NEOPLATONISMO

Enciclopedia Italiana (1934)

NEOPLATONISMO

Guido Calogero

. Come tutti i consimili termini, designanti da un lato un periodo storico dell'evoluzione del pensiero umano e dall'altro un atteggiamento generale che torna a manifestarsi anche in altri momenti di tale evoluzione, il nome di neoplatonismo ha un senso più ristretto e un senso più lato. Nel primo senso, e secondo la delimitazione tradizionale, neoplatonico è il periodo della filosofia antica che, estendendosi all'incirca dalla metà del sec. II d. C. fino alla metà del VI (e in Alessandria anche alla metà del VII), è universalmente caratterizzato dalla tendenza a rinnovare le concezioni del platonismo e a integrarle con tutto il tesoro di verità che appare ricavabile da ogni altro sistema di filosofia greca e con le molteplici esperienze religiose venutesi accumulando nella cultura ellenica, in modo da costituire con tale sistemazione il fronte unico del pensiero classico per opporlo alla vittoriosa avanzata del pensiero cristiano.

Inteso in questo senso più propriamente storico, il neoplatonismo appare rappresentato da varie correnti, le quali vengono designate in funzione delle loro caratteristiche ideali e delle sedi in cui si svolse la loro attività. In generale si distinguono tre correnti, prevalentemente orientate l'una verso la speculazione metafisica, l'altra verso la religione e la teurgia e la terza verso l'erudizione. Alla prima appartiene la più antica e importante scuola neoplatonica, fondata secondo la tradizione da Ammonio Sacca e rappresentata dai suoi scolari Erennio, Longino, Origene (da distinguere dall'Origene cristiano, che peraltro non è escluso sia stato anch'egli discepolo di Ammonio) e Plotino, massimo fra tutti e principale elaboratore delle dottrine del sistema neoplatonico, anche a noi noto soprattutto attraverso le sue Enneadi. Scolari di Plotino sono Amelio e Porfirio, appartenenti alla stessa scuola, la quale è d'altronde idealmente continuata dalla "scuola di Siria", a capo della quale è Giamblico e a cui appartengono inoltre Teodoro di Asine, Sopatro di Apamea e Dessippo. In questa scuola, soprattutto per opera di Giamblico, la tipica articolazione triadica dell'emanatismo plotiniano si complica e moltiplica, le figure della teologia contribuiscono ad accrescere il numero dei gradi della gerarchia cosmica, l'interpretazione delle dottrine platoniche assume carattere sistematico, determinante per l'ulteriore attività dei neoplatonici in questo campo. Erede ideale della scuola di Siria, sempre in seno a questa prima corrente, è infine, tanto per l orientamento filosofico quanto per la tendenza critico-esegetica, la "scuola di Atene", che ha in Proclo, nel sec. V, il suo maggior sistematico, secondo solo a Plotino per importanza speculativa e particolarmente interessante per l'approfondita interpretazione metafisico-dialettica del principio dell'emanazione, concepito nei suoi tre momenti della permanenza in sé, dell'uscita da sé e del ritorno in sé. Questa scuola di Atene non è altro, del resto, che l'Accademia platonica, in quella fase terminale della sua quasi millenaria esistenza la quale si fa cominciare con lo scolarcato di Plutarco di Atene e che, prima di Proclo, è ancora rappresentata dagli scolarchi Siriano e Domnino e, dopo di lui, da Marino, Isidoro, Damascio, Simplicio, Prisciano, finché l'editto giustinianeo del 529, vietando ogni ulteriore insegnamento di filosofia ad Atene e costringendo quindi Damascio, Simplicio, Prisciano e altri quattro membri della scuola a recarsi in esilio in Persia, mette contemporaneamente fine alla vita dell'Accademia e alla tradizione ufficiale della filosofia antica. È questa l'età, tra l'altro, della grande esegesi neoplatonica delle opere di Platone e di Aristotele, esegesi della quale ci resta ancora oggi una larga documentazione in molti commentarî.

