Neutrini solari

Enciclopedia del Novecento II Supplemento (1998)

Neutrini solari

Ettore Fiorini

Sommario: 1. Le proprietà del Sole.  2. I neutrini prodotti all'interno del Sole.  3. Gli esperimenti in corso sui neutrini solari di alta energia.  4. Il problema dei neutrini solari.  5. Gli esperimenti con il gallio.  6. La taratura di GALLEX con una sorgente artificiale di neutrini.  7. Gli esperimenti del futuro.  8. Esperimenti di terza generazione.  9. Conclusioni. □ Bibliografia.

1. Le proprietà del Sole

Fra tutte le stelle il Sole è per noi la più importante per una ragione alquanto ovvia: è di gran lunga la più vicina alla Terra, dato che dista appena 150 milioni di chilometri, circa 8 minuti luce! Per tutti gli altri aspetti possiamo considerare il Sole come un astro piuttosto comune: sappiamo che vive da circa quattro miliardi e seicento milioni di anni (circa un terzo della vita dell'universo) e che quindi come stella non è né giovane né vecchia; sappiamo poi che la sua massa - che indicheremo come M - è intermedia, dal momento che esistono stelle con massa notevolmente inferiore (qualche decimo della massa solare) e altre con massa molto maggiore. Il Sole fornisce al nostro pianeta una quantità rilevante di energia, più di un milione di erg per centimetro quadrato per secondo e pertanto la potenza totale emessa dal Sole, che ‛vede' la Terra sotto un angolo molto piccolo, è veramente grande: quasi 4 × 1033 erg al secondo. È lecito, allora, chiedersi da dove venga questa enorme quantità di energia. Potremmo naturalmente pensare che il Sole ‛bruci' come un'enorme palla di idrogeno e che l'energia sia di tipo chimico oppure gravitazionale: la sua vita, tenendo conto della potenza emessa, sarebbe così dell'ordine del milione di anni. Esistono però metodi molto precisi di datazione della Terra e più in generale del sistema solare, basati ad esempio sul rapporto esistente in natura tra gli isotopi 235 e 238 dell'uranio, e questi prevedono vite di alcuni miliardi di anni. Già dai primi decenni di questo secolo il problema dell'origine dell'energia solare era del tutto aperto e non si riusciva a suggerire un meccanismo ‛classico' di produzione di energia tale da risolverlo. L'astronomo inglese sir A. S. Eddington aveva però osservato che la massa di un atomo di elio era considerevolmente minore di quella di quattro atomi di idrogeno e aveva considerato la possibilità che questi ultimi si trasformassero nel primo. Fu solo poco prima della seconda guerra mondiale che il fisico americano di origine tedesca Hans Bethe costruì il primo modello solare, valido - seppur con opportune modifiche - ancor oggi.

Secondo questo modello, detto Standard Solar Model (SSM), il Sole si è formato da un'enorme nuvola di idrogeno che conteneva anche una considerevole quantità di elio. L'immensa forza di gravità generata dalla massa di gas ne causava - e ne causa - la compressione, alzando di conseguenza la densità e la temperatura al suo centro. Quando densità e temperatura raggiungono valori sufficientemente elevati si innescano reazioni di fusione nucleare che trasformano quattro atomi di idrogeno in un atomo di elio, che ha massa minore. È questa differenza di massa che, in base alla teoria della relatività, si trasforma in energia: per ogni atomo di elio si producono circa 28 milioni di elettronvolt (MeV). Nel prossimo capitolo descriveremo in dettaglio le reazioni nucleari che avvengono all'interno del Sole.

2. I neutrini prodotti all'interno del Sole

Le reazioni di fusione che avvengono all'interno del Sole formano due cicli: quello dell'idrogeno e quello del carbonio-azoto-ossigeno. È il primo, però, che contribuisce per la quasi totalità (98%) alla produzione dell'energia solare. La reazione iniziale, detta reazione p-p, è di gran lunga dominante sulle altre e consiste nella cattura di un atomo di idrogeno da parte di un altro atomo della stessa natura con la produzione di un atomo di deuterio, di un positrone (particella della stessa massa dell'elettrone, ma con carica positiva) e di un neutrino.

