CALINI, Muzio

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 16 (1973)

CALINI, Muzio

Vittor Ivo Comparato

Nacque nel 1525, primogenito di dieci fratelli, dalla famiglia bresciana titolare del feudo di Calino.

Il padre Luigi, giurista, era amico del diplomatico Ludovico Canossa, vescovo di Bayeux, di Galeazzo Florimonte, vescovo di Sessa, e di Marco Antonio Flaminio. Il C. ricevette perciò una educazione umanistica particolarmente accurata, posta sotto il controllo di Aldo Manuzio e di Marco Antonio Flaminio: di quest'ultimo resta una lettera del 1545 indirizzata al padre, nella quale consiglia di far cambiare maestro al C. e ribadisce l'importanza dell'imitazione ciceroniana come strada verso il raggiungimento di una perfetta educazione letteraria ed intellettuale. Si possiede inoltre una lettera di Paolo Manuzio al C. del 1545 e un'altra a Francesco Luisino del 1547, nelle quali sono chiare l'ammirazione e la speranza riposte nel giovane Calini. La sua giovinezza trascorse perciò tutta sotto l'influenza del rafimato, ambiente bresciano, padovano e, in generale, veneto, in cui si formava la nuova élite di terraferma.

Amico di Alvise Cornaro, il nobile veneziano nipote della regina di Cipro e del vescovo di Brescia, lo seguì a Cipro nel 1545 in qualità di segretario e vi rimase per tre anni. A Cipro egli ottenne due benefici, per i quali fu in seguito in lite col governo veneziano. Lasciò l'isola assieme al Cornaro e si trasferì a Malta, dove nel 1549 entrò a far parte dell'Ordine dei cavalieri. Chiamato il Cornaro a Roma per divenire, entro breve tempo, cardinale (1551), il C. lasciò Malta in compagnia di un cavaliere della famiglia Carafa e approdò a Napoli, dove fu ammesso alla corte del cardinale Carafa, al seguito del quale si recò poi a Roma, ormai avviato per la carriera ecclesiastica. A Roma ritrovava non solo il suo protettore Cornaro, ma lo stesso Paolo Manuzio ed una nutrita colonia bresciana di alti prelati umanisti, tra cui l'abate Martinengo, il Gambara, ecc. Iniziava così per il C., tra il Cornaro, il Carafa e i vari "partiti" che erano al centro degli intrighi della Curia romana, la fase solita di abile navigazione che avrebbe dovuto consentirgli il conseguimento delle cariche e dei benefici dispensati ai clienti dei più elevati personaggi del tempo. Si ha tuttavia l'impressione, nonostante i maneggi a largo raggio che risultano dalle sue lettere, che egli rimanesse soprattutto l'uomo del Cornaro, in quel periodo vicino al partito dei Carafa. Fino all'ascesa al soglio del cardinale Gian Pietro non gli riuscì, infatti, di ottenere granché: nel 1553 gli fu rifiutata la sede vescovile di Adria e più tardi l'arcivescovato di Cipro. Solo nel 1554 ottenne il vicariato generale dell'arcivescovato di Zara, che apparteneva al Cornaro; primo passo verzo la successione nel titolo che ebbe solo il 17 luglio 1555 per rinunzia del suo protettore, accettata dal nuovo pontefice Paolo IV.

Il C. raggiunse la sede nel febbraio del 1556 e vi iniziò una politica che non era certo molto conciliante con le abitudini diocesane: appena giunto si preoccupò di fondare un collegio, alla cui direzione chiamò il gesuita Nicolò Bobadilla, e contemporaneamente iniziò la battaglia contro l'impiego della lingua croata e della liturgia glagolitica, che gli riuscì di escludere, perlomeno dalle chiese della città. Così risulta da una Informazione di monsignor di Zara per monsignor illustrissimo Alessandrino, pubblicata dal Mansi tra la Miscellanea del Baluze (IV, pp. 366 s.).

