MUSE

Enciclopedia Italiana (1934)

MUSE (Μοῦσαι, Musae)

Giovanni CICCONETTI
Goffredo BENDINELLI

Nella mitologia degli antichi Greci, erano figlie di Zeus e di Mnemosine (v.). Narrava Esiodo (Teogonia, 52 segg.) che Mnemosine aveva partorito a Zeus, nella Pieria, in Tessaglia, nove figlie, le nove Muse, sempre allietantisi della danza e del canto, che fanno dimenticare angustie e dolori; e questo era avvenuto dopo che il padre degli dei aveva, con la sua vittoria sui Titani, portato un nuovo ordine nel mondo. La nascita delle Muse eternò dunque la gioia di quel trionfo; e le nove gioconde fanciulle ne rinnovavano fra gli dei la letizia, ogni volta che facevano risuonare dei loro canti le sedi dell'Olimpo.

In Esiodo troviamo, per la prima volta, i nomi delle nove Muse (e forse il poeta stesso li ha inventati): Clio, Urania, Melpomene, Talia, Tersicore, Erato, Calliope, Euterpe e Polinnia. Anche il loro numero di nove non divenne canonico se non in conseguenza della tradizione esiodea: sembra infatti che il numero originario delle Muse, come quello delle Grazie e delle Ore, sia stato di tre; in tale numero, esse seguitarono ad essere venerate in parecchi santuarî; sette se ne conoscevano a Lesbo, quattro o otto in altri luoghi; nei poemi omerici esse compaiono in numero indeterminato e soltanto una volta se ne dà il numero preciso di nove (Odissea, XXIV, 60).

Il nome di Μοῦσαι (eolico, Μοῖσαι, per contrazione da Μόνσαι) sembra debba farsi risalire, come anche quello di Mnen) osine, alla radice μεν-μαν, sicché le Muse sarebbero "coloro che meditano, che creano con la fantasia".

In origine, esse furono certo venerate come Ninfe delle sorgenti, come divinità personificanti le fresche acque spiccianti dal profondo della terra o dai fianchi dei monti. Tale fu il loro primitivo aspetto nelle due più antiche sedi del loro culto: sull'Olimpo e sull'Elicona. Sulle pendici orientali dell'Olimpo (nella Pieria, appunto), nel territorio della città macedonica di Dio, s'indicavano come patria di Orfeo e delle Muse Olimpiche le due località di Libetra e Pimplea, ambedue così nominate da sacre fonti (onde gli appellativi di Pieridi e di Olimpiadi, dati alle Muse): regione nota anche per il culto di Dioniso, col qual dio e con Orfeo le Muse venivano qui in stretto contatto. In questo territorio, i re macedoni istituirono e celebrarono - con speciale solennità da Alessandro Magno in poi - le feste Olimpie, in onore di Zeus e delle Muse, della durata di nove giorni.

Il culto delle Muse dell'Elicona, di cui si riguardava banditore Esiodo (onde l'epiteto di Esiodee dato ad esse), fiorì specialmente in età ellenistica e romana, notevole anche per monumenti di vario genere, sorti in forza di esso: da ricordarsi soprattutto quelli dedicati all'uno o all'altro gruppo di Muse e all'esercizio delle scienze e delle arti da esse protette, chiamati Musei (Μουσεία) e col tempo diffusisi per tutto il mondo greco-romano.

Luogo del culto, nell'Elicona, era un sacro bosco, nelle cui vicinanze si trovava la fonte Aganippe; presso la vetta del monte, sgorgava un'altra fonte, che si diceva scaturita per un calcio del cavallo Pegaso ed era chiamata appunto perciò Ippucrene, cioè "la fonte del cavallo".

E in molti altri luoghi di culto le Muse vennero riguardate come Ninfe delle fonti; e ciò spiega com'esse siano venute a trovarsi, in molti culti della Grecia, in stretta connessione con Dioniso. Così, nel mito di Orcomeno, si narrava di Dioniso che, inseguito e ferito, aveva trovato presso le Muse rifugio e protezione: e, in genere, riguardandosi le Muse come le Ninfe che donano l'entusiasmo che viene dagli spettacoli e dalle bellezze della natura, si ravvicinava tale forma di entusiasmo a quello mistico dionisiaco; onde s'invocava anche un Dioniso Musagete. In progresso di tempo tale epiteto toccò soltanto ad Apollo (v.), considerato come il dio che guida il coro delle Muse, che insieme con lui danzano e cantano, specialmente durante le feste e i banchetti degli dei olimpici.