Si osservi che esistono tre tipi di neutrino: l'elettronico, il muonico ed il tauonico, associati rispettivamente a tre particelle cariche (dette, come i neutrini, leptoni) che sono l'elettrone, il muone e il tauone. Il muone e il tauone hanno masse che sono rispettivamente circa 200 e 3.500 volte quella dell'elettrone, ma per il resto assomigliano molto a questa particella: hanno carica negativa, spin pari a 1/2 e danno luogo alle stesse interazioni, deboli ed elettromagnetiche. L'attuale teoria delle interazioni deboli prevede però che i tre leptoni carichi e i neutrini corrispondenti siano caratterizzati da un diverso numero quantico, detto ‛sapore', che nei tre casi prende appunto il nome di elettronico, muonico e tauonico. Secondo questa stessa teoria il sapore si conserva: ad esempio, un neutrino elettronico non può trasformarsi in un neutrino muonico o tauonico, anche se questa trasformazione non violerebbe alcuna delle leggi di conservazione (spin, carica, ecc.) a noi note. Nel caso della reazione p-p l'energia si distribuisce praticamente solo tra il positrone e il neutrino, dato che quella di rinculo del deuterio è trascurabile. Il neutrino avrà quindi una distribuzione continua di energia. Molto più raramente, nello 0,25% dei casi, avviene la reazione p-e-p, in cui un elettrone catalizza la fusione dei due nuclei di idrogeno con la produzione di un atomo di deuterio accompagnato da un neutrino. Questo neutrino raccoglie la quasi totalità dell'energia a disposizione (quella di rinculo è trascurabile) ed è monocromatico con un'energia di 1,44 MeV. La reazione successiva è la fusione di un nucleo di idrogeno con uno di deuterio, con la formazione di un nucleo di 3He e l'emissione di un fotone. Successivamente due nuclei di 3He possono fondersi tra loro dando luogo a un nucleo di 4He e ‛restituendo' due protoni. Traendo a questo punto un bilancio delle particelle, vediamo che sei protoni hanno prodotto i due nuclei di 3He, ma che ne sono poi stati restituiti due. Inoltre sono stati prodotti due positroni, due neutrini e due raggi γ nonché naturalmente un nucleo di 4He. Accanto a queste reazioni, che sono dominanti, esistono dei processi, alquanto più rari, che potremmo definire ‛collaterali'. Il nucleo di 3He potrà venire catturato da un nucleo di 4He con l'emissione di un fotone e di un nucleo di 7Be, che, essendo radioattivo, cattura un elettrone trasformandosi con un tempo di dimezzamento di 53,28 giorni in 7Li ed emettendo un neutrino. Anche in questo caso, dato che l'energia di rinculo del nucleo prodotto è trascurabile, il neutrino emesso dovrebbe essere monocromatico. Avviene però che nel 10% dei casi la cattura elettronica produca il 7Li non nello stato fondamentale, ma in un livello eccitato a 478 keV, che successivamente si diseccita con l'emissione di un raggio γ. I neutrini emessi saranno quindi di due energie distinte: 861 keV per il 90% dei casi, quando la cattura elettronica avviene dando luogo allo stato fondamentale, e 861 - 478 = 383 keV, quando la cattura avviene sul livello eccitato. Successivamente, il 7Li cattura un protone producendo immediatamente due nuclei di 4He. Il 7Be ‛vive', come si è detto, abbastanza a lungo e potrà quindi catturare, seppur raramente, un protone, trasformandosi in 8B ed emettendo un fotone. Il 8B decade poi con emissione di un positrone e di un neutrino elettronico in 8Be che si disintegra immediatamente in due nuclei di 4He. Osserviamo che in entrambi i casi sono stati necessari quattro protoni per ogni nucleo di 4He prodotto.

