MUTILATI e INVALIDI di guerra

Enciclopedia Italiana (1934)

MUTILATI e INVALIDI di guerra

Carlo Delcroix

In tutti i tempi le ferite di guerra furono considerate segni del massimo onore e come tali esaltate dal popolo e dai poeti. La storia particolarmente ricorda i capitani segnati dalle armi nemiche, da Orazio Coclite a Filippo il Macedone, da Enrico Dandolo a Nelson. Ma invano si cercherebbe nella valutazione di questi sacrifici, oltre l'esaltazione della virtù guerriera e la manifestazione della pubblica riconoscenza, un fondamento di diritto a riparazione da parte dello stato.

Vero è che l'intervento dello stato, in favore di coloro che combattendo al suo servizio perderono l'integrità della persona o la vita, risale a tempi remoti; ma il carattere di obbligo sociale di tale intervento si delinea chiaramente solo al principio del secolo scorso e bisogna giungere alla guerra mondiale per coglierne, attraverso le leggi e le provvidenze imposte dalla sua vastità e dalla sua durata, la precisa definizione.

Già in Aristotele si trova citata la proposta d'Ippodamo di provvedere a spese dello stato all'educazione degli orfani dei caduti in guerra; tale proposta, che risale al quinto secolo, adottata successivamente in Atene e in altre città della Grecia, fu anche estesa a favore degl'invalidi. Nelle leggi romane erano sanciti ab antiquo premî militari, e le leggi agrarie statuivano la concessione delle terre ai veterani in ricompensa dei servigi resi e a riparazione dei danni subiti. Nella Roma di Augusto le casse dello stato venivano direttamente in aiuto dei veterani e degl'invalidi. Dopo la caduta dell'Impero, con l'oscuramento dell'idea di stato, questa solidarietà viene meno, né vale a ristabilirla il sorgere del comune in cui i cittadini molto spesso non difendono che l'interesse proprio o quello della fazione. Col costituirsi poi delle milizie mercenarie la guerra diventa un mestiere, nel cui rischio rientra e nella cui mercede trova preventivo compenso ogni danno del "soldato". Se nell'alto Medioevo si trova traccia di assistenza agl'invalidi delle innumerevoli guerre, essa è da attribuirsi a motivi di pietà cristiana; alcuni infatti trovavano ricetto nei conventi come laici o nei castelli in qualità di paga morta, ma i più battevano le strade maestre mendicando.

Col sorgere degli stati unitarî, alla pietà privata si sostituisce la benevolenza del principe che impersona lo stato, il cui intervento ha quindi carattere di graziosa concessione. Luigi IX istituisce il primo ospizio dei ciechi; Enrico III fonda l'ordine della Charité Chrétienne per accogliervi i gentiluomini mutilati; Luigi XIII adibisce il castello di Bicêtre a ricovero degl'invalidi della guerra dei Trent'anni; Luigi XIV fa sorgere l'Hôtel royal des invalides. L'esempio della Francia è seguito da altri stati; l'Inghilterra a Chelsea, la Svezia a Upsala, la Russia a Gatčina e la Prussia a Stolp istituiscono dal sec. XVII in poi, ospedali e asili per gl'invalidi di guerra.

In Italia gl'invalidi e i veterani dell'esercito piemontese trovarono ricovero nella casa reale di Asti fondata nel 1635, che fu poi unita a quella di Napoli con la formazione del Corpo veterani e invalidi soppresso con r. decr. 30 dicembre 1923.

In tutte queste provvidenze predomina il concetto dell'accasermamento e del ricovero: gl'invalidi per essere assistiti sono in certo modo segregati dalla vita e separati dalla famiglia, ciò che è moralmente ingiusto e socialmente dannoso, come rilevò Voltaire affermando che il soldato liberato dal servizio può ancora lavorare e dare figli alla patria.

