FIAMMINGA, MUSICA

Enciclopedia Italiana (1932)

FIAMMINGA, MUSICA

Gaetano CESARI

. Fiamminghe, franco-fiamminghe o anche borgognone si dicono quelle scuole che dall'inizio del sec. XV a mezzo il XVI diffusero la loro arte dalle Fiandre e dai Paesi Bassi in tutta l'Europa. Esse raggiunsero nel loro tempo una incontrastata egemonia, in forza di quelle forme contrappuntistiche dotte e talvolta artificiose con le quali la polifonia vocale sacra e profana venne portata verso il più elevato stile a cappella e fu chiusa l'era delle musiche proporzionali e del mensuralismo medievale.

Sotto i duchi di Borgogna Filippo il Buono (1419-1467) e Carlo il Temerario (1467-1477) la musica fiamminga ebbe la sua prima fioritura, parallelamente alle prime manifestazioni pittoriche di Hubert e Jan van Eyck. Questo movimento musicale, diffusosi rapidamente, trovò da principio nella ricchezza delle Fiandre le condizioni più favorevoli per nascere e prosperare. Nelle cattedrali delle grandi città furono istituiti corpi di cantori professionisti, spesso anche eccellenti compositori, il cui numero variava da 12 a 24. Questi cori, chiamati cappelle, ebbero vita fiorente anche nelle corti e furono i divulgatori della musica fiamminga. Anversa, dopo aver soppiantato Bruges quale centro commereiale, istituì una sua cappella nella cattedrale di Notre-Dame, dove passò G. Okeghem, e dove per quarant'anni Barbireau ebbe funzioni di direttore e Jean Regis tenne scuola come magister puerorum. Cappelle insigni ebbero anche le chiese di Gand, di Mons, di Courtrai e di Bruxelles; ma la più celebre fu quella di Cambrai. Nella cattedrale di questa città fu possibile riunire un coro di 53 vicarî e un capitolo di 45 canonici. Già alla fine del Trecento Cambrai possedeva del resto una fama che l'aveva posta al disopra di Parigi, Beauvais, Lilla, Arras, Tournai, Douai.

La penetrazione dell'elemento musicale fiammingo in Roma era stata preceduta fino dal 1377 dai cantori francesi scesi in Italia al seguito del papa reduce dalla cattività di Avignone, e dall'assorbimento del costume francese. Nel primo '400 giungono a Roma, da Cambrai, i primi ospiti fiamminghi: Nicola Grenon, venuto nel 1425 a rafforzare il coro papale coi giovani della scuola già da lui diretta in Cambrai; poi Guglielmo Dufay (1428). Insieme col Dufay vengono alla cappella, prossima a essere riorganizzata da Eugenio IV: Flannel, Redois, Poignare, de Curte, Ragot, de Malbecq. Poi lo stesso Dufay che accompagna papa Eugenio a Firenze e nella circostanza della consacrazione di S. Maria del Fiore fa udire il 24 marzo 1436, il celebre mottetto Nuper rosarum flores. L'influenza del Dufay diede rapidamente in Italia buona messe. Nella seconda metà del'400 le più ricche cattedrali e corti italiane organizzano cappelle a imitazione di quella romana, e i Fiamminghi vi giungono numerosi. Troviamo a Mantova, presso Isabella d'Este, l'Okeghem; a Napoli, presso la corte aragonese, G. Tinctoris, Hykaert, Guarnier; in Ferrara, presso Lionello d'Este, molti cantori tra i quali Japart e Josquin des Prés; soggiornano a Firenze, tra gli altri, Josquin, Obrecht, Isaak, ecc.; a Milano, presso Galeazzo Maria Sforza, buon numero di musici organizzati da Gaspard van Werbecke, e vi passano Josquin, Loyset, Cordier, Iacotin, ecc.; a Roma, grande estimatore dei fiamminghi fu Leone X.

I nomi dei Fiamminghi di questo periodo tornano nella poesia maccaronica di Teofilo Folengo, nei Ragionamenti accademici del Bartoli, nelle prime stampe a essi dedicate da Ottaviano Petrucci.

