PETRELLI, Nello Valentino

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 82 (2015)

PETRELLI, Nello Valentino

Roberto Del Grande

(detto Tino). – Nacque a Fontanafredda, in provincia di Pordenone, il 6 agosto 1922 da Valentino e da Margherita Nadin.

La famiglia, di origini contadine, condivideva la casa paterna con la famiglia dello zio, nella frazione di Ranzano. In precarie condizioni economiche a causa di pesanti indebitamenti, tutti i Petrelli furono costretti, uno alla volta, ad abbandonare il paese natale.

La storia dei Petrelli ricalca il percorso di molte famiglie italiane costrette a emigrare in cerca di miglior sorte. Alla nascita di Valentino – ultimo di cinque fratelli Carlo, Achille, Caterina, Anita – il padre lavorava come carpentiere in Francia. Nel 1934 l'intera famiglia si trasferì a Milano, per raggiungere il primogenito Carlo, partito alcuni anni prima, prendendo alloggio in un'unica stanza, in via Moscova.

In possesso della licenza elementare Valentino iniziò subito a lavorare: prima come garzone di lattaio, poi in un negozio di alimentari. Nel 1937 fu assunto, come apprendista, all'agenzia fotografica Publifoto e l'anno dopo fu integrato nello staff dei fotografi.

L'agenzia, alla quale Petrelli dedicò l'intera vita professionale, era nata nel 1936 per iniziativa di Vincenzo Carrese e Fedele Toscani. Il lavoro che svolse per oltre trent'anni ne fece un osservatore privilegiato delle principali vicende della storia d'Italia dagli anni Quaranta agli anni Settanta del Novecento, coincidendo lo sviluppo delle attività economiche del paese con quello della professione del fotoreporter in Italia.

Il suo debutto ufficiale come fotografo è legato a un aneddoto ormai celebre: «Succede all'ippodromo di San Siro, dove si è recato ad accompagnare i quattro grandi dell'agenzia (Carrese, Toscani, Peppino Giovi, Grassi): gli hanno affidato una pesante macchina a lastre in tribuna, da dove deve riprendere gli arrivi. Detto, fatto: la corsa che segue verrà fermata in un fotofinisching perfetto (di quelli che s'usano solo adesso) e finisce sulla prima pagina del Corriere» (Colombo, 1987, p. 22). Fu questo il primo di una lunga serie di scatti di attualità realizzati nei suoi primi anni di attività presso Publifoto.

Nella seconda metà degli anni Trenta l'agenzia vendeva fotografie ai giornali seguendo le direttive del regime fascista; le imposizioni legislative e le 'veline' del ministero della Cultura popolare recavano le indicazioni alle quali i redattori dei giornali dovevano attenersi. Di conseguenza anche le fotografie di Petrelli proponevano l'immagine stereotipata dei gerarchi dettata dalla propaganda così come quelle del mondo del lavoro e dello svago organizzato, anch'esse sottoposte alla censura del regime.

«Particolarmente delicata – racconterà il fotografo – era poi la documentazione fotografica delle visite dei grandi gerarchi; se li fotografavamo in pose e con espressioni non consone, le foto venivano immediatamente scartate. […] Prima di passare le fotografie ai giornalisti si andava in Prefettura dove il capo ufficio stampa sceglieva e dava l'o.k., timbrando la foto. […] Lavoravamo molto anche per le grandi aziende sia per quello che riguardava la foto industriale vera e propria sia per le attività particolarmente ricche, del dopolavoro: gite, feste, manifestazioni sportive etc. Anche questo tipo di foto, però, doveva essere consona ai dettami del regime: anche qui tutto doveva essere bello, pulito» (T. P.,1992, p. 16).

Da un punto di vista tecnico si formò in un periodo nel quale erano d'uso apparecchi per lastre fotografiche di formato medio-grande. Dagli anni Quaranta iniziarono a diffondersi formati più piccoli e apparecchi più pratici e veloci; progressi tecnici che Petrelli seguì anche in camera oscura. Nei primi anni lavorativi fu impegnato soprattutto nello sviluppo dei negativi e nella stampa delle fotografie, tanto da divenire il punto di riferimento per gli operatori dell'agenzia anche nei decenni successivi.

