MUZIO da Perugia

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 77 (2012)

MUZIO da Perugia

Antonio Montefusco

MUZIO da Perugia. Fraticello e poeta volgare di origine sconosciuta e di esistenza solo congetturale, visse a cavallo tra l’ultimo trentennio del XIV secolo e l’inizio del successivo; della sua produzione si conosce unicamente un fortunato serventese profetico-politico con l’incipit «Più volte nella mente so’ exforzato», databile, nella versione a noi nota, al 1400-01.

La poesia presenta una forma metrica tetrastica composta da una copula di tre endecasillabi monorimi chiusi, in cauda, da un quinario, e può dunque essere ricondotta alla struttura definita da Gidino da Sommacampagna «serventese caudato semplice» (Trattato 6), non unico (Messini, 1939, p. 124 n. 3) ma certamente raro caso nella tradizione profetica in volgare. Venne data alle stampe per la prima volta nel suo testo completo – dopo alcune parziali riproduzioni – nel 1884 da Alessandro D'Ancona, il quale, trovatosi a editarla sulla base di un manoscritto vaticano (Città del Vaticano, Biblioteca apostolica Vaticana, Vat. Lat. 4872), escludendo il pur notissimo autore proposto dal copista («Prophetia fratris Iacoponi») su ben solide motivazioni cronologiche, non propose, con giusta cautela, alcun nome alternativo per l’attribuzione. Meno cautamente Enrico Filippini, restituendo nel 1892 una versione più completa (di 62 strofe) del testo, si fidò più nettamente del codice base dal quale traeva l’edizione (Napoli, Biblioteca nazionale, V.H. 274), attribuendo la mano del poeta a un – fino ad allora – ignoto «frater Mucius de Perusio». Al termine di un lavoro decennale, lo stesso Filippini nel 1903 propose un’edizione critica del testo sulla base della collazione di un ampio testimoniale:  infatti i manoscritti rinvenuti furono 9, di cui 8 direttamente collazionati. Di lì a poco, nel 1923, Vittorio Cian (p. 504 n. 249), aggiunse un manoscritto (Oxford, Bodleian Library, Canon. 263). Attualmente si può completare il gruppo dei testimoni noti con Città del Vaticano, Biblioteca apostolica Vaticana, Vat. Lat. 4834, che trasmette, assieme al Conto di Corciano e Perugia, una miscellanea di larga divulgazione raccolta a inizio Quattrocento con testi spirituali legati alla tradizione profetica umbra (Tommasuccio da Foligno) e al moto dei Bianchi del 1399. Il gruppo di testimonianze si attesta, dunque, su 11 codici, a dimostrazione di una diffusa circolazione del serventese (tuttavia il codice segnalato e descritto in Novati, 1887, p. 181-185, probabilmente venduto all’asta negli USA nel 1886, non risulta più rintracciabile).

In questa non esigua tradizione, tuttavia, l’attribuzione del testo a un presunto Muzio da Perugia è tutt’altro che certa, nonostante la convinzione di Filippini (1903, pp. 439-441), alla quale è stato dato credito eccessivo da parte della letteratura critica successiva (a cominciare da Cian, 1923, pp. 261 s., fino a Sapegno, 1955, p. 570; giustamente cauto Rusconi, 1979, p. 156; assente in Nocita, 2008). Alla prova dello stemma, infatti, emerge l’assoluta perifericità dell’attribuzione, limitata al già citato testimone napoletano, probabilmente di origine osservante abruzzese, forse legato a Paolo da Teramo (Cenci, 1971, n. 146), a fronte di una situazione, usuale nel contesto delle miscellanee profetiche, per la quale i copisti appongono a questi testi nomi riferiti più ad auctoritates profetiche (Merlino, Gioacchino ecc.) che ad autori veri e propri (Rusconi, 1979, pp. 133-184). Detto ciò, va però sottolineato il fatto che, in questo caso, emerge con sicurezza l’attribuzione del pezzo a un «frater Stoppa ordinis minorum»; essa infatti compare esplicitamente in due manoscritti indipendenti tra loro e, implicitamente, in un ulteriore testimone, a cui va aggiunto l’autorevole attribuzione del testimone vaticano recentemente reperito, il Vat. Lat. 4834. Tenendo presente lo stemma codicum ricostruito, su basi che appaiono solide, da Filippini (1903, p. 432), è ben più che probabile che questa sia l’assegnazione da far risalire all’archetipo, e quindi da vagliare con maggiore attenzione.