In Francia, Germania e Spagna, i Fiamminghi trovarono anche facile penetrazione, favoriti da diverse circostanze. Le condizioni poco prosperose in cui la Francia versò sotto Carlo VII (1422-1461) tornarono ad essi vantaggiose, giacché non vi s'incontrò opposizione di forze artistiche locali. In Austria, i Fiamminghi estesero il loro dominio alquanto più tardi: quando, passata la Borgogna a Massimiliano d'Austria, ad essi furono aperte le porte di Vienna e d' Innsbruck. In questa città, Massimiliano fondò una cappella musicale a imitazione della corte di Borgogna e contese a Firenze la collaborazione di Enrico Isaak, che in Innsbruck risiedette nel 1484, poi in Vienna nel 1497 quale compositore di corte. Dietro la traccia luminosa lasciata da questa cappella, Paul Hofheymer, Ludwig Senfl, Arnold von Bzuck s'incamminarono, non senza conservare qualche caratteristica propria della loro nazionalità tedesca. In Spagna la penetrazione dei Fiamminghi fu resa facile dall'elevazione di Filippo il Bello di Borgogna al trono spagnolo. Alessandro Agricola, che se non fu fiammingo di nascita ricevette dai maestri di Fiandra il gusto e la tecnica dell'arte, iniziò l'esodo dei Fiamminghi verso la Spagna. La cappella musicale di Valladolid ne attrasse parecchi fra i più famosi al tempo di Carlo V, e dai carteggi di Filippo II con Margherita di Parma risulta che, ancora nel 1564, Filippo riteneva indispensabile ricorrere a un direttore fiammingo per avere una buona cappella.

La parte avuta dalla musica fiamminga nel progresso dell'arte fu positiva nel senso che, mercé sua, il contrappunto vocale venne portato all'apogeo quale tecnica di far cantare in maniera melodica, vocale, indipendente, le parti sovrapposte, avviando l'arte alla conquista del puro stile a cappella. Inoltre, il principio dello sviluppo tematico segnò nella musica fiamminga un passo considerevole verso la tecnica di elaborazione; l'imitazione canonica vi divenne gradatamente mezzo di espressione, capace di forme libere non per anco note ai canonisti anteriori; un più chiaro senso armonico cominciò a penetrare nelle combinazioni delle parti sovrapposte, per cui appaiono riempite certe lacune prima esistenti nella costituzione degli accordi, risultano rammorbidite le più dure angolosità derivate dalle successioni di questi stessi accordi, divengono più chiaramente determinate le cadenze necessarie a distinguere la membratura della costruzione musicale. Forti della loro tecnica, i Fiamminghi ne fecero talvolta il fine dell'arte loro. Caddero così in sottigliezze di un'ingegnosità ingenua e talvolta puerile, in artifici che sembrano esercizî di calcolo usciti, in applicazione delle dottrine del mensuralismo, da menti matematiche, piuttosto che vera musica. Ma questi aspetti negativi di certa musica fiamminga non rappresentano che l'eccezione e le esagerazioni di un metodo di composizione portato agli estremi specialmente allorché venne applicato alle varie forme del canone. Tali cerebralismi, che furono inevitabile risultato di una scuola giunta alle ultime conseguenze delle sue stesse scoperte, perdono però l'importanza spesso attribuita loro quando siano posti in confronto con la nuova copia di musiche fiamminghe tratta alla luce dalle ricerche moderne. Più degli artifici canonici, nocque alla musica fiamminga l'assoluta costituzione contrappuntistica, che, mentre individuava melodicamente le parti, opprimeva il testo.

A scrivere la storia di queste scuole si è cominciato al tempo dei fiamminghi stessi: con Tinctoris, alla fine del sec. XV, e con Glareano, al quale si deve la prima divisione dello svolgimento fiammingo in periodi e il primo monumento musicale eretto in loro onore negli esempî del Dodecachordon, apparso nel 1547. Nel secolo scorso lo stesso tema venne ripreso con ardore di studî dal Kiesewetter, al quale risale la distinzione delle tre scuole fiamminghe: di G. Dufay (1400-1474), G. Okeghem (1430-1495), Josquin (1456-1521); distinzione accettata più tardi dall'Ambros e che continua a essere accettabile quando si faccia astrazione dai rapporti che le tre scuole avrebbero avuto fra loro.