Nel gennaio 1942 fu chiamato alle armi e assegnato, in qualità di fotografo, all'8° reggimento del Genio nella II brigata artieri di stanza a Monte Mario, a Roma. A luglio fu aggregato al Corpo di spedizione italiano in Russia, da dove rientrò nell'ottobre dello stesso anno per gravi motivi familiari.

L'esperienza della campagna di Russia mise in luce il limite di sopportazione di fronte alle atrocità della guerra: in proposito Petrelli raccontò, vent'anni dopo, un crudo episodio di suicidio di un suo commilitone, riportato da Egisto Corradi nel romanzo storico La ritirata di Russia (Milano 1964).

Nel maggio del 1943 fu riassegnato alla sezione fotografica del Genio a Roma. Dopo l'8 settembre aderì alla Repubblica sociale italiana e, sebbene qui si esauriscano le notizie verificabili circa le sue vicende militari, dai racconti di Carrese si apprende che, dopo un anno di servizio, scelse la diserzione, nascondendosi in casa del collega Giovi.

A Milano durante i giorni della liberazione, seguì dalla strada l'arrivo delle colonne partigiane, la cattura di isolati fascisti e repubblichini e anche la truce esibizione dei corpi di Benito Mussolini, Claretta Petacci e dei gerarchi in piazzale Loreto. Alcune sue foto scattate in quei giorni, come quella di un gruppo di partigiani appostati sui tetti di Milano o la nota immagine di tre ragazze che marciano in strada con i fucili al braccio, sono passate alla storia per essere state costruite mettendo in posa gli stessi protagonisti, i passanti o i colleghi.

Petrelli e i ritrovati amici della Publifoto produssero documenti d'attualità che contribuirono alla formazione di un immaginario epocale delle azioni partigiane. Un uso della fotografia, questo, che nell'esercitare la funzione testimoniale approfittava della sua capacità di reificare la realtà che scorreva davanti agli occhi sconfessando intenti politici o di denuncia.

Nel primissimo dopoguerra il fotografo riprese l'attività “coprendo” gli eventi di cronaca per la Publifoto. Il suo obiettivo coglieva le scene di protesta per il caro vita, lo svilupparsi del fenomeno dilagante della “borsa nera”, le immagini della fame e le prime fatiche della ricostruzione.

Nel 1945, nella Riviera di Levante, Petrelli conobbe Augusta Toso, che sposò il 28 giugno 1947 nella chiesa di Trigoso (Sestri Levante, Genova). Gli sposi si trasferirono subito a Milano e la casa ligure dei suoceri costituì un rifugio dalla vorticosa vita milanese dedicata, senza orari fissi né giorni di festa, alle necessità dell'agenzia. Nel 1949 nacque il figlio Antonio.

Negli anni del dopoguerra, con il paese in fermento e con i partiti politici impegnati ad ottenere il consenso di una popolazione affamata di normalità e lavoro, Petrelli iniziò ad avere contatti regolari con i politici italiani. Nacquero allora scatti amichevoli, a volte ironici, più spesso di documentazione per i giornali: gli spostamenti in Italia, le vacanze, i comizi, gli incontri.

«Li ho trovati in genere disponibili naturalmente tenendo conto delle loro abitudini. Ricordo che Alcide De Gasperi accettava di farsi fotografare dopo aver giocato a bocce, mentre Luigi Einaudi e Palmiro Togliatti preferivano che le foto fossero scattate durante una passeggiata. Cito un episodio relativo a Fanfani: chiese che non fosse pubblicata la foto che lo ritraeva di spalle, in piedi su una pila di giornali, predisposta per farlo sembrare più alto durante un comizio. Fu accontentato» (T. P., 1992, p. 60).

A Milano seguì i principali eventi della vita politica italiana: dai congressi pre-referendari del 1946, alle attività successive alla nascita della Repubblica; ma non mancarono fotografie delle dimostrazioni contro la disoccupazione e dei numerosi scioperi.

