una vera leva, rappresentata in meccanica da un'asta rigida che, mediante un punto di appoggio e una forza motrice, può effettuare un movimento superando una resistenza. Il centro di gravità di ciascun membro mobile dello scheletro animale costituisce il punto di applicazione della resistenza che è data dal peso della leva ossea, delle parti molli di cui è ricoperta ed eventualmente da un carico estrinseco che può essere aggiunto al membro. Il punto d'inserzione di un muscolo al membro mobile dello scheletro rappresenta il punto di applicazione di una forza motrice. Il punto d'appoggio della leva è dato dalla superficie articolare dell'osso mobile sulla superficie articolare dell'osso fisso, oppure dal suolo o da altro corpo fisso su cui si appoggia l'estremità di un membro (L. Luciani).

Altro esempio è dato dalla circolazione del sangue, la quale si compie negli esseri viventi per mezzo di una vera e propria macchina idraulica con pompa, valvole e condotti. Il cuore è infatti una pompa senza pistone, le cui variazioni di capacità sono ottenute mediante la contrattilità delle sue pareti; altre perfette analogie si ritrovano tra l'apparecchio circolatorio degli animali e i motori idraulici: la funzione delle valvole, per esempio, è identica nei due casi.

Anche le leggi della meccanica sono rispettate dalla macchina animale. Nel caso di un muscolo scheletrico si osserva che più esso è grosso, ossia più estesa è la superficie di sezione, e più esso è suscettibile di uno sforzo considerevole. Persino la forma secondo la quale si deve produrre il lavoro muscolare si può dedurre facilmente dalla forma del muscolo: se esso è grosso e corto, dovrà produrre uno sforzo grande attraverso un percorso breve; se lungo e sottile, avrà un percorso molto esteso, e svilupperà uno sforzo poco energico. Secondo i principî della meccanica, è possibile calcolare il lavoro del muscolo che si contrae sollevando un peso, moltiplicando il peso (p) che esso sostiene per l'altezza (a) a cui lo solleva (L = p × a); e si può esprimere detto lavoro in chilogrammetri. L'equazione precedente diviene più esatta se si tiene conto, oltre che del peso di cui è caricato, anche di quello del muscolo stesso (m), e inoltre della diversa altezza a cui sono sollevate le varie sezioni del muscolo durante la contrazione [L = a (p + m/2)].

A somiglianza delle macchine industriali, si creano in quella animale fatti di misura, che necessitano un restauro. Per riferirci ancora al muscolo scheletrico (che è l'organo meglio studiato in biologia dal punto di vista meccanico), il fenomeno della fatica (v. muscolare, sistema) si può bene analizzare sia sul muscolo isolato, sia su un gruppo di muscoli in sito nell'organismo (ergografo di A. Mosso e altri ergografi; v. ergografo).

Come per le macchine considerate nella meccanica industriale, anche nel caso dei motori animati si può parlare di rendimento, ossia della quantità di energia che si manifesta o si traduce in lavoro meccanico utile; il muscolo, per es., ha un rendimento abbastanza alto, corrispondente al 40-60% dell'energia totale; rispetto a esso una comune macchina a vapore dà un rendimento relativamente basso. Lo stesso muscolo dà in realtà un rendimento variabile, nel senso che se si contrae isometricamente, cioè se l'energia svolta dall'eccitamento non si traduce in accorciamento (contrazione), detta energia si rivela invece con la tensione del muscolo; e se difetta un lavoro meccanico esteriore, si verifica in tal caso un lavoro interno fisiologico, che si risolve in produzione di calore.

La fisiologia contemporanea, tra i diversi problemi, si propone anche lo studio meccanico degli esseri viventi, creando "la scienza della macchina animale" (come si esprime J. Lefèvre); una nuova dottrina, la bioenergetica, ha il compito di considerare i motori animati da un punto di vista strettamente meccanico e di applicare concetti e leggi meccaniche all'indagine e all'interpretazione dei fenomeni vitali. Questo nuovo ramo della scienza tenta di penetrare nell'intimità dei processi della vita, immedesimandoli agli stessi processi energetici; fatti e regole della bioenergetica costituirebbero le leggi della vita stessa. Qualunque sia il valore di questa dottrina e comunque vengano giudicati gli scopi e i risultati di essa, è indubbio che la bioenergetica rappresenta uno dei più grandi progressi della fisiologia moderna.

Bibl.: E. J. Marey, La machine animale (Locomotion terrestre et aérienne), Parigi 1873; J. Lefèvre, Chaleur animale et Bioénergétique, Parigi 1911; L. Luciani, Fisiologia dell'uomo, Milano 1923.

Motori ad aria compressa.

L'aria compressa impiegata come fluido motore agisce generalmente su uno stantuffo mobile di moto alternato in un cilindro (motori alternativi), più raramente sulle pale di una ruota mobile (turbine ad aria compressa). Nei motori alternativi l'aria è utilizzata per pressione e, come nei motori a vapore, può essere introdotta nel cilindro per tutta (piena ammissione) o per parte della corsa dello stantuffo (macchine a espansione).

Se su un diagramma si riportano sull'asse delle x i volumi v occupati dal fluido e sull'asse delle y le pressioni assolute e si suppone l'espansione completa (fig.1), il lavoro assoluto teorico raccolto sullo stantuffo durante la corsa motrice è dato dall'area OABB0 durante l'ammissione e dall'area B0BCC0 durante l'espansione. Si ha:

dove v1 misura il volume di aria compressa introdotta nel cilindro.

mentre il lavoro di contropressione durante la corsa di ritorno è dato dall'area CDOC0 = p0 v0, dove v0 misura il volume occupato dal fluido al termine dell'espansione. Nel primo caso il lavoro utile in un giro risulterà:

nel secondo caso si ricava facilmente:

dove, se p1 è espresso in kg./mq. e v1 in mc., il lavoro risulterà espresso in kgm. Se si pone v1 = 1 mc. le stesse relazioni danno il lavoro teorico per ogni mc. di aria compressa impiegata; se il motore è a doppio effetto dànno ovviamente il lavoro in una corsa.

Praticamente l'ipotesi dell'espansione isotermica è puramente teorica perché non è possibile somministrare all'aria durante l'espansione tanto calore da mantenerne la temperatura costante e la pressione p2 al termine dell'espansione è sempre maggiore della pressione p0 di scarico. La temperatura assoluta corrispondente T2 (indicando con T1 la temperatura iniziale) è data da

e può essere tale da dare luogo persino alla congelazione dei lubrificanti e alla formazione di ghiaccio per effetto dell'umidità atmosferica. Per ridurre tale inconveniente si può ridurre (o anche sopprimere) la fase di espansione, sacrificando il rendimento del motore, oppure preriscaldare (sistema Popp) l'aria che deve essere inviata al motore facendole attraversare un fascio di tubi (riscaldatore) disposto nel percorso dei prodotti di combustione di un ordinario forno a carbone, in modo che la temperatura più bassa del ciclo non permetta la formazione di ghiaccio. Il sistema fu perfezionato iniettando nel riscaldatore dell'acqua, che a contatto con le pareti calde si trasforma in vapore surriscaldato che viene poi introdotto nel cilindro mescolato con l'aria compressa. Il sistema presenta anche il vantaggio di diminuire il consumo di aria sia per il maggiore volume specifico dell'aria preventivamente riscaldata sia per il volume di vapore immesso; e tale vantaggio compensa, entro certi limiti, la maggiore spesa per il riscaldo preventivo. L'energia richiesta da un motore ad aria compressa è data dal lavoro L1 assorbito per la compressione dell'aria misurato per 1 kg. dall'area ABCD del ciclo in fig. 2, dove sull'asse delle x sono riportati i volumi specifici. Il volume D C di aria compressa si riduce a DE a causa dell'abbassamento di temperatura (il punto E appartiene all'isotermica passante per B); la perdita di pressione attraverso la condotta compressore-motore riduce la pressione a OD′ portando il volume specifico a DE′. Il lavoro L2 fornito dal motore risulterà pertanto dato dall'area DEFA. Se si tiene conto dei rendimenti organici ηoc, ηom, rispettivamente del compressore e del motore, il lavoro motore richiesto Lm e il lavoro utile Lu saranno dati da Lm = L1oc, Lu = L2 ηom da cui il rendimento dell'impianto η = Lu/Lm = L2/L1• ηoc ηom, cioè dal rapporto tra le aree DEFA e ABCD moltiplicato per il prodotto dei rendimenti organici. Se l'aria compressa è preventivamente riscaldata il ciclo del motore si deforma in DEFA dando luogo a rapporti

che si avvicinano all'unità; ciò richiede, d'altra parte, una spesa di calore per il riscaldo.

I motori ad aria compressa sono per lo più a doppio effetto, monocilindrici o policilindrici, a espansione semplice o frazionata (tipo compound); la distribuzione può essere comandata dallo stantuffo stesso o da una valvola o da una biglia indipendente.

Nel primo caso (figura 3) lo stantuffo è doppio; l'aria entra in A e attraverso la luce L2 passa nella camera C spingendo lo stantuffo verso sinistra; chiusa la luce L2 l'aria si espande per scaricarsi poco dopo in S attraverso la luce L4; contemporaneamente si apre la luce L1 e l'aria compressa passa nella camera D determinando la corsa di ritorno dello stantuffo. Col secondo sistema (fig. 4), il cilindro porta a ciascuna estremità due condotte, le L e O di ammissione, le M e N di scarico, le quali sboccano in una camera di distribuzione che comunica in A col serbatoio di aria compressa e in B con lo scarico. Una valvola a farfalla C provvede all'apertura e alla chiusura delle luci. Finché lo stantuffo lascia scoperte le luci dei quattro condotti la valvola si trova in equilibrio nella sua posizione media; ma quando, spostandosi verso destra, copre la luce di scarico N, la valvola si sposterà chiudendo le luci dei canali L e N e l'aria compressa attraverso il canale O agirà sulla faccia di destra dello stantuffo invertendone il movimento. Nella distribuzione a biglia (fig. 5) la valvola è sostituita da una sferetta che scopre alternativamente le luci di ammissione A e B mentre la luce C di scarico è scoperta dallo stantuffo stesso.

I motori alternativi ad aria compressa funzionano a pressioni che in generale non superano i 6 ÷ 7 kg./cmq. e trovano le loro principali applicazioni per il comando di piccoli utensili nelle officine meccaniche (martelli pneumatici, chiodatrici, ribaditrici, trapanatrici, magli, ecc.), nelle perforatrici per lo scavo delle gallerie, negl'impianti di posta pneumatica, nelle trasmissioni pneumatiche delle locomotive Diesel, nei cilindri dei freni ad aria compressa, nei sistemi di propulsione dei siluri. Motori, tipo automobile, a 4 cilindri con grado di ammissione tra 3/5 e 2/3, da 600 a 1500 giri al minuto sono stati anche costruiti per azionare dinamo e ventilatori. L'aria compressa è inoltre utilmente impiegata come fluido motore di sostanze granulose, per il sollevamento di acqua in speciali pompe o emulsori (coi quali si possono raggiungere oggi rendimenti di poco inferiori a quelli delle ordinarie pompe), nelle campane da palombaro, nei sistemi di fondazioni pneumatiche, ecc.

Bibl.: R. Champly, L'air comprimé ou rarefié, Parigi 1928; M. A. Pernolet, L'air comprimé et ses applications, Parigi 1876; T. Garuffa, Macchine motrici e operatrici a fluido, Milano.

Motori ad aria calda.

I motori ad aria calda sono motori termici in cui è utilizzato il lavoro prodotto dall'espansione di una certa massa d'aria, preventivamente riscaldata.

Il primo motore ad aria calda fu brevettato in Inghilterra nel 1827 da R. Stirling, ma non ebbe esito pratico; in esso è però da notarsi la prima applicazione del rigeneratore del calore, organo fisso che sottraeva calore all'aria di scarico per preriscaldare l'aria immessa nella macchina. Il principio della rigenerazione del calore ha poi trovato, indipendentemente, larghissima applicazione nel campo dell'industria. Nel 1833 J. Ericsson tentò, in America, di applicare un motore ad aria calda alla propulsione della nave Caloric, ma neppure questi ottenne buon successo. Successivamente molti altri tecnici, tra cui ricordiamo Rider, Robinson, Lehmann, Buckett, ecc., si dedicarono allo studio dei motori ad aria calda, sperando di raggiungere con essi dei vantaggi che non si potevano ottenere dai motori a vapore: infatti, ritenendosi di poter raggiungere con l'aria temperature più elevate di quelle allora praticate nei motori a vapore, si doveva avere, per il principio di Carnot, un rendimento maggiore. Però inconvenienti molto gravi, cui era impossibile ovviare, fecero naufragare ogni sforzo. Nonostante le temperature abbastanza alte praticate, non si ottenevano pressioni sufficientemente elevate nell'interno del cilindro motore; ne conseguiva la necessità di assegnare a tali motori dimensioni molto maggiori che per i motori a vapore, senza tuttavia poterne raggiungere la potenza. Molto più difficile che nei motori a vapore riusciva il riscaldamento del fluido motore attraverso le pareti del recipiente, perché l'aria sottrae calore a una superficie con molto minore rapidità dell'acqua. Le alte temperature rendevano inoltre molto difficile la lubrificazione, e a esse mal resistevano le superficie metalliche esposte al contatto con l'ossigeno dell'aria. Queste difficoltà fecero abbandonare il tentativo di applicare su larga scala i motori ad aria calda, il cui interesse del resto apparve trascurabile appena si cominciarono a intravvedere le vaste possibilità dei motori a combustione interna.

I motori ad aria calda si distinguono in motori aperti e motori chiusi; nei primi l'aria che ha compiuto un ciclo viene scaricata nell'atmosfera, mentre nuova aria è introdotta a compiere il ciclo successivo; nei secondi è sempre la stessa aria che viene utilizzata nella successione dei cicli.

I motori ad aria calda aperti (fig. 7) hanno come parti essenziali il focolaio C, il cilindro A, ove si muove lo stantuffo motore, e la pompa d'alimentazione B, azionata dall'albero motore. Talvolta è lo stesso cilindro del motore che serve anche da corpo di pompa d'aria. Spesso l'aria viene compressa in un serbatoio prima di essere portata a contatto del focolaio. Al principio della corsa dello stantuffo una certa quantità d'aria è immessa nel cilindro passando attraverso il focolaio e riscaldandosi. A un certo punto della corsa dello stantuffo si chiude l'ammissione e si lascia espandere l'aria. L'espansione è tendenzialmente adiabatica nei motori che hanno il focolaio separato dal cilindro, isotermica nei motori che hanno il focolaio a contatto del cilindro. Durante la corsa di scarico lo stantuffo della pompa aspira dall'atmosfera l'aria necessaria ad alimentare il serbatoio e durante la corsa successiva la comprime e quindi la introduce nel serbatoio.

I motori ad aria calda chiusi (fig. 6) si compongono del focolaio B, del cilindro in cui agisce lo stantuffo motore C e del refrigerante D. Il refrigerante è costituito da un cilindro con camicia d'acqua fredda; in esso si muove lo stantuffo distributore o spostatore d'aria A, azionato dall'albero motore. All'inizio del ciclo l'aria, trovandosi a contatto del focolaio, si riscalda e dilatandosi nel cilindro fa compiere allo stantuffo la corsa di andata; si hanno così le fasi di ammissione ed espansione. Nella corsa di ritorno si hanno la fase di scarico, in cui l'aria è introdotta nel refrigerante, e la fase di compressione.

Motori a combustione interna.

I motori a combustione interna sono motori termici nei quali la combustione avviene internamente alla massa del fluido motore, per modo che del fluido motore fanno parte anche gli stessi prodotti della combustione.

I. Cenno storico. - Nel 1854 lo scolopio Eugenio Barsanti di Pietrasanta e il fisico Felice Matteucci di Lucca brevettarono e costruirono il primo motore a combustione interna che abbia funzionato. Si trattava (fig. 8) di un motore verticale a stantuffo libero: lo scoppio di una miscela di aria e di gas illuminante proiettava lo stantuffo in alto; successivamente, per effetto della depressione creata nel cilindro dal moto di ascesa dello stantuffo e per effetto della gravità, lo stantuffo ridiscendeva impegnandosi con l'albero per mezzo di uno speciale dispositivo a dentiera, a rocchetto e arpionismo e compiendo così la corsa motrice.

Nel 1860 il francese J.-J.-E. Lenoir costruì il primo motore a combustione interna che ebbe applicazioni industriali. Era un motore a doppio effetto con distribuzione a cassetto in cui la miscela di aria e gas illuminante, aspirata dallo stantuffo per circa metà della corsa, si accendeva per effetto di una scintilla elettrica e spingeva lo stantuffo per la seconda metà della corsa compiendo un lavoro utile. Il rendimento totale del 4% era tale da giustificare per quei tempi la notevole diffusione che ebbe tale motore.

Nel 1866 i tedeschi E. Langen e N. A. Otto costruirono un motore verticale a stantuffo libero, analogo a quello di Barsanti e Matteucci, ma alquanto differente per alcuni accessorî, fra cui notevole lo speciale innesto tra l'albero motore e il rocchetto azionato dall'asta dello stantuffo avente lo scopo di stabilire la trasmissione del moto fra lo stantuffo e l'albero soltanto durante la corsa motrice. I motori Langen o Otto sostituirono i motori Lenoir per il minor consumo di combustibile (rendimento del 12%) nonostante le enormi dimensioni d'ingombro e le violente trepidazioni che determinavano nelle strutture di sostegno.

Nel 1860 il francese Beau de Rochas ideò il ciclo a quattro tempi con compressione preventiva, secondo il quale in quattro corse dello stantuffo si dovevano effettuare nel cilindro le seguenti operazioni: 1ª corsa: aspirazione della miscela; 2ª corsa: compressione; 3ª corsa: accensione al punto morto e successiva espansione dei prodotti della combustione; 4ª corsa: scarico dei gas combusti. Tale ciclo di funzionamento è quello ancora oggi usato nei motori a quattro tempi.

Nel 1877 il tedesco Otto costruì il primo motore a quattro tempi che ebbe notevole successo segnando l'inizio della moderna costruzione industriale dei motori a combustione interna.

Nel 1879 l'inglese D. Clerk ideò e costruì il primo motore in cui venne realizzato il ciclo a due tempi, così detto perché si svolge in due sole corse dello stantuffo. Quasi al termine della corsa motrice lo stantuffo scopre una serie di feritoie praticate sul cilindro attraverso le quali si scarica la maggior parte dei gas combusti prima che lo stantuffo arrivi al punto morto: frattanto da altre feritoie entra nel cilindro un getto d'aria che, prendendo il posto dei gas combusti residui, ne effettua il lavaggio e riempie il cilindro, che è così pronto per compiere un nuovo ciclo.

Nel 1893 il tedesco R. Diesel brevettò e dopo quattro anni di esperienze costruì il primo motore secondo il ciclo che porta il suo nome, caratterizzato dalla compressione di aria (invece che di miscela), dall'iniezione del combustibile liquido nell'aria già compressa e dall'accensione del combustibile per effetto dell'elevata temperatura raggiunta dall'aria. Diesel ottenne un rendimento totale del 24% e rese possibili le più importanti applicazioni di motori a combustione interna della tecnica moderna.

II. Il ciclo di funzionamento. - Ciclo teorico e ciclo reale. - Nei motori a combustione interna, come si è detto, la combustione avviene internamente alla massa del fluido motore. Negli altri motori termici invece (p. es., i motori a vapore) la combustione avviene all'esterno del fluido motore (p. es., nel focolare della caldaia) e la combustione fornisce indirettamente al fluido motore il calore necessario allo svolgimento del ciclo.

Nel differente modo di adduzione del calore, da cui deriva un differente valore della temperatura massima del fluido, sta la ragione prima della superiorità economica dei motori a combustione interna rispetto agli altri motori termici. Per averne un'idea basta considerare le condizioni ideali teoriche che corrisponderebbero nei due casi al ciclo di Carnot. Essendo il rendimento termico di tale ciclo: ηt = 1 − T2/T1, ove T1 e T2 sono le temperature della sorgente calda e della sorgente fredda, ed essendo, per es., nei due casi, T1 = 273 + 1800, T2 = 273 + 15 e T1 = 273 + 300, T2 = 273 + 32 si otterrebbe ηt = 0,86 nel motore a combustione interna e ηt = 0,47 nel motore a vapore.

Si usano considerare nei motori a combustione interna due differenti cicli teorici di funzionamento caratterizzati dal differente modo di avvenire della combustione: ciclo con combustione a volume costante (ciclo Beau de Rochas che vien chiamato anche da molti ciclo Otto) e ciclo con combustione a pressione costante (ciclo Diesel).

Ciclo Beau de Rochas. - Supponendo che il fluido sia un gas perfetto e non modifichi la sua massa e la sua composizione chimica durante lo svolgimento del ciclo, si debbono considerare le seguenti trasformazioni: 1. Compressione adiabatica dal volume v1 (volume totale del cilindro), pressione p2 (pressione atmosferica) e temperatura T1 al volume v2 (volume della camera di combustione), pressione p2 e temperatura T2. 2. Trasformazione a volume costante dai valori v2, p2 e T2 ai valori v3 (= v2), p3 e T3: tale trasformazione (che corrisponderebbe a una combustione istantanea) è caratterizzata dalla cessione al fluido di una quantità Q1 di calore. 3. Espansione adiabatica dai valori v3, p3, T3 ai mlori v4 (= v1), p4, T4. 4. Trasformazione a volume costante dai valori v4, p4, T4 ai valori v1, p1, T1: tale trasformazione è caratterizzata dalla sottrazione dal fluido di una quantità Q2 di calore.

Possiamo trascurare nello studio del ciclo teorico le operazioni che nella realizzazione pratica si rendono necessarie per effettuare la trasformazione dal punto 4 al punto 1 per ripristinare le condizioni di pressione e temperatura e composizione chimica del fluido necessarie per lo svolgimento di un altro ciclo: tali operazioni sono differenti a seconda che si tratti di motori a quattro tempi o di motori a due tempi e saranno in appresso studiate.

Il diagramma della fig. 9 rappresenta l'andamento del ciclo, riferito a due assi, delle pressioni p e dei volumi v, ove si supponga, per semplicità di ragionamento, che nel cilindro evolva l'unità di peso (i kg.) di fluido, e i volumi siano perciò rappresentati dalle stesse cifre dei volumi specifici. L'area racchiusa nel diagramma è proporzionale al lavoro utile compiuto dallo stantuffo.