Per la prima volta l'Assemblea legislativa, durante la rivoluzione francese (31 luglio 1792), afferma solennemente il principio nel quale è stato posto durante e dopo la guerra mondiale il fondamento delle leggi che sanciscono il dovere dell'intervento dello stato verso i cittadini invalidi di guerra: in una guerra il cui fine è la conservazione della libertà, dell'indipendenza, della costituzione francese... che rende comuni a tutto il corpo sociale i danni causati a ciascuno dei suoi membri, l'assemblea decreta d'urgenza e pone il principio della responsabilità nazionale". Ma nel diritto positivo piuttosto che questo principio si attua il concetto della riconoscenza nazionale per il quale il dovere dello stato verso il cittadino che in pace o in guerra pone la propria attività al suo servizio sorge da un'unica base etica e giuridica. Tale concetto informa la legge sarda 27 luglio 1850 su progetto Lamarmora che, attraverso numerose successive modificazioni, condusse al t. u. 21 febbraio 1895, nel quale tuttavia l'evento di servizio di guerra è accomunato all'evento di servizio ordinario. La legge 22 gennaio 1865 attribuisce un assegno annuo a ognuno dei Mille di Marsala e la legge 7 luglio 1876 estende il godimento dei benefici accordati dalle leggi in vigore sulle pensioni ai cittadini che militando nelle guerre per l'indipendenza italiana furono mutilati e feriti in guisa da rimanere inabili. Ma persiste il principio della riconoscenza nazionale perché si conferiscono assegni vitalizî di ricompensa anche ai reduci non mutilati né invalidi. Tutta una serie di disposizioni che vengono poi raccolte nel t. u. 9 giugno 1898, successivamente integrato da leggi che giungono fino alla guerra mondiale, contiene varie provvidenze per i garibaldini e per i superstiti delle guerre dell'indipendenza.

È soltanto con la guerra libica che noi troviamo le pensioni di guerra istituite con caratteristiche particolari: infatti la legge 23 giugno 1912 differenziò la pensione di guerra da quella privilegiata di servizio. Le numerose disposizioni adottate sotto l'impulso della necessità durante la guerra mondiale ebbero definitivo assetto per opera del regime fascista con la legge 12 luglio 1923, che accolse le giuste aspirazioni a lungo insoddisfatte dei mutilati di guerra. Da questa legge fondamentale, integrata da alcune disposizioni successive, è possibile trarre il complesso dei principî giuridici che delineano e caratterizzano la figura dell'invalido di guerra. La guerra non si può oggi concepire se non come necessità di vita della nazione e deve essere quindi combattuta da tutto il popolo in assoluta identità d'interessi e di fini. In quest'azione diretta a difendere la vita dello stato e ad affermarne le ragioni di potenza e di missione, diversi sono i contributi e i sacrifici dei cittadini. Nessun diritto individuale può affermarsi incondizionato di fronte alle supreme esigenze della nazione, neppure quello alla vita e all'integrità personale; ma di contro ai diritti individuali che si affievoliscono o si estinguono, sorge il dovere dello stato che, per i principî di giustizia distributiva e riparatrice che gli sono proprî, interviene a compensare coloro che hanno dato e sofferto di più.

Nel quadro di tutti i necessarî sacrifici posizione preminente spetta a chi fu irrimediabilmente colpito nella persona adempiendo il proprio dovere di soldato. Così, secondo il diritto positivo, invalido di guerra è l'ufficiale o militare delle forze armate che, per causa o in occasione di servizio di guerra o per causa di servizio attinente alla guerra, abbia riportato ferita o lesione o contratto infermità dalle quali sia derivata perdita o menomazione della capacità di lavoro o che, pur essendo affetto da infermità preesistenti al servizio militare, abbia subito nelle suddette circostanze un aggravamento delle condizioni di salute tale da menomare o annullare la sua capacità lavorativa. Più particolarmente, per mutilato s'intende l'invalido che abbia subito per ferita o lesione la perdita anatomica o funzionale, totale o parziale, di un arto o di un organo.

Per il concetto della continuità storica fra la guerra e gli eventi che ne sono seguiti e giustamente considerando identico nel fine e nel merito ogni sacrificio compiuto per la salvezza e per il rinnovamento della nazione, sono stati parificati ai mutilati di guerra i militari anche volontarî del corpo di occupazione, che tenne la città di Fiume dal 12 settembre 1919 al 31 dicembre 1920, i volontarî che anche posteriormente parteciparono nel territorio e nella città di Fiume e in Dalmazia a conflitti armati fino al 31 marzo 1922 e i cittadini che dal 23 marzo 1919 al 31 dicembre 1925 - e se residenti all'estero senza limite di tempo - in occasione di tumulti, di disordini, di conflitti, di aggressioni, agendo immediatamente o mediatamente per fine nazionale, abbiano riportato un danno nel corpo o nella salute, con perdita o menomazione della capacità lavorativa.