Nel secondo ciclo, l'interazione di un protone con un nucleo di 12C produce, con l'emissione di un γ, un nucleo radioattivo di 13N che decade con emissione di un positrone e di un neutrino con spettro continuo. Il 13C così prodotto cattura un ulteriore protone e genera, con l'emissione di un γ, il nucleo stabile 14N. Per cattura di un protone si produce quindi, sempre radiativamente, l'isotopo radioattivo 15O che decade in 15N con emissione di un positrone e di un neutrino. Infine, un quarto protone, interagendo su quest'ultimo nucleo produce un nucleo, di 12C e uno di 4He. Si osservi come anche questo ciclo trasformi quattro protoni in un nucleo di elio. Il 12C presente all'inizio viene riprodotto alla fine: in termini chimici diremmo che funge da ‛catalizzatore'. Va osservato che il calore prodotto dalle reazioni di fusione che avvengono nel centro del Sole impiega migliaia di anni per raggiungerne la superficie. Quando osserviamo la luce prodotta da questa o da altre stelle ci riferiamo quindi a un fenomeno avvenuto molto tempo prima. Solo i neutrini filtrano indisturbati dal centro del Sole e raggiungono la Terra quasi in tempo reale, precisamente solo dopo otto minuti da quando sono stati generati, dato che la loro velocità è uguale, o comunque estremamente vicina, a quella della luce.

La grande importanza dello studio dei neutrini solari come sonda diretta per sapere quanto avviene all'interno del Sole, e per estensione nelle altre stelle, contrasta con le ovvie difficoltà legate alla bassissima probabilità di interazione di queste particelle. Cominciamo con l'osservare la distribuzione delle energie dei neutrini prevista dall'SSM.. Si riconoscono subito i neutrini di tipo monocromatico (quelli rappresentati da righe) e quelli con spettro continuo. È evidente che i neutrini di bassa energia, e in particolare quelli della reazione p-p, sono di gran lunga i più abbondanti. Purtroppo risulta più facile osservare sperimentalmente quelli di alta energia, perché la sezione d'urto cresce con il quadrato dell'energia stessa e il fondo di reazioni spurie è molto inferiore. Va però rilevato che il flusso dei neutrini di alta energia, e in particolare di quelli del boro, è non solo minore, ma anche calcolabile con molta minor attendibilità rispetto, per esempio, a quelli della reazione p-p.

3. Gli esperimenti in corso sui neutrini solari di alta energia

La difficoltà di tutti gli esperimenti sui neutrini solari è legata al fatto che le interazioni che si ricercano anche su rivelatori di grande massa sono molto rare: tipicamente qualche evento o frazione di evento per tonnellata per anno. Occorreranno quindi rivelatori di grande massa (centinaia di tonnellate), che dovranno inoltre essere installati in laboratori sotterranei: in superficie il debolissimo segnale dovuto alle interazioni di neutrini solari sarebbe completamente coperto dalle interazioni dei raggi cosmici. I materiali usati nel rivelatore dovranno inoltre contenere il minimo possibile di contaminazioni radioattive.

Il primo esperimento sui neutrini solari ha avuto inizio circa venticinque anni fa nella miniera di Homestake negli Stati Uniti, per iniziativa di Raymond Davis (v., 1989). La reazione studiata, suggerita da Bruno Pontecorvo, è la seguente:

νe + 37Cl → 37Ar + e-, (1)

seguita dal decadimento radioattivo di 37Ar, con un tempo di dimezzamento di 35 giorni:

e- + 37Ar → 37Cl + νe. (2)

Possono produrre questa interazione solo i neutrini con energia superiore a una soglia sperimentale di 813 keV.

