Nave

Diritto on line (2012)

Marco Lopez de Gonzalo

Abstract

Preliminarmente, viene precisata la definizione di nave. La nave viene poi presa in considerazione nella sua consistenza materiale e nella sua qualità di bene mobile registrato. Vengono esaminati i riflessi della nazionalità della nave sul piano del diritto internazionale privato, del diritto internazionale pubblico e del diritto comunitario. Infine vengono descritte le procedure per l’iscrizione e la cancellazione della nave dai registri italiani.

1. La definizione di nave

L’art. 136 c. nav. definisce la nave come «qualsiasi costruzione destinata al trasporto per acqua, anche a scopo di rimorchio, di pesca, di diporto, o ad altro scopo». Come risulta dalla formulazione della norma, e come chiarito dalla Relazione al codice, il termine trasporto deve essere inteso in senso ampio ed atecnico, così da ricomprendervi qualsiasi spostamento sull’acqua che implichi il trasferimento di persone o cose e da divenire sostanzialmente sinonimo di navigazione.

Dalla definizione codicistica emerge un concetto di nave come oggetto («costruzione») caratterizzato, sul piano materiale, dalla galleggiabilità e dalla attitudine alla navigazione, e cioè dalla idoneità, per le sue caratteristiche tecniche, a galleggiare e spostarsi sull’acqua, e, sul piano funzionale, dalla destinazione alla navigazione. Costruzioni, quali le navi-museo, le navi-ristorante ecc., pur astrattamente idonee allo spostamento sull’acqua, ma in concreto e in modo permanente non destinate alla navigazione, non possano quindi essere considerate “navi” in base all’art. 136 c. nav.

Sono “navi”, seppure sottoposte sotto molti profili ad una disciplina speciale, anche le navi militari di cui all’art. 29 della Convenzione di Montego Bay del 1982 ed all’art. 11 c.p.mil.p.

Alle unità da diporto si applica la particolare distinzione tra “navi”, “imbarcazioni” e “natanti” dettata dall’art. 3, d.lgs. 18.07.2005, n. 171.

Il terzo comma dell’art. 136 c. nav. prevede che le norme dettate per le navi si applichino, in quanto non sia diversamente disposto, anche ai «galleggianti mobili adibiti a qualsiasi servizio attinente alla navigazione o al traffico in acque marittime o interne». La definizione di “trasporto”, e quindi di “nave”, fornita dal primo comma dell’art. 136 c. nav. è però talmente ampia da rendere problematica la distinzione della diversa nozione di galleggiante; non è agevole comprendere, infatti, in che modo la destinazione ad un servizio attinente alla navigazione o al traffico possa essere differenziata dagli “altri scopi” menzionati in chiusura della definizione di cui al primo comma dell’art. 136 c. nav.

Gli sforzi della dottrina (Gaeta, D., Nave (dir. nav.), in Enc., dir., XXVII, Milano, 1977, 606) e della giurisprudenza (Cass., 15.11.1994, n. 9589, in Foro it. 1994, I, 3387) di distinguere la categoria dei galleggianti da quella delle navi sulla base di una diversa destinazione non appaiono del tutto persuasivi. Quanto meno sul piano pratico, sembra quindi preferibile utilizzare quale criterio distintivo per individuare la categoria dei galleggianti, valorizzando a tale fine il disposto dell’art. 62 reg. nav. int., la mancanza di autopropulsione (in questo senso cfr. Righetti, G., Nave, in Dig. comm., X, Torino, 1994, 159).

Non possono invece essere considerati galleggianti mobili, ai sensi del terzo comma dell’art. 136 c. nav., quegli oggetti (fari, boe, pontili, ecc.) che non possiedono alcuna attitudine alla navigazione (ancorché con propulsione esterna).

L’evoluzione della tecnologia ha portato alla realizzazione di veicoli per i quali la classificazione come “nave” può presentarsi problematica.

Non sembrano esservi dubbi, in positivo, per gli aliscafi e, in negativo, per gli idrovolanti. Per gli hovercrafts la assimilazione alle navi è sancita nell’ordinamento italiano dall’art. 11, d.P.R. 14.11.1972, n. 1154. Più complessa è la situazione per quanto riguarda le piattaforme petrolifere ed i rigassificatori; le differenze tra le diverse tipologie di tali costruzioni rendono impossibile una soluzione valida in via generale ed impongono invece una valutazione caso per caso, in funzione di caratteristiche come la maggiore o minore mobilità, l’esistenza di mezzi di propulsione, le modalità di ancoraggio al fondo marino ecc. (cfr. più ampiamente Orrù, E., La configurazione giuridica delle piattaforme e degli impianti off-shore alla luce delle nuove esigenze in materia di sicurezza in mare, in Trattato breve di diritto marittimo, I, Milano, 2007, 336).

2. La costruzione della nave. Parti costitutive e pertinenze. Naufragio e perdita della nave

La costruzione di una nave o di un galleggiante può essere effettuata solo in cantieri o stabilimenti i cui direttori siano muniti della apposita abilitazione (art. 232 c. nav.). La costruzione si svolge sotto il controllo tecnico del Rina – Registro italiano navale (art. 235 c. nav.).