Ciclo Diesel. - Riferendosi come nel caso precedente a 1 kg. di gas perfetto che non modifichi la sua massa e la sua composizione chimica durante lo svolgimento del ciclo, dobbiamo considerare le seguenti trasformazioni: 1. Compressione adiabatica del fluido, come nel caso precedente, da v1, p1, T1 a v2, p2, T2. 2. Trasformazione a pressione costante da v2, p2, T2 a v3, p3 (= p2), T3: tale trasformazione (che corrisponderebbe a una combustione graduale) è caratterizzata dalla cessione al fluido di una quantità Q1 di calore. 3. Espansione adiabatica dai valori v3, p3, T3, ai valori v4 (= v1), p4, T4. 4. Trasformazione a volume costante come nel caso precedente dai valori v4, p4, T4, ai valori v1, p1, T1.

Trascurando, come nel caso precedente, le operazioni che nella realizzazione pratica del ciclo si rendono necessarie per effettuare la trasformazione 4-1 si ha il diagramma della fig. 10 che rappresenta l'andamento del ciclo la cui area è proporzionale al lavoro utile compiuto dallo stantuffo.

Ciclo reale. - Per tre cause principalmente il ciclo reale dei motori a combustione interna differisce dai cicli teorici considerati: impossibilità di realizzare le condizioni teoriche della combustione, differente comportamento dei fluidi reali in confronto al gas perfetto, scambî di calore con le pareti.

a) I due cicli teorici accennati suppongono che la trasformazione 2-3 con cessione di calore al fluido avvenga a volume o a pressione costante e, iniziandosi nel punto 2, sia completamente terminata nel punto 3. Nel primo caso la corrispondente combustione dovrebbe essere istantanea, nel secondo caso dovrebbe svolgersi in modo da mantenere costante la pressione. In realtà, come qualunque fenomeno fisico, la combustione non puÒ avvenire in un tempo zero e a essa corrisponde una certa durata il cui valore assoluto (espresso in frazione di secondi) dipende, come vedremo, da elementi di natura chimica e fisica. Quello, però, che influisce sulla trasformazione corrispondente in modo d'avvicinarla a essere piuttosto a volume costante o a pressione costante è il valore relativo (espresso in frazione di corsa dello stantuffo) della durata della combustione, valore relativo il quale, per un dato modo di effettuare la combustione (cioè per un dato tipo di motore) può assumere valori differenti al variare di elementi geometrici o cinematici del motore e dar luogo così a curve di combustione differenti. È possibile infatti con lo stesso tipo di motore avere una trasformazione che si avvicina a essere a volume costante (dp/dv = ∞, ciclo Beau de Rochas) o a pressione costante (dp/dv = 0, ciclo Diesel) a pari dimensioni del cilindro a seconda, p. es., del numero di giri o dell'anticipo all'accensione (da cui dipende dv) o, a pari numero di giri e anticipo, a seconda, p. es., del diametro del cilindro (da cui dipende dp).

La condizione di combustione a volume o a pressione costante può diventare perciò una condizione teorica accidentale e non si può quindi considerare sufficiente a definire il ciclo di funzionamento. Tanto più in quanto essa non può essere rigorosamente realizzata in nessun motore perché il fenomeno della combustione è per sua stessa natura così complesso che non solo non si può regolare in modo da ottenere un andamento delle pressioni come indicato dai diagrammi teorici, ma non è neppure possibile limitarne la durata all'intervallo tra il punto 2 e il punto 3.

Si tratta in ogni caso di una combustione progressiva che si svolge dapprima per un certo tratto con pressione crescente, poi con pressione costante e infine con pressione decrescente: essa è esprimibile con una funzione continua e finita del tempo la cui durata è sempre molto maggiore di quella che corrisponde ai diagrammi teorici perché in nessun motore l'adduzione di calore al fluido ha principio al punto morto e termina quando la pressione comincia a diminuire, ma s'inizia già durante la compressione e prosegue per una frazione più o meno grande della successiva corsa di espansione.

Il ciclo di funzionamento reale di un motore è perciò sempre da considerarsi come intermedio tra i due cicli teorici sopra riportati, ma poiché, come vedremo, per realizzare le condizioni di miglior rendimento la tecnica moderna tende a ridurre la durata relativa della combustione avvicinandosi alla condizione di combustione a volume costante anche nei motori Diesel, è piuttosto il ciclo Beau de Rochas quello che, nella maggior parte dei casi, può essere assunto come modello teorico dei motori a combustione interna.

b) Tutti i fluidi impiegati nei motori a combustione interna presentano, a differenza del gas perfetto considerato nei cicli teorici, calori specifici crescenti al crescere della temperatura secondo una legge del tipo c a + bT ove a e b dipendono dalla natura del fluido. Il valore di b, che per il gas perfetto sarebbe zero, è tale che, per l'aumento di temperatura da 0° a 2000°, cp aumenta per l'aria e l'H2 circa del 30% e per l'H2O e CO2 circa del 100%: in conseguenza il rapporto k = cp/cv, che per il gas perfetto sarebbe uguale a 1,41 e costante al variare della temperatura, è invece per le temperature che interessano i motori sempre minore di 1,41 (specie nell'H2O e CO2) e decrescente al crescere della temperatura. La conseguenza di tale variabilità del calore specifico è un differente andamento delle curve adiabatiche di compressione e di espansione le quali risultano meno ripide di quelle dei cicli teorici: le pressioni e temperature massime del ciclo risultano diminuite e aumentate invece la pressione e la temperatura all'inizio dello scarico: tali differenze coi cicli teorici sono, naturalmente, tanto maggiori quanto maggiore è la percentuale di combustibile (e di prodotti della combustione) nel fluido che evolve nel cilindro.

È facile riconoscere lo sfavorevole effetto della variabilità del calore specifico sul rendimento: l'aumento del calore specifico del fluido con la temperatura impone infatti una maggior cessione di calore per ottenere un determinato aumento di temperatura necessario per lo svolgimento del ciclo, maggiore quantità di calore che viene poi restituita dal fluido quando la temperatura diminuisce, senza che essa abbia servito allo svolgimento del ciclo, e che rappresenta (Clerk) un'apparente occultazione di calore.

c) Nei cicli teorici la compressione e l'espansione sono rappresentate dall'equazione pvk = cost. ove k = cp/cv. In realtà non è possibile compiere tali trasformazioni senza che avvengano scambî di calore tra il fluido e le pareti.

Nella corsa di compressione dapprima le pareti cedono calore al fluido, ma poi, in conseguenza dell'aumento di temperatura derivante dalla compressione, è il fluido che cede calore alle pareti: la curva di compressione risulta perciò dapprima più ripida e poi meno ripida dell'adiabatica. Naturalmente il fenomeno è influenzato dall'intensità del raffreddamento, dallo spessore delle pareti, dal rapporto di compressione, dal sistema d'introduzione del combustibile (nei motori a carburazione infatti, per l'inevitabile presenza di goccioline di benzina nella miscela, una parte del calore del fluido anziché passare alle pareti serve a completare l'evaporazione del combustibile), ecc. L'esponente della politropica va diminuendo col procedere dello stantuffo e il suo valore medio durante la compressione risulta circa 1,30 ÷ 1,35.

La curva di espansione è caratterizzata dapprima da una notevole adduzione di calore al fluido, poi da un andamento adiabatico e finalmente da una sottrazione di calore dal fluido: la curva di espansione risulta quindi dapprima meno ripida e poi più ripida dell'adiabatica e l'esponente della politropica va crescendo col procedere dello stantuffo mediamente da 1,2 a 1,5. Il fenomeno è regolato dalla contemporanea influenza di tre differenti circostanze: la combustione susseguente, la variabilità del calore specifico e l'effetto di parete. La combustione susseguente, che si protrae per buona parte della corsa di espansione, è dovuta al combustibile che, per la limitata velocità della combustione, non ha fatto in tempo a bruciare nella fase precedente e a quello che, per effetto della dissociazione dei prodotti della combustione in conseguenza dell'elevata temperatura, non è bruciato completamente: a ciò corrisponde una diminuzione dell'esponente k, la quale è tanto maggiore quanto più intensa è la combustione susseguente e si riduce a zero al termine di essa. La diminuzione del calore specifico al diminuire della temperatura porta a un minor valore del rapporto k = cp/cv durante l'espansione e la diminuzione di k è tanto più notevole quanto più rapida è la diminuzione di temperatura e quindi maggiore al principio che alla fine della corsa di espansione. Le pareti, trovandosi durante tutta la corsa di espansione a una temperatura inferiore a quella del fluido, sottraggono calore al fluido e tale sottrazione di calore (e il conseguente aumento di k) è maggiore al principio e minore alla fine della corsa perché col procedere dell'espansione al diminuire della temperatura del fluido diminuisce sia il calore trasmesso alla parete per convezione e conduzione sia (ancora più rapidamente) quello trasmesso per irradiazione.

III. Il rendimento termico. - Il rendimento termico è il rapporto tra il calore equivalente al lavoro sviluppato dal fluido nel cilindro e il calore speso: si deve distinguere il rendimento termico teorico e il rendimento termico reale a seconda che si considera il ciclo teorico o il ciclo reale.

Ciclo Beau de Rochas. - Durante la trasfomnazione 2-3 (fig. 9) entra nel ciclo la quantità Q1 di calore e durante la trasformazione 4-1 esce la quantità Q2: la differenza Q1Q2 è trasformata in lavoro (area del ciclo). Il rendimento termico teorico è perciò:

Se indichiamo con c il rapporto di compressione c = v1/v2 e con k l'esponente dell'adiabatica k = cp/cv, si dimostra che:

Il rendimento termico teorico (essendo k > 1) è dunque funzione crescente del rapporto di compressione c e del rapporto k dei calori specifici, come appare dai diagrammi della fig. 11. Esso è quindi, come naturale, funzione crescente del salto di temperatura T3 = T4 perché k e c sono funzioni implicite di T4 e T3. Infatti, aumentando k, le adiabatiche diventano più ripide cioè, a parità di altre condizioni, aumenta T2 e quindi T3, e la differenza T3 T4; e aumentando c aumenta T2 e quindi T3, e, poiché il rapporto di compressione è uguale al rapporto di espansione, aumenta ancora la differenza T3T4.

Essendo ηt crescente al crescere di k e di c, per aumentare η converrà: 1. aumentare k: ciò si ottiene facendo uso di eccesso d'aria (miscele povere) perché il valore di k è maggiore per l'aria che per i vapori di idrocarburi (prima della combustione) e per il vapor d'acqua e l'anidride carbonica (dopo la combustione): come sarà dimostrato in appresso, non è possibile nei motori a carburazione oltrepassare certi limiti di povertà della miscela oltre i quali cessa di propagarsi la fiamma ed è possibile invece oltrepassarli nei motori a iniezione per il differente meccanismo dell'accensione; 2. aumentare c: come sarà dimostrato in appresso, non è possibile nei motori a carburazione oltrepassare certi limiti di c, oltre i quali si producono l'accensione prematura e la detonazione che impediscono il regolare funzionamento del motore ed è possibile invece oltrepassarli nei motori a iniezione per il differente sistema d'introduzione del combustibile.

Ciclo Diesel. - Durante la trasformazione 2-3 (fig. 10) entra nel ciclo la quantità Q1 di calore e durante la trasformazione 4-1 esce la quantità Q2, la differenza Q1Q2 è trasformata in lavoro. Se indichiamo con c il rapporto di compressione c = v1/v2, con b il rapporto di ammissione b = v3/v2 e con k l'esponente dell'adiabatica k = cp/cv, si dimostra che:

Il rendimento termico teorico (essendo k > 1) è dunque funzione crescente del rapporto c di compressione e del rapporto k dei calori specifici (come nel ciclo Beau de Rochas) e funzione decrescente del rapporto b di ammissione. Esso è quindi, come naturale, funzione crescente del salto di temperatura T3T4 perché k, c e b sono funzioni implicite di T3 e T4. Infatti al crescere di k e di c aumenta T3 e diminuisce T4 e al crescere di b aumenta T3, ma in maggior misura aumenta T4.

Essendo ηt crescente al crescere di k e di c e al diminuire di b, per aumentare ηt converrà: 1. aumentare k, cioè fare uso di eccesso d'aria e ciò è possibile entro limiti molto più ampî che col ciclo Beau de Rochas in conseguenza del differente sistema di accensione del combustibile; 2. aumentare C, cioè far uso di elevate pressioni e ciò è possibile senza che debba temersi alcun inconveniente come nel ciclo Beau de Rochas in conseguenza del differente sistema d'introduzione del combustibile; 3. diminuire b, cioè ridurre la fase di ammissione (e combustione) del combustibile: ma ciò non è possibile se non si vuole corrispondentemente diminuire la potenza sviluppata dal motore. Infatti l'effetto sfavorevole del rapporto di ammissione sul rendimento è contenuto nel prodotto delle due frazioni del secondo membro della (2) (per il quale ηt del ciclo Diesel differisce da quello del ciclo Beau de Rochas): per annullare tale sfavorevole effetto dovrebbe tale prodotto diventare eguale a 1 cioè ridursi b = 1 il che significa (divenendo v3 = v2) che dovrebbe ridursi a zero l'adduzione di calore.

Confronto dei cicli Beau de Rochas e Diesel. - Consideriamo (figg. 12 e 13) i diagrammi TS (entropici) per il ciclo Beau de Rochas (1, 2, 3, 4), e per il ciclo Diesel (I, II, III, IV). Essendo ηt = 1 − (Q2/Q1), se stabiliamo la condizione che siano eguali le aree sottese dalla curva di combustione sarà maggiore ηt quando sarà minore Q2 (cioè l'area sottesa dalla curva di scarico). Possiamo confrontare i due cicli secondo tre differenti punti di vista: 1. a pari rapporto di compressione (fig. 12-a). Essendo l'area A 14 B (calore Q2 per il ciclo Beau de Rochas) minore dell'area A IIV C (calore Q2 per il ciclo Diesel) ηt è maggiore per il ciclo Beau de Rochas che per il ciclo Diesel; 2. a pari temperatura massima (fig. 12-b). Essendo l'area A 14 B maggiore dell'area A IIV C ηt è minore per il ciclo Beau de Rochas che per il ciclo Diesel; 3. a pari pressione massima. Si debbono distinguere due casi. Se nel ciclo Beau de Rochas è piccolo l'aumento di pressione p3p2 (cioè, per un determinato valore di p3, grande il rapporto di compressione) (fig. 13-a) e quindi piccolo nel diagramma TS l'aumento di ordinata del punto II rispetto al punto 2, l'ascissa del punto III è maggiore di quella del punto 3 e perciò Q2 è maggiore nel ciclo Diesel: il ηt del ciclo Beau de Rochas risulta maggiore di quello del ciclo Diesel. Se invece nel ciclo Beau de Rochas è grande l'aumento di pressione p3p2 (cioè, per un determinato valore di p3, piccolo il rapporto di compressione) (fig. 13-b) e quindi grande nel diagramma TS l'aumento di ordinata del punto II rispetto al punto 2, l'ascissa del punto III è minore di quella del punto 3 e il ηt del ciclo Beau de Rochas è minore di quello del ciclo Diesel. In pratica si verificano condizioni intermedie tra i due casi limiti considerati e perciò, a pari pressione massima, i rendimenti termici teorici dei due cicli risultano circa uguali.

Ciclo reale. - Ritenendo che, in via di prima approssimazione, il ciclo reale si possa ricondurre a uno dei due prototipi considerati (Beau de Rochas e Diesel) e trascurando i fenomeni secondarî, distingueremo l'effetto della variabilità del calore specifico e della dissociazione e l'effetto del calore perduto alle pareti. Poiché tali circostanze variano al variare della temperatura del fluido, assumeremo come variabile indipendente il rapporto tra combustibile e comburente (espresso in funzione del valore teorico corrispondente alla completa combustione): nel caso dei motori a carburazione le condizioni normali di funzionamento sono quelle che si riferiscono al valore 1 di tale rapporto (poiché abitualmente tali motori funzionano senza eccesso d'aria), nel caso dei motori a iniezione al valore 0,5 (poiché abitualmente tali motori funzionano col 100% di eccesso d'aria).

È possibile calcolare con una certa approssimazione la diminuzione di ηt che nei due cicli si verifica in conseguenza della variabilità del calore specifico, della dissociazione e del calore perduto alle pareti. Il grafico della fig. 14 riassume tali risultati per un motore a carburazione (Beau de Rochas) con c = 6 e per un motore a iniezione (Diesel) con c - 14 e, per quanto le possibilità di funzionamento corrispondano a limitati campi delle ascisse, a scopo dimostrativo le curve sono state estese per tutti i valori della percentuale di combustibile da 1 a zero. L'ηt, teorico per il ciclo Beau de Rochas e per il ciclo Diesel è rappresentato dalle rette 1 e II (la differenza di ordinata tra I e II rappresenta l'effetto di b); l'ηt, tenendo conto della variabilità del calore specifico e della dissociazione, dalle rette 2 e III, l'ηt, tenendo conto anche del calore ceduto alle pareti (rendimento termico reale che indicheremo con ηt′), dalle rette 3 e IV: i risultati delle curve così ottenute hanno solo valore dimostrativo, ma valgono tuttavia a dare un'idea dell'andamento del fenomeno.

Risulta che l'effetto sfavorevole del calore specifico e della dissociazione è circa doppio di quello del calore perduto alle pareti. Risulta che, pur non essendo l'ηt del ciclo Diesel molto migliore del ciclo Beau de Rochas, l'ηt′ è invece sempre molto più elevato in conseguenza della possibilità di funzionamento con notevole eccesso d'aria. Risulta che, a differenza di ηt, ηt′ aumenta al diminuire della temperatura massima del fluido in conseguenza della diminuita sfavorevole influenza del calore specifico, della dissociazione e delle pareti, e che anzi tale temperatura massima è l'elemento determinativo più importante del rendimento termico reale e conviene perciò tenerla più bassa possibile anche per migliorare le condizioni meccaniche di funzionamento del motore.

IV. - Il rendimento organico. - Il rendimento organico è il rapporto tra la potenza effettiva e la potenza indicata:

e, potendosi ritenere che le perdite di potenza derivanti dal funzionamento dei varî organi siano circa proporzionali alla potenza indicata, essendo a un coefficiente opportuno, si può scrivere

Le resistenze passive che si oppongono al funzionamento del motore possono suddividersi in quattro gruppi: resistenze di attrito degli stantuffi, resistenze di attrito degli altri organi del motore (cuscinetti, ecc.), resistenze per il ricambio del fluido (perdite di pompaggio nei motori a 4 tempi e e resistenza pompa di lavaggio nei motori a z tempi), resistenze al moto dei meccanismi ausiliarî (pompe, compressore, ecc.). Si può ritenere che mediamente tali resistenze rappresentino nel loro complesso dal 25 al 15% della potenza indicata e perciò η0 = ~ 0,75 ÷ 0,85.

È interessante procedere a un'analisi dettagliata di tutte le perdite (Lepersonne) per giudicare della loro importanza relativa:

1. Perdite per urti nelle articolazioni (del piede e della testa di biella e dell'asse a manovella) derivanti dalla variazione brusca della pressione sullo stantuffo (ciclo Beau de Rochas). Siano Mα e m le masse dello stantuffo e della biella, p3 la pressione massima, s il giuoco nelle articolazioni, i il numero e d il diametro dei cilindri, n il numero dei giri: esprimendo le pressioni in kg./cmq., le lunghezze in mm., la perdita di potenza in cav. risulta:

Per es., per un motore a scoppio di 55 cav., 4 cil. 90 × 160 mm., 2000 giri, risulta P1 = 0,28 cav.

2. Perdite per attriti nelle articolazioni (piede di biella, testa di biella, cuscinetti di banco). Siano ρ il raggio del perno, f il coefficiente di attrito, α l'angolo del moto relativo corrispondente a un ciclo, S la corsa, r il raggio della manovella, F la forza agente sul perno, la potenza dissipata sarà:

a) Piede di biella. - Le forze agenti sono: la forza Ff corrispondente alla pressione media del fluido (corretta della forza d'inerzia dello stantuffo) durante la compressione e l'espansione: Ff = ~ 107 Pe0oiSn e la forza Fα, valore medio della forza d'inerzia alternata durante le corse di aspirazione e scarico Fα = ~ 0,5 • 10-5 (Mα + 0,5 m) n2 r. Il valore di α per un giro di manovella, indicando con μ il rapporto tra biella e manovella, è (figura 15) α = 2 ϕmax = ~ 2/μ. Le perdite di potenza corrispondenti alla Ff e alla Fα risultano perciò:

Per esempio, per il motore da 55 cav.: P2′ = 0,06 cav., P2″ = 0,05 cav.

b) Testa di biella. - Le forze agenti sono: la forza Ff e la forza Fα (se trascuriamo l'obliquità della biella) e la forza d'inerzia Fr delle masse rotanti rispetto al bottone di manovella Fr = ~ 0,5 • 10-5 mn2 r. Essendo α = 2 π, le perdite di potenza sono:

Per esempio per il motore da 55 cav.: P2′ = 0,9 cav., P2″ = 0,86 cav., P2‴ = 1,34 cav.

c) Cuscinetto di banco. - Le forze agenti sono: la forza Ff e la forza Fα (se trascuriamo l'obliquità della biella), la forza d'inerzia Fr delle masse Mr rotanti non equilibrate (se esistono) Fr = ~ 10-5 Mr n2r e il peso Fm dell'asse a manovella. Essendo α = 2 π, le perdite di potenza sono:

Per es., per il motore da 55 cav: P2′ = 0,9 cav., P2

″ = o,86 cav., P2‴ = 0 cav., P2″ = 0,04 cav.

3. Perdite per attriti negli stantuffi. Si debbono distinguere:

a) Attriti dovuti alle fasce elastiche. Indicando con p la pressione in kg. per cmq. da esse esercitata contro la superficie del cilindro e h la loro altezza complessiva, la perdita di potenza corrispondente è:

b) Attriti dovuti alla pressione del fluido. Il valore medio della reazione normale dello stantuffo contro il cilindro è N = ~ 0,125 • 10-2 πd2pm/μ, essendo pm la pressione media e 1/2 μ l'inclinazione media della biella: la perdita di potenza corrispondente risulta:

c) Attriti dovuti alle forze d'inerzia. Generalmente durante la corsa di compressione (e durante quella di espansione) lo stantuffo rimane a contatto col cilindro sempre dalla stessa parte poiché la reazione normale N dovuta al fluido e la reazione normale Nα dovuta alla forza d'inerzia alternata Fα ammettono una risultante la quale non cambia di segno durante tutta la corsa, nonostante che la Fα cambi di segno; ed essendo zero il valore medio della Fα durante l'intera corsa, è anche zero l'effetto di essa sull'attrito dello stantuffo durante le corse di compressione ed espansione. Invece nelle altre due corse (aspirazione e scarico), durante le quali per il trascurabile valore della N ha la prevalenza la Nα, la risultante della N e della Nα cambia di segno come la Nα: in conseguenza lo stantuffo inverte, durante la corsa, la superficie di contatto col cilindro e per tutta la durata della corsa si deve considerare la resistenza di attrito fNα. Se trascuriamo l'obliquità della biella il valore medio della forza d'inerzia durante una corsa è Fα = ~ 0,5 10-5 (Mα + o,5 m) rn2 e la perdita di potenza corrispondente

Per esempio, per il motore da 55 cav.: P3′ = o,96 cav., P3″ = o,95 cav., P3‴ = o,87 cav.