Per estrarre - mediante trasporto forzato in un flusso di elio - i pochi atomi di 37Ar prodotti ogni cento giorni circa dai neutrini solari, si è usato un recipiente contenente ben 610 tonnellate di percloroetilene (C2Cl4). Questi atomi sono stati quindi inseriti in piccolissimi contatori proporzionali che permettono di ‛contarli'. Il segnale dovuto ai neutrini solari viene comunemente misurato in SNU (Solar Neutrino Units), dove uno SNU equivale a 10-36 catture di neutrino per atomo e per secondo. L'esperimento di Davis ha indicato un chiarissimo segnale, corrispondente a 2,55 ± 0,25 SNU. Questo risultato, seppure di grandissima importanza sperimentale, pone però più dubbi di quanti ne risolva: l'SSM prevede infatti un flusso ben tre volte maggiore.

La carenza dei neutrini solari rispetto alla teoria veniva confermata successivamente da un esperimento, denominato Kamiokande, installato nella miniera giapponese di Kamioka. L'obiettivo che l'esperimento si pone è quello di misurare le interazioni dei neutrini solari sugli elettroni di 680 tonnellate di acqua, osservando la luce Čerenkov prodotta dagli elettroni stessi. Un vantaggio che questo esperimento offre è quello di poter determinare, sia pur rozzamente, la direzione del neutrino che ha prodotto l'interazione, accertandone così l'effettiva provenienza dal Sole. Uno svantaggio deriva invece dal fatto che l'esperimento è sensibile solo a neutrini con energia superiore a 7 MeV circa, quindi solo a quelli generati da 8B. Anche in questo caso si è osservato un segnale molto chiaro dovuto ai neutrini solari, che è però pari a circa metà di quanto previsto dall'SSM.

4. Il problema dei neutrini solari

La discrepanza tra dati sperimentali e previsioni teoriche costituisce il cosiddetto ‛problema dei neutrini solari' (Solar Neutrino Problem, SNP), che da parecchi anni si sta cercando di risolvere. Sono state avanzate alcune ipotesi per spiegare tale discrepanza: una prima possibilità è che il modello solare standard sia inadeguato a predire il flusso dei neutrini di alta energia, mal determinabili teoricamente. Va infatti osservato che il flusso previsto per i neutrini dalla reazione che porta al 7Be è proporzionale all'ottava potenza della temperatura centrale del Sole, mentre quello del 8B dipende addirittura dalla diciottesima potenza! Basterebbero quindi piccole variazioni nella temperatura centrale del Sole, peraltro ritenute assai improbabili dagli astrofisici, per risolvere l'SNP.

Una seconda possibilità, che riguarda direttamente le proprietà fisiche del neutrino, è stata suggerita da Bruno Pontecorvo. Se infatti la massa di almeno uno dei neutrini fosse diversa da zero e se il numero di sapore non fosse conservato, i neutrini elettronici prodotti al centro del Sole potrebbero, nel loro lungo viaggio tra Sole e Terra o ancor più all'interno del Sole, ‛oscillare' trasformandosi parzialmente in neutrini muonici o tauonici. Questi ultimi due tipi di neutrini non possono ovviamente dar luogo a una reazione quale la (1) nell'esperimento del cloro e darebbero comunque un segnale molto inferiore a quello dei neutrini elettronici nelle interazioni con gli elettroni rivelate nell'esperimento Kamiokande.

Va rilevato che le oscillazioni del neutrino non sono state rivelate finora in alcun esperimento condotto con gli acceleratori di particelle e che la loro scoperta avrebbe un impatto enorme nella fisica delle particelle elementari. Ci si doveva quindi assicurare che il deficit di neutrini solari, specialmente alle alte energie, non fosse semplicemente dovuto alla inadeguatezza dell'SSM. Per questa ragione risultava cruciale cercare i neutrini solari con esperimenti sensibili ai neutrini di bassa energia e in particolare a quelli, alquanto ben determinati teoricamente, della reazione p-p.