La nave inizia ad esistere come tale al momento del varo (Righetti, G., Nave, cit., 177) e cioè in quella fase della costruzione nella quale, sebbene non ancora completata (mancando ancora i lavori di allestimento), essa incomincia a galleggiare e quindi può dirsi che essa abbia acquistato l’attitudine alla navigazione. Una pronuncia arbitrale (lodo arb. 9.6.1998, in Dir. maritt., 2000, 967) ha affermato che deve considerarsi nave una costruzione che, dopo il varo, e prima ancora delle prove in mare e del collaudo, abbia raggiunto un grado di avanzamento tale da far ritenere raggiunta un’attitudine “virtuale e potenziale” alla navigazione.

Una volta completata la costruzione, la nave si configura come bene complesso, o res connexa (Gaeta, D., Nave, cit., 646, Righetti, G., Nave, cit., 173), formata da un insieme di parti costitutive, oltre a pertinenze ed accessori. Non sembra invece corretto (trattandosi di un singolo bene e non di un complesso di beni) qualificare la nave come azienda (Gaeta, D., Nave. cit., 644; Righetti, G., Nave, cit., 173).

La configurazione della nave come bene complesso o res connexa comporta che la sostituzione di singole parti di essa non alteri la identità della nave stessa.

Più problematico è determinare se le singole parti costitutive della nave possano formare oggetto di diritti separatamente dalla nave. A questo riguardo le parti costitutive si distinguono in separabili e non separabili, dovendosi intendere per separabili quelle parti che possano essere distaccate «senza notevole deterioramento» (art. 939 c. c.).

Le pertinenze si distinguono dalle parti costitutive per non essere essenziali alla struttura della nave, ma «destinate in modo durevole a servizio o ad ornamento della nave» (art. 246 c. nav.). Il vincolo che le unisce alla nave è dunque solo funzionale ed esse sono sempre, materialmente e giuridicamente, separabili. Con una elencazione da considerarsi meramente esemplificativa, l’art. 246 c. nav. indica come pertinenze della nave «le imbarcazioni, gli attrezzi e gli strumenti, gli arredi»; ulteriori indicazioni si possono trarre dal terzo comma dell’art. 164 c. nav., che menziona «apparecchi, attrezzi, arredi, strumenti ed installazioni di bordo ... mezzi di segnalazione, di salvataggio, di prevenzione e di estinzione degli incendi».

Gli atti ed i rapporti giuridici che hanno ad oggetto la nave comprendono normalmente anche le pertinenze; il principio, enunciato in via generale dall’art. 818 c.c., viene ribadito nel codice della navigazione con specifico riferimento al contratto di locazione (art. 379), all’assicurazione della nave (art. 515), ai privilegi speciali sulla nave (art. 552), al pignoramento navale (art. 650).

Secondo l’art. 247 c. nav., la proprietà aliena della pertinenza può essere opposta ai terzi di buona fede che abbiano acquistato diritti sulla nave solo se risulti da scrittura privata con data certa anteriore o dall’inventario di bordo; la cessazione della qualità di pertinenza di una cosa, la cui proprietà aliena non risultava da scrittura avente data certa anteriore o dall’inventario di bordo non è opponibile ai terzi che abbiano anteriormente acquistato diritti sulla nave. L’art. 248 c. nav. aggiunge che la destinazione di una cosa al servizio o all’ornamento della nave non pregiudica i preesistenti diritti di terzi sulla cosa, ma che tali diritti non possono essere opposti ai terzi di buona fede se non risultano da scrittura privata con data certa o dall’inventario di bordo.

La proprietà della nave è divisa in quote, denominate carati, pari ad un ventiquattresimo del totale.

La nave non cessa di essere tale quando subisca avarie che la rendano innavigabile (cfr. Cass., 5.4.2005, n. 7020, in Dir. maritt., 2007, 1141); la nave perisce, e si trasforma in relitto, solo quando ne vengono meno gli elementi essenziali, cosicché essa non possa più essere considerata quale costruzione atta e destinata alla navigazione; ciò può avvenire a causa di naufragio (che comporti la navis fractio e quindi la dissoluzione della res connexa) o per altra causa (per es. l’incendio) che provochi un’alterazione irreversibile delle sue componenti (cfr. Cass., 1.6.1995, n. 6134, in Dir. trasp., 1996, 791).

La nave può anche cessare di esistere come tale a seguito di demolizione. La demolizione può essere volontaria, previo esperimento della procedura di cui all’art. 160 c. nav. (v. infra, § 9), ovvero essere disposta d’autorità, a norma dell’art. 161 c. nav., quando il Rina accerti che la nave non è più adatta all’uso cui è destinata e non ne sia possibile la riparazione.

La perdita della nave può anche essere presunta nei casi previsti dall’art. 162 c. nav. e cioè quando siano trascorsi più di quattro mesi dall’ultima notizia e l’ufficio di iscrizione abbia inutilmente svolto le indagini di cui all’art. 344 reg. nav. maritt.