4. Perdite per azionare la distribuzione. - Indicando con Ld il lavoro in kgm. necessario per azionare il meccanismo della distribuzione per la durata di un ciclo, la potenza corrispondente sarà:

Per es., per il motore da 55 cav. P4 = 0,54 cav.

5. Perdite per azionare i meccanismi ausiliarî. Si debbono distinguere:

a) Pompe di circolazione dell'acqua e dell'olio. Indicando con Q1 e con Q2 la portata in kg. per eav. e per ora, con H1 e con H2 la prevalenza, con η il rendimento, la potenza corrispondente sarà:

b) Compressore. Indicando con Vp il volume d'aria di polverizzazione (misurato alla pressione atmosferica) in mc. per cav. e per ora, con pp la pressione di polverizzazione e pa la pressione atmosferica, con η il rendimento del compressore, sarà:

Per es., per il motore da 55 cav.: P5′ = 1 cav., P5 = 0,3 cav., P5‴ = 0.

6. Perdite per il ricambio del fluido. - Nei motori a 4 tempi tali perdite, corrispondenti all'aspirazione e allo scarico, rappresentano un'area negativa del ciclo che potrebbe sembrare conveniente di considerare nella valutazione del rendimento termico. Esse debbono invece essere incluse tra le perdite organiche perché il ciclo possa valere sia per i motori a 4 tempi sia per quelli a 2 tempi prescindendo perciò dalle operazioni necessarie per il ricambio del fluido (rispettivamente: scarico e aspirazione e lavaggio).

a) Motori a 4 tempi. Durante le corse di scarico e di aspirazione il motore funziona come una macchina soffiante: poiché le perdite meccaniche di una tale macchina sono state già incluse nei numeri precedenti, non rimangono da considerare che le resistenze di pompaggio dovute alla perdita di carico Δps che si oppone all'uscita dei gas combusti durante la corsa di scarico e Δpa che si oppone all'entrata dell'aria durante la corsa di aspirazione. La perdita di potenza corrispondente risulta:

b) Motori a 2 tempi. La macchina soffiante è costituita dalla pompa di lavaggio: indicando con Vl il volume aspirato in mc. per cav. e per ora, con pl la pressione di lavaggio, η il rendimento, pa la pressione atmosferica, risulta:

Per es., per il motore di 55 cav.: P6′ = 2,2 cav.

Per tale motore le perdite organiche calcolate possono essere cos riassunte: urti 0,4 ".; articolazioni 7,6%; stantuffi 4, 1%; distribuzione 0,8%; meccanismi ausiliarî 2%; pompaggio 3,3%. Totale 18.3%. Rendimento organico 81,7%.

Elementi che influiscono sul rendimento organico.

a) Numero di giri. - Al crescere di n aumentano rapidamente le perdite di potenza che, giusta le precedenti trattazioni, sono per la maggior parte funzione di n e di n3 e perciò esprimibili complessivamente con Pp = a + bn + cn3. Al crescere di n aumenta, come già visto, ηt′ in conseguenza dei più intensi moti vorticosi (da cui deriva una maggiore omogeneità della miscela e, nei motori a carburazione, una maggior velocità di propagazione della fiamma) e delle minori perdite di calore alle pareti (per effetto della minor durata del ciclo): aumenta perciò la potenza indicata Pi = kn non soltanto per l'aumento di n, ma anche per l'aumento di k.

Il rendimento organico η0 = (PiPp)/Pi diminuisce perciò al crescere di n perché Pp, cresce più rapidamente di Pi.

Il rendimento totale invece ηtot = ηt′ • η0, in conseguenza dei contrastanti effetti dell'aumento di n su ηt′ e su η0, dapprima aumenta e poi diminuisce al crescere di n e raggiunge un massimo per un determinato valore di n che varia da motore a motore e si potrebbe chiamare "numero di giri ottimo".

b) Rapporto di compressione. - Al crescere di c aumentano p2 e p3 e di conseguenza il peso di tutti gli organi che a tali pressioni sono proporzionati e le perdite di potenza per attrito derivanti dalle corrispondenti forze d'inerzia. Al crescere di c aumenta, come già visto, ηt′, e quindi la potenza indicata.

Il rendimento organico diminuisce perciò al crescere di c perché Pp cresce più rapidamente di Pi.

Il rendimento totale invece ηtot = ηt′ • η0, in conseguenza dei contrastanti effetti di c su η0′ e su η0, dapprima aumenta e poi diminuisce al crescere di c e raggiunge un massimo per un determinato valore di c che si potrebbe chiamare "rapporto di compressione ottimo" e che per i motori come oggi si costruiscono si aggira intorno a 10.

c) Rapporto di ammissione. - Il lavoro indicato Li corrispondente all'area del ciclo reale si può esprimere come differenza tra il lavoro E di espansione e il lavoro C di compressione, cioè Li = E C. Analogamente indicando con ηe ed ηc il rendimento dell'espansione e della compressione e con α il rapporto C/E, il lavoro effettivo Leff del ciclo sarà: Leff = ηc E C/ηc. Sarà perciò:

Il rendimento organico η0 diminuisce quindi al crescere di α (e si ridurrebbe a zero per ηcηe = α,, p. es., per ηc = 0,8, ηc = 0,75 qualora fosse C ??? 0,6 E): e aumenta invece al crescere del rapporto di ammissione b = v3/v2 perché al crescere di b diminuisce α.

Il rendimento totale invece ηtot = ηt′ • η0, in conseguenza dei contrastanti effetti di b su ηt′ (come si è già visto ηt′ diminuisce al crescere di b) e su η0, dapprima aumenta e poi diminuisce al crescere di b e raggiunge un massimo per un determinato valore di b che si potrebbe chiamare "rapporto di ammissione ottimo" e che per i motori come oggi si costruiscono si aggira intorno a 2.

d) Quota di funzionamento. - Portando il motore a funzionare a quote crescenti, la potenza indicata (p. 969) diminuisce proporzionalmente alla densità dell'aria, cioè Pi′ = μPi se indichiamo con Pi′ e Pi la potenza indicata a quota z e a quota zero (aria tipo) e con μ il corrispondente rapporto delle densità dell'aria. Potendo ritenere costanti al variare della quota le perdite organiche aPi, il rendimento organico η0′ in quota sarà perciò:

Risulta quindi che η0′ va rapidamente decrescendo al crescere della quota e la sfavorevole influenza delle resistenze passive viene esaltata dalla diminuzione della densità dell'aria. P. es., per a = 0,14 cioè η0 = 0,86, a quote crescenti 4000-8000 m. risulta η0′ = 0,788-0,663 e per a = 0,25 cioè η0 = 0,75 risulta η0′ = 0,622-0,40.

e) Masse a moto alternato. - Le perdite organiche dovute alle forze d'inerzia alternate Fa risultano generalmente almeno dello stesso ordine di grandezza di quelle dovute al fluido motore e acquistano tanto maggiore importanza quanto più aumenta n, essendo Fa proporzionale a n2 (e quindi la potenza dissipata proporzionale a n3). Nei motori veloci si cerca quindi di diminuire le masse dotate di moto alternato alleggerendo gli stantuffi: si ricorre perciò a forme speciali di stantuffi (con parziale abolizione del fodero cilindrico in corrispondenza del piano contenente l'asse del manovellismo) e all'impiego di leghe leggiere (bronzi di alluminio o di magnesio aventi peso specifico 2800 o 1800 kg./mc. cioè circa 1/3 o 1/4,5 della ghisa), le quali hanno anche la preziosa qualità di avere un coefficiente di conduzione del calore molto elevato (almeno triplo della ghisa) che favorisce il raffreddamento degli stantuffi e ne assicura meglio il regolare funzionamento.

f) Reazione normale degli stantuffi. - La perdita di potenza che corrisponde alla componente N della pressione del fluido rappresenta una parte non trascurabile del complesso delle perdite: per diminuirla, non potendosi aumentare il rapporto μ tra biella e manovella oltre certi limiti (es., μ = 5) per non aumentare il peso e l'ingombro del motore, si sono studiati alcuni provvedimenti speciali, es. manovellismi ad asse spostato e stantuffi a fondo inclinato.

I manovellismi ad asse spostato hanno l'asse del cilindro spostato parallelamente a sé stesso di una quantità ε dalla parte in cui si trova la manovella durante l'espansione. In tal modo si diminuisce la reazione normale dello stantuffo durante l'espansione e la si aumenta durante la compressione, ottenendo in complesso (per il differente valore della pressione media nelle due corse) un vantaggio che, entro certi limiti, cresce al crescere di ε; risulta infatti (esperienze Lacoin) che per ε/r = 0-0,2-0,4-0,6 la percentuale di potenza corrispondente agli attriti degli stantuffi varia, per es., da 5-4-3,7-3,5.

Gli stantuffi con fondo inclinato (ideati da Ètèvé) hanno il fondo obliquo rispetto all'asse dello stantuffo ed essendo le fasce elastiche disposte in piani paralleli al fondo, la risultante della pressione del fluido risulta normale al fondo stesso. Se l'inclinazione è scelta opportunamente, tale pressione può essere diretta secondo la direzione media della biella durante la corsa di espansione: risulterà così diminuito il valore della N durante l'espansione (quando è massima l'azione del fluido) e aumentato durante la compressione (quando l'azione del fluido è minore), ottenendo in complesso un favorevole risultato.

V. Potenza. - a) Potenza indicata. - La potenza indicata Pi è la potenza corrispondente al lavoro compiuto dal fluido nel cilindro (area del diagramma pv). Poiché il diagramma pv si può ottenere direttamente dal motore facendo uso di uno speciale apparecchio detto indicatore (v.), la potenza che da esso deriva si chiama potenza indicata. Si può esprimere Pi in funzione dell'ordinata media pm del diagramma:

in cui α è uguale a 1 o 2 a seconda si tratta di motore a 2 o 4 tempi. Si può esprimere Pi in funzione dell'ordinata media Mm del diagramma del momento motore:

Il momento motore M si può ricavare dal diagramma dell'indicatore. La forza F = pπd2/4 esercitata dal fluido motore e applicata in C (fig. 16) si può decomporre nella N (la quale non compie lavoro utile e dà origine a una resistenza d'attrito che si oppone al moto) e nella F′, che si può decomporre nella R (la quale non compie lavoro utile e dà origine a una resistenza d'attrito che si oppone al moto) e nella T il cui momento M rispetto ad A è il momento motore. La T si può ricavare analiticamente dalla F essendo F′ = F/cos ϕ; T = F′ sen (θ + ϕ) quindi T = F sen (θ + ϕ)/cos ϕ. La T si può ricavare anche per via grafica prendendo (fig. 17) nella direzione della manovella BH = F, e conducendo da H la normale ad AC fino a incontrare in K la direzione della biella; il segmento HK raporesenta la forza tanaenziale T; infatti:

Si può così costruire il diagramma di T in funzione di θ, il quale, a parte la scala, rappresenta pure il diagramma di M. Se si tratta di motore monocilindrico (fig. 18-a) tale diagramma va a zero per θ = 0, π, 2π: ciò non accade generalmente per i motori policilindrici, nei quali il diagramma risultante del momento motore (fig. 18-b) presenta una irregolarità tanto minore quanto maggiore è il numero dei cilindri.

b) Potenza effettiva. - La potenza effettiva è misurata dal prodotto del rendimento organico e della potenza indicata: Pe = η0 Pi. Esprimendo Pi in funzione di pm e conglobando in un unico fattore k i coefficienti numerici si ottiene la formula del Witz:

Scrivendo l'eguaglianza tra il volume efficace generato dagli stantuffi e il volume dell'aria necessaria alla combustione (ηv rendimento volumetrico) ed essendo il rendimento totale (cioè il prodotto ηt′ • η0) uguale al rapporto tra il calore corrispondente a un cav. ora e il calore speso per ottenerlo, sostituendo e raccogliendo in un unico fattore k tutti i coefficienti numerici, si ottiene la formula del Güldner:

Dalle espressioni trovate risulta la dipendenza di Pe dagli elementi geometrici e meccanici del motore:

1. Influenza del diametro dei cilindri. - Le due formule sembrano esprimere un aumento della potenza col quadrato di d; in realtà però essendo ηt′ e ηv (e quindi pm) a loro volta funzioni di d la legge di dipendenza di Pe da d è molto meno semplice: al crescere di d variano infatti le condizioni della combustione per la differente importanza dei moti turbolenti e per il maggior spazio che deve percorrere la fiamma (nei motori a carburazione) e il combustibile (nei motori a iniezione); variano pure le condizioni di raffreddamento (variando il rapporto tra volume e superficie) e le condizioni di riempimento del cilindro (non potendosi per ragioni costruttive e di funzionamento mantenere invariato il rapporto tra l'area dello stantuffo e l'area delle valvole). Risulta da ciò che con piccoli cilindri l'aumento di Pe è maggiore dell'aumento di d2 e con grandi cilindri minore.

2. Influenza del numero di giri. - Al crescere di n aumenta uno dei fattori di Pe, ma variano anche in differente misura gli altri fattori: η0 (per la maggiore importanza delle forze d'inerzia alternate che sono funzione di n2) e ηv (per il maggior valore delle perdite di carico) diminuiscono e tale diminuzione è tanto più importante quanto maggiore è n; ηt′ invece aumenta per gli aumentati moti vorticosi e le diminuite perdite di calore alle pareti in conseguenza del minor tempo per lo svolgimento del ciclo. Risulta così che con n piccolo hanno la prevalenza gli elementi fav0revoli e Pe cresce al crescere di n e con n grande hanno invece sempre più la prevalenza gli elementi sfavorevoli e Pe diminuisce al crescere di n e tanto più rapidamente quanto maggiore è n.

c) Curva caratteristica. - Dicesi curva caratteristica la curva Pe = f(n). Potendosi scrivere:

essa si può dedurre dalla curva Mm = ϕ (n) che si ottiene sperimentalmente dalle determinazioni che si compiono sul motore in sala di prova misurando Mm e n.

Siano, per un valore generico n = ???OA, Mm = ???MA e Pe = ???PA: dai triangoli simili OBC, OAP risulta OB:OA = BC:AP ossia OB = Mmn/Pe cioè per la (3) OB = 1/0,0014 = costante. Si può utilizzare tale circostanza per ricavare per punti la curva Pe dalla curva Mm: basta per un punto generico M condurre l'orizzontale fino a incontrare in C la verticale per B e proiettare C da O fino a incontrare la verticale per M: il punto P così individuato dà con la sua ordinata il valore cercato della potenza corrispondente al momento AM (fig. 19).

Le due curve Pe ed M sono legate da alcune relazioni geometriche: il massimo della curva Mm corrisponde al valore di n per il quale la tangente alla curva Pe passa per O: infatti dalla (3) Mm = (1/0,0014) (Pe/n) cioè Mm è proporzionale alla tangente trigonometrica dell'angolo a che la congiungente del punto generico P con l'origine O forma con l'asse delle ascisse: il massimo di Mm si avrà quindi per n = OE quando α è massimo, cioè la congiungente SO è tangente alla curva Pe. Il massimo della curva Pe corrisponde al valore di n per il quale la tangente alla curva Mm e la congiungente MO formano angoli uguali e contrarî con l'asse delle ascisse: infatti tale massimo si otterrà quando dPe = 0 ossia per la (3) quando Mm dn + ndMm = 0 cioè Mm/n = − dMm/dn: condizione che è soddisfatta per n = OD essendo β = γ.

La curva caratteristica permette di giudicare sul modo di comportarsi del motore nei varî regimi di funzionamento e particolarmente sulla sua elasticità (souplesse) cioè sulla sua capacità di adattamento alle variazioni del momento resistente.

Riferendoci al caso più generale che il momento resistente sia indipendente dal numero di giri, possiamo considerare due condizioni limiti: che Pe cresca proporzionalmente a n e quindi per la (3) Mm sia costante (fig. 20-a) oppure che Pe sia costante al variare di n e quindi per la (3) Mm varî secondo le ordinate di un'iperbole equilatera (figura 20-b). Nel primo caso il motore non possiede alcuna elasticità perché, se il momento resistente Mr aumenta, il motore tende ad arrestarsi e, se Mr diminuisce, il motore tende sempre più ad aumentare il numero di giri. Nel secondo caso invece il motore possiede una grande elasticità perché si adatta spontaneamente alle variazioni del carico, ritrovando da solo le condizioni di equilibrio per qualunque variazione di Mr. In pratica la curva caratteristica dei motori a combustione interna ha un andamento intermedio tra i due casi considerati perché, in conseguenza delle resistenze che si oppongono al riempimento del cilindro durante l'aspirazione il peso di fluido introdotto per ogni ciclo e quindi (a parità delle altre circostanze) Mm diminuisce al crescere di n ma meno rapidamente di quanto corrisponde alla fig. 20-b (per realizzare i due casi limiti occorrerebbe perciò teoricamente un compressore che sovralimentasse il motore, tanto più quanto più cresce n, fig. 20-a, o quanto più diminuisce n, (fig. 20-b). Quanto più crescono, al crescere di n, le resistenze della fase di aspirazione, tanto più la curva caratteristica tende al 2° caso limite, cioè aumenta l'elasticità del motore.

Tale è, p. es., il caso dei motori di automobile di costruzione americana in confronto a quelli di costruzione europea e della generalità dei motori a due tempi in confronto a quelli a quattro tempi. Nei motori americani infatti, per la minore area delle valvole di aspirazione, al crescere dei giri diminuisce, in maggior misura che nei motori europei, il peso di fluido aspirato e la curva della potenza ha perciò un andamento più pianeggiante: il motore ha quindi, entro certi limiti, l'attitudine ad adattarsi spontaneamente alla variazione del carico e meno frequentemente perciò in una vettura americana occorre intervenire regolando l'alimentazione o cambiando la marcia. Lo stesso avviene nei motori a due tempi in confronto a quelli a quattro tempi: infatti per le difficoltà del lavaggio che - per il tempo a disposizione, ben minore di quello dell'aspirazione nei 4 tempi - aumentano rapidamente al crescere dei giri, diminuisce ηv in maggior misura che nei 4 tempi e quindi la curva della potenza si avvicina maggiormente al caso della fig. 20-b e il motore risulta più elastico. Nell'un caso e nell'altro tale favorevole proprietà non rappresenta in generale un pregio del motore perché è ottenuto a scapito di ηv alle maggiori velocità cioè della potenza massima ottenibile del motore: la potenza per litro di alcuni motori americani è infatti circa metà di quella dei corrispondenti motori europei e la potenza per litro dei normali motori a due tempi non oltrepassa in generale a regime normale una volta e mezzo la potenza dei motori a 4 tempi.

Le considerazioni svolte sulla curva caratteristica presuppongono che Mr sia indipendente da n: non valgono quindi nel caso dei motori accoppiati a un'elica (aviazione, marina) nei quali Mr varia con n secondo una legge che dipende dagli elementi geometrici e meccanici dell'elica. Ritenendo, p. es. (fig. 21), Mr proporzionale a n2 (e perciò la potenza resistente a n3), se il motore deve essere in regime, Mm dovrà variare secondo la medesima legge, e poiché la curva caratteristica sopra considerata ha un differente andamento, la condizione di regime col motore a piena potenza non potrà ottenersi che nel punto A d'intersezione, cioè in corrispondenza del numero di giri n = OB. Poiché però è possibile, regolando opportunamente l'ammissione, far funzionare il motore a carichi ridotti e per ciascuna delle potenze P1, P2, ecc. corrispondentemente sviluppate dal motore si possono considerare altrettante curve caratteristiche (figura 21), si ottengono altrettanti punti A′, A″, ecc., i quali rappresentano condizioni di regime del motore a differenti numeri di giri B′, B″, ecc., che possono essere ottenuti regolando opportunamente l'ammissione cioè la potenza sviluppata dal motore. Il luogo dei punti come A rappresenta una curva che è chiamata curva di utilizzazione.

VI. L'ammissione del combustibile. - L'ammissione del combustibile è fatta nei motori a combustione interna secondo due differenti procedimenti che caratterizzano le due grandi classi in cui si possono dividere i motori: a carburazione e a iniezione.

Col sistema a carburazione il combustibile viene convenientemente mescolato all'aria prima della sua introduzione nel cilindro e, in conseguenza, la compressione si compie sulla miscela carburata (aria e combustibile) e l'accensione avviene per punto caldo (scintilla tra le punte della candela). Effettuandosi la compressione della miscela non si può aumentare oltre certi limiti il rapporto di compressione per non provocare l'accensione prematura e la detonazione, ed effettuandosi l'accensione per punto caldo non si può aumentare oltre certi limiti la povertà di miscela (eccesso d'aria) per non impedire la propagazione della fiamma: derivano da ciò valori limiti, difficilmente superabili, del rendimento termico e delle dimensioni dei cilindri.

Col sistema a iniezione il combustibile viene introdotto nel cilindro e quindi mescolato con l'aria quando già si è compiuta la compressione e l'accensione avviene, generalmente, in conseguenza dell'elevata temperatura raggiunta dall'aria per effetto della compressione. Effettuandosi la compressione dell'aria non carburata si possono raggiungere senza inconvenienti elevati valori del rapporto di compressione, ed effettuandosi l'accensione in conseguenza della elevata temperatura dell'aria del cilindro si può far uso di miscele con eccesso d'aria; da questo fatto derivano valori del rendimento termico e delle dimensioni dei cilindri maggiori di quelli che si hanno nel tipo precedente.

La carburazione. - L'operazione della carburazione viene effettuata in apposito apparecchio, il carburatore (fig. 27). Il carburatore usato per combustibili liquidi (benzina) può essere schematizzato come nella fig. 22 e costituisce l'elemento terminale della tubulatura di aspirazione a forma di tubo Venturi; nella sezione ridotta di esso termina lo spruzzatore (gicleur) che è alimentato da un serbatoio a livello costante: il livello del combustibile nel serbatoio è di qualche millimetro inferiore all'estremità del tubo spruzzatore per modo che soltanto in conseguenza della depressione creata dal moto dell'aria nel tubo Venturi il combustibile esce dallo spruzzatore e, mescolandosi con l'aria che passa, forma la miscela carburata.

Per realizzare le più favorevoli condizioni della combustione occorre assicurare un determinato rapporto tra combustibile e aria (p. es., quello corrispondente alla percentuale teorica per la quale tutto il combustibile trova l'ossigeno necessario alla sua combustione). Poiché la legge di efflusso del combustibile dallo spruzzatore non coincide con quella di aspirazione dell'aria (fig. 23), esiste un unico valore della depressione per cui tale condizione è soddisfatta e al crescere della depressione, aumentando la portata dello spruzzatore più rapidamente della portata del tubo dell'aria, aumenta la ricchezza della miscela.