5. Gli esperimenti con il gallio

Sono attualmente in corso due esperimenti sulla reazione, suggerita dal fisico russo V. Kuzmin,

νe + 71Ga → 71Ge + e-, (3)

seguita dal decadimento radioattivo del 71Ge, con un tempo di dimezzamento di 11,4 giorni:

e- +71Ge → 71Ga + νe. (4)

La soglia per questa reazione è di 233 keV, ben inferiore all'energia massima dei neutrini della reazione p-p: in realtà ci si aspetta che più di metà degli atomi di 71Ge prodotti nell'esperimento sia dovuta all'interazione di questi neutrini. Più precisamente i calcoli teorici prevedono un segnale totale tra 125 e 132 SNU, in cui almeno 70 SNU sono dovuti alla reazione p-p.

Un primo esperimento sulle interazioni dei neutrini solari che utilizza il gallio è stato chiamato SAGE (Soviet American Gallium Experiment) ed è attualmente in corso presso il laboratorio sotterraneo di Baksan nel Caucaso (v. figg. 3 e 4). Si tratta di un insieme di recipienti (all'inizio quattro, attualmente otto) contenenti 30-60 tonnellate di gallio liquido (la temperatura di fusione del gallio è di soli 29 °C). Ogni 3-4 settimane il liquido è opportunamente acidificato, così da trasformare i pochi atomi di 71Ge prodotti in un composto volatile, il tetracloruro di germanio. Questo viene estratto con aria e trasformato nel cosiddetto ‛germano' (GeH4), anch'esso gassoso, che viene inserito, come nell'esperimento di Davis, in un contatore proporzionale per contare gli atomi di 71Ge prodotti dai neutrini solari.

I primi risultati di questo esperimento, pubblicati nel dicembre del 1990, ebbero uno straordinario impatto sulla comunità scientifica: il segnale dovuto ai neutrini solari era vicino, sia pur con un errore notevole, allo zero, il che comportava come unica ipotesi esplicativa quella delle oscillazioni dei neutrini.

Il secondo esperimento, detto GALLEX (Gallium Experiment), è condotto in collaborazione da gruppi francesi, tedeschi e italiani, con la partecipazione di un piccolo gruppo americano e di uno israeliano, presso il Laboratorio Nazionale dell'Istituto Nazionale di Fisica Nucleare costruito nel massiccio del Gran Sasso, il più grande laboratorio sotterraneo del mondo. Il ‛bersaglio' è costituito in questo caso da 102 tonnellate di soluzione contenenti 30,3 tonnellate di gallio sotto forma di tetracloruro (GaCl3). L'estrazione, alquanto più semplice che in SAGE, avviene facendo fluire ogni 3-4 settimane il tetracloruro di gallio mediante trasporto forzato con azoto. Il procedimento di trattamento chimico e di misura successivo è simile a quello adottato da SAGE, anche se l'efficienza di estrazione e di conteggio è considerevolmente maggiore.

I primi risultati di questo esperimento sono stati presentati e pubblicati nel giugno del 1992: si osservava un segnale nettissimo dovuto ai neutrini solari, anche se ancora una volta inferiore alle previsioni dell'SSM. Un secondo esperimento della collaborazione SAGE, in contrasto con il primo, indicava un segnale del tutto consistente con quello rivelato da GALLEX. Riportiamo nella tab. I i risultati ottenuti fino a oggi dai due esperimenti, indicando separatamente gli errori statistici e quelli sistematici.

Tabella 1

I risultati di GALLEX, ormai confermati da SAGE, indicano anzitutto un forte segnale che potrebbe render conto dell'intera previsione per il contributo dei neutrini della reazione p-p (70 SNU). La reazione p-p rappresenta il ‛cuore' della fusione solare e il flusso di questi neutrini è direttamente correlato alla luminosità del Sole: una sua forte soppressione non potrebbe che significare il completo fallimento del modello solare standard, oppure provare la presenza di oscillazioni del neutrino. Va però notato che anche gli esperimenti con il gallio confermano la scarsezza dei neutrini ad alta energia mostrata dagli esperimenti di Homestake e Kamioka.

