SEN, Mrinal

Enciclopedia del Cinema (2004)

Sen, Mrinal

Sergio Di Giorgi

Regista cinematografico bengalese, nato a Faridpur (Bengala Orientale, od. Bangla Desh) il 14 maggio 1923. È una delle figure più importanti del cinema indiano, insieme a Satyajit Ray e a Ritwik Ghatak, erede e interprete della ricca tradizione culturale bengalese. Intellettuale impegnato di stretta formazione marxista, con le sue opere ha dato vita spesso ad accesi dibattiti, e in qualche caso ha suscitato veri e propri scandali. Nel 1981 con Akaler sandhaney (1980, In cerea della carestia) ha vinto il Premio speciale della giuria al Festival di Berlino, mentre nel 1983 al Festival di Cannes gli è stato attribuito un premio della giuria per Kharij (1982, Respinto).

L'amore di S. per il cinema risale agli anni in cui studiava fisica all'università di Calcutta (anni che per il suo Paese furono quelli della lotta per l'indipendenza), quando scoprì le teorie e i classici del cinema sovietico, Charlie Chaplin (sul quale pubblicò un libro nel 1951) e il Neorealismo italiano. Iniziò quindi a scrivere di cinema per numerosi periodici e si avvicinò, pur senza diventarne membro, al Partito comunista indiano. Sulla scia dell'affermazione internazionale di S. Ray con Pather panchali (1955; Il lamento sul sentiero), anche S. trovò un produttore disposto a finanziare la sua prima opera, Raat bhore (1956, Primi albori), poi rinnegato dall'autore per gli eccessi melodrammatici. L'insuccesso del film lo costrinse ad accettare un lavoro come rappresentante di medicinali, ma due anni dopo riuscì ad affermarsi con Neel akasher neechey (1959, Sotto il cielo azzurro), ambientato nella Calcutta degli anni Trenta, che per la vigorosa denuncia del colonialismo britannico fu inizialmente messo al bando dal governo. Il film, la cui protagonista è una donna cinese che diventa amica di un'indiana impegnata nel movimento indipendentista, inaugura un fecondo periodo creativo (fortemente influenzato dal Neorealismo), i cui temi dominanti sono la famiglia e il matrimonio, le differenze di casta e la condizione sociale della donna. Fu con il suo terzo lungometraggio, Baishey Shravan (1960, Il 22 di Shravan), che il regista cominciò a essere conosciuto internazionalmente; il film racconta la storia del tormentato matrimonio tra un mercante di mezza età e una giovane donna, sconvolto dalla terribile carestia del 1943 che costò la vita a cinque milioni di Bengalesi. Echi della Nouvelle vague, ma anche della commedia all'italiana, si ritrovano in Akash kusum (1965, Castelli in aria), commedia sociale agrodolce sulle disavventure amorose di un giovane povero e sognatore (interpretato da Soumitra Chatterjee) che si innamora di una ragazza di famiglia ricca. La ricerca di innovazioni formali trovò esiti felici in Bhuvan Shome (1969, Il signor Shome), girato in hindi, che lo impose come autore sia a livello nazionale (dando avvio alla nouvelle vague indiana) sia internazionale. La libertà stilistica del film aderisce molto bene al racconto (che è anche un'amara riflessione sui condizionamenti sociali) del sogno di libertà del protagonista, un vedovo di mezza età, burocrate onesto e inflessibile, che durante una breve vacanza in un villaggio costiero incontra una ragazza semplice e piena di vita; al suo ritorno sarà un uomo diverso, anche sul posto di lavoro, ma come tutti corruttibile.

Sulle contraddizioni e le rivolte sociali di una metropoli caotica come Calcutta (già presenti in Akash kusum) risultano incentrati i suoi film della prima metà degli anni Settanta, i più esplicitamente politici nella filmografia del regista, ma caratterizzati al tempo stesso da una forte ricerca espressiva. A questo periodo risale la 'trilogia di Calcutta' costituita da Interview (1970), che mescola finzione, documento e materiali d'archivio per raccontare con lucida ironia le difficoltà di un giovane in cerca di lavoro; Calcutta '71 (1972); e Padatik (1973, Il fante), racconto dell'incontro tra due mondi di solitudine e di segreti, rappresentati da un attivista politico e da una donna di classe elevata che ha abbandonato il marito. Successivamente S. approdò al colore, tornando alla realtà contadina con Oka Oorie katha (1977, La storia di Oka Oorie), drammatico ritratto di un anziano che vive con il figlio in uno stato di assoluta e anarchica emarginazione, per poi ritornare al microcosmo piccolo-borghese di Calcutta, intessuto di ipocrisie e sfruttamento, con opere come Ek din pratidin (1979, Un giorno, ogni giorno), Chaalcitra (1981, Miniature), Kharij. Nel 1980 tornò a un tema storico, la grande carestia del 1943, con Akaler sandhaney che costituisce al tempo stesso una riflessione sul cinema, in quanto si narra di un cineasta idealista, deciso a girare un film sul dramma della carestia, che finisce per scontrarsi con la miseria e la fame del presente.

Con Genesis (1986) S. ha poi operato un radicale salto di registro, proponendo una parabola sulla libertà umana, attraverso il racconto della vicenda di due amici, isolatisi in una sorta di terra di nessuno, che entrano in conflitto all'apparire di una giovane ed enigmatica figura femminile; con quest'opera il suo cinema è apparso caratterizzato sempre più dallo scavo psicologico di personaggi borghesi, proseguito con la figura dell'anziano professore che abbandona casa e famiglia in Ek din achanak (1988, Improvvisamente un giorno) o con la coppia del drammatico e claustrofobico Antareen (1993, Intervallo). A settant'anni S. si è concesso una lunga pausa, ma nel 2002, dopo otto anni di assenza dagli schermi, è tornato con Aamar bhuvan (La mia terra, in lingua hindi) che ha sorpreso e diviso critica e pubblico: per la prima volta nella sua carriera, infatti, il regista ha abbandonato i temi sociali a lui cari per concentrarsi sulle storie d'amore di tre personaggi, sullo sfondo di un villaggio dove regnano serenità e prosperità.

Bibliografia

Encyclopaedia of Indian cinema, ed. A. Rajadhyaksha, P. Willemen, London 1994, ad vocem.

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