La depressione Δp nella sezione ridotta del tubo Venturi, trascurando le perdite di carico, si può scrivere in funzione della mlocità v dell'aria e del peso specifico γ della miscela Δp = (γ/2g) v2 e, poiché γ è proporzionale alla pressione atmosferica pa e v al numero di giri del motore, si può scrivere Δp pa n2. Risulta da tale relazione che al variare del numero di giri e della pressione atmosferica varia la depressione del carburatore e perciò:

1. Quando n è grande si ha una depressione grande cui corrisponde una ricchezza di miscela eccessiva. Per ovviare a tale inconveniente il carburatore si può completare (fig. 24) con un altro spruzzatore detto compensatore che funziona in parallelo con lo spruzzatore principale e la cui portata, essendo costante col tempo, determina un arricchimento della miscela che diminuisce al crescere del numero di giri: complessivamente perciò la ricchezza di miscela risulta circa costante e indipendente da n.

2. Quando n è piccolo si ha una depressione insufficiente a richiamare il combustibile dallo spruzzatore cui corrisponde una povertà di miscela eccessiva. Per ovviare a tale inconveniente il carburatore si può completare (fig. 25) con uno spruzzatore ausiliario utilizzando la depressione, ben maggiore di quella Δp del tubo Venturi, che si forma in corrispondenza della valvola a farfalla che serve alla regolazione dell'aspirazione.

3. Quando al crescere della quota di funzionamento del motore (motori aeronautici) pa diminuisce, diminuisce Δp e quindi (fig. 23) il rapporto fra i volumi della benzina e dell'aria formanti la miscela: ma ciò non ostante, in conseguenza della diminuzione di pa (essendo la benzina un liquido e l'aria un aeriforme) aumenta rapidamente il rapporto tra i pesi della benzina e dell'aria cioè la ricchezza della miscela. Per ovviare a tale inconveniente (qualora non si preferisca regolare la sezione dello spruzzatore) il carburatore si può completare (fig. 26) con un tubo opportunamente regolabile in quota, che serve a mettere in comunicazione la camera del serbatoio a livello costante e la tubulatura di aspirazione del motore in modo da frenare l'efflusso del combustibile e conservare così circa costante la ricchezza di miscela.

Teoricamente la carburazione dovrebbe formare una miscela omogenea di aria e combustibile: in realtà - se si fa uso di combustibili liquidi - si ottiene soltanto una mescolanza di aria, vapore e goccioline di combustibile, più o meno imperfetta a seconda delle condizioni nelle quali si svolge il fenomeno e che giova considerare dettagliatamente.

Peso P di aria necessario per la combustione. - I combustibili liquidi adoperati nei motori sono generalmente miscele di idrocarburi rappresentabili con la formula CnH2n+2a in cui a è un numero intero che può essere positivo, nullo o negativo. Per la completa combustione deve verificarsi la reazione CnH2n+2a + (3n + a) O = n CO2 + (n + a) H2O; occorre perciò che il rapporto in peso tra l'ossigeno e l'idrocarburo sia 16 (3 n + a)/(14 n + 2 a). Il peso P di aria occorrente per unità di peso di combustibile risulta quindi P = [16 (3 n + a)/(14 n + 2 a)] 0,2358; sostituendo a n e ad a i valori medî per i combustibili abitualmente usati, si ottiene P = ~ 15.

Temperatura T1 della miscela. - Supposta la miscela omogenea e costituita di aria e vapore di combustibile si può esprimere la tensione x del vapore in funzione della pressione H della miscela, del peso P di aria e del peso specifico δ del vapore. Risulta x = H/(i + Pδ): dalle tabelle del Regnault relative al vapore del combustibile impiegato si ricava la temperatura θ corrispondente a tale tensione. Tale temperatura non deve essere maggiore della temperatura T1 della miscela se si vuol ottenere che tutto il combustibile si trovi sotto forma di vapore: converrà anzi che sia abbastanza inferiore perché eventuali raffreddamenti della miscela lungo la tubulatura di aspirazione non provochino la parziale condensazione del combustibile che verrebbe a depositarsi sulle pareti. Riferiamoci, p. es., all'esano C6H14 che è uno dei principali componenti della benzina, supposto H = 740 mm. di Hg risulta x = 16 mm. di Hg da cui θ = − 19°; se portiamo il motore a funzionare a quote z crescenti (motori aeronautici) potendosi ritenere H e quindi x proporzionale alla pressione atmosferica risulta che per z = o ÷ 2000 ÷ 4000 ÷ 6000 m. dovrà essere T1 ??? − 19° ÷ − 21° ÷ − 26° ÷ − 28°.

Temperatura T0 dell'aria. - Per ottenere l'evaporazione del combustibile in modo da formare una miscela omogenea bisognerà fornire a esso il calore di vaporizzazione: se trascuriamo l'effetto delle pareti e dei gas residui è necessario che tale calore gli venga ceduto dall'aria che forma la miscela: essa quindi si raffredderà in conseguenza di tale cessione di calore e dovrà perciò avere una temperatura T0 sufficientemente elevata prima di entrare nel carburatore per non discendere al di sotto di θ dopo avvenuta l'evaporazione del combustibile. Per il caso dell'esano il raffreddamento risulta di 29° e occorrerebbe perciò che per z = 0 ÷ 2000 ÷ 4000 ÷ 6000 m. fosse T0 ??? 10° ÷ 8° ÷ 3° ÷ 1°; poiché tali temperature sono invece generalmente superiori alla temperatura ambiente occorrerebbe effettuare il preriscaldamento dell'aria (o del combustibile) tollerando la conseguente diminuzione di ηv e quindi di Pe, se la cessione di calore da parte dei gas residui e delle pareti del cilindro non compensasse la deficiente temperatura iniziale dell'aria.

L'iniezione. - L'operazione dell'iniezione del combustibile nei motori a combustione interna ha per scopo di suddividere il getto di combustibile introdotto nel cilindro in goccioline sufficientemente piccole e di mescolarlo per quanto possibile con tutto l'ossigeno contenuto nella camera di combustione.

1. Iniezione con aria compressa. - Una certa quantità di aria (circa il 10% della cilindrata) precedentemente compressa (a circa 70 kg./cmq.) viene inviata nel polverizzatore ove si trova il combustibile liquido da iniettare ed entra nel cilindro con velocità v corrispondente al salto di pressione, spingendo davanti a sé il combustibile, il quale risulta in tal modo finemente suddiviso e distribuito nell'intero volume della camera di combustione.

La polverizzazione è ottenuta sia per effetto del regime vorticoso assunto dal liquido al passaggio attraverso il polverizzatore, sia per effetto delle varie forze agenti sul getto nell'interno del cilindro.

Per assicurare il regime vorticoso, la velocità v del liquido lungo i condotti dello spruzzatore deve essere maggiore della velocità critica (numero di Reynolds vd/ν > 1200 indicando con ν la viscosità cinematica e con d il diametro del foro dello spruzzatore; il contrasto tra la forza d'inerzia corrispondente alla variazione di velocità derivante dai moti vorticosi e la coesione del liquido determina una prima polverizzazione nell'atto in cui il combustibile esce dallo spruzzatore.

Le forze agenti sul getto nell'interno del cilindro sono: la forza acceleratrice dovuta all'azione di trascinamento esercitata dall'aria e crescente col quadrato della velocità relativa, cioè circa con v2, l'inerzia che si oppone a tale accelerazione, la coesione e la tensione superficiale: il contrasto delle due prime forze tende a suddividere la massa del combustibile iniettato e le altre due si oppongono a tale suddivisione: per ogni valore di v si verifica una condizione di equilibrio tra le due azioni alla quale corrisponde un diametro δ delle goccioline.

L'esperienza conferma un tale andamento del fenomeno risultando (Triebnig) δ = ag/fγi v2 se si indica con a la tensione superficiale e con v la velocità del liquido, con f un coefficiente che dipende dalla pressione dell'aria contenuta nel cilindro, con γi il peso specifico dell'aria d'iniezione.

La penetrazione del getto è ottenuta per effetto dell'energia cinetica del combustibile cui si aggiunge quella dell'aria d'iniezione facendo uso d'una sufficiente quantità d'aria d'iniezione la penetrazione risulta perciò sufficiente a distribuire il combustibile nell'intero volume della camera di combustione. Si dimostra (e l'esperienza conferma) che la penetrazione s cresce al diminuire della pressione nel cilindro e del diametro δ delle goccioline e al crescere del peso e della pressione pi dell'aria di iniezione essendo s = (1/b) log (1 + v0 bt), se si indica con t il tempo, con v0 la velocità iniziale e con b una funzione di p1 e di 1/δ.

Il sistema riunisce la caratteristica della buona polverizzazione e della buona penetrazione del getto; esso però presenta l'inconveniente di richiedere un apposito compressore per l'aria d'iniezione: da ciò deriva una non indifferente dissipazione di potenza per azionare il compressore (circa il 5% della potenza del motore; l'energia dell'aria d'iniezione è solo in parte utilizzata dal cilindro motore e il rendimento del compressore è generalmente basso), un aumento di peso e di costo dell'impianto e soprattutto una maggiore probabilità di avarie in conseguenza della delicatezza degli organi e dell'elevata pressione del compressore.

2. Iniezione diretta. - Nel sistema d'iniezione diretta (detto dagl'Inglesi iniezione solida) il combustibile viene iniettato nel cilindro a una pressione di alcune centinaia di atmosfere (p. es., 300).

Il meccanismo della polverizzazione è analogo a quello del sistema precedente: esso è dovuto sia ai moti vorticosi corrispondenti al regime di efflusso turbolento attraverso i fori del polverizzatore sia alle forze agenti sul getto nell'interno del cilindro (in questo caso alla forza acceleratrice dovuta all'azione di trascinamento dell'aria d'iniezione è sostituita la forza deceleratrice dovuta alla resistenza del mezzo).

L'efficacia della polverizzazione, a pari velocità di efflusso, risulta inferiore a quella del caso precedente (bisogna introdurre un fattore 4 ÷ 5 nella formula Triebnig) per due ragioni:1. perché essendo inferiore il diametro dei fori degli spruzzatori (proporzionati per smaltire il solo combustibile) a pari v si raggiunge un numero di Reynolds inferiore e perciò una minor turbolenza del getto; 2. perché la velocità relativa tra il combustibile e l'aria (d'iniezione nel primo caso, del cilindro nel secondo caso) decresce con una legge più rapida nel secondo caso in conseguenza della resistenza del mezzo.

La penetrazione del getto, essendo dovuta alla sola energia cinetica del combustibile, risulta inferiore a quella del caso precedente, e non sarebbe possibile (fig. 28) un soddisfacente funzionamento del motore se non esistessero i moti vorticosi dell'aria del cilindro a favorire la diffusione del combustibile.

Il sistema a iniezione diretta presenta il notevolissimo vantaggio della semplicità e dell'abolizione del compressore oltre a quello, che sarà in appresso discusso, della possibilità di funzionamento con più elevati numeri di giri: presenta però alcuni inconvenienti pratici derivanti dall'uso delle elevate pressioni d'iniezione che sono necessarie per assicurare il regime turbolento del getto.

Dall'uso di tali elevate pressioni derivano due inconvenienti:1. l'usura dei forellini dello spruzzatore, per effetto dell'elevata velocità del liquido, e conseguente otturamento di essi, per effetto delle particelle metalliche asportate; 2. l'imperfetta combustione derivante da insufficiente velocità del getto all'inizio e al termine dell'iniezione, per effetto dell'elasticità e dell'inerzia delle tubazioni e del liquido.

Per ottenere una buona polverizzazione occorre una certa velocità v: è necessario quindi iniziare e terminare bruscamente l'iniezione per evitare che il combustibile iniettato con velocità insufficiente e quindi insufficientemente polverizzato bruci in modo imperfetto formando depositi carboniosi sullo spruzzatore: si provvede perciò a iniziare e terminare bruscamente la mandata della pompa (es., manovra rapida dello stantuffo o delle valvole). Nonostante ciò, per effetto dell'elasticità delle tubulature e del combustibile, all'inizio dell'iniezione si immagazzina nelle tubulature una certa quantità di liquido e perciò la velocità d'iniezione non raggiunge istantaneamente il suo valore massimo, e al termine della mandata della pompa il liquido prima immagazzinato nelle tubulature si scarica attraverso lo spruzzatore entrando nel cilindro con velocità gradualmente decrescente: all'inizio e al termine dell'iniezione si ha così un'imperfetta combustione.

Per eliminare tale inconveniente si munisce lo spruzzatore di una valvoia automatica (Deutz) tarata in modo da assicurare una sufficiente pressione d'iniezione: accade tuttavia che, chiudendosi bruscamente la valvola al termine dell'iniezione, si producono sovrapressioni ondulatorie (colpi d'ariete) nelle tubulature che dànno origine a iniezioni intempestive con insufficiente velocità. Ogni inconveniente scompare riducendo al minimo la lunghezza delle tubulature, cioè avvicinando il più possibile la pompa al polverizzatore fino a collocare la pompa accanto al polverizzatore (Dorner) o addirittura compenetrandola col polverizzatore (Cumming).

3. Iniezione con camera di preaccensione. - Il combustibile viene compresso a una pressione molto minore del caso precedente (p. es., 80 atmosfere) e iniettato nella camera di preaccensione (di dimensioni variabili da caso a caso, p. es., 0,03 ÷ 0,3 V2) che si trova in diretta comunicazione col cilindro e nella quale, per l'avvenuta compressione e per la presenza di parti metalliche (p. es., lo spruzzatore) non refrigerate, si trova una certa quantità di aria compressa a elevata temperatura. Si determina perciò una parziale imperfetta combustione della parte periferica del getto che provoca l'aumento della pressione nella camera stessa e il conseguente efflusso dei prodotti della parziale combustione nel cilindro e il trascinamento del combustibile non ancora bruciato: i gas combusti a elevata temperatura compiono in tal modo la funzione dell'aria compressa nel sistema precedente.

La polverizzazione del combustibile è così ottenuta per effetto di due successive operazioni: l'iniezione nella camera di preaccensione e il trascinamento da parte dei gas prodotti dalla parziale combustione. Esse corrispondono ai due sistemi già descritti dî iniezione diretta e iniezione con aria compressa, ma, nonostante il favorevole effetto della diminuita tensione superficiale in conseguenza l'elevata temperatura raggiunta dal liquido, la polverizzazione risulta molto grossolana per la limitata velocità di efflusso in ambedue le successive operazioni.

La lentezza deila combustione che ne deriva e che diminuisce il rendimento termico, è in parte compensata dalla presenza dei prodotti della parziale combustione avvenuta nella camera di preaccensione: tale camera viene a funzionare infatti come una specie di gasogeno perché, come in un gasogeno, il combustibile si trova a elevata temperatura in presenza di un'insufficiente quantità di aria.

Il sistema presenta il vantaggio della semplicità e della sicurezza di funzionamento in confronto ai precedenti per l'abolizione del compressore e delle elevatissime pressioni d'iniezione, ma richiede più elevati rapporti di compressione e più elevati consumi di combustibile.

4. Iniezione con turbolenza. - Nel sistema d'iniezione diretta l'efficacia della polverizzazione e la penetrazione del getto sono caratteristiche antitetiche e mentre è possibile, con un conveniente valore della pressione d'iniezione, raggiungere un'efficace polverizzazione, occorre fare assegnamento sui moti vorticosi naturalmente posseduti dall'aria compressa nel cilindro per assicurare la diffusione del combustibile nell'intero volume della camera di combustione.

Per ottenere le più favorevoli condizioni di diffusione converrà quindi (Ricardo) esaltare opportunamente la turbolenza dell'aria nel cilindro realizzando in essa un movimento rotatorio ordinato che incontri normalmente il getto di combustibile e assicuri il passaggio di tutta l'aria sotto al polverizzatore nell'intervallo di tempo corrispondente alla durata dell'iniezione.

In tal modo anziché costringere il combustibile ad andarsi a trovare l'aria necessaria alla combustione sarà l'aria stessa che analogamente a quanto avviene nella carburazione, passando sotto al polverizzatore trascinerà con sé il combustibile formando una miscela omogenea, se la sua velocità angolare sarà a volte quella della manovella, essendo 1/a la durata dell'iniezione riferita alla rotazione della manovella.

E poiché lo stesso movimento rotatorio dell'aria contribuiva favorire la polverizzazione del combustibile, si potrà rinunziare alle elevatissime pressioni d'iniezione del sistema d'iniezione diretta togliendo alla velocità del combustibile il compito di produrre da sola la polverizzazione e affidandolo invece anche alla velocità dell'aria.

Si ha così il sistema d'iniezione con turbolenza che è caratterizzato dalla medesima semplicità del sistema d'iniezione diretta senza alcuno degl'inconvenienti derivanti dai diametri troppo piccoli dei polverizzatori e dalle pressioni troppo elevate d'iniezione (si possono usare pressioni di 70 ÷ 80 atmosfere) col vantaggio - in confronto al sistema con camera di preaccensione - di una combustione tanto più rapida e di un rendimento tanto migliore (esperienze Ricardo e Krupp) quanto maggiore è la turbolenza.

VII. La combustione. - Il fenomeno dell'ossidazione del combustibile è funzione della temperatura: esso è costituito da una reazione endotermica che si verifica, per quanto lentamente, anche a bassa temperatura (es., l'accensione spontanea del carbone): ma soltanto oltre una determinata temperatura (detta temperatura di accensione se si tratta di combustibile solido o liquido, e temperatura d'infiammazione se si tratta di combustibile aeriforme) la sua velocità aumenta dando luogo a un'ossidazione rapida che prende il nome di combustione. Le due temperature di accensione e d'infiammazione sono molto differenti tra loro e, mentre Ta varia moltissimo da un combustibile a un altro, Ti non è molto diversa per i varî combustibili adoperati nei motori ed è invece funzione decrescente della pressione secondo la fomiula di Neumann Ti = aγ-m m in cui γ è il peso specifico dell'aria nel cilindro e a e m due costanti che dipendono dalla natura del combustibile. Nei motori a carburazione, trovandosi il combustibile per la maggior parte sotto forma di vapore, interessa la Ti (che si aggira, per es., intorno ai 600°): nei motori a iniezione, essendo il combustibile per la maggior parte sotto forma di goccioline, interessa la temperatura di accensione Ta (che varia, p. es., da 250° a 450°).

Il fenomeno della combustione. - La combustione si determina e si svolge in modo del tutto differente nei motori a carburazione e nei motori a iniezione:

1. La combustione nei motori a carburazione. - La combustione è provocata dall'azione della scintilla che scocca tra le punte della candela e si propaga poi all'intero volume della camera di combustione: occorre perciò che in ogni istante la quantità di calore già sviluppata sia sufficiente a portare gli strati concentrici di miscela alla temperatura di accensione.

Il fenomeno dipende quindi innanzi tutto (es., fig. 29) dalla concentrazione della miscela ed esiste perciò per ogni combustibile un limite minimo (e un limite massimo) di ricchezza di miscela oltre il quale la combustione non è più possibile perché l'aria (o il combustibile) in eccesso, funzionando da gas inerte, impedisce con la sua azione refrigerante la propagazione della fiamma. Da ciò deriva la sfavorevole caratteristica dei motori a carburazione di non poter funzionare con eccesso d'aria (oltre limiti molto ristretti, p. es., 10 ÷ 20% di povertà di miscela) e la conseguente impossibilità di basse temperature del ciclo e di elevato rendimento termico del motore.

La velocità della fiamma, in conseguenza del meccanismo della sua propagazione, aumenta perciò al crescere del potere calorifico h della miscela, al diminuire del calore specifico c e del peso specifico γ della miscela e al diminuire della differenza tra la temperatura Ti d'infiammazione e la temperatura T2 della miscela: poiché la pressione e la temperatura influiscono su tali elementi (al crescere della pressione aumentano h e γ e diminuisce Ti; al crescere della temperatura diminuiscono h e γ e aumenta c) la velocità della fiamma dipende dalla pressione e dalla temperatura all'inizio della fase di combustione. La velocità della fiamma varia anche col tempo trascorso dall'inizio della combustione (fig. 30) perché da esso dipende la quantità di calore messo in giuoco, che è funzione del volume di miscela bruciata, e la velocità della combustione che è funzione della temperatura, del tenore di CO2 ed H2O e della legge di variazione del volume.

Comunque varino le condizioni della combustione, l'ordine di grandezza della velocità della fiamma è poco differente da caso a caso: p. es., da misure eseguite su miscele in quiete, con aria nelle proporzioni teoriche, alla pressione atmosferica, è risultato che le velocità medie (in m. sec.-1) per i varî combustibili sono: idrogeno 12; vapore di benzina 3; metano1,5; ossido di carbonio1. Si tratta in ogni caso di velocità così piccole che il funzionamento dei motori non sarebbe possibile qualora non intervenissero altri fenomeni ad abbreviare la durata della combustione (p. es., in un cilindro di 100 mm. di diametro, con anticipo all'accensione di 20°, sarebbe necessaria al regime di 1800 giri una velocità media della fiamma superiore a 20 m. sec.-1).

Il fenomeno più importante è rappresentato dai moti turbolenti acquistati dalla miscela durante l'aspirazione, moti turbolenti disordinati in conseguenza dei quali ogni particella in combustione, spostandosi nella massa della miscela non combusta, determina successivi punti di ignizione (come se fosse una candela mobile) e le varie porzioni di miscela non combusta spostandosi a loro volta si trovano rapidamente a contatto con la fiamma. Deriva da ciò un acceleramento della combustione, che, fino a un certo limite dellavelocità dei moti turbolenti (esperienze Hopkinson), cresce al crescere di essa e poi diminuisce (analogamente una corrente d'aria attiva o impedisce la combustione di una fiamma a seconda della sua velocità); nel caso dei motori a combustione si è sempre al disotto di tale limite e conviene perciò sempre aumentare la turbolenza dell'aria.

2. La combustione nei motori a iniezione. - Le goccioline di combustibile entrando nel cilindro trovano già in esso le condizioni necessarie per la loro accensione venendo a contatto con l'aria che, per l'avvenuta compressione, si trova a una temperatura maggiore della temperatura di accensione del combustibile. Per l'accensione di tutto il combustibile non occorrono quindi, come nei motori a carburazione, particolari condizioni di ricchezza di miscela (rapporto tra peso di combustibile e peso d'aria) ed è perciò possibile il funzionamento anche con notevole eccesso d'aria (generalmente il 100%), dal quale deriva l'aumento del rendimento termico che rappresenta la più preziosa caratteristica dei motori a iniezione.

Trovando nel cilindro ogni gocciolina di combustibile le condizioni ambientali necessarie alla sua accensione senza bisogno di dover essere riscaldata dalla combustione della gocciolina contigua, non occorre più attendere, come nel caso precedente, che la fiamma si sia propagata all'intero volume perché tutta la massa di combustibile prenda parte al fenomeno, ma è sufficiente che il combustibile sia stato introdotto nel cilindro e abbia avuto il tempo di ricevere calore dall'aria circostante.