6. La taratura di GALLEX con una sorgente artificiale di neutrini

Un problema di tutti gli esperimenti che abbiamo qui descritto è costituito dalla necessità di accertare senza ombra di dubbio che essi siano in grado di rivelare i neutrini provenienti dal Sole. L'unico modo è quello di esporre l'apparato sperimentale usato per la rivelazione dei neutrini solari a fasci di neutrini artificiali di energia e intensità nota. In pratica ciò si può fare solo con sorgenti radioattive molto intense di neutrini prodotti per cattura elettronica. Negli esperimenti con il gallio si è pensato di usare il decadimento

e- + 51Cr → 51V + νe (751 keV) (90,2%) (5)

51V* + νe (431 keV) (9,8%), (6)

dove la cattura elettronica porta nella maggior parte dei casi al livello fondamentale del 51V con emissione di neutrini da 751 keV, ma può portare anche allo stato eccitato a 320 keV con conseguente emissione di un fotone. In questo caso l'energia del neutrino sarà solamente di 431 keV.

Per produrre una sorgente molto intensa di 51Cr, che ha un tempo di dimezzamento di 27,7 giorni, occorre esporre del cromo a un fascio molto intenso di neutroni prodotti, ad esempio, in un reattore nucleare. Il 51Cr viene prodotto attraverso la seguente reazione:

n + 50Cr → 51Cr + γ. (7)

La collaborazione GALLEX ha prodotto una sorgente molto intensa di 51Cr con cui ha ‛tarato' il suo apparato sperimentale. Più che di una taratura si tratta in realtà di un esperimento vero e proprio il cui significato va ben al di là del problema dei neutrini solari.

Osserviamo anzitutto che l'isotopo 50Cr ha nel cromo naturale un'abbondanza pari solo al 4,35%: l'utilizzo di cromo naturale comporterebbe quindi un enorme ‛spreco' di neutroni. In collaborazione con l'Istituto Kurchatov di Mosca, si sono quindi prodotti ben 36 chilogrammi di cromo arricchito al 38% in 50Cr. Dal 24 maggio al 20 giugno 1994, questo materiale è stato esposto in continuazione a un fascio di circa 5 × 1013 neutroni/(cm-2 s-1) nel reattore sperimentale SILOE da 35 MWatt del Centro di Studi Nucleari di Grenoble, in Francia. In definitiva, si è ottenuta una potentissima sorgente radioattiva di cui si è misurata l'attività con vari metodi. Particolarmente efficace è risultato il metodo calorimetrico, utilizzato fin dai tempi dei coniugi Curie, basato sulla misura dell'energia prodotta dalla radioattività della sorgente sotto forma di calore. Si è ottenuta un'attività di circa 1,75 × 106 ν/(cm2 s): si tratta della sorgente di neutrini più potente mai realizzata artificialmente. Ci si può chiedere se questa sorgente sia pericolosa: i neutrini naturalmente non lo sono, ma potrebbero esserlo i fotoni da 320 keV, o ancor più quelli di energia maggiore prodotti, per attivazione di eventuali impurezze nel materiale, dall'enorme flusso di neutroni incidente. In realtà la dose fornita dalla radiazione all'esterno della schermatura è risultata del tutto trascurabile, inferiore di due ordini di grandezza rispetto ai valori richiesti per il trasporto e l'utilizzo della sorgente stessa. Immediatamente dopo la sua preparazione, la sorgente è stata inserita nel recipiente che contiene la soluzione di tricloruro di gallio. Si è subito osservato un segnale pari a circa 15 volte quello dovuto ai neutrini solari, che col passare del tempo si è attenuato in accordo con il decadimento del 51Cr e dopo tre mesi e mezzo era divenuto equivalente a quello dei neutrini solari. Il conteggio degli atomi di 71Ge prodotti dalla sorgente ha permesso di ricavare con un procedimento ‛neutrinico' l'attività della sorgente stessa. Essa è risultata in accordo, entro gli errori, con quella misurata a Grenoble.