Ma il sacrificio non si esaurisce nel danno patrimoniale rappresentato dall'annullata o diminuita capacità lavorativa e non a questo si limita la valutazione dello stato. Così la legge provvede in misura maggiore quando le lesioni o le infermità siano state riportate nella zona delle azioni di combattimento e la figura del combattente trova nella norma giusto rilievo e adeguato privilegio.

Poiché sarebbe stato impossibile allo stato sostenere l'onere occorrente per concedere a tutti gl'invalidi un assegno adeguato all'effettivo danno subito, una netta distinzione si è fatta fra coloro che hanno perduto ogni possibilità di provvedere a sé e agli altri e coloro ai quali rimane una maggiore o minore capacità di produrre. Agli uni sono corrisposte pensioni e assegni supplementari di assistenza e di cura tali da assicurare una giusta larghezza di vita; per gli altri l'assegno o l'indennità sono integrati da norme rivolte a garantire e facilitare l'impiego delle residue capacità di lavoro. Sotto questo aspetto è fondamentale la legge 21 agosto 1921 sul collocamento obbligatorio presso le pubbliche e le private imprese degl'invalidi, ai quali per ovvie ragioni morali e sociali è assicurato in tutti i casi un trattamento di mercede uguale a quello goduto dagl'impiegati e dagli operai validi.

Con la legge sul collocamento obbligatorio va ricordata una serie di provvedimenti che tendono a reintegrare il mutilato nella sua dignità e nella sua funzione di produttore; basterà accennare i più importanti, che riguardano la preferenza e le facilitazioni di carriera nelle amministrazioni pubbliche, la preferenza nei concorsi; la riassunzione in servizio degli ufficiali presso il Ministero della guerra e presso i ministeri civili; l'assegnazione di rivendite di privative e di ricevitorie postali; la concessione di mutui agrarî di assoluto favore allo scopo di secondare il sorgere della piccola proprietà fra gl'invalidi rurali. In questa materia si hanno statistiche approssimative per l'impossibilità di procedere a un accertamento simultaneo e completo; ma secondo dati attendibili ascendono a circa 50.000 i minorati assunti dalle pubbliche amministrazioni, a circa 8000 i titolari di rivendite di privative e di ricevitorie postali, a circa 5000 i beneficiarî dei mutui di favore.

Altri provvedimenti hanno carattere di attestato di riconoscenza nazionale, come: la contribuzione dello stato nella costruzione delle case popolari dei mutilati, sorte in tutta l'Italia per un complesso di spesa di 250 milioni di lire; l'esonero dei figli degl'invalidi dalle tasse scolastiche; la concessione di riduzioni ferroviarie e tramviarie fino alla gratuità per i casi più gravi; l'anticipato trattamento di quiescenza agl'invalidi costretti a lasciare il servizio nelle pubbliche amministrazioni a cagione dell'infermità di guerra; il computo degli anni di campagna agli effetti della pensione ordinaria; la valutazione delle ferite e delle decorazioni di guerra nei giudizî comparativi di merito per i dipendenti dello stato; il cumulo di favore fra la pensione di guerra e quella ordinaria di servizio; l'esclusione degli assegni di guerra dal computo del reddito agli effetti dell'imposta complementare.

Caratteristiche anche più spiccate di riconoscimento morale hanno altri provvedimenti, quali: l'istituzione del ruolo speciale degli ufficiali mutilati e invalidi; la nomina a sottotenente di complemento di tutti i militari invalidi in possesso dei necessarî requisiti escluso quello dell'idoneità fisica; il distintivo speciale istituito per legge che spetta anche a coloro che furono semplicemente deturpati dalle ferite senza conseguenza d'invalidità; il richiamo in servizio degli ufficiali ciechi di guerra; la concessione della croce di guerra a tutti i militari invalidi e di distinzioni cavalleresche agli ufficiali e sottufficiali delle prime categorie. Infine lo stato, oltre il danno da riparare e il merito da premiare, considera la virtù rivelata e affermata nel sacrificio; così ai mutilati, come a una distinta gerarchia di cittadini, è stata concessa la rappresentanza diretta nel parlamento e nell'assemblea delle corporazioni.