I temi prediletti dalla stampa dell'epoca variavano dalle indagini di carattere sociale, ai lavori di ricostruzione, dalla vita pubblica ai primi divertimenti di massa. L'elenco delle vicende di cronaca italiana fotografate da Petrelli nel dopoguerra è lunghissimo. Molte sono rimaste impresse nella memoria storica del nostro paese: dai soggetti di costume, come il concerto d'inaugurazione del ricostruito teatro alla Scala nel 1946, ai leggendari episodi di cronaca nera tra cui l'epopea della banda Barbieri-Bezzi con il tragico epilogo della morte di Bruno Bezzi. Innumerevoli furono poi i servizi del fotografo nel campo del teatro, dello sport, della moda e del cinema.

Petrelli raggiunse la notorietà con i reportage pubblicati sui settimanali illustrati, e in particolare sull'Europeo diretto da Arrigo Benedetti, firmati del giornalista Tommaso Besozzi. La collaborazione più importante, che gli procurò uno spazio nella storia della fotografia, ebbe luogo in occasione dell'inchiesta del 1948 sul Mezzogiorno. A partire da gennaio e per alcuni mesi, Petrelli e Besozzi raccontarono la povertà dell'Italia meridionale, in particolare le condizioni dei sobborghi napoletani e la miseria del paese di Africo in provincia di Reggio Calabria. Tra i temi di attualità che le riviste illustrate proponevano all'attenzione dell'opinione pubblica vi fu l’analfabetismo degli italiani, prodotto anche dall’altissima dispersione scolastica a cui venivano associati problemi di delinquenza minorile. Le foto delle condizioni delle scuole milanesi, delle lezioni svolte a cielo aperto in provincia, testimoniarono la sensibilità di Petrelli per i racconti patetici e struggenti che i giornali dell'epoca tendevano a proporre ai lettori.

Questa capacità di destare sentimenti attraverso le immagini fu evidente nel drammatico reportage realizzato durante l'alluvione del 1951 nel Polesine. Tra i primi ad arrivare sul luogo, scattò molte delle fotografie pubblicate sui quotidiani nazionali.

Negli stessi anni si occupò a più riprese del lavoro agricolo e in particolare delle mondine. «Mi ha entusiasmato e commosso vedere queste giovani sempre allegre nonostante il lavoro fosse molto faticoso e disagiato. Lavoravano per farsi la dote; forse era per questo che erano sempre contente, cantavano e si facevano scherzi in continuazione [...] il regista Giuseppe De Santis, prima di realizzare il film Riso amaro, mandò in agenzia un suo collaboratore per esaminare queste fotografie» (Ibid., p. 116).

Queste testimonianze delineano l'estrema generosità e la grande semplicità dell'uomo Petrelli. Esemplare in tal senso fu il rapporto con Don Carlo Gnocchi, cappellano militare della Divisione Alpini della Tridentina durante la campagna di Russia. Il “padre dei mutilatini”, dal 1945 direttore dell'Istituto grandi Invalidi di Arosio (Co) che accoglieva i primi orfani di guerra e i bambini mutilati, si avvalse della sua professionalità per pubblicizzare la propria causa: «Io lo accompagnavo sulla sua Topolino bianca per fotografare i bambini mutilati, le foto gli servivano per chiedere i contributi necessari alla sua opera» (Ibid., p. 96).

Amante del ciclismo e fotografo di grandi eventi sportivi, Petrelli seguì con passione il Giro d'Italia restituendoci le immagini dei mitici campioni del secondo dopoguerra. Tra queste, una in particolare entrò nella storia dello sport italiano: la foto scattata a Fausto Coppi, al passaggio dello Stelvio durante il Giro del 1953, mentre guardava la scritta “W Fausto” disegnata sulla neve. Uno scatto perfetto in cui il ciclista ammirava col volto contratto dallo sforzo l'incitamento a lui dedicato. Fu lo stesso Petrelli, anni dopo, a svelare di aver tracciato quella scritta e di averla indicata all'amico ciclista mentre passava.

