NAOFORO

Enciclopedia dell' Arte Antica (1995)

NAOFORO

R. Pirelli

Termine tecnico («portatore di tempio») utilizzato dagli egittologi per indicare un tipo di scultura, peculiare dell'arte egiziana, rappresentante un personaggio che tiene davanti a sé un tabernacolo contenente una figura o degli emblemi divini. Compare nel Nuovo Regno (1552-1069 a.C.) e ha precedenti tipologici nella statua di offerente sia regale che privata; gli ultimi esemplari sono databili tra il II e il I sec. a.C. Il n. non raffigura quasi mai un sovrano e, con una sola eccezione, non rappresenta personaggi femminili.

Dal punto di vista tipologico, la statua n. può essere a cubo, inginocchiata o in piedi. La statua a cubo che presenta anteriormente un naòs con figura divina fa la sua apparizione in epoca ramesside, durante la quale è abbastanza frequente, ed è poco attestata dopo il Nuovo Regno; all'epoca successiva appartengono solo un esemplare in granito risalente al regno di Osorkon II (874-851 a.C.) e uno databile tra la XXV (747-656 a.,C. circa) e la XXVI (672-525 a.C.) dinastia. Il n. inginocchiato è attestato lungo un arco cronologico più ampio, dalla XVIII dinastia (epoca di Ḥatshepsut, 1478-1359 a.C.) fino alla XXX (380-343 a.C.), ed è particolarmente frequente durante la XXVI dinastia. Il terzo tipo, quello in piedi, non compare prima della XX dinastia (1188-1069 a.C.) e resta in uso fino al periodo tolemaico. Il naòs è solitamente sostenuto da un pilastrino che poggia sul basamento accanto al piede avanzato del personaggio e va allargandosi fin sotto la base del naòs stesso; nella XXX dinastia compare inoltre una variante il cui tabernacolo è sprovvisto di supporto ed è sostenuto esclusivamente dalle mani del personaggio.

Il naòs può presentarsi sotto forma di semplice parallelepipedo con i lati lievemente inclinati o riprodurre la struttura di alcune delle cappelle più comuni: sono frequenti la cappella del Nord (pr nw), quella del Sud (pr wr) o ancora la sḥntr, essa può essere anepigrafa o recare testi incisi. La divinità o gli emblemi divini possono essere realizzati in bassorilievo sulla superficie non scavata del naòs, oppure in altorilievo al suo interno o ancora a tutto tondo al di sopra del tetto.

Il testo, che può ricoprire gran parte della superficie della statua, contiene generalmente i titoli, il nome del personaggio ed eventuali cenni biografici, mentre sul pilastro dorsale è spesso incisa una formula dedicata al «dio cittadino», cui si affida la protezione e il benessere del proprietario della statua.

Al n. va associata un'altra categoria di sculture, anch'essa documentata sin dall'inizio del Nuovo Regno da un'ampia tipologia, in cui il personaggio sostiene davanti a sé immagini o emblemi divini a tutto tondo, senza naòs. A essa appartengono due varianti: la prima è costituita da un gruppo di sculture, datate tra la XVIII e la XIX dinastia, rappresentanti un dignitario che sostiene la figura di un sovrano, anziché di una divinità: si tratta di una statua inginocchiata con l'immagine di Amenophis III, un'altra frammentaria, con la figura di Ramesse II e una in piedi dell'epoca di Merenptaḥ, preceduta da una coppia regale (probabilmente Amenophis I e sua madre). L'altra variante comprende tre statue, databili tra la XIX e la XXVI dinastia, in cui è il faraone ad «abbracciare» il dio: una statua di Merenptaḥ con l'immagine di Ptaḥ, una di Ramesse VI con il dio Ammone e una di Apries con Ptaḥ.

Queste statue, le n. vere e proprie e le «teofore», esprimono sia negli atteggiamenti dei personaggi raffigurati sia nei testi uno stretto legame tra il fedele e la divinità; la seconda categoria testimonia l'esistenza di un rapporto analogo tra il privato e il faraone o il faraone e il dio, ma con una significativa differenziazione cronologica: dopo la XIX dinastia il sovrano non viene più scelto come oggetto di culto personale o come intermediario privilegiato tra l'uomo e il dio, mentre dal medesimo periodo il faraone stesso esprime l'esigenza di farsi raffigurare come un fedele che si rivolge alla divinità. Tale cambiamento implica un contatto più diretto con la divinità e quindi l'acquisizione, da parte del privato, di quell'essenza divina che in passato era appannaggio esclusivo del faraone.

Bibl.: K. Bosse, Die menschliche Figur in der Rundplastik der ägyptischen Spätzeit von XXII. bis zur XXX. Dynastie, Glückstadt 1936; E. Otto, Zur Bedeutung der ägyptischen Tempelstatuen seit dem Neuen Reich, in Orientalia, XV, 1948, pp. 448-466; J. Vandier, Manuel d'Archéologie Egyptienne, III. Les grandes époques. La statuaire, Parigi 1958; B. von Bothmer, Egyptian Sculpture of the Late Period, New York 1961; C. Barocas, Les statues 'réalistes' et l'arrivée des Perses dans l'Egypte saïte, in Gururájamañjariká. Studi in Onore di Giuseppe Tuca, I, Napoli 1974, pp. 113-161; D. Wildung, in LÄ, IV, 1980-82, c. 341, s.v. Naophor, F. Junge, ibid., V, 1984, cc. 357-358, s.v. Die saitische Formel.