3. Attitudine alla navigazione e navigabilità della nave

La attitudine alla navigazione non va confusa con la navigabilità. Per attitudine alla navigazione deve intendersi quell’insieme di caratteristiche tecnico-costruttive che rendono la nave astrattamente idonea a galleggiare e spostarsi sull’acqua. La navigabilità (seaworthiness) si sostanzia invece nella capacità della nave di navigare in condizioni di sicurezza, in relazione allo specifico viaggio che deve essere intrapreso. Il concetto di navigabilità ha quindi carattere relativo, da modularsi in concreto a seconda delle caratteristiche della nave e del viaggio. La navigabilità della nave può inoltre assumere una diversa rilevanza giuridica nell’ambito della disciplina di diversi tipi contrattuali: trasporto (art. 421 c. nav.), noleggio (art. 386 c. nav.), locazione (art. 379 c. nav.), assicurazione (cfr. Cass., 16.5.1995, n. 5123, in Giust. civ., 1995, I, 2033).

L’art. 164 c. nav. dispone che «la nave che imprende la navigazione deve essere in stato di navigabilità, convenientemente armata ed equipaggiata, atta all’impiego al quale è destinata» e rinvia ad apposite normative tecniche per la specificazione dei requisiti attinenti a) struttura degli scafi e sistemazioni interne; b) galleggiabilità, stabilità e linea di massimo carico; c) organi di propulsione e di governo; d) condizioni di abitabilità e igiene degli alloggi degli equipaggi; e) dotazioni di apparecchi, attrezzi, arredi, strumenti ed installazioni di bordo, mezzi di segnalazione, di salvataggio, di prevenzione e di estinzione degli incendi.

Le normative tecniche cui fa riferimento l’art. 164 c. nav. possono essere di origine internazionale (Convenzioni MARPOL e SOLAS) o nazionale (l. 5.6.1962, n. 616; d.P.R. 8.11.1991, n. 435).

In tempi più recenti, la tematica della sicurezza della navigazione si è estesa dal fattore tecnico anche a quello organizzativo ed al raccordo tra le attività svolte a bordo ed i vertici della struttura aziendale; ciò è avvenuto in particolare con il c.d. “codice ISM”, in forza del quale le società armatrici sono tenute a porre in essere specifici sistemi gestionali volti ad assicurare l’individuazione di obiettivi di sicurezza e la loro attuazione in tutte le procedure interne e fasi decisionali.

Il rispetto delle citate normative in materia di sicurezza viene verificato mediante visite ed ispezioni (art. 165 c. nav.), effettuate in parte dall’autorità marittima ed in parte delegate al Rina, e fatto constatare mediante certificazioni che, a norma dell’art. 167 c. nav., fanno fede sino a prova contraria.

Oltre ad essere oggetto delle certificazioni rilasciate dalla (o per conto della) autorità marittima, la nave viene anche “classificata” dagli enti di classifica. La classe attribuita alla nave e documentata da appositi certificati, frutto di visite periodiche, costituisce una valutazione tecnica della nave, che attesta il grado di fiducia che in essa può essere riposta. L’essere la nave “in classe” viene così di fatto ad essere presupposto indispensabile affinché la nave possa essere venduta, noleggiata, assicurata.

4. La nave come bene mobile registrato

Una volta completata la costruzione, la nave viene individuata mediante la stazza (che misura il volume degli spazi interni della nave), il nome (che deve essere autorizzato dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti a norma dell’art. 140 c. nav.) e il luogo e numero di iscrizione.

L’ iscrizione della nave negli appositi registri e matricole concretizza la destinazione della nave alla navigazione e nello stesso tempo attua la ammissione della nave alla navigazione da parte della pubblica autorità.

Va peraltro chiarito che la nave esiste come tale, per effetto della sussistenza dei requisiti obiettivi di cui all’art. 136 c. nav., anche prima della iscrizione (cfr. Cass., 26.5.2004, n. 10133, in Foro it., 2005, I, 1874); dalla iscrizione derivano le ulteriori conseguenze della ammissione alla navigazione e dell’acquisto della qualità di bene mobile registrato e quindi la sua sottoposizione ad un regime di circolazione controllato.

L’art. 249 c. nav. richiede la forma scritta a pena di nullità per gli atti costitutivi, traslativi o estintivi della proprietà e di altri diritti reali su navi. In forza dell’art. 250 c. nav., per gli effetti previsti dagli artt. 2643 ss. c.c., gli atti costitutivi, traslativi o estintivi della proprietà o di diritti reali sulle navi (maggiori) sono resi pubblici mediante trascrizione nella matricola e annotazione sull’atto di nazionalità. Regole analoghe vengono dettate dall’art. 242 per le navi in costruzione, che sono anch’esse, nell’ordinamento italiano (a differenza di molti altri), beni mobili registrati.

Con il procedimento di iscrizione, la pubblica autorità accerta la sussistenza dei necessari requisiti e presupposti, in presenza dei quali l’iscrizione rappresenta un diritto del soggetto richiedente, e, in esito a tale accertamento, la nave viene ammessa alla navigazione ed iscritta nei registri o matricole e viene rilasciato l’atto di nazionalità.

