COLONNA, Niccolò

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 27 (1982)

COLONNA, Niccolò

Peter Partner

Del ramo di Palestrina della famiglia, nacque nella seconda metà del XIV secolo da Stefano (Stefanello) e da Sancia, figlia di Onorato Caetani conte di Fondi. Alla morte del padre, il C. e il fratello Giovanni mantennero indiviso il feudo di Palestrina apparentemente in base ad un accordo per cui Giovanni accettava condotte militari, in Toscana e altrove, assicurando in tal modo alla famiglia l'entrata di denaro contante, mentre il C. era responsabile del governo di Palestrina e dei villaggi circostanti, nonché dell'amministrazione delle terre e della difesa della proprietà e degli interessi politici dei Colonna nella città di Roma. La tregua dell'8 maggio 1391, ad esempio, fra i Colonna e i Conti, i Savelli e gli Annibaldi fu ratificata a Palestrina "congregati set cohadunatis populo… de mandato et voluntate magnifici viri domini Nicolai de Columna".

Durante l'ultimo decennio del secolo XIV il C. e il fratello Giovanni sembrano comportarsi con prudenza nel conflitto tra l'obbedienza romana e quella avignonese. La formale devozione al pontefice romano - ribadita il 4 genn. 1393 da Giovanni che denunciava come calunniose le voci di un passaggio del C. al partito avignonese - dovette loro apparire strumento idoneo al mantenimento pacifico delle proprietà familiari. Il 3 marzo 1397, quando entrò in vigore la pace di Roma imposta da Bonifacio IX, come appare dall'atto rogato "in regione Columpne, in domibus residentie magnifici viri domini Nicolai de Columpnis", il C. - che due anni prima (10 maggio 1395) era stato con il fratello "raccomandato" del Comune di Firenze - sembra godere indisturbato il possesso delle sue proprietà in Roma. Nel 1400, invece, il C. si ribellò contro il pontefice romano. Il 15 gennaio egli entrò a Roma con 400 cavalieri e altrettanti fanti, ponendo l'assedio al Campidoglio e alla chiesa di S. Maria in Aracoeli. Ma la decisa opposizione del senatore Zaccaria Trevisan e del fratello del papa, Giovannello Tomacelli, costrinse il C. a ritirarsi nel suo palazzo e quindi ad abbandonare la città. Agli inizi della guerra che seguì questa azione, le truppe del C. compirono scorrerie fino alle mura di Roma, mentre altri attaccavano la quasi indifesa Velletri. L'8 marzo il Comune di Velletri lamentò la sua impossibilità di difendersi dall'aggressione del Colonna. Le truppe papali allora, sotto il comando del fratello del papa e di Tebaldo Annibaldi, passarono all'offensiva e portarono la guerra nella fortezza colonnese di Palestrina. Nell'estate il C. fu costretto ad addivenire ad una tregua con i suoi nemici, tregua che il 4 luglio egli ratificò e prolungò per tutto il mese. Il 30 dicembre fu concesso a Giovanni Colonna un salvacondotto per recarsi a Roma al fine di negoziare la sottomissione sua e del fratello; egli arrivò alla conclusione di un accordo con il pontefice il 15 genn. 1401. L'estensione dell'autorità colonnese, riconosciuta dal Papa nella zona intorno a Roma, era messa in risalto nel trattato, che concedeva Gallese e Porto Azelio ai due fratelli. Dato che essi controllavano già da prima Castelnuovo di Porto, il trattato virtualmente riconosceva loro il controllo della via Flaminia e del Tevere in quell'importante punto; strategico. Tale concessione induce a pensare a connessioni colonnesi con le ambizioni del Visconti in Umbria, per la quale la Flaminia era un collegamento vitale.