Petrelli fu lontano dalla tipologia del grande fotogiornalista, o del fotoreporter rampante a caccia di celebrità. Le sue foto vanno comprese in larga parte alla luce delle esigenze editoriali, ed in questo senso la sua figura ha trovato posto, a ragione, nella storia della fotografia italiana. Le immagini realizzate ad Africo, ad esempio, sono divenute il sinonimo dell'arretratezza della società contadina meridionale italiana degli anni Cinquanta. Il suo lavoro va altresì riletto alla luce delle vicende relative alla Publifoto, specchio di un mercato editoriale alle prese con la neonata informazione televisiva.

A metà degli anni Sessanta l'agenzia ridusse fortemente la sua attività e di lì a poco anche Petrelli diradò l'esercizio cronachistico per virare decisamente verso la fotografia pubblicitaria e industriale, già praticata nel 1947 quando, su invito dell’ing. Enrico Piaggio, aveva realizzato un servizio sugli omonimi stabilimenti.

Agli stessi anni risale un'esperienza estranea al percorso del fotografo di agenzia, testimoniata dalla partecipazone al 1° Premio internazionale di comunicazione visiva nel fotogiornalismo e nella fotografia pubblicitaria. L'evento segnò il suo primo contatto con un contesto culturale parallelo a quello delle agenzie fotogiornalistiche, sviluppatosi intorno al Centro per la cultura nella fotografia. Tuttavia, il Petrelli che ha segnato la storia della fotografia è quello che ha saputo usare l'immagine come strumento di narrazione degli eventi senza intenti interpretativi e idealistici. Il fotografo milanese di adozione, definito dal suo compagno Carrese 'un enciclopedico', fu capace di fotografare senza gerarchie ogni genere di tema pubblicabile.

Dal 1973 al 1981 continuò a collaborare con Publifoto, iniziando l'ordinamento degli archivi fotografici. Nacque allora una prima rivisitazione autoriale del suo lavoro che diede vita, nei due successivi decenni, a tre mostre monografiche e sfociò in numerose partecipazioni a esposizioni fotografiche collettive.

Dopo la pensione si dedicò saltuariamente alla fotografia a colori naturalistica e di paesaggio. Lavorò invece con passione alla manutenzione della casa di famiglia a Sestri. Dal 1996 collaborò per due anni con l'Istituto tecnico agrario statale G. Raineri, dove si occupò della documentazione fotografica del costituendo Museo della Civiltà Contadina di Piacenza.

Morì a Piacenza il 7 settembre 2001.

Fonti e Bibl.: Tra i cataloghi di mostre e gli articoli relativi al fotografo si segnala: 1° Premio internazionale di comunicazione visiva nel fotogiornalismo e nella fotografia pubblicitaria, Genova 1965; Il fotogiornalismo in Italia: T. P., a cura di I. Zannier, Pordenone 1980; L. Colombo, T. P., in Fotopratica, n. 221, 1987, pp. 21-25; M. Rebuzzini, È  tutta colpa della nebbia, o giù di lì: T. P., fotografo italiano, in FotoPro, a. VI, n. 51, giugno 1992, pp. 9-12; T. P. Storie per Immagini, immagini di Storia, a cura di M. Gariboldi, Piacenza 1992; Trent'anni d'Italia nell'obiettivo di T. P., Piacenza 2001; Storie scritte con la luce. Reportage dall'Italia di T. P., a cura di R. Pagani - M. Ferri, Piacenza 2012.

Tra le pubblicazioni sull'agenzia Publifoto, le più significative: 40 anni di Publifoto, in Popular Photography Italiana, n. 127, 1968, pp. 19-35; V. Carrese, Un album di fotografie. Racconti, Milano 1970; Progresso Fotografico, 1977, a. 84, n. 9; F.C. Crispolti, I grandi fotografi: Publifoto 1946-1966, Milano 1983; V. Carrese, Professione fotoreporter: l'Italia dal 1934 al 1970 nelle immagini della Publifoto di Vincenzo Carrese, Milano 1983.

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