5. Nazionalità della nave e diritto internazionale privato

Alla iscrizione della nave ed al rilascio dell’atto di nazionalità consegue, secondo l’art. 155 c. nav., che la nave stessa «inalberi la bandiera italiana». In altre parole, la iscrizione della nave nei registri o matricole di uno Stato implica che la nave acquisti la nazionalità di detto Stato.

Questo collegamento tra la nave e l’ordinamento giuridico dello Stato nelle cui matricole è iscritta e del quale batte la bandiera, si estrinseca in molteplici direzioni, producendo una pluralità di effetti.

Sul piano del diritto internazionale privato, va considerato l’impiego della nazionalità della nave quale criterio di collegamento, al fine di determinare la legge applicabile a fatti e rapporti inerenti la nave e la navigazione. L’utilizzo della nazionalità (o “bandiera”) della nave quale criterio di collegamento internazionalprivatistico ha storicamente avuto grande fortuna nell’ordinamento italiano, tanto che detto criterio di collegamento si ritrova, in via esclusiva o in concorso con altri, in tutte le norme di conflitto dettate dagli artt. 5-13 c. nav.

La ratio dell’impiego della nazionalità della nave quale criterio di collegamento deve essere rinvenuta nella inutilizzabilità (o nella scarsa efficacia e rilevanza) dei normali criteri di collegamento di natura spaziale (cfr. Conetti, G., Nave e aeromobile del diritto internazionale privato, in Dig. comm., X, Torino 1994, 186); non a caso l’art. 4 c. nav. recita che «le navi italiane in alto mare ... sono considerate come territorio italiano». Ove però tale ratio non sussista, il ricorso alla legge della bandiera appare difficilmente giustificabile e non idoneo a conseguire risultati soddisfacenti. Inoltre l’impiego della nazionalità della nave quale criterio di collegamento internazionalprivatistico, non è, in alcune situazioni, scevro da inconvenienti; si pensi per es. alle ipotesi di mutamento della nazionalità della nave in relazione alla disciplina dei diversi momenti del sorgere e della attuazione dei privilegi speciali sulla nave (cfr. la vicenda giurisprudenziale relativa alla nave Bianca C., conclusasi con la sentenza Cass.,18.9.1970, in Dir. maritt., 1970, 364). È quindi maturato nella dottrina (cfr. soprattutto Carbone, S.M., Legge della bandiera e ordinamento italiano, Milano, 1970), cui ha fatto poi seguito anche la giurisprudenza (cfr. Cass., 18.10.1993, n. 10293, in Dir. maritt., 1994, 785), un ripensamento critico, che ha condotto alla affermazione di un ruolo residuale per l’impiego della nazionalità della nave quale criterio di collegamento internazionalprivatistico.

6. Nazionalità della nave e genuine link

Alla iscrizione della nave nei registri o matricole di uno Stato consegue l’assunzione della nazionalità di detto Stato. Questa collocazione della nave nella sfera di sovranità di uno Stato presuppone la verifica da parte di detto Stato della sussistenza dei requisiti ai quali esso subordina l’iscrizione.

Il principio tradizionalmente vigente nel diritto internazionale (cfr. la decisione in data 8.8.1905 della Corte Arbitrale dell’Aja nel caso Muscat Dhows, in Hague Court Reports, 1916, 93), è che ogni Stato sia libero di determinare autonomamente le condizioni ed i requisiti ai quali subordinare l’attribuzione della propria nazionalità (o “bandiera”) ad una nave, senza incontrare sostanziali condizionamenti o limiti da parte dell’ordinamento internazionale (cfr. Carbone, S.M. -Schiano di Pepe, L., Conflitti di sovranità e di leggi nei traffici marittimi tra diritto internazionale e diritto dell’ Unione europea, Torino, 2010, 34).

Muovendosi nell’ambito di tale quadro molti Stati hanno provveduto a fissare i requisiti di collegamento, per lo più relativi alla nazionalità della persona fisica o giuridica proprietaria della nave (per la normativa italiana v. infra, § 8) alla cui sussistenza condizionare la concessione della propria bandiera. Altri Stati hanno invece scelto di consentire la iscrizione di navi nei propri registri pur in assenza di qualsiasi significativo collegamento tra la nave ed i suoi proprietari e lo Stato, dando così luogo al fenomeno delle c.d. “bandiere di convenienza”.

Con la Convenzione di Ginevra del 1986 (in argomento cfr. Zunarelli, S., La Convenzione di Ginevra sulle condizioni per la registrazione delle navi, in Dir. maritt., 1986, 853) si tentò di stabilire standard uniformi in merito ai momenti di collegamento tra nave e Stato di bandiera, ma tale tentativo non ha avuto successo.