Non solo l’identificazione ma anche lo stesso nome dell’autore risulta improbabile; né risulta certa la sua origine perugina, che non trova fondamenti inoppugnabili né nel contenuto della sua poesia né, tantomeno, su eventuali tratti linguistici.

La tradizione manoscritta risulta nettamente divisa in due aree di ricezione: una tosco-umbra (ma, all’attuale stato di conoscenze, è ben difficile specificare ulteriormente) e una settentrionale, forse veneta: due zone, dunque, di notevole penetrazione di testi di orientamento gioachimita in epoca tardomedievale (Reeves, 1969) e rinascimentale (Rusconi, 1999, pp. 161-223; Tognetti, 1970; Niccoli, 1979). Nella versione critica che si può restituire a partire dalle testimonianze, però, nessuna delle aree sembra emergere con nettezza e il testo risulta fortemente stratificato e infine toscanizzato; tuttavia emerge sparsamente una patinatura che sembrerebbe ricondurre all’Umbria sudorientale e comunque a una zona linguistica 'mediana' con metafonesi non dittongante (Foligno?). Non sono riscontrabili indiscutibili forme caratterizzate in posizione di rima e tuttavia indizi come «commecterô» nel senso di «commetteranno», «na» con significato «nella» sono estremamente significative, anche dal punto di visto metrico (e qui si associano volentieri ad altre forme meno marcate e tuttavia importanti come «bendoni») e rendono la localizzazione 'mediana' probabile.

Quanto al contenuto, il poemetto fornisce un quadro desolante dell’Italia dell’epoca, riferendo episodi inseribili nell’arco cronologico ritagliato in sede iniziale (1369-99), e si può datare senz’altro al momento immediatamente precedente alla disfatta della missione italiana di Roberto di Baviera (novembre 1401), che nel testo è segnalata come prossima («de la Magna vederai venire / uno homo forte», vv. 93-94, Filippini, 1903, p. 456). L’autore organizza la materia geograficamente, partendo da Perugia e passando in rassegna i signori italiani dell’epoca (in particolare l’Italia settentrionale), qualificandoli in base al loro posizionamento rispetto al controllo pontificio postalbornoziano e alla politica aggressiva di Gian Galeazzo Visconti, anch’egli tuttavia considerato ingannevole ed empio regista della sanguinaria e tirannica situazione di fine Trecento («o voi tirapni et homini advari, / che avete sparto il sangue per danari», vv. 62-63, Filippini, 1903, p. 453); particolare rilievo viene dato allo scontro tra Milano e Firenze, e significativamente proprio in quest’ambito emerge l’invocazione a un nuovo imperatore tedesco, al cui arrivo si svilupperà la conversione degli infedeli e «li sancti preti de novello stato» si dedicheranno alla predicazione, vivendo «senza proprio», tutti abbigliati con un «aspero panno», in uno «stato» in cui «omne spiritual serà gaudente».

Ci troviamo davanti a un’idea gioachimitica filoimperiale di palingenesi (Reeves, 1969, p. 337), nella quale però un gruppo di electi seguaci dell’usus pauper assume un ruolo protagonistico, al punto che non pare avventato invocare l’appartenenza dell’autore alle file del dissenso francescano tardotrecentesco (Piron, 2009). Il testo, infatti, pur risultando partecipe di una precisa tradizione dell’invettiva politica a cui Dante e Petrarca avevano dato grande slancio (Pasquini, 1981) e che aveva intaccato la scrittura profetica riducendola a una prospettiva «più marcatamente politica e quasi quotidiana» (Rusconi, 1999, p. 162), espone tuttavia un preciso programma pauperista. L’identità dell’autore andrà, dunque, ricercata nella tradizione di scritture profetiche e propagandistiche legate ai movimenti di contestazione umbra nel tardo Trecento.