Alla seconda grande corrente, soprattutto improntata di spirito religioso e teurgico, del neoplatonismo appartiene la "scuola di Pergamo", che si riconnette alla scuola di Siria attraverso la figura del suo fondatore, Edesio, scolaro di Giamblico. Quell'interesse per la sfera religiosa, che nella scuola di Siria s'accompagna e s'inquadra nel più generale interesse per la considerazione metafisica dell'universo, diventa qui prevalente: la religiosità assume l'aspetto più corpulento della teurgia, e la preoccupazione di giustificare le credenze religiose tradizionali si traduce in una decisa difesa del politeismo antico. S'intende quindi come rappresentante tipico di questa scuola sia, nel sec. IV, l'imperatore Giuliano l'Apostata, l'ultimo grande difensore della religione antica contro l'ormai avvenuta vittoria del cristianesimo. Altri seguaci di questa scuola neoplatonica sono, tra gli scolari di Edesio, Massimo, Crisanzio, Prisco ed Eusebio; ma le personalità più notevoli sono, accanto a Giuliano, Sallustio ed Eunapio di Sardi, autore quest'ultimo di un'opera, le Vitae sophistarum, che è una specie di cronaca della scuola che fornisce particolari biografici sui suoi principali rappresentanti e su altre personalità dello stesso ambiente.

All'ultima grande corrente del neoplatonismo appartiene anzitutto la "scuola di Alessandria", fiorita in quest'ultima città fra la prima metà del V e la prima del Vll secolo. La tendenza erudita, che già si è vista assumere importanza notevolissima nella scuola d'Atene, diventa qui predominante, respingendo in secondo piano quella speculazione metafisica che nella scuola d'Atene le restava a fondamento. Il disinteresse per la costruzione della gerarchia emanatistica reca con sé l'abbandono di quel politeismo classico, che in tale gerarchia era stato inquadrato soprattutto per opera della scuola siriaca: donde un minore urto rispetto al cristianesimo, e anzi la possibilità di un influsso reciproco, data anche la presenza, in Alessandria, della scuola dei catecheti cristiani. All'assopimento dell'interesse metafisico corrisponde d'altra parte un'accentuazione della curiosità in stretto senso scientifica, che provoca una nuova fioritura delle indagini matematiche e naturalistiche e spiega insieme l'anche maggiore importanza che, in questa fase del neoplatonismo, assume colui che almeno nell'epoca più matura e indipendente della sua attività intellettuale appare come il filosofo della scienza empirica, Aristotele. Tra i rappresentanti della scuola di Alessandria è nota anzitutto Ipazia, che nel 415 cadde vittima del fanatismo cristiano; inoltre, Sinesio di Cirene, suo scolaro e poi vescovo di Tolemaide; Ierocle di Alessandria, autore di un importante trattato sulla provvidenza; i commentatori di scritti platonici e aristotelici Ermia, Ammonio, Giovanni Filopono, Asclepio, Olimpiodoro, Elia, Davide, Stefano di Alessandria. Altri dotti o scienziati che pur non appartenendo propriamente alla scuola alessandrina ne subiscono tuttavia l'influsso sono Alessandro di Licopoli, Asclepiodoto di Alessandria, Nemesio di Emesa, Giovanni Lido. Alla stessa corrente rappresentata dalla scuola alessandrina si ricollegano idealmente, infine, i neoplatonici dell'Occidente latino, i quali, pur senza appartenere propriamente a una scuola, partecipano comunque dei caratteri essenziali del neoplatonismo alessandrino, anteponendo l'attività erudita ed esegetica a quella speculativa e conciliando tale atteggiamento filosofico con la loro prevalente fede cristiana. Tra questi neoplatonici, la cui attività si svolge fra la metà del III e il principio del VI secolo e che con le loro opere latine contribuiscono fortemente alla diffusione del pensiero classico nella cultura occidentale e quindi alla preparazione della filosofia medievale, hanno particolare importanza Calcidio, Macrobio, Marciano Capella e soprattutto Boezio: oltre a questi sono poi da ricordare Cornelio Labeone, Mario Vittorino, Vettio Agorio Pretestato e Favonio Eulogio.