L’unico parametro di riferimento, a livello internazionale, al fine di valutare la liceità del comportamento degli Stati nell’attribuzione della propria bandiera alle navi resta quindi l’art. 91 della Convenzione di Montego Bay del 1982 sul diritto del mare, in forza del quale «ogni Stato stabilisce le condizioni che regolamentano la concessione alle navi della sua nazionalità, dell’immatricolazione sul suo territorio, del diritto di battere la sua bandiera». L’ultima frase del comma 1 del citato art. 91 aggiunge che tra lo Stato e la nave deve esistere un legame effettivo (“genuine link”).

Tale genuine link non si colloca però a livello di collegamenti (quale quello costituito dalla nazionalità del proprietario) tra la nave e lo Stato nei cui registri viene chiesta l’iscrizione, ma invece nel momento successivo dell’ effettivo esercizio della sovranità dello Stato sulle navi alle quali ha attribuito la propria nazionalità. Quale sia il reale contenuto del genuine link menzionato all’art. 91 della Convenzione di Montego Bay del 1982 viene esplicitato nel successivo art. 94, ove si dispone che «ogni Stato esercita effettivamente la propria giurisdizione ed il proprio controllo su questioni di carattere amministrativo, tecnico e sociale sulle navi che battono la sua bandiera»; i successivi commi da 2 a 7 dell’art. 94 indicano in dettaglio in cosa debbano estrinsecarsi la giurisdizione ed il controllo dello Stato di bandiera (cfr. Leanza, U., Navi private (dir. internazionale), in Nss.D.I., Appendice, V, Torino, 1984, 194).

Questa impostazione ha trovato conferma nella giurisprudenza del Tribunale Internazionale del Diritto del Mare (sentenza 1.7.1999, caso Saiga, in Dir. maritt., 2001, 245) allorché si è affermato che le disposizioni della Convenzione di Montego Bay, in base alle quali è richiesto un genuine link tra la nave e lo Stato di bandiera, hanno la funzione di assicurare una più efficiente attuazione dei doveri dello Stato di bandiera e non anche quella di fissare criteri in riferimento ai quali valutare la validità della iscrizione di una nave nei registri dello Stato di bandiera.

Il reale fondamento delle critiche mosse agli Stati che mantengono open registries non è quindi tanto la mancanza di collegamenti tra di essi ed i soggetti proprietari delle navi, quanto la incapacità (ed in alcuni casi, forse, la mancanza di volontà) di detti Stati di esercitare una sovranità effettiva ed un controllo efficace sulle navi alle quali hanno concesso la propria bandiera.

Le linee di intervento per ridurre gli effetti negativi del fenomeno delle bandiere di convenienza appaiono quindi, da un lato, la attenuazione della esclusività della sovranità dello Stato di bandiera sulle navi aventi la propria nazionalità, a favore della progressiva espansione di concorrenti poteri dello Stato costiero e dello Stato del porto (cfr. da ultimo Carbone, S. M. -Schiano di Pepe, L., Conflitti di sovranità e di leggi, cit., 46); dall’altro il rafforzamento degli obblighi posti a carico dello Stato bandiera, come avvenuto, a livello comunitario, con la direttiva 2009/21/CE del 23.4.2009.

7. Nazionalità della nave e libertà di stabilimento

Nell’ambito della Unione Europea l’iscrizione di una nave nei registri di uno Stato membro costituisce una delle modalità con le quali le imprese comunitarie possono esercitare la libertà di stabilimento prevista dal Trattato. Come evidenziato dalla giurisprudenza comunitaria, a partire dalla sentenza Centros (C. giust. CE, 9.3.1999, C-21/97), le imprese comunitarie godono di un’ampia libertà di determinare, secondo valutazioni di convenienza imprenditoriale, l’ordinamento nazionale nell’ambito del quale stabilirsi; le imprese di navigazione possono quindi, nell’esercizio della libertà di stabilimento, iscrivere le navi delle quali sono proprietarie nei registri di uno Stato membro selezionato (anche) sulla base delle disposizioni ivi vigenti in materia (tra l’altro) di tassazione, diritti reali e di garanzia, composizione e trattamento degli equipaggi.

Il tema della libertà di stabilimento, prevista dall’ordinamento comunitario, viene così ad intrecciarsi con le disposizioni (v. supra, § 6) dettate dagli artt. 91 e 94 della Convenzione di Montego Bay del 1982.

In aderenza ai principi di diritto internazionale generale codificati nella Convenzione di Montego Bay, la Corte di Giustizia europea ha affermato, da un lato, che «la competenza a determinare le condizioni per l’immatricolazione delle navi spetta agli Stati membri» (C. giust. CE, 25.7.1991, C-221/89) e, dall’altro, che uno Stato membro non può trattare come nave battente la propria bandiera una nave già registrata in uno Stato terzo, nemmeno quando l’unico legame tra la nave e detto Stato sia la formalità della registrazione (C. giust. CE, 26.11.1992, C-286/90).

Tuttavia, a questa riaffermazione dei principi vigenti a livello di diritto internazionale generale, la Corte di Giustizia aggiunge una importante precisazione quando sottolinea che, nell’esercitare la propria competenza in materia di fissazione dei requisiti per la iscrizione delle navi nei propri registri, gli Stati membri devono comunque operare nel rispetto del diritto comunitario e quindi in modo compatibile con l’esercizio da parte delle imprese comunitarie della libertà di stabilimento (C. giust. CE, 25.7.1991, C-221/89).