La lingua e la tradizione manoscritta inducono a indagare nell'ambiente intorno a Tommasuccio da Foligno; si rileva soprattutto una forte vicinanza strutturale, stilistica e contenutistica con l’autore dell’ottava politica «Apri le labbra mie» (Carducci, 1862, pp. 264-267). La tradizione attribuisce l’opera, non a caso, a un frate Stoppa, il quale, tuttavia, non va confuso con l’autore della ballata «Se la fortuna e ‘l mondo» di cui parla Giovanni Sercambi (Bongi, 1892, p. 274), un frate agostiniano della famiglia dei Bostichi vissuto a Lucca nel primo quarto del Trecento (Ciociola, 1995, p. 341). Ludovico Iacobilli ci informa diffusamente riguardo a uno Stoppa, fornaio senese, presente anche nel martirologio francescano, convertitosi al seguito di Tommasuccio da Foligno nel 1372 e «fattosi illustre per il spirito di Profetia, che Dio l’infuse dopo la morte del suo B. Maestro Tommasuccio» (1647, p. 161), dunque autore di scritture profetiche tra il 1377 e il 1415 (anno della sua morte). L’ipotesi impone tuttavia un riesame dell’intero complesso di scritture attribuite all’eremita folignate e al gruppo di seguaci, tra i quali va ricordato anche il 'segretario' Bartolomeo Lardi, perugino, che trascriveva i testi per il profeta (Pazzelli, 1979), il cui nome (abbreviato in Meuccio) potrebbe essere all’origine dell’identificazione del copista del manoscritto abbruzzese.

Risulta da respingere definitivamente l’identificazione – adombrata in Filippini (1892, pp. 10-12), accettata da Cian (1923), ma già rifiutata dallo stesso Filippini (1903, p. 441) – dell’autore suddetto con Stramazzo da Perugia, il cui nome compare in qualche codice (Firenze, Biblioteca Riccardiana 1103; Città del Vaticano, Biblioteca apostolica Vaticana, Vat. Lat. 3213) con la variante Mucio o Muzio Stramazzo Peroscino.

L’unico sonetto attribuito con sicurezza ad Andrea Stramazzo da Perugia provocò il responsivo petrarchesco per le rime «Se l’onorata fronde che prescrive», accluso, al n. 24, nei Rerum vulgarium fragmenta, la cui confezione  deve essere ascritta entro il 1336 (Wilkins, 1951, p. 350). Il testo di Stramazzo «La santa fama, de la qual son prive» (edizione in Chiorbòli 1924, p. 52, da Città del Vaticano, Biblioteca apostolica Vaticana, Vat. Lat. 3213) è caratterizzato da patenti peruginismi all’interno di un ordito retorico di imitazione petrarchesca (Baldelli, 1971, pp. 386 s.) assolutamente incompatibile con lo stile e la lingua del serventese. Il nome del perugino, tuttavia,  che per noi è poco più di un «fantasma senza identità» (Santagata, 1996, pp. 124s.), autore di un corpus poetico di cui non conosciamo ancora con sicurezza l’entità (Barber, 1983), potrebbe aver innescato, per omonimia, un’interferenza memoriale 'localistica' con il ricordato 'segretario' di Tommasuccio.