Infatti, mentre secondo quei due musicografi dell'Ottocento a Dufay spetterebbe la paternità del movimento che fece pervenire la musica fiamminga al puro stile vocale a cappella, Riemann nel 1912 e Schering nel 1913, fondandosi sui più recenti studî compiuti sull'Ars nova italiana e francese del'300, hanno creduto di poter attribuire le opere del periodo di Dufay, composte avanti il 1450, alla sfera d'azione della stessa Ars nova, perché calcate sulle forme fondamentali di questa e perché imbevute di quegli elementi strumentali che differenziano le musiche proporzionali del'300 da quelle a cappella. Con Okeghem soltanto, secondo la nuova tesi, sarebbe avvenuta la separazione del contrappuntismo medievale - fondato sull'utilizzazione del canto gregoriano posto perifrasticamente nel cantus o parte soprana, avendo a base il sostegno degli strumenti - dal contrappuntismo vocalmente stilizzato, in cui del gregoriano, trasformato secondo i fini costruttivi dei compositori, restano soltanto le orme larvate. A sostegno di questa tesi, dimostratasi saldamente fondata, hanno concorso gli estratti recentemente pubblicati dei codici di Trento, ricchi di composizioni del tempo di Dufay, e le edizioni complete, o da completare, delle opere di G. Okeghem, di Josquin, di G. Obrecht. I fatti posti in luce da queste musiche hanno servito ad approfondire, se non a risolvere, la questione della varia utilizzazione del gregoriano; questione che ha le sue radici nell'antico déchant (v. discanto) e che ora è divenuta capitale perché sopra di essa posa l'interpretazione tecnica e stilistica delle musiche polifoniche del Medioevo in rapporto a quelle del Rinascimento.

Ammessi gl'influssi italiani e francesi sulle musiche fiamminghe del primo periodo, e portate in conto anche le più recenti comunicazioni che riguardano i repertorî delle musiche papali avignonesi, conservate nei manoscritti di Apt, non per questo diminuisce l'importanza che sulla nascita dello stile fiammingo avrebbero avuto il falso bordone e gli esempî dei compositori inglesi del primo Quattrocento. Ché uno dei più importanti fattori del passaggio dall'uno all'altro stile, appare sempre l'elemento armonico contenuto nel falso bordone, col quale le aride combinazioni del primitivo discanto si mutarono in altre più dolci e musicali mercé le consonanze di terza e sesta passate nel contrappunto fiammingo. Inoltre, fino a prova contraria, sarebbe da ascrivere all'inglese Dunstaple il merito di avere introdotto nelle cantiche dell'Ordinarium Missae la forma ciclica, servendosi in esse della stessa melodia affidata al tenore, giusta la tradizionale forma costruttiva dell'antico mottetto francese. Riguardo alla varietà degl'influssi provenienti sia dal sud sia dal nord, sulla musica fiamminga del primo periodo, la parola definitiva spetta ai monumenti rimasti in parte ancora da esplorare.

Fra le forme trattate da Dufay e dagli altri compositori fiamminghi del suo tempo - Binchois, Ciconia, Grenon, Le Grant, de Lantins, Velut, Liebert, Brasart, Roullat, Bourgeois - stanno in prima linea le cantiche stabili della Messa, che, fra i canti della liturgia romana polifonicamente trattati, vengono a prendere il posto già tenuto presso i polifonisti dell'Ars antiqua dai canti del Proprium Missae. Accanto alla Messa, prossima a divenire la più alta e vasta forma dominante, costituiscono un solo gruppo i Mottetti, gl'Inni, i Magnificat, le Antifone, le Prose; non sembrando che il Mottetto, al tempo di Dufay, si fosse ancora differenziato dalle altre forme citate. Caratteristica comune a questa musica, fatta eccezione per i pezzi più elevati di Dufay, è la composizione a tre parti adottata anche dalla Canzone di testo francese. Illuminata dalla fantasia dei Fiamminghi e illustrata dallo spirito melodico infusole da Gilles Binchois, la Canzone francese, erede di quella di Machaut, comincia già in questo tempo a sostituirsi al gregoriano nel proporre alle Messe i temi da affidare al tenore; come si può osservare nella messa intitolata Se la face ay pale composta da Dufay sul tema di questa canzone. Il sentimento monodico, derivato dagli influssi provenienti dal sud, conferisce alla parte soprana delle musiche di questo periodo una predominanza piacevole, dovuta allo slancio dell'idea melodica non ancora subordinata alle altre parti in contrappunto e al concorso dell'elemento strumentale come sostegno del vocale.