Di qui una serie di decisioni (C. giust. CE, 25.7.1991, C-221/89; C. giust. CE 7.3.1996, C-334/94; C. giust. CE, 27.11.1997, C-62/96; C. giust. CE, 14.10.2004, C-299/02) nelle quali la Corte di Giustizia ha ritenuto incompatibili con il diritto comunitario normative statali che richiedessero per la iscrizione di navi nei registri dello Stato membro requisiti legati alla nazionalità dei soggetti proprietari o degli amministratori delle persone giuridiche proprietarie. In particolare, nella citata sentenza del 14.10.2004, la Corte di Giustizia ha sottolineato come, da un lato, l’imposizione di requisiti di nazionalità ai fini della registrazione costituisca una limitazione alla libertà di stabilimento e, dall’altro, non sia giustificata dalla necessità per gli Stati di esercitare un controllo e una giurisdizione effettiva sulla nave.

Come di recente evidenziato dalla Corte di Giustizia (C. giust. CE, 11.12.2007, C-438/05), l’esercizio della libertà di stabilimento deve essere conciliato con (e può quindi risultare limitato da) altri diritti fondamentali riconosciuti nell’ambito dell’Unione Europea. In particolare, nel caso deciso con la sentenza appena citata si trattava di valutare la legittimità di un’azione sindacale volta ad ostacolare il trasferimento di una nave dalla bandiera finlandese a quella estone; la Corte, dopo aver affermato in linea di principio la possibilità di considerare tale azione sindacale come una restrizione giustificata alla libertà di stabilimento, ha poi demandato al giudice nazionale l’accertamento in concreto, sulla base del criterio di proporzionalità, della legittimità della suddetta azione sindacale.

8. Iscrizione della nave nei registri italiani

Nel suo testo originario, l’art. 143 c. nav. disponeva che potessero essere iscritte nelle matricole italiane le navi che fossero di proprietà, per una quota non inferiore a sedici carati, di cittadini o enti pubblici italiani o società costituite ed aventi la sede dell’amministrazione in Italia, nelle quali fosse accertata la prevalenza di interessi nazionali nel capitale e negli organi di amministrazione e direzione. Il testo della norma è oggi radicalmente mutato per effetto dell’adeguamento al diritto comunitario e, più specificamente, della l. 27.2.1998, n. 30. L’art. 143 c. nav. dispone ora che rispondano ai requisiti di nazionalità per l’iscrizione nelle matricole e nei registri italiani «a) le navi che appartengono per una quota superiore a dodici carati a persone fisiche, giuridiche o enti italiani o di altri Paesi dell’Unione Europea; b) le navi di nuova costruzione o provenienti da un registro straniero non comunitario, appartenenti a persone fisiche, giuridiche o enti stranieri non comunitari i quali assumano direttamente l’esercizio della nave attraverso una stabile organizzazione sul territorio nazionale con gestione demandata a persona fisica o giuridica di nazionalità italiana o di altri Paesi dell’Unione Europea, domiciliata nel luogo di iscrizione della nave, che assuma ogni responsabilità per il suo esercizio nei confronti delle autorità amministrative e dei terzi».

Accanto ai requisiti di nazionalità del soggetto proprietario, vengono in rilievo, ai fini della iscrizione nelle matricole italiane, anche requisiti tecnici della nave. A questo riguardo, il regolamento CE/789/2004 prevede, con riferimento al trasferimento di una nave dai registri di uno Stato membro a quelli di un altro Stato membro, che la richiesta di iscrizione non possa essere negata allorché la nave risulti munita dei necessari certificati di conformità alle pertinenti normative internazionali, rilasciati dalle competenti autorità dello Stato membro di provenienza (salvo il diritto per lo Stato richiesto di verificare la corrispondenza a tali certificazioni delle condizioni effettive della nave).

Norme più rigorose possono essere applicate a particolari tipi di navi; così, ad esempio, l’art. 2, l. 9.1.2006, n. 13, in conformità al regolamento CE/417/2002, prevede che non possano essere iscritte nelle matricole italiane navi cisterna a scafo singolo, con portata lorda superiore a 600 tonn. e con età superiore a quindici anni. Analogamente, l’art. 9, l. 28.12.1999, n. 522 (la cui conformità al diritto comunitario è peraltro discutibile) vieta l’iscrizione nelle matricole italiane di navi adibite al trasporto di passeggeri, provenienti da registri stranieri e costruite da oltre venti anni.

Al fine di migliorare la competitività della marina mercantile italiana, è stato istituito, con il d.l. 30.12.1997, n. 457, convertito in l. 27.2.1998, n. 30, il Registro internazionale italiano. Dalla iscrizione della nave nel Registro internazionale conseguono infatti per il proprietario rilevanti benefici, con riferimento in particolare a: a) nazionalità e trattamento degli equipaggi (artt. 2 e 3), b) trattamento fiscale (art. 4), c) sgravi contributivi (art. 6). Possono essere iscritte nel Registro internazionale, previa autorizzazione ministeriale, le navi che appartengano a soggetti dotati dei requisiti di nazionalità di cui all’art. 143 c. nav. e quelle in regime di sospensione da un registro straniero non comunitario (v. infra, § 10), che siano «adibite esclusivamente a traffici internazionali».