La morte di Bonifacio IX offrì ai Colonna un'opportunità di cui essi approfittarono. Durante il conclave, il 7 ott. 1404 il C., con il fratello Giovanni, Battista Savelli e Adinolfo Conti, tentò di nuovo di impadronirsi del Campidoglio con la forza. Ancora una volta, però, il partito colonnese all'interno di Roma risultò troppo debole per portare a termine un'azione vittoriosa e il C. fu di nuovo costretto a barricarsi nel suo palazzo romano. I banderesi romani ebbero successo nel controllare la città contro i Colonna; inoltre l'elezione di Innocenzo VII (17 ottobre) e l'ingresso di re Ladislao nella città (19 ottobre) mantennero in vita il governo popolare. Tra la fine dell'anno e l'inizio del successivo, però, il C. e il fratello Giovanni si riappacificarono con il governo municipale tanto che il 15 apr. 1405 i due fratelli guidarono la spedizione romana contro Tebaldo Annibaldi della Molara, lo stesso che nel 1400 era stato a capo dell'esercito inviato contro di loro da Bonifacio IX: il C. si accampò vicino alla fortezza della Molara, presso il lago di Albano, e devastò la zona sotto Rocca di Papa. Inoltre, le successive vicende romane, caratterizzate da una violenta lotta tra le fazioni, consentirono al C. di intervenire più decisamente nella vita politica della città. Forse implicato nell'esecuzione di Bartolomeo Carafa, egli fu certamente avvantaggiato dallo stato di confusione e di incertezza in cui venne a trovarsi Roma in seguito all'assassinio di parecchi membri del governo dei banderesi da parte del nipote del papa, Ludovico Migliorati. L'8 ag. 1405 il C., con il fratello Giovanni, si accordò con i membri del governo popolare per attaccare il palazzo Vaticano dalla portica di S. Pietro. Il palazzo, scarsamente difeso da Iacopo Tedaldini e dalle guardie papali, fu invaso dal C. e messo a sacco. Il pontefice fuggì a Viterbo e Roma per alcuni giorni rimase sotto il controllo dei Colonna. Il governo dei ribelli non fu però in grado di difendere il Campidoglio dall'attacco delle truppe inviate dal papa le quali il 26 agosto entrarono in città. Il C., con il fratello Giovanni e il loro alleato Battista Savelli, fuggì da Roma e si rifugiò nelle sue terre, dove rimase anche dopo la scomunica comminatagli da Innocenzo VII il 14 giugno 1406. Il suo nome compare tra quelli dei sostenitori e vassalli di Ladislao nella pace conclusa fra il sovrano napoletano e il papa il 13 agosto successivo.

Rifiutando ostinatamente di accettare la sconfitta, il C. e il fratello Giovanni attaccarono di nuovo Roma il 3 giugno 1407. Il tentativo ebbe esito ancora più disastroso di quello dei precedenti: il C. fu catturato a porta S. Lorenzo da Paolo Orsini, cui dovette pagare un forte riscatto. Il governo pontificio venne rovesciato solo quando Ladislao condusse a Roma il suo esercito nell'aprile del 1408. Il giorno 24 il C. fu visto dal cronista Antonio di Pietro dello Schiavo nel monastero di S. Paolo fuori le Mura in compagnia di Ladislao e di altri baroni romani e napoletani. Fuori della porta S. Paolo il re congedò il C. e il fratello e proibì loro di entrare in Roma senza un suo permesso; il 23 giugno rinnovò la proibizione. A Roma, comunque, lo troviamo nell'autunno del 1409 quando la città, difesa dalle truppe di Ladislao, venne attaccata dalla lega angioina.

All'inizio dell'attacco il C. sembra impegnato soprattutto in saccheggi e ruberie, come quando fermò alcuni navigli sul Tevere, a S. Leonardo (secondo Antonio dello Schiavo) e li saccheggiò. In seguito, però, con Castel Sant'Angelo e "Meta Romuli" in mano agli Angioini la stretta militare sulla città si rinserrò, e il C. guidò la resistenza romana. Successivamente, il 4 novembre, egli, che il giorno prima aveva distrutto e appiccato il fuoco a porta Nuova di S. Spirito, insieme con il conte di Troia e Betto di Napoli, passò in rivista i fanti di re Ladislao nella regione di Ponte, vicino alle mura di ponte S. Pietro. Il 19 novembre, poi, fece una sortita con il conte di Troia da porta Settimiana e distrusse le macchine di assedio - particolarmente le "vertesche" nel campanile di S. Pietro e di S. Spirito in Sassia - dell'esercito angioino alla portica di S. Pietro; distrusse anche il mulino di S. Spirito sul Tevere. Il 23 fece un'ulteriore sortita dalla porta di S. Giovanni in Laterano per cercare di recuperare il bottino fatto a Roma dalle truppe angioine, ma non ebbe successo. Il medesimo giorno le sue forze e quelle del conte di Troia furono battute da Paolo Orsini a S. Spirito in Sassia e dovettero ritirarsi attraverso porta Settimiana. L'attacco angioino continuò a concentrarsi nella zona intorno a S. Pietro. Il 26 il C. occupò con le sue truppe l'ospedale di S. Spirito in Sassia e, muratene le porte, attese a fortificarvisi il meglio possibile. Il 14 dicembre fece una sortita da Roma verso Monticelli nella Campagna romana (dove i Colonna occupavano parecchi castelli), per punire i cittadini di Tivoli ribellatisi. Intanto, mentre la posizione delle truppe napoletane in Roma si andava rapidamente indebolendo, il 28 dicembre Malatesta Malatesta, a capo delle truppe della lega angioina, attaccava Roma a S. Lorenzo e a S. Agnese. Il C. difese porta Salaria con 60 cavalli; ordinò anche ai canonici di S. Pietro di evacuare la chiesa. Il giorno dopo egli con il conte di Troia e con Battista Savelli uscì da porta Settimiana e attaccò le truppe di Paolo e Iacopo Orsini alla portica di S. Pietro. Un contrattacco degli Orsini lungo via Settimiana ebbe successo, determinando alla fine la sconfitta dei Colonna e delle forze napoletane. L'esercito della lega angioina entrò nella città il 1° genn. 1410 e il C. si ritirò ancora una volta nei suoi castelli della Campagna romana.