Questa misura ha un'importanza che esula dalla fisica dei neutrini solari. Si possono fare le seguenti considerazioni: a) per la prima volta si sono osservate le interazioni di neutrini da una sorgente radioattiva, mentre finora l'osservazione terrestre era limitata a neutrini e antineutrini di alta energia da acceleratori oppure ad antineutrini da reattori nucleari; b) è stato provato per la prima volta che un esperimento sui neutrini solari era in grado di osservare queste particelle con un'efficienza vicina al 100%; c) la carenza del segnale dai neutrini solari negli esperimenti con il gallio non può che attribuirsi a una inadeguatezza del modello solare standard o a processi finora sconosciuti, quali le oscillazioni dei neutrini, e non a inefficienza del sistema di rivelazione.

7. Gli esperimenti del futuro

Tutti e quattro gli esperimenti descritti in precedenza sono attualmente in funzione: tre, quelli sul cloro e sul gallio sono di tipo radiochimico, il quarto è un esperimento di rivelazione diretta. Sono inoltre in stato di progetto avanzato o addirittura già approvati e in costruzione alcuni esperimenti, che chiameremo di seconda generazione.

Altri esperimenti, di tipo geochimico, sono basati sull'estrazione dei nuclei prodotti dai neutrini solari in una roccia e accumulatisi in essa dal momento della sua formazione. Dato il tasso estremamente basso delle interazioni dei neutrini, occorrerà estrarre la roccia in esame da grandi profondità, onde ridurre il fondo di eventi spuri che nella roccia stessa potrebbero essere stati prodotti dai raggi cosmici. In un esperimento condotto nel laboratorio di Los Alamos negli Stati Uniti si sono esaminate centinaia di tonnellate di molibdenite estratte da grandi profondità per ricercare i pochi atomi di tecnezio prodotti dalle reazioni:

νe + 97Mo (98Mo) → 97Tc (98Tc) + e-. (8)

L'esperimento non ha dato finora risultati significativi a causa di una imprevista contaminazione di tecnezio non dovuta a neutrini solari.

Un esperimento simile, per ora solo in progetto, consiste nell'estrazione, in una miniera di tallio in Macedonia, della roccia chiamata lorandite per cercare l'isotopo 205Pb prodotto dai neutrini solari nell'interazione con il 205Tl.

Sono poi in studio e in parte realizzati quattro nuovi esperimenti basati sulla rivelazione diretta dei neutrini solari: 1) SuperKamiokande (Giappone). È l'estensione, realizzata di recente, dell'esperimento Kamiokande con la costruzione di un rivelatore Čerenkov costituito da ben 50.000 tonnellate d'acqua. 2) SNO (Sudbury Neutrino Observatory). Si tratta anche in questo caso di un rivelatore Čerenkov, dove però la parte interna è costituita da 1.000 tonnellate di acqua pesante (D2O) onde osservare le interazioni dei neutrini solari non solo sull'idrogeno, ma anche sui nuclei del deuterio. Il laboratorio ha recentemente concluso i lavori per la sua costruzione (primavera 1998) e dovrebbe avere inizio la fase operativa. 3) Borexino. Si tratta di un rivelatore costituito da 300 tonnellate di scintillatore liquido per rivelare le interazioni di neutrini con una soglia relativamente bassa (250 keV circa) da installarsi presso il Laboratorio del Gran Sasso. Misure molto accurate delle contaminazioni radioattive ne hanno garantito recentemente la fattibilità. 4) Icarus. Si tratta di una camera a deriva temporale, detta TPC (Time Projection Chamber), contenente argon liquido da installarsi nel Laboratorio del Gran Sasso. Si è già realizzato al CERN un primo prototipo di tre tonnellate che ha permesso di ottenere bellissime immagini di eventi prodotti dagli acceleratori e dai raggi cosmici. Il secondo passo dovrebbe essere la costruzione di un prototipo di 182 tonnellate, da utilizzarsi anche per la ricerca delle oscillazioni di neutrini prodotti da un acceleratore del CERN e inviati al Laboratorio del Gran Sasso.