A fianco dell'opera dello stato si svolge un'intensa attività di assistenza e di protezione affidata a enti e associazioni saldamente organizzate in tutto il paese. Durante la guerra in quasi tutte le città, sotto il generoso impulso della solidarietà pubblica, erano sorti comitati e istituzioni varie, quando lo stato, con legge 25 marzo 1917, istituì l'Opera nazionale per l'assistenza e la protezione degl'invalidi di guerra. Tale opera coordinò e diresse le iniziative private che poi furono da lei progressivamente assorbite con la costituzione di rappresentanze e di uffici in tutte le provincie. In assiduo contatto con gl'interessati essa ha raggiunto il più alto grado di efficienza nello svolgimento dei precipui compiti a lei affidati, quali: il servizio sanitario, ortopedico e protetico; la preparazione e rieducazione professionale; il collocamento presso gli enti pubblici e privati.

Ma i mutilati hanno direttamente promosso e realizzato la maggior parte delle provvidenze dallo stato adottate in loro favore con la forza e il prestigio dell'associazione in cui si raccolsero fin dal tempo della guerra. L'Associazione nazionale mutilati e invalidi di guerra è per molti aspetti la prima organizzazione unitaria e totalitaria sorta in Italia. Il suo atto di costituzione è del 29 aprile 1917 ed ebbe luogo a Milano in quella piazza S. Sepolcro da cui doveva partire il primo proclama dei fasci italiani di combattimento.

Questa associazione, proponendosi di accogliere tutti i minorati di guerra di qualunque grado, condizione e provenienza, per conciliarne e difenderne gl'interessi, afferma e realizza il principio di unità e di solidarietà dal popolo ritrovato sul campo. A tale principio furono da lei informate le altre organizzazioni dei reduci, prima fra tutte quella dei combattenti che fu sua creazione diretta e di cui prese l'iniziativa al preciso e dichiarato scopo di riunire in un movimento unico tutte le forze espresse dalla guerra. Essa ha progressivamente assorbito i varî aggruppamenti sporadicamente sorti, impedendo che in Italia sorgessero o si affermassero associazioni a carattere regionale e a tendenza politica. Altrove, specie in Francia, ciò non è accaduto e questa mancanza di unità ha fin qui impedito alle generazioni della guerra di esercitare, come in Italia, un'azione efficace per quanto indiretta nella vita del paese.

L'Associazione dei mutilati conta oggi 214 sezioni e 879 sottosezioni all'interno, nonché 22 sezioni all'estero, in cui è virtualmente accolta la totalità dei minorati di guerra che hanno raggiunto la cifra di 470.000, oggi ridotti a soli 207.301 in seguito alla decadenza della maggior parte degli assegni e delle indennità nei casi meno gravi e all'alta percentuale di mortalità verificatasi nei casi più gravi.

Ma la sua forza non è tutta nel numero, come il suo contenuto e la sua azione non si limitano alla rappresentanza e alla tutela degl'interessi, per cui il Duce l'ha definita: "un'associazione potente per numero e, quel che più conta, ordinata moralmente perché fusa nello spirito della concordia; essa ha assolto egregiamente il suo Compito fondamentale, quello di serbare intatto e vivente l'amore di patria e l'orgoglio della vittoria".

Veramente essa più che per la volontà di rivendicare dei diritti era sorta per il bisogno di affermare una fede; solo in un secondo tempo s'impegnò nella difesa degl'interessi a lei affidati contro l'insensibilità e l'incomprensione dei governi succedutisi fino alla Marcia su Roma. Finché durò la guerra essa sentì che ogni interesse particolare doveva tacere davanti all'interesse supremo e nel suo primo congresso nazionale dell'agosto 1918 dichiarò solennemente da Roma che quella non era l'ora di chiedere ma di dare.

La prima assemblea del 29 aprile 1917 si era conclusa con l'invio di un messaggio al comandante supremo in cui si affermava l'indistruttibile solidarietà dei mutilati con i combattenti alla fronte, solidarietà che presto fu necessario scontare nei fatti.