Perché questo, di divinità del canto e delle danze gioconde, fu l'aspetto più diffuso e più popolare che le Muse rivestirono, così nel culto del popolo come nella poesia e nel mito. E, dapprima, si pensarono le Muse come cantatrici e danzatrici: danzando intorno all'altare di Zeus - come le descrive Esiodo - esse cantavano l'origine del mondo, e la nascita degli dei e degli uomini, e le grandi imprese di Giom, le sue lotte e le vittorie; immensamente superiori agli aedi umani, come quelle che tutte le cose sapevano, e non solo le passate e le presenti, ma anche le cose future. E benché esse si compiacessero in special modo del canto, presto esse furono pensate anche come suonatrici dell'uno o dell'altro strumento; e in tale atteggiamento si vedono spesso rappresentate nelle opere d'arte specie nelle pitture vascolari.

E mentre esse, in un primo tempo, avevano impersonato propriamente la gioia della danza, del canto, del suono, in seguito divennero, più genericamente, le dee del canto, invocate e presenti in tutte le occasioni, liete e tristi, nelle quali fossero a proposito la musica e i canti; i loro nomi furono allora messi in rapporto con i diversi generi di poesia, l'epica, la lirica, la drammatica.

Soltanto in età ellenistica però fu definito per ogni Musa il campo specifico della poesia, nella quale si esercitava la sua ispirazione e la sua protezione: e così Clio fu la Musa del canto epico (e, per estensione, anche della storia), Urania dell'epica astronomica (come la concepì e ne produsse Arato) e della didascalica in genere, Melpomene e Talia rispettivamente della tragedia e della commedia, Tersicore della lirica corale, Erato della poesia amorosa (poi anche della geometria e della mimica), Calliope dell'elegia, Euterpe del suono del flauto e della lirica in genere (specie monodica) e Polinnia della danza e del canto sacro. Queste attribuzioni non furono del resto mai fisse; furono di continuo cambiate a capriccio dei poeti e si allargarono, come si è accennato sopra, dal campo della poesia a quello della prosa e delle scienze: e come Clio passò a proteggere la storia, così ad Urania divenne sacra l'astronomia e a Talia l'agricoltura.

Così le Muse diventarono sempre più e meglio le protettrici di ogni umana sapienza e, in questo loro più tardo e più generale aspetto, si accompagnarono agli dei, che si pensava vegliassero sulla educazione fisica e sulla formazione spirituale dei giovani: specialmente, dunque, a Ermete, a Eracle, ad Atena.

La religione romana non conobbe un culto delle Muse: esse non penetrarono mai in Roma come divinità cui si presta culto; così com'erano presso i Greci, le conobbero e le invocarono i poeti, e i mitografi le identificarono alle Camene (v.).

Iconografia. - Le Muse apparivano figurate sulla cista del corinzio Cipselo (Paus., V, 18,4), e sono ricordate nella descrizione fittizia deirilievi onde si adornava lo scudo di Ercole. Il primo e più antico monumento superstite di arte greca, in cui oggi ci appaiono effettivamente figurate le Muse, è il famoso cratere di Clizia e Ergotimo, o cratere François, del Museo archeologico di Firenze, del 550 circa a. C. Compaiono qui, in uno schema assolutamente primitivo, le figure delle nove Muse. Tutte indicate singolarmente coi rispettivi nomi già consacrati nella Teogonia di Esiodo, seguono esse a gruppi di tre il corteggio degli dei che si recano ad assistere alle nozze di Peleo e Tetide. In tutta la rimanente ceramica greca a figure nere, le Muse non fanno alcuna altra apparizione, o rimangono per noi raccolte entro caratteri così generici, che non ci permettono di differenziarle dalle Ninfe o da altri personaggi mitici generici.

Nei vasi attici a figure rosse, le Muse invece appaiono frequentemente rappresentate, ed espressamente denominate in episodî mitologici varî, in compagnia di Apollo, di Marsia, o di poeti mitici, come Tamiri e Museo. Dall'una all'altra di queste composizioni pittoriche vascolari, esse variano però di numero e di attributi. Questi sono, nella generalità dei casi, strumenti musicali: la lira o la cetra, il trigonon (o cetra triangolare), raramente le tibie, mentre la siringa pastorale rimane esclusiva della Musa Calliope sul citato cratere François. Altri attributi, col tempo sempre più frequenti, sono il rotolo iscritto (volumen) e il diptychon. Qualche figura di Musa, priva di attributi, accenna un passo di danza, come Musa della danza. In tutta questa prima fase dello sviluppo iconografico delle Muse, non ci risulta però alcuna netta differenziazione degli attributi in rapporto al carattere particolare delle singole figure.