Dopo questa sconfitta il C. dapprima rifiutò le proposte di accordo avanzate da Giovanni XXIII; ma il 14 marzo 1410 finì per accettare la mediazione di Benedetto Caetani. Come era avvenuto in molte altre occasioni sotto i suoi predecessori, il papa trovò opportuno concedere vaste aree di proprietà della Chiesa ai baroni romani, per garantirsi la loro fedeltà. Il 18 luglio Giovanni XXIII assolse il C. e il fratello Giovanni dal reato di ribellione contro la Chiesa e autorizzò l'abate di S. Martino al Cimino a Viterbo ad affittare ai due fratelli terre di alcuni monasteri. Il medesimo giorno il pontefice concesse al C. e a Giovanni, per una durata variante fra i tre e i dieci anni, Civita Lavinia, Passerano, Corcolle, San Vittorino, Frascati, Genzano e Ariccia. Questi luoghi erano tutti di proprietà di varie chiese e monasteri romani e tutti erano stati abusivamente occupati dai Colonna durante lo scisma. Alcuni di essi pervennero più tardi ai Colonna di Genazzano, invece che a quelli di Palestrina; le concessioni documentano, comunque, un notevole passo avanti compiuto dai baroni romani nella lunga battaglia ingaggiata per assumere il controllo delle proprietà della Chiesa site nella zona di Roma.

Il C. sopravvisse soltanto pochi giorni alla pace con il pontefice: morì infatti il 13 ag. 1410 a Palestrina dove venne sepolto.

Fonti e Bibl, Diario attribuito a Gentile Delfino, in Rer. Ital. Script., 2 ed., XXIV, 2, a cura di F. Isoldi, pp. 77 s.; Antonio di Pietro dello Schiavo, Diarium Romanum, ibid., XXIV, 5, a cura di F. Isoldi, ad Indicem; Cronica volgare diAnonimo fiorentino…, ibid., XXVII, 2, a cura di E. Bellondi, pp. 184, 362, 395; A. Theiner, Codex diplomaticus dominii temporalis S. Sedis, III, Romae 1862, pp. 105, 111, 154; I Capitoli del Comune di Firenze, a cura di C. Guasti, I, Firenze 1866, pp. 525 ss.; Raynaldus, Annales eccles. post Baronum, XXVII, Parisiis 1874, ad annos 1406, 1409; I. Giorgi, Relazione di Saba Giaffri, in Arch. della R. Soc. romana di storia patria, V (1882), pp. 208 ss.; S. In fessura, Diario della città di Roma, a cura di O. Tommasini, Roma 1890, in Fonti per la storia d'Italia, V, pp. 12 s., 16 s.; Theoderici de Nyem De Scismate, a cura di G. Erler, Lipsiae 1890, pp. 191 s., 233-236; N. Ratti, Storia di Genzano con note e docum., Roma 1797, pp. 37 s.; A. Galieti, Il castello di Civita Lavinia, in Arch. della R. Soc. romana di storiapatria, XXXII (1909), p. 252; I. Guiraud, L'Etat pontifical après le Grand Schisme, Paris 1896, p. 44; N. Valois, La France et le Grand Schismed'Occident, III, Paris 1901, p. 523; IV, ibid. 1902, pp. 123, 135; P. Partner, The Papal Stateunder Martin V, London 1958, ad Indicem; A. Ilari, Frascati tra Medio Evo e Rinascimento, Roma 1965, pp. 37 s.; A. Esch, Bonifaz IX. undder Kirchenstaat, Tübingen 1969, pp. 249, 316-319, 325, 335, 446, 484.

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