Esempio unico nella storia di tutta la guerra, nell'ottobre del 1917 i mutilati furono i primi a scendere in piazza, ad accorrere sul campo. A Milano essi costituirono rapidamente una legione che partì subito per il Piave e moltissimi tornarono isolatamente ai reggimenti nascondendo le ferite; sempre a Milano sorse quel comitato d'azione che a più riprese percorse il paese predicando la necessità di resistere e la volontà di vincere. Altri comitati sorsero in varie città e la forza irresistibile dell'esempio trascinò il popolo. L'efficacia di questa azione fu sentita dallo stesso nemico che, dopo la battaglia di giugno sul Piave, la riconobbe come uno dei fattori della rinnovata potenza delle armi italiane. I mutilati, forse per quella lucidità che si acquista e si esercita nella sofferenza, videro subito che la vittoria sarebbe stata inutile senza il rinnovamento del paese; uno dei più singolari e precisi documenti della coscienza rivoluzionaria maturata nelle trincee è offerta dal manifesto che essi lanciarono agl'Italiani il 4 novembre 1918, la sera stessa dell'armistizio, e che fra l'altro diceva: "Rinnovarsi deve anche la vita politica della nazione. Per noi tutti i vecchi partiti sono morti. Lo stato quale lo concepivano i nostri padri è trapassato. Non è questione di riformare questo o quell'istituto: si tratta di mutare la sostanza. Come è mutato l'animo del cittadino deve mutarsi il costume politico. Lo stato non deve essere un enorme meccanismo burocratico senza anima ma una costruzione salita da una necessità delle coscienze per la valorizzazione dell'individuo e per il perfezionamento della società. I difensori e i costruttori della patria hanno acquistato col sangue e col patimento il diritto di essere i fattori della sua riorganizzazione secondo gli ideali della loro guerra...".

In questo spirito il secondo congresso nazionale (5 aprile '19, a Palermo) adottava una deliberazione che, rilevata l'impossibilità dell'associazione di diventare un partito e di svolgere una vera azione politica, concludeva: "Si fanno voti che all'infuori dell'Associazione abbia a costituirsi fra i mutilati e i combattenti, con la collaborazione di tutte le coscienze nuove o rinnovate, un organismo politico purificatore estraneo alle vecchie divisioni politiche.

L'associazione dei mutilati negli anni che seguirono fu impegnata in aspre lotte per difendere la propria unità contro ogni tentativo di disgregazione e per imporre il riconoscimento dei sacri diritti dei minorati di guerra. Nel '19 il fanatismo classista istituì quella lega proletaria che avrebbe dovuto contrapporre i soldati ai soldati e nello stesso tempo accomunare i combattenti ai disertori; nel giugno del 1920 il terzo congresso nazionale dei mutilati dovette respingere una proposta di adesione alla Confederazione generale del lavoro che, sotto la bugiarda promessa della solidarietà del proletariato, nascondeva il tentativo di confondere e disperdere i valori ideali della guerra.

L'associazione, che nelle sue premesse e nei suoi fini implicitamente affermava il superamento delle classi e dei partiti nell'unità del popolo e nella sovranità della nazione, serbò intatta la sua compagine senza deviare dai suoi principî. Nella sua azione fu sempre guidata da un senso di misura e di responsabilità verso lo stato; ma i governi che tolleravano ogni sopraffazione all'interno e ogni umiliazione all'estero resistevano alle sue oneste domande e fu necessario ricorrere alla violenza per impedire che il bisogno spezzasse l'orgoglio del sacrificio. Vaste agitazioni furono da lei promosse e si estesero in tutte le provincie dove furono occupati i pubblici uffici e le stesse sedi del governo; esse culminarono nel dicembre del 1920 con l'assalto a Montecitorio. Falangi di guardie regie non riuscirono a contenere gli assalitori i quali, più che dal bisogno, erano spinti dal rancore contro quel parlamento che era stato contrario all'intervento, estraneo alla guerra e indifferente alla vittoria. In quelle tumultuose giornate sembrò veramente che "suonasse il tamburo di esecuzione del parlamento", come ebbe a scrivere uno dei più autorevoli personaggi di Montecitorio.

L'associazione, con quelle agitazioni che a varie riprese si protrassero fino a tutto il 1921, realizzò le conquiste fondamentali che dovevano essere consolidate, accresciute e perfezionate dal fascismo. L'associazione, che aveva rifiutato ogni contatto con i vecchi partiti e con i passati governi, nel 28 ottobre del 1922 sentì avverati i destini della vittoria e si affiancò alle forze della rivoluzione: il 4 novembre del 1922 diede pubblica e solenne adesione al nuovo governo e da allora ha fedelmente e attivamente servito la causa della rivoluzione meritando di essere chiamata dal Duce "una delle forze fondamentali del regime".