Il periodo di Okeghem segna la conquista dello stile a cappella e della polifonia a quattro voci. Nell'orbita del "patriarca della musica", compongono Regis, Dussart, Caron, Busnois, Compère, Cousu, de Domarts, J. Martini, Turant e, maggiore di tutti, Jacobus Obrecht. Lo stile nel quale Okeghem scrive lo porta a piegare il gregoriano ai fini della sua tecnica costruttiva: a sostituire cioè alle ornamentazioni perifrastiche aggiunte alla ancor distinguibile melopea gregoriana le trasfigurazioni più libere e impensate. Secondo Ficker, Okeghem sarebbe stato preceduto sopra questo cammino dai compositori inglesi contemporanei di Dunstaple. Ma Okeghem fece anche dell'altro. Osservato di quanto vantaggio riuscisse all'animazione del discorso musicale lasciar ripetere dalle parti entranti successivamente la frase iniziale proposta prima da sola, Okeghem introdusse nelle musiche fiamminghe di nuovo stile quel procedimento dell'imitazione col quale un ente melodico iniziale diventa l'animatore della polifonia, il germe di elaborazioni geniali. Spinto agli eccessi, questo principio, in sé esteticamente plausibile, condusse agli antinaturali sforzi tecnici dei canoni ex unica vox, cancrizzanti, a specchio, e alle risoluzioni da cercare in certi motti enigmatici che il compositore poneva in testa ai canoni: veri rompicapi per gli esecutori in cerca della chiave con la quale entrare in possesso del segreto del compositore. Naturalmente, i mezzi per giungere a cotali aberrazioni erano offerti dalla notazione mensurale che, verso il 1460, grazie a Dufay, a Okeghem e seguaci andava trasformandosi da quadrata nera in quadrata bianca (v. notazione). Ma il capolavoro di Okeghem, celebrato da Cretin, Wirdung, Ornitoparchus, è il mottetto Deo gratias a 36 voci: combinazione di quattro canoni consecutivi, nei quali il tema è ripreso da nove parti a una misura di distanza, e che un'ode del 1523, fatta conoscere da Dragan Plamenac, dice essere stata realmente eseguita in Tours, durante i 23 anni (1452-1574) in cui Okeghem vi fu maistre de chapelle e premier chapelain.

Le creazioni della scuola di Okeghem e della generazione alla quale appartengono i suoi allievi furono tanto compiutamente descritte dall'Ambros nel vol. III della storia della musica da render vana la speranza di nuove scoperte. Anche in Josquin, come presso i franco-fiamminghi fioriti al tempo suo - Pierre de la Rue, Brumel, Ghiselin, Mouton, Divitis, Ducis, Isaak (Huygens), - la messa è la più alta fonte dell'ispirazione musicale, mentre il mottetto, insieme con le altre forme della salmodia e della innodia sacra, non esclusa la canzone francese, costituiscono la produzione laterale. Già in alcune messe della maturità di Okeghem erano apparse disposizioni architettoniche della materia sonora che segnalavano l'avviamento preso dalla scuola josquiniana, nella quale rappresentavano forse un'eco venuta dall'Italia. Si trattava della frequente divisione della composizione in gruppi alternati di parti corali, rispondentisi fra loro; oppure dell'alternazione di periodi per due voci corali a periodi omofonici affidati all'intero coro. Ciò portò nel massiccio contrappuntismo fiammingo un respiro nuovo di varietà e di vita, che si ampliò nelle musiche josquiniane del tipo dei due Mottetti Tu solus e Tu pauperum refugium. Quivi, come nelle opere dei migliori Fiamminghi contemporanei di Josquin, è il genio che compie l'opera dei precursori e valorizza le risorse latenti nello stile "a cappella" al quale era pervenuta la scuola precedente.

Passato Josquin, i Fiamminghi che risiedono nelle Fiandre e si conservano sul terreno delle tradizioni delle loro scuole, come Gombert e Clemens non papa, preparano Orlando di Lasso. Gli altri, che svolgono la loro attività di qua dalle Alpi, come Willaert, non possono invece sottrarsi all'azione benefica del nostro Rinascimento, né alla visione dell'astro fiammeggiante di Palestrina che intanto va salendo maestoso sul cielo d'Italia.

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