In Dalmazia strinse amicizia con Lodovico Beccadelli, altro prelato umanista, "esiliato" nella diocesi di Ragusa in quanto aveva fatto parte della cerchia del cardinal Pole. Nel C., tuttavia, non si riscontra nessun elemento che possa far pensare a simpatia per le posizioni religiose di quel gruppo.

Nel 1560 fu infatti invitato a Roma, per la fase preparatoria della nuova apertura del concilio, come persona di fiducia della Curia e particolarmente del cardinale Cornaro, il quale, come altri influenti membri del Sacro Collegio, contava di non muoversi da Roma, ma aveva bisogno di qualcuno che lo tenesse continuamente informato di ciò che sarebbe avvenuto a Trento. Il C. arrivò a Trento il 25 sett. 1561 e informò ininterrottamente il Cornaro con una corrispondenza fittissima sino al dicembre del 1561 quando il concilio fu chiuso e il C. tornò a Roma. Indubbiamente, nella non lunga vita del C. il periodo tridentino fu quello di maggiore importanza, sia per i compiti che in quella sede gli vennero affidati, sia per la documentazione che ne lasciò nelle 233 lettere inviate al suo protettore.

Questa corrispondenza, rimasta nelle mani del segretario del Cornaro, Rinalducci, servì già al Pallavicino per la sua storia del concilio; venne pubblicata poi dal Mansi nella citata Miscellanea, e ora, ripubblicata, in edizione purtroppo poco commentata dal Marani, attende di essere utilizzata pienamente dagli studiosi con il resto della documentazione conciliare. L'attività del C. in seno al concilio va considerata di notevole rilievo, non tanto per le orazioni ufficiali di cui fu incaricato (ai legati veneziani e al cardinale di Lorena, rappresentante del re di Francia), quanto per le commissioni di cui fece parte e per le posizioni assunte sul problema della concessione del calice e della residenza. Indubbiamente, lo spirito con cui si accostava al concilio risentiva della permanenza romana e della profonda diffidenza che ivi si nutriva per i Francesi e la loro politica nei confronti degli ugonotti. Una delle prime lettere del C. (10 dic. 1561) è durissima contro i Francesi e avanza l'idea che l'unico mezzo per risolvere il problema sarebbe stato quello di ricorrere alle armi congiunte spagnole, italiane e inglesi. Nessuna meraviglia che il C, prendesse posizione fermissima contro la con cessione dell'eucarestia sotto le due specie (intervento 28 ag. 1562) e via via perché il concilio fosse considerato una continuazione del precedente e non una nuova indizione, ecc. Chiamato a far parte della commissione per il decreto sull'Indice dei libri proibiti (13 febbr. 1562), nell'ottobre venne inserito in quella, segreta, che doveva occuparsi della stesura del catechismo, messale e breviario. Intanto prendeva posizione a favore della residenza dei vescovi, affinché cioè venisse dal concilio dichiarata de iure divino, e fu questa l'occasione in cui, al di là delle preoccupazioni di politica ecclesiastica, la sua azione in concilio apparve guidata da un motivo spirituale profondamente sentito, anche se in questo caso avevano preso analoga posizione i vescovi spagnoli, il cardinale di Mantova e una parte dei legati, che egli aveva sempre seguito su ogni posizione. Gli vennero, però, per questa ragione, pressioni dal Cornaro e dalla Curia, come agli altri vescovi, e dovette registrare con amarezza i metodi subdoli che venivano impiegati per convincerli o per allontanarli.

Impegnato, in seguito, nel sostenere la tesi favorevole ai vescovi nei confronti degli arcivescovi, nel marzo-aprile del 1563 si ammalò. Nell'ultima fase del concilio egli fu sicuramente assorbito, nella commissione dei teologi incaricati del catechismo, messale e breviario, dalla mole di lavoro che questo compito richiedeva: la commissione non riuscì, infatti, a terminare il proprio lavoro. Il C. e gli altri dovettero continuarlo a Roma durante tutto l'anno successivo.