Si debbono perciò distinguere (Ricardo) quattro successivi periodi messi in evidenza (fig. 31) dalle esperienze R.A.E. su motori a iniezione diretta:

1° periodo: ritardo all'accensione. Il combustibile iniettato si riscalda a spese dell'aria compressa contenuta nel cilindro e raggiunge la temperatura di accensione, la pressione nel cilindro aumenta soltanto per effetto dello spostamento dello stantuffo; la durata del periodo dipende principalmente dalla natura del combustibile, dall'efficacia della polverizzazione, dalla pressione e temperatura dell'aria;

2° periodo: combustione rapida. Il combustibile riscaldatosi durante il primo periodo si accende tutto insieme, essendosi, per effetto della turbolenza, già mescolato con l'aria del cilindro, la pressione e la temperatura nel cilindro salgono bruscamente in conseguenza della rapida combustione; la durata del periodo dipende dalla turbolenza e l'aumento brusco di pressione dalla quantità di combustibile che durante il primo periodo è entrata nel cilindro e si è riscaldata, cioè dalla durata del primo periodo;

3° periodo: combustione graduale. Il combustibile che seguita a entrare nel cilindro arrivando nella fiamma del combustibile che sta già bruciando e trovandovi temperatura e pressione elevate, prontamente raggiunge la temperatura di accensione (ritardo all'accensione brevissimo), ma brucia gradualmente perché si trova in un ambiente sempre più povero di ossigeno e ricco di CO2. La pressione nel cilindro sale dapprima lentamente e poi, per lo spostamento dello stantuffo, rimane costante e accenna a diminuire: la durata del periodo dipende dai moti vorticosi, dalla temperatura nel cilindro e dal peso di combustibile da iniettare;

4° periodo: combustione susseguente. Tale periodo, in un motore ben regolato, non deve attribuirsi a difetto di combustione, ma rappresenta un'inevitabile conseguenza della riassociazione del CO2 e H2O al diminuire della temperatura: il suo effetto sulla curva di espansione si somma con quello derivante dalla diminuzione del calore specifico al diminuire della temperatura, e la sua durata si prolunga in generale per buona parte della curva di espansione (esperienze Munzinger e Schweitzer) e talvolta fino allo scarico.

L'adduzione di calore nei motori a iniezione viene dunque fatta (a parte il 4° periodo) per effetto di una combustione rapida e di una combustione graduale e il ciclo corrispondente è un ciclo misto, intermedio tra quello Beau de Rochas e quello Diesel. È possibile però realizzare le condizioni per le quali la combustione rapida o la combustione graduale diminuiscano fino quasi ad annullarsi: basta influire sulla durata relativa del 1° periodo rispetto a tutta la fase d'iniezione.

Se la durata del 1° periodo è molto piccola (piccolo ritardo all'accensione come accade, p. es., con l'iniezione con aria compressa) oppure se la durata dell'intera fase di iniezione è molto grande (es., motori lenti), è relativamente piccola la quantità di combustibile che, introdotta durante il 1° periodo, brucia istantaneamente nel 2° periodo e piccolo perciò l'incremento di pressione a volume costante: la maggior parte del combustibile brucia quindi gradualmente durante il 3° periodo e il ciclo si avvicina a quello Diesel.

Se la durata del 1° periodo è molto grande (grande ritardo all'accensione come accade, p. es., con l'iniezione diretta) oppure se la durata dell'intera fase di iniezione è molto piccola (es., motori veloci) è relativamente grande la quantità di combustibile che, introdotta durante il 1° periodo, brucia istantaneamente nel 2° periodo e grande perciò l'incremento di pressione a volume costante: una minima parte di combustibile (al limite zero) brucia quindi gradualmente durante il 3° periodo e il ciclo si avvicina a quello Beau de Rochas.

E poiché iniezione diretta ed elevato numero di giri corrispondono alle moderne tendenze della tecnica dei motori, il ciclo Beau de Rochas si può ormai considerare come il ciclo teorico cui tendono tutti i motori a combustione interna.

La combustione rapida anziché graduale rappresenta, come è stato già dimostrato, un vantaggio per il rendimento termico, perché maggior quantità di calore è utilizzata col massimo rapporto di espansione: non è però conveniente eccedere in tale tendenza perché per l'eccessiva pressione massima del fluido e più ancora per l'eccessiva rapidità di aumento di tale pressione (Ricardo) si avrebbero urti nelle articolazioni e il funzionamento diventerebbe troppo brutale, il rendimento organico diminuirebbe e la vita del motore risulterebbe abbreviata.

Poiché l'elemento determinativo di tali fenomeni è il ritardo all'accensione, per misurare la dolcezza di funzionamento di un motore ci si riferisce a miscugli di cetene (che è l'olefina che dà luogo al minimo ritardo all'accensione) e di trimetilbenzolo (che ha massima la proprietà opposta) impiegati in un motore tipo, il motore C.F.R. (creato dalla Cooperative Fuel Research degli Stati Uniti d'America). Si definisce così numero di cetene la percentuale di cetene nel miscuglio che dà luogo allo stesso comportamento del combustibile in esame: nei motori a iniezione convengono combustibili a elevato numero di cetene (p. es., 50 ÷ 60).

3. Il ritardo all'accensione nei motori a iniezione. - Il ritardo all'accensione dipende principalmente dalla temperatura di accensione e dal sistema di iniezione.

a) Temperatura di accensione. - Nei motori a iniezione il combustibile si accende allo stato liquido (esperienze Neumann) ed è perciò, come già detto, da considerare la temperatura Ta di accensione. Non è infatti accettabile la teoria del Rippel secondo la quale il combustibile prima di bruciare si trasformerebbe in vapore: nessun motore a iniezione potrebbe in tal caso funzionare perché la T2 risulta, con i consueti rapporti di compressione, inferiore alla Ti (pur essendo superiore alla Ta), e perché per molti combustibili, la Ta è inferiore alla temperatura alla quale è compiuta l'evaporazione.

La Ta varia a seconda della natura del combustibile e dipende dalla tensione superficiale del liquido probabilmente perché l'energia che si rende libera al momento della scomparsa della gocciolina aumenta l'attività delle molecole; essa dipende anche (Dumanois) dalla differente attitudine del combustibile a formare, durante l'ossidazione lenta che precede l'accensione, prodotti instabili (perossidi) la cui presenza in una certa percentuale equivale a un abbassamento della Ta.

E poiché, come si è detto, nei motori a iniezione per avere dolcezza di funzionamento conviene che il ritardo all'accensione non sia troppo grande (elevato numero di cetene), conviene far uso di combustibili che hanno attitudine a sviluppare molti perossidi durante l'ossidazione lenta, cioè combustibili che - per la stessa ragione, come vedremo - non sono invece indicati per il funzionamento dei motori a carburazione (basso numero di ottano).

b) Sistema d'iniezione. - Con l'iniezione ad aria compressa, le goccioline di combustibile appena iniettate raggiungono rapidamente la temperatura di accensione in conseguenza del loro piccolo diametro, per quanto l'assorbimento di calore sia per esse ostacolato dall'aria d'iniezione che le circonda e che deve riscaldarsi insieme a esse a spese dell'aria compressa nel cilindro. Il ritardo all'accensione è piccolissimo, il conseguente aumento di pressione durante il secondo periodo trascurabile, quasi tutto il combustibile entra nel cilindro e brucia gradualmente durante il terzo periodo. Il ciclo di funzionamento si avvicina al ciclo Diesel.

Con l'iniezione diretta, in conseguenza della minore efficacia della polverizzazione, le prime goccioline di combustibile iniettato, per il loro maggior diametro, impiegano più tempo a raggiungere la temperatura di accensione e la quantità di combustibile che entra nel cilindro durante il 1° periodo e brucia istantaneamente durante il 2° periodo è molto grande e trascurabile quella che prende parte al 3° periodo. Il ciclo di funzionamento si avvicina al ciclo Beau de Rochas.

È possibile calcolare la durata approssimata del ritardo τ all'accensione in funzione del raggio r delle goccioline e della temperatura Tn iniziale del combustibile, T2 dell'aria e Ta di accensione. Risulta τ = 12 r2 log [(T2Tn) /(T2Ta)]; risulta cioè, come è logico, che τ cresce al crescere di Ta e di r2 e al diminuire di Tn e di T2 cioè del rapporto di compressione.

Mediante l'indicata espressione di τ si può mettere in evidenza (Manzella) l'anticipo all'iniezione che occorre predisporre per ottenere che l'incremento istantaneo di pressione del 2° periodo coincida col punto morto superiore. Nel diagramma della fig. 32 sui valori degli angoli θ della manovella prima del punto morto superiore sono riportati i tempi t (proporzionali a θ) corrispondenti ai varî numeri di giri, le temperature T2 dell'aria nel cilindro e i ritardi τ all'accensione per varî raggi r delle goccioline. Si vede che al crescere di r aumenta l'anticipo all'iniezione (ascissa dei punti d'intersezione delle curve τ con le rette t) e diminuisce il numero massimo di giri (corrispondente alla retta t tangente alla curva τ) cui è possibile far funzionare il motore: nei motori veloci occorre quindi una polverizzazione più perfetta che nei motori lenti.

4. La temperatura massima di combustione. - La temperatura massima di combustione raggiunge e qualche volta oltrepassa i 2000° assoluti.

Non è agevole una determinazione sicura di essa a mezzo dell'esperienza per le difficoltà derivanti dalla sua istantaneità e dalla inerzia termica di qualunque elemento esploratore, per quanto esigue siano le sue dimensioni: i valori misurati risultano inferiori al vero, a meno che non si ricorra (Duchesne) all'estrapolazione dei risultati ottenuti con elementi di dimensioni decrescenti o non si utilizzi (Schnauffer) la proprietà ionizzante delle fiamme che è funzione della temperatura. Non è agevole neppure una determinazione sicura a mezzo del calcolo per quanto si possa tener conto della variabilità del calore specifico (Dumanois), della dissociazione (Alcock) e del calore perduto alle pareti (Seiliger): tali determinazioni presuppongono nota la legge di svolgimento della combustione la quale dipende da numerosi elementi il cui controllo e la cui influenza sfugge a una valutazione esatta: è sufficiente spesso una lieve variazione di qualcuno di tali elementi per avere (esperienze Wawrzimiok) variazioni importantissime (fino al 100%) nei risultati.

Il fenomeno della detonazione. - Nei motori a carburazione quando il rapporto di compressione è superiore a un valore limite, che dipende dal tipo di motore e dal combustibile impiegato, il funzionamento diventa irregolare e si produce un battito caratteristico facilmente percepibile a orecchio e, spesso, improvvisamente, fumo nero allo scarico: si dice che il motore detona. La pressione nell'interno del cilindro raggiunge valori molto elevati con carattere pulsante; in conseguenza aumenta la cessione di calore alle pareti (abbassando ηt), si producono urti nelle articolazioni e, per la carbonizzazione del lubrificante dovuta alla maggior temperatura delle pareti, aumentano le resistenze al moto degli stantuffi (abbassando η0): la potenza effettiva risulta perciò diminuita e compromessa la sicurezza stessa di funzionamento del motore.

Per lungo tempo si è ritenuto che tale fenomeno potesse attribuirsi all'accensione prematura che si produce alcune volte spontaneamente per l'aumento di temperatura prodotto dalla compressione e il contemporaneo effetto di punti caldi non sufficientemente raffreddati dalla circolazione dell'acqua. Solo nel 1919 si è riconosciuto (Ricardo) che esso costituisce un ben distinto fenomeno, dovuto a un aumento istantaneo della velocità di combustione e analogo al regime di combustione per onda esplosiva che si osserva nei tubi e perciò chiamato detonazione.

Accendendo a un'estremità la miscela combustibile contenuta in un tubo di vetro si ha una combustione lenta (o deflagrazione) che si propaga lungo il tubo con velocità limitata (paragonabile a quella che normalmente si ha nei motori a carburazione, dell'ordine di grandezza di pochi m. sec.-1); ma, quando la fiamma ha percorso una certa lunghezza (variabile a seconda del combustibile e della pressione), la velocità di propagazione aumenta enormemente (per es., esperienze Dixon: bruciando H in O 2820 m. sec.. i, bruciando CO in O 1750) e la combustione assume il carattere di un'esplosione (o detonazione).

1. Teoria della detonazione. - Data la complessità del fenomeno, non esiste ancora una teoria completa di esso per quanta numerose siano state quelle proposte, molte delle quali avevano però il torto di trascurare alcuni lati del problema. Probabilmente esso trae origine da due distinte circostanze: a) il determinarsi nell'interno del cilindro di un'onda di pressione in conseguenza della combustione di una parte della miscela (con velocità sufficientemente elevata); tale onda propagandosi a tutta la residua parte di miscela e comprimendola adiabaticamente, ne aumenta la temperatura; b) il determinarsi di speciali condizioni della miscela per le quali risulti abbassata la temperatura d'infiammazione Ti al disotto della temperatura raggiunta in conseguenza dell'onda di pressione, in modo da produrre la contemporanea accensione di tutta la miscela non ancora bruciata.

a) La parziale combustione dalla quale trae origine l'onda di pressione può essere quella prodotta dalla scintilla o quella prodotta prematuramente da qualche punto caldo (p. es., valvole di scarico o punte della candela o qualche deposito carbonioso formatosi sulle pareti del cilindro o dello stantuffo): ciò che occorre è che la velocità di tale parziale combustione sia molto elevata per poter dare origine all'onda di pressione. E poiché tale velocità cresce rapidamente al crescere della temperatura (Ricardo: per la benzina un aumento del 3% della temperatura triplica la velocità di combustione), l'elevata temperatura di fine compressione rappresenta uno degli elementi necessarî per il prodursi della detonazione per quanto in generale (Ricardo) essa non sia sufficiente da sola a determinarla. L'onda di pressione prodotta dalla parziale combustione considerata, trasmettendosi con la velocità di qualche migliaio di m. sec.-1 alla residua massa della miscela, ne aumenta istantaneamente la temperatura per compressione adiabatica.

Supponendo che la combustione iniziale avvenga a volume costante e prescindendo per semplicità dalla forma della camera di combustione cioè considerando una trasmissione lineare dell'onda di pressione, è possibile (Pistolesi) calcolare la temperatura T raggiunta dalla miscela non combusta per compressione adiabatica: se T1 è la temperatura di aspirazione, h il potere calorifico e r la ricchezza di miscela, risulta:

La T cresce cioè al crescere di c e di T1 (fig. 33) i quali rappresentano perciò due elementi determinativi importanti del fenomeno: se T risulta super10re a Ti tutto il combustibile non ancora bruciato si accende improvvisamente e si ha la detonazione.

b) Le speciali condizioni della miscela per le quali risulta abbassata la temperatura d'infiammazione si possono produrre per effetto dell'ossidazione lenta che precede la combustione. Come si è già detto i combustibili cominciano a ossidarsi già prima di raggiungere la Ti: si tratta di un'ossidazione lenta che, per gl'idrocarburi che producono la detonazione nei motori, dà origine a prodotti instabili quali i perossidi la cui percentuale cresce (esperienze Dufraisse e Chaux) col tempo, con la pressione e con la temperatura, ed è perciò maggiore nei motori lenti e nei motori a elevato rapporto di compressione. Aumentando la temperatura fin verso i 300° questi perossidi si decompongono sviluppando calore e, se il combustibile non ancora bruciato si trova già a una temperatura sufficiente, tale sviluppo di calore (Dumanois) può determinare l'infiammazione dell'intera massa come se la Ti del combustibile si fosse virtualmente abbassata. Tale possibilità deriva perciò non soltanto dalla quantità di calore liberata dalla decomposizione dei perossidi (cioè dalla loro percentuale) ma pure dalla differenza tra la Ti e la temperatura della miscela: la prima, giusto la già citata formula di Neumann (esperienze Tauss e Schultz), diminuisce e la seconda aumenta al crescere della pressione: per doppia ragione quindi tale differenza diminuisce al crescere di c e, se vi si aggiunge l'effetto della compressione adiabatica determinata dall'onda di pressione, può agevolmente prodursi nell'intera massa la combustione istantanea che caratterizza la detonazione.

2. Mezzi per evitare la detonazione. - Interpretato così il meccanismo del fenomeno, si possono inquadrare i varî mezzi che vengono usati per evitarla in relazione all'influenza da essi esercitata sugli elementi determinativi del fenomeno stesso.

a) Mezzi per impedire la formazione o propagazione dell'onda di pressione. - Si può impedire la formazione dell'onda di pressione diminuendo la velocità della combustione della parte di miscela che si accende inizialmente, cioè diminuendo T2 di cui tale velocità è funzione: per ottenere ciò si può diminuire c, si può ricorrere all'iniezione di acqua nella miscela (che, assorbendo il calore di vaporizzazione, abbassa la temperatura del fluido) o alla diluizione della miscela con gas residui opportunamente raffreddati (Ricardo), si possono usare combustibili come l'alcool a grande calore di vaporizzazione.

Si può impedire la formazione dell'onda di pressione riducendo lo spazio che può percorrere la fiamma in conseguenza della combustione iniziale (v. citate esperienze in tubi di vetro): ciò si può ottenere disponendo convenientemente la candela (posizione della scintilla) e le valvole di scarico (posizione di eventuali punti caldi) e facendo più compatta possibile la camera di combustione: poiché una camera di combustione compatta favorisce la turbolenza, si è erroneamente ritenuto che la turbolenza fosse uno degli elementi da cui dipende la detonazione (camera di combustione Ricardo a turbolenza, camera di combustione Whatmough ad antiturbolenza).

Si può impedire la regolare propagazione dell'onda di pressione usando stantuffi col fondo a gradini (Dumanois): l'onda di pressione è costretta a espandere repentinamente a ogni variazione brusca di sezione creata dai gradini dello stantuffo e risulta perciò smorzata rendendo possibile l'aumento di c (es., da 4,6 a 6,7) senza pericolo di detonazione.

b) Mezzi per evitare la formazione di perossidi. - Si può diminuire la formazione dei perossidi diminuendo la durata dell'ossidazione lenta (corrispondente alla durata dell'aspirazione e della compressione) mediante l'aumento del numero di giri; la detonazione si produce infatti più facilmente nei motori costretti a funzionare a regime ridotto (motori d'automobile piuttosto che motori d'aviazione) tanto più se in tali condizioni non si diminuisce l'anticipo che si aveva a regime elevato. Oltre che per ciò l'aumento di n influisce favorevolmente sulla detonazione anche per la diminuzione di p2 e di T2 derivante dalla diminuzione di ηv.

Si possono determinare condizioni sfavorevoli alla formazione dei perossidi (limitati valori di p2 e T2) usando bassi valori di c (con benzina ordinaria c ??? 5 circa) ed evitando l'elevata temperatura delle pareti (punti caldi) mediante un efficace e razionale raffreddamento.

Si possono determinare condizioni sfavorevoli alla conservazione dei perossidi elevando prontamente la temperatura al di sopra di quella (~ 300°) a cui si produce la loro dissociazione (esperienze Bournier e Moynot), oppure addizionando al combustibile sostanze antidetonanti le quali (esperienze Dumanois) hanno appunto la proprietà di dissociare i perossidi non appena formatisi. Gli antidetonanti sono composti metallo-organici: i più usati sono il tetraetile di piombo Pb(C2H5)4 (trovato da Midgley della General Motor Cy) che dà prodotti tossici e leggieri depositi nei cilindri, il ferropentacarbonile Fe(CO)5 (della J. G. Farbenindustrie) che dà leggieri depositi nei cilindri, l'etilgas 3/5 Pb(C2H5)4 + 2/5 C2H4Br che è meno tossico del primo e dà minori depositi nei cilindri: tali sostanze, eliminando i perossidi, permettono di raggiungere il maggior valore di c che corrisponde alla temperatura di accensione del combustibile impiegato.

c) Mezzi per aumentare la differenza Ti − T. - Per aumentare tale differenza si può diminuire il rapporto c perché in tal modo si diminuisce T2 e quindi T e si diminuisce p2 e quindi (formula Neumann) si aumenta Ti.

Si può anche ricorrere a combustibili aventi elevato valore di Ti come benzolo e alcool, i quali hanno anche la proprietà di non formare perossidi durante l'ossidazione lenta; p. es., il 50% di benzolo permette di aumentare c fino a 6 e il 50% di alcool fino a 7,3: alla coppa Schneider del 1927 gl'Italiani usarono una miscela: benzina 50%, benzolo 35%, alcool 15% con c = 7,4 e gl'Inglesi benzina 50%, benzolo 50%, tetraetile di piombo 1‰ con c = 10.

3. Misura delle caratteristiche detonanti. - Poiché l'attitudine detonante dei varî idrocarburi adoperati nei motori è in linea generale decrescente secondo il loro tenore in idrocarburi aciclici saturi idroaromatici aromatici, per misurare l'attitudine detonante di un combustibile fu proposto (Ricardo) l'indice di toluolo determinato in funzione della percentuale dei varî idrocarburi: l'indice serviva a stabilire il valore massimo di c (detto H. U. C. R. cioè highest useful compression ratio) senza pericolo di detonazione. Una tale determinazione era però troppo approssimata perché teneva conto soltanto dell'attitudine media dei varî gruppi d'idrocarburi alla detonazione mentre l'attitudine di ogni idrocarburo di ciascun gruppo è in realtà molto differente dalla media.

È stato perciò adottato il numero di ottano che rappresenta la percentuale di isottano contenuto in una miscela di isottano (indetonante) e di ettano (detonante) che dà lo stesso effetto detonante del combustibile in oggetto qualora venga impiegato in un motore tipo (il già citato motore C. F. R.).

La determinazione dell'eguaglianza dell'effetto antidetonante si può fare in varî modi: o misurando (Champsaur) l'aumento di temperatura dell'acqua di circolazione, o misurando (Schnauffer) l'aumento di temperatura del fluido nel cilindro per mezzo dell'aumento del potere ionizzante, o misurando la rapidità dell'incremento di pressione nel cilindro, per mezzo del bouncing-pin (Midgley e Boyd), asta "saltellante" che viene proiettata in alto dall'istantaneo aumento di pressione e chiudendo il circuito di una cella elettrolitica produce volumi di gas facilmente misurabili, oppure per mezzo del knokmeter (Taylor) in cui lo spostamento (di pochi mm.) dell'asta è utilizzato per generare una forza elettromotrice misurabile con un millivoltmetro.

VIII. L'introduzione e lo scarico del fluido. - L'introduzione e lo scarico del fluido nei motori a combustione interna avvengono secondo due differenti procedimenti a seconda si tratti di motori a quattro o a due tempi.