A partire dal sec. VI a. C. s'inizia anche la serie delle opere monumentali di scultura, ispirate allo stesso soggetto. Soltanto a cominciare dal sec. IV, però, le nostre conoscenze in proposito possono estendersi oltre le semplici citazioni letterarie. Nel 1887 gli scavi di Mantinea (Arcadia) condussero alla scoperta di tre grandi lastre marmoree, una delle quali portante figurata in rilievo la contesa di Apollo e Marsia, le due altre adorne ciascuna di un gruppo di tre figure, in cui si riconoscono delle Muse. L. Fougères collegò quei rilievi con la citazione di Pausania (VIII, 9), il quale ricorda, a Mantinea, un gruppo statuario di Latona con Apollo e Artemide, collocato sopra una base con le figure di Marsia e delle Muse. Tale identificazione viene tuttora generalmente accettata, con ampî riferimenti all'arte di Prassitele. Del resto anche le difficoltà notevoli e di vario genere che a quella identificazione si oppongono, non diminuiscono l'importanza dei rilievi medesimi, nei quali le sei figur di Muse si presentano, nel loro isolamento, come l'ispirazione diretta quasi la copia, di opere statuarie di stile cefisodoteo, o stile attico di transizione dal sec. V al IV. Sopra uno dei rilievi le tre Muse, tutte in chitone e imation come le altre, sono presentate in piedi: la prima, a sinistra, con rotolo spiegato nelle mani, in atto di leggere, la seconda con un rotolo chiuso, stretto nella mano sinistra, la terza in atto di tenere sollevata con la destra, ostentatamente, la cetra. Nell'altro rilievo (v. Grecia XVII, tav. CLXXXII, in alto) la prima Musa a sinistra regge nelle mani le tibie, la seconda, sprovvista di attributi visibili, si chiude strettamente con le braccia nel manto, la terza, unica seduta sopra un rialzo roccioso, regge in grembo, con la sinistra, un tipico strumento a corde, da cui sembra trarre dei suoni.

Passando all'età ellenistica, i monumenti iconografici del genere si fanno più numerosi e completi. Nel rilievo votivo di Archelao di Priene (v.), con l'apoteosi di Omero (al British Museum), monumento della metà, forse, del sec. II a. C., si trovano riprodotte, nelle due fasce intermedie del rilievo, le nove Muse al completo, al disotto di Zeus e di Mnemosine, e insieme ad Apollo. Quivi non soltanto aumentano di numero e di varietà gli attributi delle singole figure, ma le figure stesse assumono degli atteggiamenti statuarî caratteristici, che varranno in parte a contraddistinguerle non meno degli esterni attributi. Oltre alla cetra, di varia forma e grandezza, oltre al dittico e alle tibie, vediamo qui apparire il globo, attributo specifico di Urania. L'atteggiamento della Musa tutta avvolta nel manto, con il gomito appoggiato contro un pilastro, sembra già essere divenuto tipico di Polinnia.

Dal sec. II a. C. alla fine dell'età classica i monumenti iconografici delle Muse si fanno estremamente numerosi in tutti i campi dell'arte: nella statuaria e nel rilievo, nella pittura murale, nel musaico, nonché nelle gemme, nelle monete, nei vasi a rilievi. Qualsiasi genere di monumento, insomma, sembra prestarsi a un tal genere di figurazione. Così troviamo assai di frequente la teoria delle Muse rappresentata sopra sarcofagi o rilievi: a cominciare da quello ritenuto il più antico (sec. IV), e forse di scalpello greco, di proprietà Chigi nella villa di Cetinale presso Siena. Un tardo, ma forse non meno interessante monumento del genere, è il grande sarcofago Mattei (Museo Nazionale Romano), del secolo IV d. C., con le figure delle Muse accuratamente rifinite nei loro attributi, e singolarmente collocate entro n icchie.

Non meno numerosa appare tuttora la serie delle statue sparse per tutti i musei; statue non sempre facilmente riconoscibili per la perdita degli attributi originarî, e per malintesi restauri. Oltre alla serie delle Muse eliconie eseguite da Cefisodoto, oltre alle Muse "Tespiadi" di Prassitele, e a quelle eseguite da Lisippo in Megara, sappiamo che si ammirava in Ambracia una serie statuaria delle Muse, che Fulvio Nobiliore nel 187 a. C. ebbe a trasferire a Roma e a dedicare nel tempio di Ercole. Nel tempio di Apollo, presso il portico di Ottavia, era il gruppo delle Muse scolpite da Filisco di Rodi, onde si ritiene influenzato il rilievo di Archelao.