Fu solo agli inizi del 1565 che il C. riuscì a tornare a Zara, dove si dette subito alFapplicazione dei decreti del concilio, iniziò la fondazione del seminario e si scontrò duramente nei suoi propositi di riforma con il clero locale (lettera al Beccadelli del 22 apr. 1566). Senza dubbio egli considerava la propria diocesi una terra d'esilio e mirava a tornare in Italia, ma, fallito già nel '59 il tentativo di farsi assegnare la sede di Brescia, solo nel 1566, il 12 luglio, ebbe, sempre per intercessione del Cornaro, il vescovato di Terni. Prima di partire, nel settembre, celebrò a Zara il sinodo diocesano.

Passato a Roma e quindi a Temi alla fine di novembre del 1566, si occupò, con lo stesso zelo, della riforma della comunità ecclesiastica temana, celebrando anche a Terni un sinodo, di cui restano le Constitutiones synodales, pubblicate a Roma nel 1568. Sugli anni trascorsi a Temi ci restano come documento la lettera gratulatoria del Manuzio (in Epistolarum lib. XII, n. 21, Venetiis 1580, pp. 387 ss.) e un fascio di lettere del C. a L. Beccadelli, pubblicate recentemente dal Marani. Cagionevole di salute fin dal periodo tridentino, si ammalò di nuovo a Terni e vi morì il 22 aprile 1570.

Del C. resta, come si è detto, il grosso nucleo di corrispondenza pubblicato prima dal Mansi in S. Baluze, Miscellanea, IV, Lucae 1764, pp. 192-350, e poi da A. Marani, sulla base del codice vaticano: M. Calini, Lettere conciliari (1561-1563), Brescia 1963. Nello stesso tomo del Mansi si trova del materiale relativo al concilio che proviene sicuramente da un fondo appartenuto al C. (pp. 350-376). Le vicende relative ai vari codici dell'epistolario caliniano sono ricostruite dall'Ehses nel t. IX della Collectio goerresiana, p. XIX.Cenni anche in L. Fé d'Ostiani e in Pasero. Un altro gruppo di lettere, quelle al Beccadelli, sono state anch'esse pubblicate dal Marani nei Commentari dell'Ateneo di Brescia.Altre lettere furono pubblicate in appendice da C. Pasero, L'estremo supplizio del Carafa…Sitratta di un estratto di un fondo di varia corrispondenza del C. contenuto nel cod. B. V. 30 della Biblioteca Queriniana di Brescia, già appartenuto a L. Fé d'Ostiani, che se ne valse per la sua biografia del Calini. Le orazioni pronunciate a Trento si trovano anch'esse pubblicate: quella al cardinal di Lorena (23 nov. 1562) è edita in un opuscolo s.n.t. segnalato dal Vaglia come esistente presso la Biblioteca dei teatini di Brescia e quindi ancora in D. Farri, Orationes, responsa, literae ac mandata ex actis Concilii Tridentini collecta, Venetiis 1567. L'intervento dell'11 dic. 1562 sulla residenza è riassunto nei Fragmenta del Psalmeo (Concilii Tridentini Diariorum pars secunda, a cura di S. Merkle, Friburgi 1963, p. 783); quelli del 28 agosto sulla concessione del calice e il discorso ai legati veneti sono in Concilii Trid. Actorum pars quinta, a cura di S. Ehses, Friburgi 1964, pp. 483 ss., 798 ss. Quattro orazioni e una lettera furono pubblicate dal Lagomarsini in Pogiani Epistolae et orationes, Romae 1762-1768, IV; la corr. col Beccadelli ed altro materiale sono in Monumenti di varia letteratura, a cura di G. B. Morandi, III, Bologna 1804, pp. 69-155. Vi sono poi delle lettere isolate per le quali si rinvia a C. Pasero (art. cit.) e un sonetto a B. Varchi, pubblicato tra i Sonettispirituali del medesimo (Firenze 1573).