Nei motori a quattro tempi l'introduzione (aspirazione) è prodotta dalla depressione creata dallo stantuffo nell'interno del cilindro quando è terminata la fase di scarico e lo scarico è prodotto in un primo tempo (scarico spontaneo) dalla sovrapressione esistente nell'interno del cilindro e in un secondo tempo (scarico forzato) dalla sovrapressione creata dallo stantuffo. Le due operazioni d'introduzione e di scarico del fluido avvengono perciò successivamente e ciascuna per la durata di un'intera corsa dello stantuffo.

Nei motori a due tempi l'introduzione è prodotta dalla sovrapressione creata da apposita pompa a monte del cilindro, quando si è appena iniziata la fase di scarico e lo scarico è prodotto in un primo tempo (scarico spontaneo) dalla sovrapressione esistente nell'interno del cilindro, come nel caso precedente, e in un secondo tempo (scarico forzato) dalla sovrapressione creata dall'aria che sta entrando nel cilindro, la quale per tale sua funzione di lavaggio del cilindro dai gas combusti viene chiamata aria di lavaggio. Le due operazioni d'introduzione e di scarico forzato del fluido avvengono perciò contemporaneamente mediante l'operazione del lavaggio che si effettua durante una frazione (circa 1/10) di due corse dello stantuffo.

1. Motori a quattro tempi. - a) Aspirazione. - L'aspirazione del fluido nell'interno del cilindro è determinata dalla depressione creata dal moto dello stantuffo durante la corsa di aspirazione: essa però in alcuni casi s'inizia già all'atto dell'apertura delle valvole di aspirazione per effetto del fenomeno dell'Atkinson dovuto all'azione aspirante dei gas combusti che effluiscono con elevata velocità e producono, specie nei motori veloci, una depressione al disotto della pressione atmosferica (punto M nella fig. 34-a); se non si manifesta il fenomeno dell'Atkinson (motori lenti) la pressione all'inizio della corsa è invece superiore all'atmosferica (punto M nella fig. 34-b). Risulta nei due casi che il punto N si può considerare come l'inizio efficace della corsa di aspirazione essendo MN una quantità positiva o negativa da sommarsi algebricamente all'effettiva corsa dello stantuffo.

L'aspirazione prosegue fino al p. m. i. (punto morto inferiore) essendo il valore della depressione Δpa funzione delle resistenze attraverso i condotti e le valvole di aspirazione (nei motori a carburazione la massima resistenza si ha attraverso il carburatore) e della velocità del fluido, cioè di n: generalmente verso la fine della corsa tale depressione diminuisce e in alcuni casi si annulla in conseguenza del calore ceduto dalle pareti al fluido e della parziale trasformazione dell'energia cinetica del fluido stesso: la residua energia cinetica corrisponde ai moti vorticosi che il fluido conserva per tutta la durata del ciclo.

La temperatura Ti del fluido alla fine della fase di aspirazione dipende dalla temperatura iniziale, dal sistema di ammissione del combustibile, dal numero di giri, dal raffreddamento, ma principalmente dal rapporto di compressione, perché da esso dipende il volume della camera di combustione cioè il peso dei gas residui che si mescolano col fluido aspirato (risulta T1 maggiore della temperatura ambiente di ~ 80° ÷ 30° a seconda del valore di c cioè a seconda si tratti di motori a carburazione o a iniezione).

Il rendimento volumetrico ηv si può definire come il rapporto tra il peso d'aria contenuto nel cilindro al termine dell'aspirazione c il peso di aria tipo (760 mm. di Hg e 15°) che corrisponde al volume generato dallo stantuffo. Il rendimento volumetrico dipende principalmente dalla sezione delle valvole e dei condotti di aspirazione, da n e da c: esso diminuisce con l'aumentare delle perdite di carico e della velocità del fluido cioè con l'aumentare di n, e con l'aumentare di c.

La diminuzione di ηv al crescere di c dipende dagli scambî di calore tra i gas residui, il fluido aspirato e le pareti del cilindro; mentre gli scambî di calore tra i gas residui e il fluido aspirato non influiscono su ηv, quanto maggiore è, invece, il calore ceduto dai gas residui alle pareti durante l'aspirazione, cioè quanto maggiore è la conseguente diminuzione del loro volume, tanto maggiore risulta il volume disponibile per il fluido aspirato, e quindi ηv. E poiché la quantità di calore ceduto dai gas residui alla parete è, a parità di altre condizioni, crescente con il loro volume e questo è una funzione deerescente di c, il rendimento volumetrico aumenta al diminuire del rapporto di compressione.

b) Scarico spontaneo. - È determinato dallo spontaneo efflusso dei gas combusti in conseguenza della differenza di pressione tra l'interno e l'esterno del cilindro. Il peso di fluido scaricato durante lo scarico spontaneo rappresenta la maggior parte di quello esistente nel cilindro al termine dell'espansione e dipende dal rapporto di compressione e dalla pressione iniziale del fluido.

Per es.: supponendo c = 7, la precessione allo scarico = 0, 1 S e p4 = 4 atm., p5 = p6 = 1 atm., T4 = 1200°, T5 = 900°, T6 = 700°, e indicando con π1 il peso di fluido effluito durante lo scarico spontaneo (4-5) e π2 durante lo scarico forzato (5-6) risulta π12 = 22/10,25 = ~ 2. Cioè circa due terzi del peso di gas combusti effluisce per effetto dello scarico spontaneo e solo un terzo per effetto dello scarico forzato: tale sproporzione risulta ancora più accentuata aumentando c e p4.

I gas combusti effluiscono all'esterno durante lo scarico spontaneo con una velocità molto grande, variabile col procedere dello scarico, la quale può essere calcolata tenendo conto dello stato del fluido nell'interno del cilindro: la velocità massima si aggira intorno ai 600 ÷ 700 m. sec-1.

Sembra (esperienze Matricardi) che, per effetto dell'inerzia dei gas effluenti lungo il tubo di scarico e per l'elasticità di quelli rimasti nel cilindro, producendosi (fenomeno Atkinson) una forte depressione nel cilindro, i gas effluiti possano essere richiamati violentemente nel cilindro creando in esso un'improvvisa sovrapressione: in conseguenza di essa i medesimi gas verrebbero spinti di nuovo all'esterno e così via, facendo assumere alla fase di scarico un carattere pulsante. Questo giustificherebbe gli anormali riscaldamenti che si verificano sempre nelle valvole di scarico.

c) Scarico forzato. - I gas combusti rimasti nel cilindro dopo lo scarico spontaneo vengono espulsi, durante lo scarico forzato, per effetto dello spostamento dello stantuffo nella corsa che perciò si chiama corsa di scarico. La pressione durante lo scarico forzato si mantiene al di sotto dell'atmosfera fin che dura il fenomeno Atkinson, presenta a volte un andamento pulsante per il fenomeno Kadenacy, e sale sopra all'atmosfera in dipendenza delle perdite di carico che si oppongono al moto del fluido. Il fenomeno è complicato dall'importante cessione di calore alle pareti, favorita dai moti turbolenti e dall'elasticità del fluido rimasto nel cilindro.

Terminata la corsa di scarico non è completata l'espulsione dei gas combusti, perché il volume della camera di compressione rimane pieno di gas residui che nella successiva corsa inquinano il fluido aspirato. La permanenza di essi esercita un effetto sfavorevole non soltanto su ηt′ per le più elevate temperature del ciclo che derivano dal maggior valore di T1 (tale sfavorevole effetto non è compensato dalla maggior rapidità della combustione per l'azione catalitica dei gas residui), ma pure su ηv e quindi sulla potenza sviluppata che sarebbe proporzionalmente maggiore se il volume dei gas residui fosse invece occupato dal fluido motore.

Sono stati perciò adottati recentemente interessanti disposizioni per scacciare completamente i gas residui, p. es., mediante il lavaggio della camera di compressione (sistema Büchi; v. p. 971) con un getto di aria compressa introdotta al termine dello scarico: si realizza in tal modo insieme all'espulsione dei gas residui un energico raffreddamento delle pareti del cilindro che, diminuendo la cessione di calore al fluido durante la successiva corsa di aspirazione, aumenta ηv e, diminuendo la temperatura del fluido, aumenta ηt′.

2. Motori a due tempi. - Quasi al termine della corsa di espansione (a circa 0,1 S dal punto morto inferiore) si aprono apposite luci (luci di scarico) attraverso le quali i gas combusti, per effetto della differenza di pressione tra l'interno e l'esterno, compiono la fase di scarico spontaneo allo stesso modo che nei motori a quattro tempi; tali luci di scarico sono praticate nella parete inferiore del cilindro e vengono scoperte dallo stantuffo al termine della corsa di espansione senza bisogno di valvole e punterie.

a) Il fenomeno del lavaggio. - Abbassatasi la pressione per effetto dello scarico spontaneo si apre la comunicazione del cilindro con un serbatoio d'aria precedentemente compressa (a 0,2 ÷ 0,3 atmosfere) da apposita pompa (la pompa di lavaggio) e la corrente d'aria che entra scaccia i gas residui compiendo la fase di lavaggio.

Generalmente la comunicazione tra il serbatoio dell'aria di lavaggio e il cilindro è ottenuta attraverso un'altra serie di luci analoghe a quelle di scarico e praticate anch'esse nella parte inferiore del cilindro, diametralmente opposte alle precedenti. Esse possono essere di minore altezza di quelle di scarico per ottenere che il lavaggio s'inizî dopo ultimatosi lo scarico spontaneo: si ha però l'inconveniente che l'ammissione dell'aria cessa prima della chiusura dello scarico ed essendo perciò la pressione nel cilindro all'inizio della compressione minore della pressione dell'aria di lavaggio, il riempimento del cilindro risulta incompleto. Per ovviare a tale inconveniente si possono fare le luci di lavaggio più alte delle luci di scarico, regolando (Sulzer) la durata del lavaggio a mezzo di apposita valvola (comandata o automatica) in modo che esso inizi e termini dopo l'inizio e il termine dello scarico: il riempimento del cilindro risulta migliore perché la pressione all'inizio della compressione risulta eguale alla pressione di lavaggio. Per evitare la complicazione derivante dalla presenza delle valvole si fa uso (Junker) di cilindro con doppio stantuffo disponendo le luci di scarico a una estremità del cilindro e le luci di lavaggio all'altra estremità e comandando ciascuna serie di luci con ciascuno dei due stantuffi i quali - opportunamente sfasati tra loro - realizzano la stessa regolazione del lavaggio del sistema Sulzer. Con tale disposizione si ha maggior sicurezza di funzionamento per la minor probabilità di lesioni ai cilindri (ridotti a un semplice tubo), maggiore ηv per la maggiore efficacia del lavaggio (equicorrente) e maggiore ηt′ per la maggior compattezza della camera di combustione. Le due serie di stantuffi possono azionare due alberi a manovella tra loro collegati con ingranaggi (Peugeot), oppure lo stesso albero a manovella, in tal caso si possono usare (Oechelhauser) per gli stantuffi superiori lunghe bielle laterali esterne, o si può dividere il cilindro in due cilindri gemelli con la camera di combustione in comune e disposti nel piano longitudinale (Zoller) o trasversale (Della Ferrera) del motore.

A seconda della disposizione relativa delle luci di lavaggio e delle luci di scarico si distingue:1. lavaggio a corrente invertita (luci di lavaggio e di scarico alla medesima estremità del cilindro) nel caso che la corrente d'aria per effettuare il lavaggio debba risalire fino al fondo del cilindro e quindi invertire il moto per discendere fino alle luci di scarico: tale avviamento dell'aria può essere ottenuto a mezzo di un deflettore portato dal fondo dello stantuffo oppure con adatta inclinazione verso l'alto dei condotti di lavaggio; 2. lavaggio a equicorrente (luci di scarico e di lavaggio alle estremita opposte del cilindro) nel caso che la corrente d'aria percorra in un unico senso il volume da lavare: si realizza così un maggior rendimento del lavaggio e un maggior rendimento volumetrico.

A seconda del tipo di pompa di lavaggio impiegato si distingue: 1. lavaggio a tre luci, quando la camera di compressione della pompa di lavaggio è costituita dallo stesso carter del motore (basso rendimento volumetrico della pompa per il grande volume di compressione); 2. lavaggio con pompa separata, generalmente centrifuga (buone condizioni di funzionamento, dovendo fornire un grande volume d'aria con piccola prevalenza).

Il rendimento volumetrico del lavaggio, inteso con lo stesso significato a esso attribuito nei motori a quattro tempi, dovrebbe, nell'ipotesi di perfetto lavaggio, risultare maggiore dell'unità. Mentre infatti nei quattro tempi il volume della camera di compressione rimane, al termine dello scarico, pieno di gas residui, nei due tempi anche tale volume è, come tutto il volume del cilindro, interessato al fenomeno del lavaggio, e ηv risulta perciò funzione decrescente del rapporto di compressione (fig. 35), essendo ηv = c/(c − 1). In realtà invece ηv maggiunge valori molto meno favorevoli e sempre molto inferiori che nei quattro tempi per l'impossibilità di effettuare il completo lavaggio.

b) Teoria del lavaggio. - L'aria di lavaggio si dovrebbe comportare come uno stantuffo fluido e, spostandosi solidalmente fino alla fine della corsa, sostituirsi completamente ai gas combusti ed effettuare così il lavaggio di ogni recesso del cilindro. L'aria dovrebbe perciò, appena entrata, diffondersi fino a occupare tutta la sezione del cilindro e successivamente procedere come uno strato compatto, senza mescolarsi con i prodotti della combustione.

Condizioni necessarie per ottenere una tale completa diffusione trasversale e completa stratificazione longitudinale sarebbero: forma avviata di tale volume, piccola velocità d'introduzione dell'aria e assenza di moti vorticosi. In pratica nessuna di tali condizioni risulta soddisfatta: necessità costruttive impediscono spesso alla capacità interna del cilindro di assumere una forma avviata e necessità funzionali costringono a tollerare notevoli velocità dell'aria e dei gas combusti; i moti turbolenti, deliberatamente provocati durante l'aspirazione per rendere efficiente la fase di combustione (nei motori a carburazione moti turbolenti disordinati e nei motori a iniezione moti turbolenti ordinati) e violentemente esaltati dalla combustione, sono ancora intensi all'inizio del lavaggio; e finalmente la velocità vl d'introduzione dell'aria di lavaggio, il cui valore minimo (per ottenere un completo lavaggio) dipendente dal sistema del lavaggio, dalla velocità media vs dello stantuffo e dal rapporto a tra l'area dello stantuffo e l'area delle luci di lavaggio (p. es., col lavaggio a equicorrente vl ≧ 2 avs), anche con i più bassi regimi di funzionamento, risulta di alcune decine di m. sec-1., cioè tutt'altro che trascurabile.

Per tener conto di tali circostanze è stata fatta (Hopkinson) l'ipotesi della parziale stratificazione longitudinale la quale però, per quanto elegante e in alcuni casi confermata numericamente dall'esperienza, non corrisponde al reale andamento del fenomeno perché delle due condizioni che sarebbero necessarie per un perfetto lavaggio: completa diffusione trasversale e completa stiatificazione longitudinale, è la prima ben più che la seconda che non è soddisfatta nei motori e da essa principalmente dipendono gli sfavorevoli valori di ηv.

Dai più recenti studî sperimentali è risultato infatti che l'aria attraversa come una vena quasi compatta l'interno del cilindro giungendo con una traiettoria avviata fino alle luci di scarico senza affatto interessare l'intero volume della cilindrata: rimangono così al termine del lavaggio ampie zone ancora riempite di gas residui (in prossimità degli spigoli rientranti e della parte centrale del cilindro stesso) nelle quali il fluido è dotato di rapidi moti vorticosi determinati, per effetto di viscosità, dalla corrente stessa dell'aria di lavaggio. L'estensione di queste zone morte, che generalmente oltrepassa ogni previsione, dipende tra l'altro dalla forma del cilindro e delle luci di lavaggio e di scarico, dalle superficie di raccordo, dalla velocità dell'aria e può essere diminuita soltanto con un razionale studio dell'andamento delle linee di corrente.

Al termine dell'operazione del lavaggio si deve così distinguere nel cilindro: un volume v1 occupato dalla corrente d'aria che attraversa compatta il cilindro e perciò (quasi) perfettamente lavato e il residuo volume v2 ancora occupato dai gas combusti e perciò (quasi) completamente non lavato. Naturalmente tra le due parti v1 e v2 si vanno formando zone superficiali che presentano il fenomeno della mescolanza dei due fluidi l'uno nell'altro, fenomeno che per la brevità del lavaggio non riesce però a modificare sensibilmente il valore di ηv.

Il rendimento volumetrico, se trascuriamo l'effetto di tale mescolanza laterale, risulta perciò misurato da ηv = v1/(v1 + v2) e cioè indipendente dal volume y dell'aria di lavaggio entrata nel cilindro (per y ??? v1): se teniamo conto di tale mescolanza laterale ηv aumenta invece lievemente al crescere di y.

Il rendimento ηl del lavaggio, inteso come il rapporto tra il volume v1 di aria rimasto nel cilindro e il volume y d'aria fornito ηl = v1/y, diminuisce rapidamente al crescere di y (per y ??? v1) tendendo assintoticamente a zero (fig. 36). Ne segue che, per migliorare l'operazione del lavaggio, anziché aumentare - secondo la tendenza più diffusa - la pressione di lavaggio (cioè y), con che si avrebbe solo un lieve aumento di ηv e una notemle diminuzione di ηl, conviene piuttosto cercare di realizzare una forma razionale (dal punto di vista aerodinamico) della capacità del cilindro e un andamento razionale del flusso dell'aria evitando la formazione delle zone non lavate e aumentando così insieme ηv ed ηl.

IX. L'alimentazione. - L'alimentazione dei motori a combustione interna, cioè l'operazione d'introduzione del fluido comburente (aria), consente di dividere i motori in tre categorie:

a) Motori sottoalimentati, nei quali s'introduce un peso d'aria minore di quello che corrisponde al funzionamento in aria tipo: tale è il caso dei motori ordinarî portati a funzionare a quote crescenti dal livello del mare (erroneamente vengono da molti chiamati sottoalimentati altri tipi di motori dei quali sarà detto in appresso).

b) Motori ad alimentazione costante, nei quali si mantiene costante il peso d'aria introdotto ed eguale a quello che corrisponde al funzionamento in aria tipo: tale è il caso dei motori ordinarî che funzionano a quota zero e dei motori nei quali alle quote crescenti s'integra con mezzi opportuni il peso d'aria in modo da mantenerlo eguale a quello a quota zero (erroneamente questi motori sono da molti detti sovralimentati).

c) Motori sovralimentati, nei quali s'introduce un peso d'aria maggiore di quello che corrisponde al funzionamento in aria tipo.

Motori sottoalimentati. - I motori sottoalimentati, come sopra definiti, interessano le applicazioni aeronautiche, e poiché per esse si usano soltanto motori a carburazione (e a iniezione senz'aria), il rendimento termico teorico ηt è quello corrispondente al ciclo Beau de Rochas e non variando, al variare della quota, il rapporto c di compressione, non varia neppure ηt. In conseguenza di ciò la potenza indicata Pi teorica varia soltanto in proporzione al peso di combustibile (e quindi d'aria) che prende parte al fenomeno, cioè in proporzione alla densità dell'aria. Poiché però, al crescere della quota, diminuisce la temperatura T1 e con essa tutte le temperature del ciclo, diminuisce la differenza del ciclo reale dal ciclo teorico e la Pi reale diminuisce perciò meno rapidamente della densità dell'aria.

Come già si è visto (pag. 959) il rendimento organico η0 diminuisce molto rapidamente al crescere della quota, e perciò, non ostante la favorevole influenza della temperatura T1 di cui sopra è detto, Pe diminuisce più rapidamente della densità dell'aria: assumendo per esempio η0 = ~ 0,86 (che corrisponde ai valori medî realizzati dai buoni motori), risulta, per casuale coincidenza, che la potenza effettiva Pe varia (fig. 37) circa proporzionalmente alla pressione dell'aria.

Un caso particolare molto interessante dei motori sottoalimentati è rappresentato dai motori surcompressi.

Nei motori a carburazione non si può aumentare c fino a raggiungere il valore ottimo (v. p. 959), perché occorre limitare p2 e T2 per evitare l'accensione prematura e la detonazione; ma, poiché al crescere della quota p1 e T1 diminuiscono, si può (fig. 38) aumentare c conservando la medesima sicurezza di funzionamento del motore. Si ottiene così il motore surcompresso che, per l'aumento di c, presenta un maggior valore del rendimento totale e quindi un aumento ′ della potenza il quale compensa, per quanto solo in parte, la diminuzione dovuta alla minor densità dell'aria. Nella fig. 39 sono rappresentati gli aumenti del rendimento Δη e i valori della potenza effettiva HPe di un motore surcompresso al variare di c in confronto a quelli che si avrebbero in un motore nomnale con c = 5,5.

Indicando con α e β i rapporti della pressione e della temperatura atmosferica, il rapporto di compressione cz che si può realizzare in quota (essendo c0 il valore a quota zero) sarà il più piccolo di quelli che risultano dalle relazioni cz = c0 (1/α)1/k e cz = c0 (1/β)1/(k-1).

Al crescere della quota converrebbe variare cz costruendo il motore con rapporto di compressione variabile; non avendo però tali motori, per quanto usati nei laboratorî sperimentali (motori Ricardo, Allison, Armstrong Withworth, C. F. R., ecc.), raggiunto sufficienti caratteristiche di semplicità e sicurezza, si assume un valore costante di c eguale a quello cz corrispondente alla quota massima di progetto, e alle quote inferiori si mantiene costante T2 e p2 regolando l'alzata della valvola di aspirazione o strozzando l'aspirazione e tollerando la diminuzione di potenza e di rendimento che ne deriva.

Motori ad alimentazione costante. - Per mantenere costante il peso di aria della cilindrata al variare della quota, si può affidare a un compressore il compito di fornire tutto il peso d'aria occorrente, togliendo allo stantuffo motore la sua funzione naturale di aspirare un peso di fluido corrispondente al volume generato: si ha così (fig. 40) il sistema di alimentazione totale. Si può invece lasciare che lo stantuffo aspiri fluido per suo conto anche in quota come al livello del mare e affidare al compressore il compito di fornire al motore la quantità di fluido che, per effetto della diminuita densità esterna, gli manca a mantenere costante il peso introdotto: si ha cosi (fig. 41) il sistema della postalimentazione. In tal caso manca nel diagramma pv l'area positiva 5-6-0-1 che si ha nel primo caso e che è l'equivalente della maggior potenza assorbita dal compressore in conseguenza del maggior peso d'aria erogato.

Sia nel caso dell'alimentazione totale sia in quello della postalimentazione si debbono distinguere tre differenti sistemi per azionare il compressore:

α) Compressori direttamente azionati dal motore: è il sistema più generalmente usato perché in esso rientrano i cosiddetti motori surdimensionati che possono essere considerati come motori ad alimentazione costante ottenuta con la postalimentazione mediante compressore a stantuffo.