Tale requisito di esclusivo impiego in traffici internazionali è stato successivamente attenuato rispetto alla formulazione originaria della norma, sicché in oggi alle navi iscritte nel Registro internazionale è consentita (senza che ciò determini la perdita dei benefici di cui si è detto) la effettuazione di un massimo di sei viaggi mensili di cabotaggio ovvero di un numero illimitato di viaggi con percorrenza ciascuno superiore alle 100 miglia (in argomento cfr. più ampiamente Romagnoli, E., Il Registro internazionale, in Trattato breve di diritto marittimo, I, Milano, 2007, 404).

A norma dell’art. 146 c. nav., le navi maggiori sono iscritte nelle matricole tenute dagli uffici di compartimento marittimo, sedi di direzione marittima; le navi minori ed i galleggianti sono iscritti nei registri tenuti dagli uffici di compartimento o di circondario o negli altri uffici indicati all’art. 313 reg. nav. maritt.

Ai fini della iscrizione della nave nelle matricole o registri italiani, il proprietario deve presentare all’ufficio competente, oltre ai documenti comprovanti il possesso dei requisiti di nazionalità di cui all’art. 143 c. nav., il titolo di proprietà e il certificato di stazza, nonché per le navi provenienti da bandiera estera, il certificato di cancellazione dal registro straniero di provenienza (art. 315 reg. nav. maritt.).

A seguito del perfezionamento della iscrizione, l’ufficio competente rilascia l’atto di nazionalità (art 150 c. nav.). In caso di urgenza, per le navi costruite all’estero o provenienti da registri stranieri marittimi, può essere emesso dall’autorità marittima o dal consolato, in pendenza di rilascio dell’atto di nazionalità, un passavanti provvisorio (art. 152 c. nav.).

9. Dismissione della bandiera italiana e cancellazione dai registri

L’art. 156 c. nav. disciplina il procedimento che deve essere posto in atto dal proprietario di nave italiana che intenda alienare la nave all’estero o, pur mantenendone la proprietà, trasferirla in un registro straniero. Tale procedimento di dismissione della bandiera, è oggi esclusivamente finalizzato alla tutela dei creditori; nella sua attuale formulazione, l’art. 156 c. nav. non prevede infatti alcuna discrezionalità da parte della autorità marittima, una volta esperiti gli adempimenti posti a tutela dei creditori, nel concedere o invece negare l’autorizzazione alla cancellazione dalle matricole italiane.

Il procedimento di dismissione della bandiera italiana è regolato diversamente a seconda che il trasferimento della nave avvenga in direzione di un registro comunitario o non comunitario.

Nel primo caso, il proprietario deve farne dichiarazione all’ufficio di iscrizione della nave che, verificata l’assenza (o l’avvenuta soddisfazione o estinzione) di crediti o diritti reali o di garanzia trascritti nelle matricole o nei registri, procede alla cancellazione.

Nel secondo caso, il procedimento è più complesso. Al ricevimento della dichiarazione del proprietario, l’ufficio procede alla pubblicazione della stessa mediante affissione nell’ufficio di porto ed inserzione nel foglio degli annunci legali. Nel termine di sessanta giorni da tale pubblicazione i creditori possono proporre opposizione presso l’ufficio di iscrizione, con indicazione e quantificazione dei crediti vantati; la proposizione di una siffatta opposizione preclude la cancellazione della nave fino a quanto i creditori siano stati soddisfatti o i relativi diritti estinti, ovvero l’opposizione stessa sia stata respinta con sentenza passata in giudicato; poiché l’opposizione in quanto tale viene proposta dal creditore all’autorità marittima, sarà di fatto il proprietario a rivolgersi all’autorità giudiziaria per far dichiarare l’infondatezza della opposizione.

La tempistica del procedimento così delineato risulterebbe spesso incompatibile con le esigenze di chi intenda alienare una nave. Il problema viene normalmente superato con il ricorso al disposto dell’art. 156, co. 5, c. nav., che «in caso di urgenza» (ma in realtà si tratta della prassi seguita nella maggioranza dei casi) consente al proprietario di ottenere subito la cancellazione, pur in pendenza di opposizioni, depositando una fideiussione bancaria di importo pari al valore della nave.

In ogni caso, analogamente a quanto previsto per il trasferimento verso registri comunitari, non devono esservi (o essere soddisfatti o estinti) crediti, diritti reali o di garanzia trascritti nelle matricole.

La cancellazione della nave dalle matricole italiane è inoltre subordinata al nulla osta da parte degli enti previdenziali (INPS e IPSEMA) e della Agenzia delle Entrate.

Oltre che per iniziativa del proprietario, che intenda alienare la nave o, mantenendone la proprietà, trasferirla in altro registro, la cancellazione della nave dalle matricole italiane può avvenire negli altri casi indicati negli artt. 157 ss. c. nav.