Fonti e Bibl.: Bologna, Biblioteca universitaria 2845; Città del Vaticano, Biblioteca apostolica Vaticana, Vat. lat. 4872; ibid., Vat. lat. 4834; Firenze, Biblioteca nazionale, Magliabech., II, IV, 36; Napoli, Biblioteca nazionale Vittorio Emanuele III, V.H. 274; Oxford, Bodleian Library, Canon. 263; Paris, Bibliothèque Mazarine, 3898; Perugia, Biblioteca comunale, E. 40; Venezia, Biblioteca Marciana, cl. XI, 53 ; ibid., cl. XI, 124; L. Iacobilli, Vite de’ santi e beati dell’Umbria ..., I, Foligno 1647, pp. 159-161; Rime di M. Cino da Pistoia e d’altri del secolo XIV, ordinate da G. Carducci, Firenze 1862, pp. 264-267; Le croniche di Giovanni Sercambi lucchese..., a cura di S. Bongi, Roma 1892, p. 274; F. Petrarca, Rime sparse, a cura di G. Chiòrboli, Milano 1924, p. 52; Gidino da Sommacampagna, Trattato e arte deli rithmi volgari, ripr. fotografica del cod. CCCCXLVI della Biblioteca capitolare di Verona, a cura di G.P. Caprettini, Verona 1993, p. 145; F. Petrarca, Canzoniere, a cura di M. Santagata, Milano 1996, pp. 124 s.; G. Mazzatinti, Un profeta umbro del secolo XIV, in Propugnatore, XV (1882), pp. 2-4; A. D’Ancona, Iacopone da Todi (Studi sulla letteratura italiana dei primi secoli), Ancona 1884, pp. 95-101; M. Faloci Pulignani, Le profezie del beato Tommasuccio da Foligno, in Miscellanea francescana, I (1886), pp. 81 s.; F. Novati,  I codici Trivulzio-Trotti, in Giornale storico della letteratura italiana, IX (1887), pp. 137-185; Prophetia fratris Mucii de Perusio estratta da un codice napoletano del sec. XV ..., pubblicata da E. Filippini, Fabriano 1892; A. Medin, Caratteri e forme della poesia storico-politica italiana sino a tutto il sec. XVI, Padova 1897, p. 27; E. Filippini, Una profezia medievale in versi di origine probabilmente umbra, in Bullettino della R. Deputazione di storia patria per l’Umbria, IX (1903), pp. 421-468; F. Tocco, Studii francescani, Napoli 1909, p. 505; L. Oliger, Documenta inedita ad historiam Fraticellorum Spectantia, in Archivum franciscanum historicum, III (1910), pp. 253-279, 505-529, 680-699; IV (1911), pp. 3-23, 688-712; V (1912), pp. 74-84; V. Cian, La satira, Milano 1923, pp. 258-268, 504; D.L. Douie, The nature and effect of the heresy of the Fraticelli, Manchester 1932, passim; A. Messini, Profetismo e profezie ritmiche italiane d’ispirazione gioachimita francescana nei secoli XIII, XIV, XV, Roma 1939 (già in Miscellanea francescana, XXXVII [1937], pp. 39-54, e XXXIX [1939], pp. 109-130); E. Wilkins, The making of the Canzoniere and other Petrarchan studies, Roma 1951, p. 350; N. Sapegno, Poeti minori del Trecento, Milano-Napoli 1952, p. 428; Id., Il Trecento, in Storia della letteratura italiana Vallardi, Roma 1955, pp. 570, 598-637; M. Reeves, Joachimist influences on the idea of a last world Emperor, in Traditio, XVII (1961), pp. 323-370; Id., The influence of prophecy in the Later Middle Ages. A study in Joachimism, Oxford 1969, passim; G. Tognetti, Note sul profetismo nel Rinascimento e la letteratura relativa, in Bullettino dell’Istituto storico italiano per il Medioevo, LXXXII (1970), pp. 139-157; I. Baldelli, Medioevo volgare da Montecassino all’Umbria, Bari 1971, pp. 386 s.; C. Cenci, Manoscritti francescani della Biblioteca nazionale di Napoli, Grottaferrata 1971; F. Mancini, Il romanzo di Perugia e Corciano. Fabuloso parlare fra cortesia e umanesimo, in L’Umanesimo umbro, Perugia 1977, pp. 105-134; R. Rusconi, L’attesa della fine. Crisi della società, profezia ed Apocalisse in Italia al tempo del grande scisma d’Occidente (1378-1417), Roma 1979, pp. 133-184; O. Niccoli, Profezie in piazza. Note sul profetismo in Italia nel primo Cinquecento, in Quaderni storici, XIV (1979), pp. 500-539; Il b. Tommasuccio da Foligno ed i movimenti religiosi popolari umbri nel Trecento, a cura di R. Pazzelli, Roma 1979, passim; E. Pasquini, Il mito polemico di Avignone nei poeti italiani del Trecento, in Aspetti culturali della società italiana nel periodo del papapato avignonese, Todi 1981, pp. 257-309; J.A. Barber, Petrarch and Stramazzo da Perugia, in Yearbook of Italian Studies, V (1983), pp. 1-21; C. Ciociola, Poesia gnomica, d’arte, di corte, allegorica e didattica, in Storia della letteratura Italiana, Roma 1995, pp. 327-454; R. Rusconi, Profezia e profeti alla fine del Medioevo, Roma 1999, pp. 161-223; R. Lambertini, Spirituali e fraticelli: le molte anime della dissidenza francescana nelle Marche tra XIII e XIV secolo, in I francescani nelle Marche. Secoli XIII-XVI, a cura di L. Pellegrini - R. Paciocco, Cinisello Balsamo 2000, pp. 38-53; D. Burr, The spiritual Franciscans. From protest to persecution in the century after Saint Francis, University Park, 2001, passim; T. Nocita, Bibliografia della lirica italiana minore del Trecento, Roma 2008; S. Piron, Le mouvement clandestin des dissidents franciscains au milieu du xive siècle, in Oliviana (on line), 2009, n.3.