Supponiamo infatti che la postalimentazione sia fatta con un cilindro compressore avente diametro uguale al cilindro motore e che i due cilindri, anziché separati, siano disposti uno in prolungamento dell'altro in modo da essere serviti dallo stesso stantuffo: si ottiene quella particolare forma di motore ad ammissione costante che si chiama motore surdimensionato. Se si assume come base, per esempio, la quota di circa 5000 metri, il cilindro motore dovrà essere di volume uguale al cilindro compressore e il motore surdimensionato avrà infatti un volume di cilindrata doppio di un motore normale. A quota zero, la portata del compressore dovrà essere zero e infatti la corsa efficace di aspirazione del motore surdimensionato dovrà essere la metà della corsa totale (ciò potrà ottenersi strozzando il fluido durante la fase di aspirazione o, meglio, regolando l'alzata della valvola di aspirazione e in tali condizioni il motore è da molti detto sottoalimentato): a mano a mano che aumenta la quota, dovrà aumentare la corsa efficace di aspirazione fino a diventare eguale alla corsa geometrica quando è raggiunta la quota per la quale il motore è stato progettato.

Da una tale realizzazione derivano al motore favorevoli condizioni di funzionamento. Infatti il virtuale compressore a stantuffo equivalente al motore surdimensionato dovendo provvedere soltanto alla postalimentazione ha le dimensioni più ridotte, e identificandosi col manovellismo del cilindro motore riduce al minimo l'incremento di peso della sistemazione e aumenta il rendimento dell'alimentazione non soltanto per le diminuite perdite di pompaggio ma pure per l'immediata utilizzazione del fluido compresso. E finalmente, trattandosi di un motore a quattro tempi ed essendo invece il virtuale compressore a stantuffo per sua natura a due tempi, è possibile utilizzare le due corse di esso disponibili per una più completa espansione del fluido motore (fig. 42), ottenendosi con ciò un aumento di ηt per l'aumentato rapporto di espansione e una diminuzione della temperatura di scarico.

β) Compressori azionati con trasmissione meccanica dal motore: sono usati per effettuare l'alimentazione totale e in conseguenza (fig. 40) il diagramma presenta un'area positiva 5-6-0-1 che è però, in conseguenza del rendimento del compressore, minore della potenza da esso assorbita. Per mantenere costante l'alimentazione occorre che il compressore varii la sua portata al variare della quota fino ad annullarla a quota zero, e ciò è ottenuto facendo uso di adatti sistemi di regolazione o sconnettendo il compressore dal motore al disotto di una certa quota.

γ) Compressori azionati da turbine a gas di scarico: sono usati per effettuare l'alimentazione totale, ma tuttavia il diagramma pv differisce da quello della fig. 40 ed è eguale invece a quello di un motore normale a quota zero, perché la pressione nel tubo di scarico a monte della turbina si mantiene costante ed eguale a 1 atm. In tal modo il salto di pressione 1 − pz utilizzato sulla turbina risulta crescente al crescere dalla quota z e poiché con la stessa legge cresce il lavoro necessario al compressore per realizzare l'alimentazione costante, ne deriva al sistema la caratteristica di essere autoregolatore cioè di commisurare spontaneamente il peso d'aria alla pressione esterna e non occorre perciò regolare o arrestare il compressore, come nel caso precedente, al diminuire della quota.

Motori sovralimentati. - I motori sovralimentati sono caratterizzati da un valore della pressione p1 (e quindi del peso di aria) maggiore che nei motori normali a quota zero. Le condizioni termodinamiche relative al loro funzionamento sono del tutto differenti da quelle dei motori ad alimentazione costante i quali perciò - contrariamente a quanto è da molti usato - non debbono, per non generare confusione, essere chiamati con lo stesso nome.

Nei motori sovralimentati può essere mantenuto invariato il volume della camera di compressione oppure questo volume può essere aumentato in relazione all'aumento della pressione p1.

Nel primo caso si ha (fig. 43-b) un rapporto c uguale a quello del motore normale ed eguale perciò il rendimento termico teorico ηt. La pressione p2 risulta aumentata in conseguenza dell'aumento della pressione p1 rispetto al motore normale ed occorrerà perciò, se si tratta di motore a carburazione, adottare qualche provvedimento per evitare la detonazione. Il peso d'aria (e quindi la quantità di calore addotta nel ciclo) risulta aumentato circa nel rapporto della radice kma delle pressioni di aspirazione e nello stesso rapporto varierà perciò anche la potenza indicata.

Nel secondo caso, nel quale (fig. 43-c) il volume della camera di compressione è maggiore che nel motore normale, il motore risulta sottocompresso. Se il nuovo rapporto di compressione c* è legato al rapporto c del motore normale dalla relazione c = c* p1*1/k la p2 risulterà uguale a quella del motore normale e, anche se si tratta di motore a carburazione, nessuno speciale provvedimento è necessario per assicurare il regolare funzionamento del motore. Come nel caso precedente, il peso d'aria introdotto nel cilindro (e quindi il calore addotto nel ciclo) risulta aumentato circa nel rapporto della radice kma delle pressioni di aspirazione; essendo però diminuito c in confronto al motore normale, il rendimento termico teorico è diminuito essendo diventato ηt* = 1 − c1-kp1*(k-1). Esso è quindi inferiore a quello del motore normale per la presenza del fattore p1*(k-1)/k ed è perciò tanto più piccolo quanto più il motore è sovralimentato, come è del resto naturale perché, quanto più il motore è sovralimentato, tanto minore è c: per es., ponendo p1* = 1,33 ÷ 1,73 ÷ 2,20 kg./cm.2, risulta p1(k-1)/k = ~ 1,1 ÷ 1,2 ÷ 1,3 e assumendo ηt = 0,50 per il motore normale, risulta: ηt* = 0,45 ÷ 0,40 ÷ 0,35.

Per effettuare la sovralimentazione si fa uso di un compressore che effettua l'alimentazione totale ed è azionato dal motore con trasmissione meccanica (automobili) o con turbina a gas di scarico (navi). Nel primo caso la pressione di scarico è inferiore alla pressione di alimentazione e si ha un'area positiva (fig. 44) che, a parte il rendimento del compressore, è l'equivalente della potenza da esso assorbita. Nel secondo caso la pressione di scarico è maggiore o minore della pressione di alimentazione (figg. 45 e 46) a seconda del rendimento del gruppo turbinacompressore.

Non essendo però necessario, come nei motori ad alimentazione costante, mantenere costante la pressione nel collettore di scarico, si può utilizzare l'energia corrispondente alla pressione p4: per evitare però ogni interferenza tra i varî cilindri occorre raggruppare soltanto gli scarichi di quelli le cui fasi di scarico non si sovrappongono e avviare così con separate tubazioni i gas combusti a separati ugelli della turbina; tale concetto potrebbe essere condotto al limite facendo uso (Gautier) di una tubazione, ed eventualmente una turbina, per ogni coppia di cilindri. La pressione di alimentazione della turbina è così tanto più variabile quanto minore è il numero dei cilindri che scaricano nel medesimo tubo e ciò permette di utilizzare una maggior parte dell'energia dei gas combusti e non soltanto quella che a essi rimane dopo l'espansione fino alla pressione costante del collettore unico: essendo però la turbina alimentata a pressione variabile, è minore il rendimento col quale easa utilizza tale energia e la potenza utilizzata dal compressore non viene perciò molto accresciuta.

Mentre il rendimento termico teorico ηt è nei motori sovralimentati - come già visto - eguale o minore che nei motori normali, il rendimento termico reale ηt′ può risultare maggiore in conseguenza delle minori temperature del ciclo.

Le temperature del ciclo vengono a risultare infatti minori che nel motore normale - a parte l'effetto del minor valore di c nel caso della fig. 42-c - come conseguenza di due preziose circostanze: la possibilità di effettuare il lavaggio dei gas residui e la possibilità di alimentare il motore con un notevole eccesso d'aria.

Infatti, essendo affidato a un organo (il compressore) diverso dallo stantuffo motore il compito di fornire l'aria necessaria per la cilindrata, la quantità di aria che entra nel cilindro non dipende né dalla legge del moto dello stantuffo né dal volume generato da esso. È possibile quindi far entrare un getto d'aria nella camera di compressione quando sono ancora aperte le valvole di scarico e lo stantuffo non ha ancora iniziata la corsa di discesa e così effettuare il lavaggio dei gas residui (sistema Büchi), meglio che non si possa fare in un motore normale utilizzando il fenomeno Atkinson. Ed è possibile pure, col solo aumento della portata del compressore, introdurre nel cilindro durante la fase di aspirazione un peso di aria maggiore di quello corrispondente al peso di combustibile che si vuol bruciare e così funzionare con un eccesso d'aria anche maggiore di quello che non sia possibile in un motore normale in cui tale risultato si può ottenere soltanto riducendo il peso di combustibile e quindi la potenza sviluppata dal motore. Dall'una e dall'altra possibilità deriva un abbassamento di tutte le temperature del ciclo che vale a determinare un notevole aumento del rendimento termico reale.

Ciò è pienamente confermato dai risultati ottenuti (fig. 47), dallo Stodola e dal Riehm sperimentando su due motori (da 150 e 70 cav. per cilindro) sovralimentato l'uno a mezzo di compressore con turbina a gas di scarico e l'altro con compressore indipendente: con il 150 e il 100% di eccesso d'aria, si ebbero consumi specifici di combustibile o di circa il 10% inferiori a quelli ottenuti senza sovralimentazione.

Con le più basse temperature che è possibile ottenere nei motori sovralimentati facendo uso di eccesso d'aria derivano anche migliori condizioni di funzionamento e maggior durata dei varî organi per il diminuito tormento termico, ciò che in molti casi rappresenta un vantaggio anche più importante della diminuzione del consumo specifico.

X. Le varie forme costruttive. - I motori a combustione interna possono essere realizzati costruttivamente in due tipi: motori a stantuffo e motori a turbina: nel primo caso il fluido espandendosi nel cilindro fa muovere lo stantuffo che, per mezzo del manovellismo, aziona l'asse motore; nel secondo caso il fluido espandendosi negli ugelli di una turbina fa muovere le palette e, in conseguenza, l'asse motore al quale esse sono solidali.

1. Motori a stantuffo. - I motori a combustione si possono, dal punto di vista termodinamico, ridurre tutti, come già si è detto, a un unico schema: essi si differenziano invece moltissimo quando si considerino dal punto di vista della loro realizzazione meccanica e possono dare origine a distinte classificazioni, p. es., secondo: a) il combustibile impiegato; b) il sistema di raffreddamento; c) la disposizione delle varie parti; d) la trasmissione meccanica; e) l'utilizzazione della potenza.

a) Secondo il combustibile impiegato: si distinguono i motori a combustibile gassoso e i motori a combustibile liquido. Tale distinzione corrisponde a quella già fatta nello studio termico di motori a carburazione e motori a iniezione, nei quali dal modo stesso col quale si determina l'accensione derivano differenti valori del rendimento termico in conseguenza della possibilità o meno di funzionamento con eccesso d'aria e con elevato rapporto di compressione.

I motori a combustibile gassoso sono caratterizzati dal fatto che il combustibile è impiegato nel cilindro allo stato aeriforme (gas o vapore), anche se esso è fornito al motore allo stato liquido (motori a benzina) o allo stato solido (motori a gassogeno). L'organo fondamentale dei motori a combustibile gassoso è il carburatore che serve per la formazione della miscela dell'aria e del combustibile allo stato aeriforme; e assume perciò forme differenti a seconda che il combustibile prima di entrarvi si trova già allo stato aeriforme (gas povero, gas d'alto forno, gas naturale, ecc.) o deve esservi portato in conseguenza dell'evaporazione (benzina, petrolio, ecc.); l'evaporazione può avvenire alla temperatura ambiente (benzina) o può aver bisogno di un preventivo riscaldamento (petrolio). Altro organo fondamentale dei motori a combustibile gassoso (a carburazione) è il sistema di accensione generalmente costituito dalla candela (fig. 48); essa porta i due elettrodi tra i quali scocca la scintilla in conseguenza della forza elettromotrice generata da apposito complesso elettrico (magnete, fig. 49; spinterogeno) nell'istante in cui deve iniziarsi l'accensione del combustibile.

I motori a combustibile liquido sono caratterizzati dal fatto che il combustibile è impiegato nel cilindro allo stato liquido: si può includere in tale categoria, per la sua analogia nel funzionamento termodinamico, anche il motore a polvere di carbone invano tentato da Diesel e recentemente realizzato dal suo assistente Rudolph Pawlikowski (e perciò detto motore Rupa). Organo fondamentale dei motori a combustibile liquido è l'iniettore, che per il suo funzionamento richiede la pompa d'iniezione e, se si tratta di iniezione con aria compressa, anche il compressore dell'aria. L'accensione del combustibile è generalmente prodotta dall'elevata temperatura raggiunta dall'aria durante la fase di compressione: in alcuni casi (motori a testa calda chiamati anche semi-Diesel) essa è determinata (o favorita) dall'elevata temperatura di una porzione, la testa calda (fig. 50), della superficie della camera di combustione.

b) Secondo il sistema di raffreddamento: si distinguono i motori raffreddati ad aria, i motori raffreddati ad acqua (con la sottospecie del raffreddamento evaporativo) e i motori raffreddati a glicoletilene.

I motori raffreddati ad aria hanno la caratteristica della maggiore semplicità e sicurezza (per l'assenza dei meccanismi e degli organi altrimenti necessarî per assicurare la circolazione del fluido refrigerante); ma, per la minore efficacia del raffreddamento, è minore ηv e quindi minore la potenza per litro per secondo ed è maggiore il tormento termico del materiale, e quindi minore la potenza massima per il cilindro. Il sistema di raffreddamento ad aria, usato dapprima solo per casi di poca importanza (p. es., motociclette) si è andato rapidamente diffondendo nelle applicazioni aeronautiche anche per potenze rilevanti: esso è adatto per motori con cilindri a stella (fig. 51) piuttosto che per motori con cilindri in linea. I cilindri e le testate sono muniti di alette intorno alle quali circola il vento relativo prodotto dal moto dell'apparecchio: in alcuni casi cilindri e testate sono costruiti in leghe leggiere (bronzi d'alluminio) allo scopo di utilizzare la grande conducibilità termica di tali materiali (circa tripla di quella dell'acciaio): per diminuire (fino al 50%) la resistenza frontale derivante dai moti vorticosi prodotti dalle alette e dai cilindri si dispone intorno al motore apposita cappottatura (sistema Townend e NACA). È in esperimento (Krupp) con ottimi risultati un sistema di raffreddamento ad aria in cui, anziché utilizzare il vento relativo prodotto dal moto dell'apparecchio, lo si realizza per mezzo di apposito ventilatore.

I motori raffreddati ad acqua sono i più generalmente usati, non ostante la maggiore complicazione e facilità di avarie e l'impossibilità di funzionamento con basse temperature esterne. Apposita pompa assicura la circolazione dell'acqua nelle camicie e nelle testate dei cilindri e, nei casi importanti (motori Diesel), anche nel fondo degli stantuffi (sempre che non si preferisca usare l'olio per il raffredamento degli stantuffi per evitare che l'acqua, eventualmente sfuggita dalle articolazioni delle tubulature, possa andare a mescolarsi col lubrificante). L'acqua utilizzata nel raffredamento negl'impianti fissi e marini viene per lo più continuamente rinnovata, mentre negl'impianti autonomi terrestri e aerei (automobili e aeroplani) viene raffreddata attraverso apposito refrigerante, il radiatore, utilizzando la corrente d'aria creata dal moto della macchina.

Il raffreddamento evaporativo costituisce una speciale forma del raffreddamento ad acqua, per il quale si lascia aumentare la temperatura dell'acqua nelle camicie dei cilindri fino all'ebollizione. Si hanno così i seguenti vantaggi: più uniforme temperatura delle pareti del cilindro (esperienze Gibson) che permette di far uso di un maggior valore di c, minor peso di fluido refrigerante (1 kg. d'acqua con ΔT = 10° nel raffreddamento ordinario assorbe 10 cal. mentre nel raffreddamento evaporativo ne assorbe più di 500), lieve aumento della potenza e del rendimento (esperienze Marshall) perché al crescere della temperatura delle pareti aumento ηt e η0. Il sistema è usato in alcuni Diesel fissi e in alcuni tipi di motori per auto e per aviazione.

I motori raffreddati a glicoletilene sono caratterizzati dal fatto che, invece di acqua, il fluido regrigerante è glicoletilene CH2OH volgarmente detto prestone. Essi si vanno diffondendo in aviazione per l'insensibilità alle basse temperature (il glicoletilene gela a − 11°), per la leggerezza (economia di peso, es., 0,120 kg. per cav. in confronto al sistema ad acqua, perché occorre minor quantità di fluido refrigerante potendosi tollerare un maggior aumento di temperatura, es., fino a 160° anziché fino a 90° perché il glicoletilene bolle a 197°), per l'economia di combustibile in conseguenza dell'aumento di ηt ed η0 derivante dalla maggior temperatura media delle pareti.

c) Secondo la disposizione delle varie parti: si possono distinguere i motori a seconda della disposizione e del numero dei cilindri e degli stantuffi:

Motori con cilindri in linea, cilindri a V, cilindri a W, cilindri a stella, secondo che i cilindri sono disposti tutti su una sola fila (figg. 52 e 58) o su due (concorrenti nel medesimo asse a manovella e perciò disposte a V, figg. 54 e 55) o su tre (disposte a W) o sono invece disposti tutti sullo stesso piano normale all'asse (fig. 51) secondo i raggi di una stella: la lunghezza e quindi il peso del motore risulta con le varie disposizioni differente fino a ridursi al minimo nei motori a stella. La disposizione più usata è quella dei cilindri in linea, quella dei cilindri a V e W è usata (qualche volta) nelle automobili e nelle navi e (spesso) in aviazione, e quella dei cilindri a stella è usata esclusivamente in aviazione nei motori raffreddati ad aria, perché consente l'efficace refrigerazione di tutti i cilindri. Si tratta sempre di cilindri a stella fissi, per quando negli scorsi decennî sia stato in uso il sistema dei cilindri a stella rotanti (Gnome) che aveva la caratteristica di un favorevole equilibramento delle forze d'inerzia, ma l'inconveniente di una maggior delicatezza degli organi e varie difficoltà di ordine pratico (effetti girostatici, difficile lubrificazione, ecc.).

Motori con cilindri orizzontali, verticali, capovolti: la generalità dei motori a combustione interna si costruisce oggi con cilindri verticali per i pregi di compattezza e leggerezza che ne derivano, lasciando la costruzione con cilindri orizzontali, già molto in uso in passato, ad alcuni tipi di motori fissi e quella a cilindri capovolti (verticali o a V) ad alcuni tipi di motori d'aviazione nei quali interessa abbassare il centro di gravità, aumentare la visibilità (se il gruppo motore è collocato davanti al pilota) e portare lo scarico dei gas combusti sotto la carlinga.

Motori con doppî stantuffi (Junkers) nei quali ogni cilindro è ridotto alla sola parte cilindrica con due stantuffi opposti: come si è già detto tale disposizione è stata ideata per realizzare nei motori a due tempi il lavaggio a equicorrente e presenta favorevoli caratteristiche di funzionamento anche per il bilanciamento delle forze d'inerzia alternate e per la forma compatta della camera di combustione. Le due serie di stantuffi possono azionare due distinti assi a manovella (fig. 53) tra loro collegati a mezzo d'ingranaggi, oppure un unico asse a manovella se la serie di stantuffi superiore trasmette il suo movimento per mezzo di una doppia serie di bielle (fig. 56) a una doppia serie di bottoni a manovella contigui a quelli dei manovellismi degli stantuffi inferiori.

d) Secondo la realizzazione meccanica: si possono distinguere i motori secondo il sistema di trasmissione del moto dallo stantuffo all'albero motore in: motori a manovellismo (che rappresentano la quasi totalità), motori a revolver e motori a trasmissine idraulica.

Nei motori a revolver il moto rettilineo alternato dello stantuffo è trasformato in moto rotatorio dell'albero motore invece che per mezzo dell'ordinario manovellismo per mezzo di un disco calettato obliquamente sull'albero motore sul quale, mediante pattini articolari, agiscono gli steli degli stantuffi trasmettendo l'azione del fluido e determinando la rotazione: la costruzione ha il pregio del minimo ingombro frontale essendo i cilindri disposti parallelamente tutt'intorno all'albero motore e, utilizzando per i pattini la lubrificazione razionale (Michell), presenta, nonostante il sistema di trasmissione, un favorevole valore di η0.

Nei motori a trasmissione idraulica lo stantuffo che riceve l'azione del fluido motore è costituito da una massa d'acqua che durante la fase di espansione viene spinta ed esegue un lavoro (spingendo, p. es., un'altra massa d'acqua a una certa altezza) e durante le successive oscillazioni pendolari compie le corse di scarico, d'aspirazione e di compressione di un ciclo Beau de Rochas a 4 tempi. Il sistema adempie così le funzioni di pompa (pompa Humphrey) e come tale è stato infatti impiegato con buoni risultati (esperienze Meyer); ma, se viene completato da una turbina idraulica che utilizzi la massa d'acqua che è stata pompata a livello maggiore, costituisce nel suo complesso un motore a combustione interna con trasmissione idraulica dallo stantuffo all'asse motore. Altra disposizione che sulla precedente ha il pregio della compattezza è quella Stauber in cui i cilindri sono ridotti alle capacità comprese tra le palette di un rotore a doppia palettatura, l'acqua in esse contenute e i fondi dei rotori stessi: le palette delle due corone sono disposte in senso opposto tra loro e sono disposte lateralmente a una corona di deviatori fissi: effettuandosi lo scoppio in una camera di combustione, lo stantuffo costituito dall'acqua contenuta tra le palette è violentemente spinto avanti, e per la curvatura delle palette, determina la rotazione del sistema effettuando la fase di compressione nella camera di combustione opposta e da essa a sua volta è allo stesso modo per effetto dello scoppio successivo rinviata dall'altra parte e così di seguito.

e) Secondo l'utilizzazione della potenza: si distinguono i motori per impianti fissi, motori d'automobile, motori marini, motori d'aviazione.

Non esistono differenziazioni sostanziali fra tali categorie di motori perché tutti i perfezionamenti termodinamici e meccanici realizzati in ciascuna categoria si sono venuti naturalmente estendendo alle altre. Esistono soltanto alcune caratteristiche generali differenti a seconda delle esigenze speciali di alcuni impieghi: la leggerezza per i motori d'aviazione, la limitata velocità angolare ed elevata potenza per i motori marini, la limitata potenza ed elevata velocità angolare per i motori d'automobile. Ma tali caratteristiche generali non definiscono rigorosamente in ogni caso il tipo di costruzione e di funzionamento termodinamico da adottare, col risultato che i limiti che dovrebbero distinguere le varie categorie di motori a seconda della loro utilizzazione si sono andati a poco a poco attenuando fino a scomparire.