Ad imitazione di questi gruppi celebri, o di altri simili, si dovettero eseguire in età romana imperiale interi gruppi statuarî, destinati ad abbellire prospetti architettonici di teatri, edifici pubblici in genere, e ville. Alcuni di tali complessi statuarî si sono conservati più o meno frammentariamente. Ricordiamo pertanto il gruppo statuario delle Muse nel Museo Vaticano di scultura (Sala delle Muse), con otto Muse e la statua concomitante di Apollo Musagete, oltre a un gruppo statuario, pure di otto Muse, senza la figura di Apollo.

Un terzo gruppo, pure di otto figure, è quello di Madrid; un quarto, meno ben definito, si trova nel Museo Nazionale di Napoli, proveniente dal teatro di Ercolano. Una serie pittorica cospicua di figure delle Muse, iconograficamente assai interessante, è quella che, ricuperata a Ercolano, si conserva oggi nel Louvre: tutte figure isolate, ispirate evidentemente da opere statuarie e collocate su mensole dipinte, portanti le denominazioni delle singole figure.

Nonostante l'abbondanza degli attributi, per tutta l'età classica greca, e per una parte almeno di quella ellenistica, non si riscontra alcuna tendenza né alcuno spiccato tentativo di definire in maniera costante il carattere delle singole Muse, in rapporto diretto con i particolari attributi specifici (strumenti musicali; volumi o dittici; maschere teatrali della tragedia e della commedia; globo). Anche in piena età ellenistica e romana la divisione delle mansioni per le singole Muse appare effettuata qua e là da retori e da poeti, piuttosto arbitrariamente, senza una norma riconosciuta.

Si può affermare, quindi, che le Muse non acquistino una definita personalità e definite attribuzioni prima dei tardi tempi romani.

Quasi un precorrimento di questa tendenza moderna rappresenta la serie citata delle Muse dipinte ercolanesi, con le denominazioni espresse in calce al basamento. Dove troviamo: 1. Clio, seduta, con rotolo aperto nella mano; 2. Calliope, con rotolo nella mano sinistra; 3. Polinnia, priva di attributi di sorta, e perciò facilmente riconoscibile; 4. Euterpe, con le tibie; 5. Tersicore, con la lira; 6. Erato, con rotolo; 7. Talia, con maschera comica in mano; 8. Melpomene, con maschera tragica; 9. Urania, seduta, con globo. Testimonianze sicure permettono d'integrare nella serie la figura di Euterpe, andata perduta.

Nell'arte romana le Muse, le quali fanno parte anche del repertorio pittorico decorativo delle case di Pompei, appaiono rappresentate, senza una regola apparente, talora in piedi, talora sedute, in atteggiamenti varî. Anche l'atteggiamento statuario, non meno degli attributi, sembra però rimanere in pieno arbitrio dell'artista. Le Muse non mancano neppure in sarcofagi cristiani.

Bibl.: H. Deiters, Die Verehrung der Musen bei den Griechen, Bonn 1868; P. Decharme, Les Muses, Parigi 1869; J. H. Krause, Musen, Grazien, Horen und Nymphen, Halle 1871; L. Preller e C. Robert, Griechische Mythologie, I, Berlino 1887, p. 484 segg.; O. Bie, in Roscher, Lexicon der griech. und röm. Mythologie, II, col. 3238 segg.; O. Gruppe, Griech. Mythologie und Religionsgeschichte, Monaco 1906, p. 1075 segg.; M. Mayer, in Pauly-Wissowa, Real-Enc., XVI, col. 680 segg.

Per l'iconografia: O. Bie, Die Musen in der antiken Kunst, Berlino 1887; P. G. Huebner, Le groupe des Muses de la villa d'Hadrien, in Rev. Archéol., 1908, II, pp. 359-63, tav. XVII; W. Klein, Über die Wiederherstellung der Berliner Polymnia u. das Relief des Archelaos von Priene, in Österr. Jahreshefte, XVI (1913), p. 183 segg.; H. Kuzel, Die Frankfurter Musen, Heidelberg 1917, diss.; G. Lippold, Musengruppen, in Römische Mitteilungen, XXXIII (1918), pp. 64-102; M. Schede, Zu Philiskos, Archelaos und den Musen, in Röm. Mitt., XXV (1920), pp. 65-82, tav. I.