Tale l'aspetto che il neoplatonismo, considerato nelle diverse manifestazioni e fasi della sua storia esterna, presenta dal punto di vista della più ristretta e determinata accezione del termine. Ma già l'indagine dei tratti fondamentali della filosofia che può considerarsi in generale come propria del neoplatonismo pone in dubbio la legittimità di tale determinazione storica, tendendo, da un lato, a farne risalire la data d'inizio a un'età sensibilmente anteriore. La concezione neoplatonica è infatti contraddistinta da un fondamentale intento sincretistico: pur mirando anzitutto (e specialmente nella sua fase speculativamente più creativa, cioè in quella plotiniana) a una restaurazione e continuazione dell'insegnamento platonico, tende a conciliare e a integrare questo insegnamento con quello che può trarsi dalle altre principali filosofie dell'antichità, in modo da costruire, con tutto quel materiale, il primo vero e proprio sistema del pensiero classico. Così, nella considerazione dell'Uno come prima ipostasi e sommo principio dell'universo, rivivono concezioni neopitagoriche risalenti a loro volta a Posidonio e al tardo platonismo e formalmente influenzate già dall'eleatismo zenoniano; la sovrapposizione dell'intelletto, quale seconda ipostasi, all'anima quale terza ipostasi risale da un lato alla concezione psicologica di Aristotele, poi passata anche nel medio platonismo e nella media Stoa, e dall'altro alla teologia aristotelica attribuente alla divinità la νόησις νοήσεως; la concezione dell'anima quale psiche cosmica e quale tratto d'unione tra il mondo ideale delle ipostasi e quello materiale delle realtà empiriche riunisce insieme la concezione stoica dell'anima forma della materia cosmica e quella platonica dell'anima realtà intermediaria tra il divino e il terreno e operatrice della loro sintesi; e via dicendo. Questo generale eclettismo, o meglio sincretismo, è d'altronde caratteristico da un lato, già del cosiddetto platonismo medio, verso cui può quindi farsi risalire l'origine del neoplatonismo stesso; e, dall'altro, di Posidonio, il quale pur apparendo come il principale rappresentante della media Stoa è non meno platonico che stoico, e soprattutto sviluppa quell'idea dell'universale nesso (σύνδεσμος) dei gradi della realtà che in Platone costituisce il grande correttivo virtuale del suo dualismo e che determina poi più di ogni altra la concezione neoplatonica dell'universo: donde la possibilità (propugnata, p. es., da W. Jäger) di considerare Posidonio addirittura come il primo dei neoplatonici. Se si tien conto, poi, dell'altra idea che pur caratterizza tipicamente il neoplatonismo, e cioè quella della conoscenza soprarazionale ed estatica necessaria per attingere quel primo principio che soverchia ogni normale facoltà intellettiva dell'uomo, si scorge come il maggior iniziatore della teologia mistica e negativa del neoplatonismo sia piuttosto Filone di Alessandria, intento a recar negli schemi della logica greca quella non ellenica concezione di Dio che essa poteva contenere soltanto via negationis.

Ma questi stessi motivi, che inducono a far risalire nel tempo la data d'inizio del neoplatonismo, portano insieme a scorgere come esso non si sia affatto concluso con la fine di quella tradizione scolastica che segna esteriormente il termine della storia del pensiero antico. Da un lato, che non è però il più importante, esso sopravvive, almeno nella memoria storica, nel suo atteggiamento di difesa della religiosità e della cultura classica contro l'avvento del cristianesimo, e quindi p. es. rinasce, come portatore di una verità e di una religione che pur non contrastando direttamente a quella dell'ambiente tuttavia ne diverge, nel neoplatonismo fiorentino dell'Accademia platonica (che del resto, come il nome stesso dice, non è tanto un nuovo neoplatonismo quanto un nuovo platonismo) e in quello inglese della scuola di Cambridge. Ma in misura assai più larga esso sopravvive proprio in quanto si trasferisce in quella stessa tradizione cristiana che esso, in altri suoi momenti e manifestazioni, fieramente avversa. Basti a questo proposito ricordare, quale tipico esempio di tale sopravvivenza del neoplatonismo in seno al cristianesimo, gli scritti teologici composti, secondo ogni verosimiglianza, da un neoplatonico del secolo V, e più tardi attribuiti al Dionigi Areopagita, seguace di San Paolo, ricordato negli Atti degli Apostoli: scritti che perciò furono considerati come risalenti alla migliore tradizione cristiana e che, tradotti in latino nel sec. IX da Giovanni Scoto Eriugena, perpetuarono l'influsso del neoplatonismo non solo nel De divisione naturali di quest'ultimo ma anche in molti aspetti della mistica e della teologia dell'età scolastica.