Basta considerare qualche esempio. Fino ad alcuni anni fa il motore a iniezione (Diesel) era esclusivamente usato negl'impianti fissi e marini (basso numero di giri; figure 57-61-62) e presentava speciali caratteristiche di funzionamento termico (combustione a pressione costante): perfezionandosi il sistema di iniezione, la fase di combustione si è sempre più accelerata - con vantaggio del rendimento - fino a diventare anche più rapida che nei cosiddetti motori a scoppio e il motore a iniezione si è rivelato particolarmente adatto per gli elevati numeri di giri giustificando la sua diffusione già in atto nelle applicazioni automobilistiche e già favorevolmente iniziata nel campo aeronautico (fig. 60). Ancora: il raffreddamento ad aria, dapprima applicato solo per le piccole potenze (motociclismo), si è oramai affermato per le grandi potenze dei motori d'aviazione, e, ora che di essi è diventato caratteristico, inizia la sua diffusione ai motori d'automobile. I motori con cilindri a V e W creati per l'aeronautica si usano ora per la trazione ferroviaria e automobilistica e per le applicazioni navali. Il sistema a due tempi le cui applicazioni (per non parlare dei piccoli motori a carburazione del motociclismo e della motonautica) erano finora limitate ai motori a iniezione lenti (Diesel marini), comincia ad applicarsi nei motori a iniezione veloci aeronautici dove finirà per diffondersi. I motori a gas povero che, per la necessità del gassogeno, sembrava dovessero esser limitati agl'impianti fissi (figura 59) c'è ora tendenza ad applicarli agli autocarri e anche alle automobili per ovvie ragioni di economia individuale e nazionale. I bassi regimi di funzionamento che sembravano caratteristica degl'impianti fissi e marini risentono l'influenza dei motori aeronautici e dei riduttori navali e vanno gradualmente scomparendo.

È lecito quindi oggi affermare che tutti i tipi di motori a combustione interna si identificano tra loro, non soltanto dal punto di vista termodinamico, ma pure, per quanto è possibile, dal punto di vista costruttivo, rinnovandosi per essi la fatale legge del progresso che negli scorsi decennî ha fatto a poco a poco scomparire molte delle differenze che esistevano tra i varî tipi di macchine a vapore: p. es., con l'avvento delle turbine miste la rivalità tra turbine ad azione e turbine a reazione, ecc. E tale unità di concezione rappresenta la più necessaria condizione per l'ulteriore progresso.

2. Motori a turbina. - I motori a combustione interna a turbina non sono ancora usciti dallo stato sperimentale, ma le recenti realizzazioni fanno ritenere non lontano l'inizio delle applicazioni industriali. Il ciclo di funzionamento di un motore a combustione interna a turbina corrisponde a quello di un motore a combustione interna a stantuffo (Beau de Rochas o Diesel) in cui l'espansione venga prolungata fino all'atmosfera: effettuandosi infatti l'espansione nella turbina e non essendovi per essa alcuna difficoltà, a differenza dei motori a stantuffo, ad aumentare il volume d'espansione, non esiste alcuna ragione per iniziare lo scarico quando il fluido ha una pressione maggiore dell'atmosfera.

Si può calcolare il valore del rendimento termico teorico per un ciclo modificato. Nel ciclo Beau de Rochas modificato (fig. 66), adottando le medesime notazioni già usate, si ha: ηt = 1 − k(T5T1)/(T3T2) che risulta maggiore del rendimento termico teorico del corrispondente ciclo Beau de Rochas; tale rendimento cresce al crescere di T3 (perché T5 è costante essendo il punto 5 sull'adiabatica 3-5 e p5 = 1 è pure costante), cioè - come è naturale - al crescere della temperatura massima del ciclo. Nel ciclo Diesel modificato (fig. 67) ηt = 1 − (T5T1)/(T3T2) = 1 − c1-k risulta maggiore del rendimento termico teorico del corrispondente ciclo Diesel ed eguale - invece - al ciclo Beau de Rochas avente eguale rapporto di compressione: come nel caso precedente esso cresce al crescere di T3 (essendo, come nel caso precedente, T5 = cost) cioè - come è naturale - cresce al crescere della temper;1tura massima del ciclo.

Per realizzare uno qualunque dei due cicli teorici occorre far compiere al fluido la trasformazione 1-2 (compressione) in un compressore che, per ovvie ragioni costruttive, sarà, p. es., centrifugo, la trasformazione 2-3 (combustione) in una camera di combustione, la trasformazione 3-5 (espansione) in una turbina a gas (figg. 63 e 64) e la trasformazione 5-i (raffreddamento a pressione costante) in un refrigerante che è virtualmente costituito dall'atmosfera in cui la turbina scarica il fluido alla temperatura T5 e dal quale il compressore aspira il fluido alla temperatura T1. A differenza quindi del motore a combustione interna a stantuffo nel quale tutte le trasformazioni (salvo la 4-1) si compiono nel cilindro, in un motore a combustione interna a turbina le varie trasformazioni si compiono in organi distinti e il motore a combustione interna risulta perciò costituito dal complesso del compressore, della camera di combustione e della turbina.

Un siffatto motore presenta, come già si è detto, un rendimento termico teorico maggiore del corrispondente motore a stantuffo (per l'utilizzazione dell'area triangolare allo scarico che nei motori a stantuffo è perduta) e presenta pure un rendimento organico maggiore (essendo il motore costituito soltanto di masse rotanti): tuttavia i pochi esemplari finora costruiti (turbina Holzwart, 1908-1920, secondo il ciclo Beau de Rochas modificato, turbina Lemale-Armengaud, 1903-1909, e turbina Belluzzo, 1925, fig. 65, secondo il ciclo Diesel modificato) hanno presentato dei rendimenti totali inferiori (e in alcuni casi enormemente inferiori) ai motori a stantuffo.

La ragione di tale inferiorità si deve ricercare nella causa per la quale il ciclo reale differisce dal ciclo teorico, cioè nella necessità di dover effettuare un energico raffreddamento per evitare che si riscaldino eccessivamente le pareti della camera di combustione e le palette della turbina: un eccessivo aumento di temperatura riducendo la resistenza del materiale toglierebbe infatti alle varie parti l'attitudine a resistere alle sollecitazioni cui esse sono sottoposte.

Anche nei motori a stantuffo si deve provvedere - come è noto - al raffreddamento delle pareti del cilindro per rendere possibile il funzionamento del motore, ma tale raffreddamento è in tal caso molto meno importante non soltanto perché la temperatura è variabile ciclicamente da un massimo positivo a un massimo negativo e perché il rapporto tra la superficie da raffreddare e il volume del fluido è molto più piccolo, ma principalmente per il fatto che il coefficiente di trasmissione è sulle palette della turbina molto maggiore che nei cilindri dei motori a stantuffo in conseguenza della grande velocità del fluido. Il coefficiente c di trasmissione è infatti una funzione crescente della velocità del fluido risultando, per la velocità del fluido di centinaia di metri al secondo come nelle turbine a combustione interna (esperienze Belluzzo), c = a + bvγ0,8, in cui γ rappresenta il peso specifico del fluido: la formula Belluzzo ha trovato una sufficiente conferma nelle recenti esperienze della Brown Boveri.

Per impedire che in conseguenza dell'importante sottrazione di calore da parte dell'acqua di raffreddamento delle pareti della camera di combustione (Lemale, Holzwart, Belluzzo) e delle palette (Lemale, Belluzzo), il rendimento totale dell'impianto non risulti troppo disastroso, si sono adottati tre distinti provvedimenti:

Nella turbina Lemale Armengaud (cav. = 400, n = 425, c = 3) si è limitata la cessione di calore alle pareti abbassando la temperatura del fluido mediante iniezione di acqua nella camera di combustione: l'effetto raffreddante è molto notevole, ma il rendimento risulta disastroso (5,3% per la sola turbina, senza tener conto cioè della potenza assorbita dal compressore) per l'enorme perdita allo scarico rappresentata dalle calorie di vaporizzazione dell'acqua, perdita allo scarico che non è compensata dal migliorato rendimento termico reale del ciclo in conseguenza delle diminuite temperature del fluido.

Nella turbina Belluzzo (cav. = 40, c = 10) si è limitata la cessione di calore alle pareti, riducendo al minimo l'estensione delle pareti della camera di combustione mediante la riduzione del suo volume (attività di combustione di 70 kg. di nafta per ora e per dmc., cioè 1 dmc. per una potenza di circa 300 cav.) e abbassando la temperatura del fluido mediante un eccesso di aria. Il rendimento termico reale del ciclo per tale diminuzione di temperatura risulta aumentato in conseguenza della diminuzione dei calori specifici e del fenomeno della dissociazione e della cessione di calore alle pareti e tali favorevoli effetti essendo ottenuti mediante un eccesso d'aria non vengono, come nel caso precedente, annullati da una anormale perdita allo scarico. Il rendimento della turbina e del compressore risultano poi anch'essi aumentati in conseguenza del maggior volume di fluido da smaltire e della conseguente minore influenza percentuale delle perdite per attrito. Il consumo specifico risulta perciò molto favorevole, riducendosi dello stesso ordine di grandezza di quello dei motori a combustione interna a stantuffo.

Nella turbina Holzwart (cav. = 1500, n = 3000, c = 3), anziché limitare la cessione di calore alle pareti, si provvede a utilizzarla ricavandone del vapore per alimentare una turbina a vapore la quale aziona il compressore necessario per la realizzazione del ciclo. In tal modo, per quanto il rendimento dell'espansione in conseguenza dell'importante sottrazione di calore risulti molto basso, essendo invece molto elevato il rendimento della compressione in conseguenza dell'utilizzazione di tale calore che andrebbe altrimenti perduto, il rendimento complessivo dell'impianto raggiunge valori abbastanza favorevoli.

Il motore a combustione interna, costituito dal compressore, dalla camera di combustione e dalla turbina a gas, si completa così con un motore ausiliario, la turbina a vapore, che utilizza un sottoprodotto, il vapore, della trasformazione principale per azionare il compressore e che è alimentato dal suo generatore di vapore, il quale non è altro che la camera di combustione in funzione di caldaia. In un tale impianto la maggior parte delle calorie prodotte dalla combustione viene utilizzata nella turbina a gas e soltanto quella asportata dalla circolazione dell'acqua indispensabile per limitare la temperatura delle palette viene utilizzata nella turbina a vapore.

Ma è sufficiente aumentare la superficie delle pareti della camera di combustione perché tale rapporto risulti invertito: la camera di combustione, divenendo prevalente la sua funzione di generatore di vapore, si chiamerà allora caldaia (caldaia Velox della BBC che è una caldaia sovralimentata, nella quale la combustione avviene sotto pressione) e l'impianto diventerà quello di una macchina a vapore (caldaia, turbina a vapore, ecc.) che si completa con un motore ausiliario, la turbina a gas, la quale utilizza un sottoprodotto, i gas combusti che escono dalla caldaia, della trasformazione principale per azionare il compressore. A una simile realizzazione è giunta con ottimi risultati in questi ultimi anni la Brown Boveri come logica conseguenza degli studî sperimentali compiuti con la collaborazione di Holzwart sui motori a combustione interna a turbina.

La turbina a gas si riduce in tal modo a essere una turbina a gas di scarico: in conseguenza della minor temperatura del fluido (nel caso della caldaia Velox non molto superiore alla temperatura ambiente) viene meno ogni preoccupazione di diminuzione di resistenza del materiale, ma, per la minor potenza sviluppata, la funzione della turbina a gas si riduce a quella di semplice motore ausiliario.

Anziché essere prodotti da una caldaia sovralimentata, i gas di scarico che alimentano la turbina possono essere prodotti da un motore a combustione interna a stantuffo: si hanno così le turbine a gas di scarico realizzate per primo dal Rateau (1916) per muovere il compressore occorrente nei motori di aviazione a mantenere costante l'alimentazione col variare della quota (v. p. 970) e successivamente (1920) adoperata anche dal Büchi per ottenere il lavaggio e la sovralimentazione dei motori a quota zero (v. p. 971). In tali applicazioni la temperatura del fluido che viene a contatto con le palette è molto maggiore del caso precedente (la temperatura massima non è molto inferiore ai 1000°) e occorrono acciai speciali per la palettatura, quando non si provveda (come nella turbina Lorenzen le cuî palette, funzionando anche da palette del compressore, sono raffreddate dall'aria che le attraversa) a un conveniente raffreddamento del materiale.

Bibl.: H. R. Ricardo, The internal combustion engine, Glasgow 1922; P. Dumanois, Moteurs à combustion interne, Parigi 1924; R. Devillers, Le moteur à explosions, ivi 1920; O. Pomini, La macchina a gas, Milano 1911; A. Witz, Moteurs à gas et à pétrole, Parigi 1903; H. Güldner, Moteurs à combustion, ivi 1905; E. Garuffa, Motori a combustione interna, Milano 1925; E. Weber, La comb. et les moteurs, Parigi 1928; E. Moriando, Motrici a combustione interna, Torino 1919; D. Zacovieff, Problémes thermomécaniques du moteur à essence, Parigi 1932; M. Seiliger, Les moteurs Diesel, ivi 1930.

Motori a vento.

Sono motori che sfruttano l'energia cinetica del vento come sorgente naturale di energia e la trasformano in energia meccanica. I motori a vento sono, economicamente, tra i più convenienti, dato che l'energia naturale è immediatamente disponibile. Essi non si prestano allo sviluppo di grandi potenze; normalmente non si superano per ogni unità i 35 HP. Tuttavia sono in costruzione motori a vento (per es., a Sebastopoli) fino a potenze di circa 180 HP. Si richiedono però in tal caso località particolarmente adatte per intensità e costanza del vento.

Al vantaggio dell'economia i motori a vento contrappongono lo svantaggio di una grande incostanza della potenza motrice. Poiché l'energia cinetica del vento è proporzionale al quadrato della velocità e la massa d'aria che, per effetto del vento, può agire nell'unità di tempo sopra una determinata superficie capace di utilizzarne l'energia è, a sua volta, proporzionale alla velocità, se ne deduce subito che la potenza ricavabile da un impianto è all'incirca proporzionale al cubo della velocità del vento. Perciò l'incostanza della velocità del vento porta come conseguenza una variabilità proporzionalmente assai maggiore della potenza, la quale pertanto può essere utilizzata solo per alcuni particolari scopi, o facendo uso di speciali accorgimenti, ai quali accenneremo in seguito. Le velocità di vento industrialmente utilizzabili dai motori a vento sono le velocità medie: da 2 m./sec. ai 20 m./sec. I limiti di utilizzazione variano del resto secondo il tipo dell'aeromotore. Le località più convenienti per l'installazione dei motori a vento sono quelle che rispondono, come si è accennato, a particolari condizioni di costanza, velocità e frequenza di vento.

Costituzione di un motore a vento. - Un motore a vento generalmente si compone delle seguenti parti: a) una ruota, o girante, ad asse generalmente orizzontale; b) un meccanismo dî trasmissione, generalmente con ruote dentate coniche, talvolta con cinghie; c) un dispositivo di orientamento, che ha lo scopo di disporre la ruota nella direzione più opportuna per lo sfruttamento dell'energia del vento, in relazione alle diverse direzioni che esso puo avere; d) un dispositivo di sicurezza e di regolazione avente per scopo di limitare l'azione del vento o di escluderla completamente quando la velocità di esso superi certi limiti, minacciando di danneggiare l'apparecchio; e) un pilone, costituito generalmente da una trave a traliccio, che sostiene i varî meccanismi, e in particolare la ruota. L'altezza del pilone varia a seconda della località e delle dimensioni della ruota; in ogni caso il lembo inferiore della ruota deve essere almeno 2 ÷ 3 m. più alto di qualunque ostacolo (case, alberi, ecc.) compreso in una zona di 200 ÷ 300 m. di raggio.

Dei varî elementi che costituiscono un motore a vento interessano principalmente la ruota e i dispositivi di orientamento e di sicurezza. Il tipo della ruota differenzia fra loro i varî tipi di motori a vento. Per la teoria delle ruote a vento, v. elica.

Classificazione. - Si possono classificare in due grandi categorie: aeromotori a tamburo e aeromotori elicoidali.

Gli aeromotori a tamburo sono costituiti da un cilindro, ad asse generalmente verticale, sulla periferia del quale sono applicate palette, che per la loro forma (fig. 68) o per la possibilità di disporsi, oscillando intorno a un asse, in posizione opportuna rispetto al vento (fig. 69), imprimano complessivamente al tamburo una coppia motrice. Questi tipi di ruote non abbisognano di dispositivi di orientamento. In questa categoria può comprendersi il rotore Savonius, formato da due coppe emicilindriche, disposte com'è indicato in fig. 70; esso, ideato come trasformazione dei rotori Flettner, ha ricevuto di recente interessanti applicazioni come aeromotore. Nella categoria dei motori a tamburo si hanno anche tamburi con alette diritte, protette per metà giro da uno schermo semicilindrico esterno, che sottrae le palette all'azione del vento (fig. 71). Gli aeromotori a tamburo, conosciuti già dai Cinesi e dagl'Indiani, hanno attualmente poche applicazioni, sebbene se ne tenti di nuovo l'introduzione. Rientra nella loro categoria l'anemometro a coppe di Robinson per la misura della velocità del vento (v. anemometro).

Gli aeromotori a elica sono invece costituiti da eliche motrici (v. elica). Essi si possono suddividere ulteriormente, a seconda del numero e della disposizione delle pale o alette, in due categorie: 1. Aeromotori a pale, con piccolo numero di pale (2 a 4). In tale categoria rientra il tipo antico e ben noto dei molini olandesi, con pale formate da un'ossatura di legno coperta di tela (fig. 72). In essi l'orientamento della ruota contro vento era fatto a mano. I tipi più recenti, che sono usati specialmente in Germania, Danimarca, ecc., sono caratterizzati da una forma di pala rispondente ai più moderni requisiti dell'aerodinamica; le pale sono in legno o in metallo; l'orientamento è ottenuto automaticamente mediante l'azione di una ventola direttrice (fig. 73) o di un'elica direttrice (fig. 74); 2. aeromotori ad alette, detti anche turbine a vento, i quali hanno numerose e fitte pale, generalmente metalliche, che possono essere piane oppure leggermente curve (figg. 75 e 76).

La rotazione delle pale serve alla regolazione e alla sicurezza, in quanto un regolatore a forza centrifuga comanda la posizione delle palette o dei settori, disponendoli sempre più di taglio rispetto al vento quanto più la velocità di questo (e quindi la velocità della ruota) cresce. Rientrano nella categoria degli aeromotori a elica gli anemometri ad alette del tipo Richard (v. anemometro).

Applicazioni. - Per sollevamento d'acqua, mediante pompe a stantuffo o centrifughe; l'acqua sollevata dalla pompa può essere mandata in un apposito serbatoio, che viene così a costituire un accumulatore di energia. In tal modo si può ovviare all'inconveniente della variabilità della potenza fornita dall'aeromotore.

Per molini, frantoi, e altre applicazioni agricole.

Per impianti aeroelettrici. In questi impianti l'areomotore comanda una dinamo, la quale può essere azionata con sistemi di trasmissione, ovvero può essere disposta in presa diretta sull'albero della ruota; in quest'ultimo caso il generatore elettrico è racchiuso entro un'ogiva profilata a forma di solido penetrante (fig. 77). Questa è anzi la tendenza più moderna. I generatori sono sempre a corrente continua, con batteria di accumulatori e sono provvisti di eccitazione autoregolabile (avvolgimento anticompound), in guisa da fornire tensione pressoché costante anche con scarti di velocità da 1 a 5. L'impianto elettrico è provveduto d'interruttore di minima, che impedisce agli accumulatori di scaricarsi sulla dinamo, qualora questa, per eccessivo rallentamento, non fornisca una tensione sufficiente. Talvolta la regolazione è effettuata anche con mezzi meccanici (cinghie scorrenti) o aerodinamici (ventole-freno sulle pale della ruota motrice, ecc.) e in tal caso la regolazione tende a mantenere entro determinati limiti la variazione della velocità di rotazione del generatore.

Bibl.: A. Betz, Wind-Energie und ihre Ausnutzung durch Windmühlen, Gottinga 1926; A Report on the use of windmills for the generation of electricity, Oxford 1926; N. Nerli, Un importante problema sui motori a vento, in l'Aerotecnica, giugno 1928; Powell, Windmills and Wind Motors, Londra; Eiffel, Études sur l'hélice aérienne, Parigi 1921; R. Champly, Les moteurs à vent, ivi 1933; v. anche N. Nerli, Lezioni di meccanica agraria, Bologna 1929.

Motori a colonna d'acqua.

Il motore a colonna d'acqua, un tempo molto usato per sfruttare l'energia idraulica di piccole portate con forti cadute e, in genere, in ogni caso in cui fossero disponibili masse d'acqua sotto pressione, è un motore in cui l'acqua agisce esclusivamente per pressione. Esso è costituito essenzialmente da un cilindro entro cuì scorre lo stantuffo motore; l'acqua viene addotta in esso, attraverso una tubazione e un organo di distribuzione, ed esercita una pressione, contro la faccia dello stantuffo, p = H/10 kg./cmq, se H è l'altezza della colonna d'acqua espressa in metri.

Nei motori a colonna d'acqua a semplice effetto, l'acqua agisce su una sola faccia dello stantuffo, che in tal caso può anche essere tuffante; nei motori a doppio effetto l'acqua agisce alternativamente sulle due facce dello stantuffo. Si possono avere macchine semplici, composte cioè da un solo cilindro motore, e macchine gemelle, che comprendono due o più cilindri riuniti ad azionare lo stesso albero. Per evitare gli effetti dell'inerzia dell'acqua nelle tubazioni è necessario provvedere questi motori di una camera d 'aria.

Il rendimento dei motori a colonna d'acqua, se lavorano sotto carico costante, può raggiungere il valore di 0,85, ma si abbassa fortemente quando la quantità di lavoro da produrre è variabile. Furono perciò studiati varî procedimenti per migliorarlo; restringimento di sezione, a mezzo di una valvola, nel tubo adduttore, esclusione di un cilindro, per le macchine gemelle, nei periodi di minor lavoro; diminuzione della corsa dello stantuffo, ecc., ma risultati migliori si ottennero nel motore Winter, dove un regolatore centrifugo, azionato dall'asse motore, chiude l'ammissione dell'acqua al crescere della velocità; lo stantuffo motore continua nel suo movimento per forza viva, aspirando acqua dal tubo di scarico e ricacciandovela, finché la sua velocità non torni al valore di regime. Nel motore Hastie e C. il regolatore varia la corsa dello stantuffo, avvicinando al centro il bottone del disco di manovella, la cui posizione è così fissata dall'entità del lavoro resistente.