Fonti e Bibl.: Lettere volgari di diversi nobilissimihuomini, I, Venezia 1546, pp. 121 ss.; P. Manuzio, Epistolarum libri XII, Venetiis 1580, p. 366; Epistolae clarorum virorum selectae, Coloniae Agrippinae 1586, pp. 273-78; L. Cozzando, Libreria bresciana nuovamente aperta, Brescia 1694, p. 282; S. Baluze, Miscellanea, a cura di G. Mansi, IV, Lucae 1761, pp. 193-350; I. Pogiani Epistolae et orationes, a cura di G. Lagoniarsini, Romae 1762-1768, IV; D. Farlati, Myrici sacri, V, Venetiis 1775, pp. 128 ss.; G. B. Morandi, Monumenti di varia letteratura tratti dai manoscritti di mons. Lodovico Beccadelli, III, Bologna 1804, pp. 69-155; Lettere inedite di Paolo Manuzio raccolte dal dottore Antonio Cemti, in Archivio veneto, XXIII (1882), pp. 328-33; P. Sarvi, Istoria del Concilio tridentino, a cura di G. Gambarin, Bari 1935, ad Ind.;S. Pallavicino, Storia del Concilio di Trento, a cura di M. Scotti, Torino 1962, ad Ind.; Concilii Tridentini Diariorum pars secunda, a cura di S. Merkle, II, Friburgi 1963, ad Ind.; Concilii Tridentini Diariorum pars tertia, a cura di S. Merkie, III, Friburgi 1964, ad Indicem; Concili Tridentini Actorum pars quinta, a cura di S. Elises, VIII, Friburgi 1964, ad Ind.; Concilii Tridentini Actorum pars sexta, a cura di S. Ehses, IX, Friburgi 1964, p. XIX e ad Ind.;A. Marani, I de' Medici nelle lettere del Beccadelli al C. (1563-1565), in Commentari dell'Ateneo di Brescia, CLXVI(1967), pp. 41-117; A. Marani, Lettore di M. C. a Ludovico Beccadelli, ibid., CLXVIII (1969), pp. 59-143; M. Calini, Lettere conciliari (1561-1563), a cura di A. Marani, Brescia 1963; V. Peroni, Biblioteca bresciana, I, Brescia 1816, p. 220; G. Tiraboschi, Storia della letter. italiana, VII, 2, Venezia 1824, pp. 461 s.;S. Gliubich, Diz. biografico degli uomini illustri della Dalmazia, Vienna-Zara 1856, p. 70; C. F. Bianchi, Zara cristiana, II, Zara 1877, pp. 60 s.; L. Fé d'Ostiani, M. C. arcivescovo di Zara, in Archivio veneto, XXI(1881), pp. 232-48; P. Paschini, Ilcatechismo romano del concilio di Trento. Sue origini e sua prima diffusione, Roma 1923, ad Indicem;L.von Pastor, Storia dei papi, VII, Roma 1928, ad Indicem;C. Pasero, L'estremo supplizio dei Carafa ed altre notizie romane in una raccolta di lettere di M. C., in Commentari dell'Ateneo di Brescia, CXXXVII (1938), sez. A, pp. 29-58; L. Castano, Mons. M. C. … al concilio di Trento, in Concilio di Trento. Riv. commem. del IV centenario, II(1943), pp. 123-138; U. Vaglia, La biografia di M. C. nel manoscritto di G. M. Mazzuchelli, in Commentari dell'Ateneo di Brescia, CLXII(1963), pp. 387-95; G. Gulik-C. Eubel, Hierarchia catholica, III, Monasterii 1923, pp. 213, 215; Dictionn. d'Hist. et de Géógr. Ecclés., XI, coll. 398 s.; Encicl. catt., III, col. 382.

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