Native Land

Enciclopedia del Cinema (2004)

Native Land

Peter von Bagh

(USA 1937-40, 1942, bianco e nero, 80m); regia: Leo Hurwitz, Paul Strand; produzione: Leo Hurwitz, Paul Strand per Frontier Film; sceneggiatura: Leo Hurwitz, Paul Strand, David Wolff [Ben Maddow]; fotografia: Paul Strand; montaggio: Leo Hurwitz, Lionel Berman, Bob Stebbins; musica: Marc Blitzstein.

Tra episodi ricostruiti e sequenze dal vero, e attraverso le parole recitate dall'attore Paul Robeson, il film si interroga sulla storia morale e politica degli Stati Uniti, la terra natale del titolo. Terra di libertà, secondo il motto e le aspirazioni dei Padri Pellegrini, dei quali l'episodio iniziale rievoca l'arrivo e il primo insediamento su territorio americano; terra dove due sindacalisti, un bianco e un nero, vengono braccati tra i boschi del New England dalla gangsteristica polizia privata al soldo dei latifondisti; dove i padroni infiltrano spie nei movimenti sindacali e fanno aggredire gli operai; dove, in uno stato del Sud, il Ku Klux Klan sequestra e tortura due deputati democratici; dove un contadino va incontro a morte violenta per aver preso parte a una riunione di lavoratori; dove una giovane vedova segue i funerali del marito, scioperante ucciso dalla polizia.

Leo Hurwitz aveva scritto nel 1934 sulla rivista "New Theater" l'articolo The Revolutionary Film. Next Step, in cui denunciava i notiziari radiofonici d'informazione come "faziosi, frammentari e incompleti". Ciò che invocava la cooperativa radicale Frontier Film, che Hurwitz aveva fondato nel 1936 insieme a Paul Strand e ad altri intellettuali (David Wolff, Eugene Hill, John Howard Lawson; al gruppo si sarebbero aggiunti, tra gli altri, Lillian Hellmann ed Elia Kazan), era "una presentazione più coordinata e compiuta delle condizioni e delle lotte della classe operaia". Native Land, uscito nel 1942, fu la risposta a quell'esigenza e, allo stesso tempo, il testamento artistico della Frontier: un film di montaggio in cui le forze della finzione cinematografica lavorano a rafforzare il potere del documentario e del repertorio di scene reali.

Ultima collaborazione tra Leo Hurwitz e Paul Strand, Native Land risultò una sintesi formale e ideologica nella quale la politica radicale e il radicalismo estetico raggiungevano un pieno equilibrio, un film socialmente rivoluzionario che allo stesso tempo collocava i suoi autori nel solco della migliore e più libera ricerca visiva. Strand, uno dei massimi fotografi del ventesimo secolo, ha dato al film il suo timbro autoriale, nato dall'osservazione deferente della cultura visiva e della geografia del New England; l'idea portante degli autori era quella di "restituire la visione del pionere". Potente è già l'impatto del prologo del film, una sfilata di immagini che fa dilagare sullo schermo la rappresentazione della crescente potenza industriale del paese accanto all'esaltazione della sua grandiosa bellezza naturale, la forza del lavoro dell'uomo e l'immagine dei presidenti americani (non sotto forma di busti di gesso, ma in carne e ossa e con tanto di ribaditi ideali).

Contro questa tradizione e contro l'immagine di un'americanità pura e idealizzata si disegna la critica amara del film. Gli ideali sono sempre essenziali ma sono ormai troppo spesso ridotti a cliché, e nessuna vittoria dell'idealismo americano è veramente certa: occorre battersi per ogni diritto, contro troppe forme di razzismo e contro troppi apparati e troppi abusi del capitalismo. Il pathos di una giustizia sociale storicamente, quotidianamente infranta incendia lo schermo attraverso l'intensità dei visi umani, e attraverso una padronanza raffinata dell'inquadratura e del sonoro. Vero 'film di frontiera' tra epos e documentario, Native Land riunisce mirabilmente, in un sigillo di autenticità, la maestria americana nel genere narrativo della short story e la forza probante del documentario. Come in tutti i film di Hurwitz, splendida e di centrale rilievo è la colonna sonora affidata alle parole del grande attore e cantante nero Paul Robeson, uomo di profonde convinzioni democratiche: il risultato è uno dei commenti over più efficaci e toccanti della storia del cinema, non inferiore al commento 'recitato' da Ernest Hemingway per Spanish Earth (1937) di Joris Ivens.

Native Land è davvero "un pugno stretto di emozione", nel senso voluto da Hurwitz; come limite, si può forse registrare che le scelte estetiche dei due autori privilegiano il dinamismo del montaggio e bloccano lo sviluppo di ritratti umani complessi. Ma il film resta la migliore sintesi del film sociale americano, un riassunto fervido così come nel 1932 Kuhle Wampe oder: wem gehört die Welt? di Slatan Theodor Dudow e Bertolt Brecht era stata una rappresentazione implacabile della situazione tedesca. Il film, realizzato tra il 1937 e il 1938, interrotto per prosciugamento dei fondi, concluso nel 1940 grazie una sovvenzione del governo Roosevelt, uscì solo nel 1942, e il ritardo nella presentazione pubblica risultò nefasto. La visione idealistica e critica di Hurwitz e Strand parve allora superata dalla Storia: il film rappresentava una lotta di classe ormai fuorilegge, nel momento in cui l'intervento degli Stati Uniti nella guerra esigeva al contrario l'esibizione dell'unanimità e dell'intesa sociale.

Interpreti e personaggi: Paul Robeson (voce narrante), Art Smith (Harry Carlyle), James Hanney (Mack, presidente del sindacato), Vaughn King (sua moglie), Fred Johnson (Fred Hill, contadino), Mary George (sua moglie), John Rennick (suo figlio), Amelia Romano (pulitrice di finestre), Houseley Stevenson (mezzadro), Howard Da Silva (Jim), Tom Pedi (Harry), Dolores Cornell (ragazza col pallone).

Bibliografia

L. Hurwitz, The revolutionary film. Next step, in "New Theater", March 1934.

T. Brom, Native Land, in "Cineaste", n. 1, 1973.

E. Callenbach, Native Land, in "Film quarterly", n. 5, Fall 1973.

M. Klein, 'Native Land', praised then forgotten, in "Velvet light trap", n. 14, Winter 1975.

R. Campbell, Radical documentary in the United States, 1930-1942, in Show Us Life, a cura di T. Waugh, Metuchen (NJ)-London 1984.

Ch. Wolfe, Modes of Discourse in Thirties Social Documentary: The Shifting 'I' of 'Native Land', in "Journal of film and video", n. 4, Fall 1984.

G. Hachard, Paul Strand: un Soviet made in Usa, in "Cahiers du cinéma", n. 529, novembre 1998.

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