Non si comprenderebbe peraltro la possibilità di tale sopravvivenza del neoplatonismo in seno ad una corrente ideale che esso, per lo meno nella consapevolezza dei suoi teorici più profondi, sentiva irriducibilmente avversa al proprio mondo religioso e speculativo se non si tenesse conto di un motivo generale, comune tanto allo sviluppo della filosofia neoplatonica quanto a quello della teologia cristiana, il quale nello stesso tempo fornisce al concetto di neoplatonismo un contenuto non delimitato soltanto da esteriori contingenze storiche e tuttavia sottratto all'indeterminatezza che il semplice superamento di quelle contingenze può provocare.

La teologia greca classica, da Socrate a Platone e ad Aristotele e dai cinici agli stoici e agli epicurei, è una teologia della perfezione, che non può concepire un'attività del perfetto Iddio per l'imperfetto mondo e lo fa principio del cosmo solo in quanto suo immobile fine; la teologia cristiana, col suo concetto dell'amore di Dio per gli uomini e con tutte le formulazioni che ne derivano nella sua costituzione dogmatica, capovolge nettamente tale posizione. S'intende quindi quale sforzo debba compiere da un lato il pensiero cristiano nell'intento di sfruttare le grandi forme logiche della filosofia classica, e dall'altro questa stessa nell'intento di dar soddisfazione al nuovo motivo teologico senza rinunciare al tesoro tradizionale delle proprie verità. Opposti nell'intenzione, i due sforzi rispondono nella sostanza a un problema unico: donde il parallelismo che si constata fra l'evoluzione del neoplatonismo da un lato e quella della più antica teologia cristiana dell'altro, e che non si spiegherebbe in forza di costanti influssi reciproci se alla loro base non stesse un'esigenza comune. Di qui, per non citare che qualche esempio, la singolare somiglianza che lega il massimo dei neoplatonici, Plotino, col massimo dei teologi cristiani ellenizzanti, Origene, il quale concepisce il rapporto trinitario legante il Padre al Figlio e allo Spirito Santo in forma del tutto analoga a quella in cui il suo più giovane contemporaneo Plotino concepisce la triade ipostatica dell'Uno, dell'Intelletto e dell'Anima; di qui il fatto che lo gnosticismo possa considerarsi come precursore tanto del neoplatonismo quanto della teologia cristiana di tipo origeniano. In questo senso, se Medioevo è sforzo di sintesi dei nuovi motivi etico-teologici con le reluttanti forme classiche, il neoplatonismo appartiene, anche secondo la sua cronologia, non tanto alla storia del pensiero antico quanto a quella del pensiero medievale.

Bibl.: Per una trattazione generale sul neoplatonismo v. Zeller, Philosophie der Griechen, III, ii, 4ª ed., pp. 468-931; K. Prächter, Richtungen und Schulen im Neuplatonismus, in Genethliakon, Berlino 1910, pp. 105-156. Ancora utili, per quanto invecchiati: J. Simon, Histoire de l'école d'Alexandrie, Parigi 1843-45; É. Vacherot, Histoire critique de l'école d'Alexandrie, Parigi 1846-51. Sulla genesi del neoplatonismo: W. Jäger, Nemesios von Emesa. Quellenfor schungen zum Neuplatonismus nd seinen Anfängen bei Poseidonios, Berlino 1914, e, specie per quel che concerne Posidonio, K. Reinhardt, Poseidonios, Monaco 1921; id., Kosmos und Sympathie, Monaco 1926. Sui rapporti tra neoplatonismo e cristianesimo: Ch. Elsee, Neoplatonism in relation to Christianity, Cambridge 1908; A. v. Harnack, Neuplatonismus und kirchliche Dogmatik, in Lehrbuch der Dogmengeschichte, I, 4ª ed., p. 823 segg.; K. Prächter, Christlich-neuoplatonische Beziehungen, in Byzantin. Zeitschrift, XXI (1912), pp. 1-27. Neoplatonismo nel Medioevo: C. Sauter, Der Neuplatonismus, seine Bedeutung für die antike und mittelalterliche Philosophie, in Philosoph. Jahrbuch, XXIII (1910), pp. 183-95, 367-80, 469-86; Cl. Bäumker, Der Platonismus im Mittelalter, Monaco 1916. Per la bibliografia particolare si vedano le voci concernenti i singoli neoplatonici.

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