Con legge 19 aprile 1923 furono a lei esclusivamente demandate la rappresentanza e la tutela dei mutilati di guerra presso il governo e presso tutti i competenti organi dello stato, in collaborazione con i quali ha realizzato nel campo dell'assistenza e ottenuto sul terreno politico e morale quel complesso di provvidenze e di riconoscimenti che fanno una condizione di giusto privilegio agli artefici della vittoria. Il 14 febbraio 1927 l'associazione e la confederazione nazionale dei sindacati fascisti stringevano un patto in virtù del quale i mutilati entravano in massa nell'organizzazione dei lavoratori e ottenevano diretti rappresentanti nei consigli nazionali e provinciali di tali organizzazioni; così essi aderivano allo spirito e si preparavano a partecipare alla vita dello stato corporativo che può essere considerato lo stato dei combattenti e dei produttori. Il Duce, nel decennale della vittoria, dava ai mutilati il premio più ambito chiamandoli a far parte della guardia armata della rivoluzione: la legione che nel decennale della Marcia su Roma sfilò sulla Via dell'Impero, offrì uno spettacolo unico di forza e di fierezza.

L'associazione ha la sua sede in Roma e in riva al Tevere, ispirata allo spirito religioso e guerriero di questa novissima aristocrazia, s'innalza la severa costruzione destinata a perpetuare la memoria e a tramandare l'esempio dei mutilati d'Italia.

Tutti gli stati interessati, compresi quelli vinti, hanno provveduto in modo più o meno largo alle necessità degl'invalidi, perfezionando e integrando le leggi esistenti. Solamente in Russia furono soppressi nel 1921 le pensioni, indennità e tutti i vantaggi che leggi precedenti avevano assicurato agl'invalidi. Però con decreto del 10 ottobre 1926 si tornò a concedere vantaggi ai militari dell'armata rossa; così anche nella Russia rivoluzionaria stato sentito questo dovere, sia pure con una separazione netta dal passato.

Il criterio fondamentale delle diverse legislazioni per stabilire il trattamento di pensione è quello della diminuzione di capacità lavorativa, che di solito è considerata come capacità generica. Solamente la legge tedesca prende in considerazione la diminuzione della capacità di guadagno in relazione alla professione e alla situazione di famiglia di ciascuno.

Negli Stati Uniti il militare mobilitato, oltre ad avere diritto, in caso d'invalidità, a un trattamento pensionario fissato con molta larghezza dalla legge, può contrarre un'assicurazione con lo stato contro i rischi di guerra, garantendosi un'indennità complementare mediante il pagamento di premî assai modesti. La legge inglese contempla, oltre a un sistema generale d'indennizzo basato sul criterio citato, un sistema che tiene conto della perdita effettiva di guadagno, offrendo l'alternative pension, che consiste nella differenza fra il guadagno medio realizzato e quello possibile prima e dopo l'invalidità.

Anche per il problema del collocamento quasi tutti gli stati hanno cercato di provvedere o con disposizioni di legge o, come in Inghilterra, con un piano nazionale da attuarsi con la problematica collaborazione spontanea dei datori di lavoro. È però da notare che quasi ovunque il concetto dell'obbligatorietà ha stentato ad affermarsi e difficilmente ha avuto piena applicazione.

Per provvedere all'assistenza in genere degl'invalidi esistono nei varî paesi uffici pubblici specializzati come negli Stati Uniti (United States Veterans' Bureau) o enti pubblici autonomi come l'Office national des mutilés et réformés de la guerre in Francia, incaricato del collegamento tra le amministrazioni pubbliche e le associazioni o istituzioni che si occupano dei pensionati di guerra. Tutte le legislazioni contengono norme destinate ad attestare in vario modo agl'invalidi la riconoscenza nazionale.

In una materia così vasta, complessa e instabile, non è possibile dare un quadro comparativo sufficientemente completo e aggiornato delle condizioni fatte nei varî stati ai minorati di guerra; ma prescindendo dalla copia dei mezzi, subordinata alla ricchezza delle nazioni, come gli stessi stranieri hanno riconosciuto unanimemente, l'Italia offre il più completo e sapiente insieme d'istituti e di provvidenze in questo campo.