Secondo l’art. 157 c. nav., in caso di aggiudicazione di nave italiana a soggetto straniero non comunitario, a seguito di provvedimento della pubblica autorità italiana o straniera, l’aggiudicatario deve entro sessanta giorni farne denuncia all’ufficio di iscrizione che, dopo aver informato i titolari di diritti reali o di garanzia trascritti nelle matricole e gli enti previdenziali, dispone la cancellazione.

Quando la nave pervenga a soggetto straniero non comunitario per successione mortis causa o quando il proprietario perda i requisiti di nazionalità di cui all’art. 143 c. nav., gli interessati devono farne denuncia all’ufficio di iscrizione che procede alla dismissione di bandiera secondo la procedura di cui all’art. 156 c. nav. e, qualora non si verifichino le condizioni per la dismissione, promuove la vendita giudiziale della nave.

Gli artt. 158 e 159 c. nav. regolano le ipotesi in cui quote di proprietà della nave in misura superiore ai dodici o ai diciotto carati pervengano a soggetti privi dei requisiti di nazionalità di cui all’art. 143 c. nav..

La cancellazione della nave dal registro di iscrizione può anche conseguire alla demolizione volontaria (nel qual caso deve essere esperita una procedura analoga a quella prevista dall’art. 156 c. nav.) o d’ufficio, nonché alla perdita, effettiva o presunta, della nave.

10. La sospensione temporanea dell’abilitazione alla navigazione ed all’uso della bandiera italiana

Il principio, tradizionalmente affermato nel diritto internazionale, codificato nell’art. 92 della Convenzione di Montego Bay del 1982 e riflesso nell’art. 145 c. nav., secondo la quale una nave può avere la bandiera di uno solo Stato, ha in tempi recenti subito in molti ordinamenti, compreso (a partire dal 1989) quello italiano, una significativa attenuazione, consistente nella possibilità, da un lato, di sospendere temporaneamente gli effetti della iscrizione della nave nei registri di uno Stato (c.d. “flagging out”) e, dall’altro, di iscrivere temporaneamente la stessa nave nei registri di un altro Stato (c.d. “flagging in”). Lo strumento attraverso il quale si realizza tale meccanismo è costituito da un contratto di locazione a scafo nudo (bareboat charter), in virtù del quale il proprietario ottiene la sospensione (fatti salvi gli effetti di cui si dirà) della iscrizione della nave dal registro di provenienza, mentre il conduttore la iscrive temporaneamente in altro registro.

Per effetto degli artt. 28 e 29, l. 14.6.1989, n. 234 (e delle modifiche da essa apportate al codice della navigazione), nel caso di locazione a scafo nudo di nave di bandiera italiana a soggetto straniero che intenda iscriverla temporaneamente in altro registro, dovrà essere esperita la procedura prevista dall’art. 156 c. nav. (v. supra, § 9); dovrà inoltre essere ottenuta l’autorizzazione del Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, il quale verifica che il contratto di locazione includa l’obbligo del conduttore di applicare al personale marittimo imbarcato le condizioni economiche e normative previste dai contratti collettivi stipulati al riguardo dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative dei datori di lavoro e dei lavoratori.

Per converso è ora possibile iscrivere nelle matricole e nei registri italiani (art. 145 c. nav.) ed in particolare nel Registro internazionale (art. 1, co. 1, l. 27.2.1998, n. 30) le navi in regime di sospensione temporanea da un registro straniero.

Come chiarito dal d.P.R. 21.2.1990, n. 66, per le navi in regime di sospensione dal registro di provenienza e di temporanea iscrizione in altro registro, la proprietà ed i diritti reali o di garanzia sulla nave restano regolati dalla legge dello Stato del registro di provenienza mentre, a tutti gli altri effetti, per “legge nazionale della nave” (v. supra, § 5) dovrà intendersi la legge dello Stato del registro di temporanea iscrizione.

Inoltre, le navi temporaneamente iscritte nei registri italiani non sono considerate “nazionali” ai fini della ammissione ai traffici di cabotaggio.

Fonti normative

Artt. 136-168, artt. 232-257 c. nav.; Regolamento per l’esecuzione del codice della navigazione (navigazione marittima),artt. 302-348; Regolamento per l’esecuzione del codice della navigazione (navigazione interna), artt. 62-78; art. 11 c.p.mil.p.; l. 5.6.1962, n. 616; d.P.R. 14.11.1972, n. 1154, art. 11; l. 14.6.1989, n. 234, artt. 28-29; d.P.R. 21.2.1990, n. 66; d.P.R. 8.11.1991, n. 435; l. 27.2.1998, n. 30; l. 28.12.1999, n. 522; d.lgs. 18.7.2005 n. 171, art. 3; l. 9.1.2006, n. 13; Convenzione di Montego Bay del 10.12.1982, sul diritto del mare, artt. 90-94; Convenzione di Ginevra, 7.2.1986 sulle condizioni per la registrazione delle navi; regolamento CE/417/2002; regolamento CE/789/2004; direttiva 2009/21/CE.

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