8. Esperimenti di terza generazione

L'interesse per il problema dei neutrini solari e lo sviluppo di nuove tecniche ha portato a studi di fattibilità di esperimenti che potrebbero chiamarsi di terza generazione. Ricordiamo la proposta, da parte di un gruppo del CERN, di un esperimento (Hellaz) basato sulla ricerca della diffusione elastica dei neutrini solari su atomi di elio gassoso tenuto a una pressione di 10 atmosfere; un'altra proposta è quella, avanzata da un gruppo americano, riguardante l'impiego di scintillatori solidi di ioduro di litio per rivelare le interazioni dei neutrini solari su 7Li e su 127I.

Una nuova tecnica che si potrebbe impiegare in esperimenti sui neutrini solari è quella, suggerita già dieci anni fa da Tapio Niinikosky del CERN e dall'Autore, basata sul fatto che la capacità termica di un cristallo perfettamente diamagnetico e dielettrico tenuto a temperature appena al di sopra dello zero assoluto risulta estremamente piccola. Come conseguenza, anche la ridottissima energia fornita da una particella sotto forma di calore potrà essere sufficiente a produrre un innalzamento misurabile della temperatura del cristallo stesso. Questo innalzamento potrà essere rivelato e misurato trasformandolo in impulso elettrico con opportuni dispositivi detti ‛termistori'. Rivelatori basati su questa nuova tecnica sono in via di realizzazione in vari paesi per ricerche su eventi rari e tre gruppi (di Milano, della collaborazione Genova-Mosca e dei laboratori A&T Bell) stanno considerandone l'impiego in vista di esperimenti sui neutrini solari.

9. Conclusioni

Le ricerche sui neutrini solari costituiscono l'unico mezzo per studiare ‛in linea' quello che avviene all'interno del Sole; esse rappresentano anche un modo per indagare, estendendo tale studio alle altre stelle, l'evolversi dell'universo.

I risultati sperimentali attuali, condotti con tecniche diverse, mostrano senza ombra di dubbio l'esistenza dei neutrini solari, ma il loro flusso sembra decisamente inferiore a quanto previsto dalla teoria. È troppo presto per sapere se ciò sia dovuto a una inadeguatezza del modello solare standard - il che modificherebbe la nostra interpretazione della nascita, vita e morte delle stelle - o a proprietà nuove e ancora non provate del neutrino. Si tratta di un bellissimo esempio di come i problemi più avanzati della fisica nucleare e subnucleare siano ormai inscindibili da quelli dell'astrofisica.

Siamo solo all'inizio di una serie di iniziative sperimentali, basate su tecniche nuove e a volte rivoluzionarie, che potranno in un futuro relativamente vicino portare non solo a una migliore osservazione dei neutrini solari, ma anche alla determinazione dell'energia dei singoli eventi. Ciò potrebbe condurre alla determinazione dettagliata del flusso dei neutrini emessi dal Sole, nonché all'individuazione del particolare processo di fusione in cui essi sono stati generati. Lo studio sperimentale dei neutrini solari porta a utilizzare - e talvolta a inventare - tecnologie che trascendono quelle tradizionali della fisica delle particelle elementari e della stessa astrofisica, coinvolgendo anche problematiche della chimica in generale e della radiochimica in particolare, della geologia, della criogenia, della fisica ambientale, ecc. Un esempio della natura interdisciplinare di queste ricerche è fornito dalla recente realizzazione in laboratorio dell'equivalente, per quel che riguarda la produzione di neutrini, di un piccolo Sole, costituito da una sorgente di neutrini di intensità mai raggiunta finora.

Bibliografia

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