Narendra Modi: come cambia l’India

Atlante Geopolitico 2016 (2016)

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Antonio Armellini

Presentandosi come l’uomo nuovo chiamato a fare uscire l’India dalla stagnazione degli ultimi anni dei governi Manmohan Singh-Sonia Gandhi, Narendra Modi ha dato prova di un’abilità politica in cui spregiudicatezza tattica, capacità oratoria e attento utilizzo dei mezzi di comunicazione si sono saldati nel garantirgli un successo elettorale dalle proporzioni inattese. Ciò detto, sulla ‘novità’ di Modi e sulla sostenibilità del suo programma elettorale rimangono diversi interrogativi.

Modi proviene dal nazionalismo indiano più intransigente ed è stato uno dei principali esponenti del movimento Rashtryia Swayamsevak Sangh (Rss), un’organizzazione fondamentalista hindu ispirata al modello delle organizzazioni giovanili fasciste (il suo fondatore, Savarkar, era un ammiratore di Mussolini), che propugna l’hindutva (la supremazia dell’induismo nel paese), conta diverse centinaia di migliaia di aderenti e rappresenta il ‘lato oscuro’ del Bharatiya Janata Party (Bjp). Per quanto Modi abbia cercato di prendere le distanze dalle posizioni più estreme del movimento, non ha mai ostacolato l’inserimento di diversi suoi esponenti nelle strutture direttive del Bjp.

Pesa sulla sua immagine il ruolo svolto nel 2002 in occasione del massacro di musulmani avvenuto a Godhra, nel Gujarat di cui era Chief Minister, come ritorsione per la morte di molti pellegrini hindu in un incendio di cui erano stati ingiustamente accusati gruppi musulmani. Il coinvolgimento diretto di Modi non è stato mai provato, ma la sua responsabilità morale nell’impedire che la polizia ponesse un freno ai massacri è apparsa a molti incontestabile. Allontanare il sospetto di intolleranza nei confronti delle minoranze non induiste è una sfida cui il nuovo primo ministro si è dedicato con impegno, dando fondo alla sua indubbia capacità retorica: ha fatto breccia in molti, ma non ha del tutto cancellato i dubbi.

Nel decennio del suo governo, il Gujarat ha vissuto una accelerazione degli investimenti industriali molto superiore al resto del paese. Gli incentivi concessi alle industrie hanno sollevato l’accusa che alla crescita non sia corrisposto un innalzamento significativo delle condizioni di vita della popolazione, mentre i diritti dei lavoratori sarebbero stati conculcati. Le critiche non hanno scalfito l’immagine di un Chief Minister non solo in grado di promuovere lo sviluppo in un paese dove questo è spesso solo declaratorio, ma impegnato con successo a migliorare l’efficienza della sua amministrazione e a combattere la corruzione in ogni forma. Nella realtà indiana, dove la corruzione è endemica, l’immagine di leader assolutamente ‘pulito’ si è rivelata un formidabile cavallo di battaglia, che gli ha consentito fra l’altro di rintuzzare l’offensiva del nuovo partito Aam Admi (‘l’uomo comune’) che della lotta alla corruzione aveva fatto il perno della sua campagna elettorale. Modi non ha perso tempo nel dare nuovo impeto a una politica estera da tempo ingessata. Ha invitato a sorpresa tutti i leader dei paesi vicini alla cerimonia della sua inaugurazione, cominciando dal primo ministro pachistano Nawaz Sharif; è stato in visita a Tokyo; ha ricevuto a Delhi il presidente cinese Xi Jinping; ha rilanciato l’impegno all’interno dei Brics e nelle organizzazioni regionali da cui l’India si era tenuta in posizione defilata; ha compiuto una visita trionfale all’Assemblea Generale dell’Un coronata da un incontro cordiale con Obama. Resta da vedere quanto di questo movimento si tradurrà in passi concreti (soprattutto nei confronti del nemico di sempre, il Pakistan) ma il mood dell’approccio indiano al mondo appare cambiato.

La liberalizzazione dell’economia e l’apertura al mercato hanno rappresentato un punto di forza tanto agli occhi di quella borghesia urbana che aveva scommesso su di lui disertando il Congresso, quanto dell’industria e della finanza internazionali, che da tempo attendono la possibilità di un più diretto inserimento in questo mercato. Rompere il coacervo burocratico-finanziario che si oppone a una vera apertura dell’economia indiana non appare una missione semplice; nei suoi primi mesi di governo Modi lo ha già sperimentato, nonostante sia riuscito a mettere alla frusta un apparato statale abituato all’inerzia. Non minori sono le contrarietà di quei ceti mercantili e del piccolo commercio, che rappresentano la base tradizionale di consenso per il Bjp: la loro opposizione, in quanto diffusa, potrà essere ancora più insidiosa. Alle prime dichiarazioni baldanzose sono seguite piccole marce indietro, che hanno destato perplessità, lasciando intravedere come il cammino potrebbe rivelarsi assai più accidentato di quanto immaginato e promesso da Modi.

La luna di miele con il paese continua, ma il tempo delle scelte non potrà aspettare indefinitamente. Saprà dimostrarsi un leader capace di parlare all’intera nazione, o finirà per essere risucchiato nel cono oscuro dell’intolleranza induista? Si confermerà il continuatore delle riforme economiche da troppo tempo in stallo, o finirà per rassegnarsi a una politica di piccoli passi? Molto dipenderà dall’economia; senza progressi capaci di soddisfare le aspettative della popolazione, rispolverare l’arma dell’intolleranza potrebbe essere un modo facile (e pericoloso) per controllare la situazione. Modi appare un politico troppo abile e intellettualmente spregiudicato, per rinunciare all’opportunità di guidare nel prossimo decennio il paese verso traguardi importanti di crescita. Il primo giudizio è tutto sommato positivo; qualche contraddizione si intravede e, come dicono gli inglesi, the jury is still out.

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