FORTEGUERRI, Niccolò

Enciclopedia Italiana (1932)

FORTEGUERRI, Niccolò

Quinto Santoli

Poeta giocoso e satirico, nato a Pistoia il 6 novembre 1674, morto a Roma il 17 febbraio 1735. Di famiglia nobile, già resa illustre dal cardinale Niccolò e dall'umanista Scipione, destinato come terzogenito al sacerdozio, ricevette a dodici anni la prima tonsura. Studiò a Pistoia, a Siena e a Pisa, ove si laureò in giurisprudenza nel 1695. Fu mandato in quell'anno stesso a Roma, e raccomandato a mons. Carlo Agostino Fabroni suo parente (che poi nel 1706 fu cardinale). Seguì nel 1702 mons. Zondadari in un'ambasceria presso Filippo V re di Spagna; ma ne ritornò stanco e deluso. Dal 1705 in poi visse continuamente a Roma, occupato in uffici di Curia, canonico di S. Maria Maggiore, poi di S. Pietro, e finalmente (1730) segretario di Propaganda quando fu fatto papa, col nome di Clemente XII, il card. Corsini, che gli era benevolo. Amico di G. M. Crescimbeni e di Eustachio Manfredi, fu ascritto nel 1710 all'Arcadia col nome di Nidalmo Tiseo, e ammirato per le sue facili e briose liriche.

Nel 1716 mise mano a un poema di soggetto cavalleresco in 30 canti in ottave, che intitolò Ricciardetto. Attese nelle ore d'ozio a questo poema dal 1716 al'25, e continuò anche dipoi il lavoro di lima con ritocchi, modificazioni e aggiunte. La materia trattata è quella stessa del Pulci (a cui più si avvicina), del Boiardo (che il F. leggeva nel rifacimento del Berni) e dell'Ariosto; ma volta al burlesco. Frequenti nel poema le allusioni a casi e personaggi del tempo; frequenti gli sfoghi satirici contro le donne, i frati, e specialmente contro la Curia, nella quale il F. si sentì quasi sempre a disagio. Il poema, dopo aver circolato manoscritto, vivente l'autore, fu pubblicato nel 1738 a Venezia con la falsa data di Parigi e sotto il nome di Niccolò Carteromaco. La migliore edizione è quella pubblicata a Milano nel 1813. Notevoli, del F., anche i Capitoli (Genova 1765-1777), che sono lettere in versi di sapore ariostesco ad amici intimi, nelle quali il poeta dà libero sfogo al suo cuore amareggiato e dipinge al vivo, con intendimento satirico, la vita della Curia. Di scarso valore sono gli Apologhi latini (pubblicati dal Camici, v. Bibl.); pedestre e poco felice la traduzione delle commedie di Terenzio, che uscì postuma (Urbino 1736). Scrisse due orazioni latine, una per la morte del papa Innocenzo XII (Roma 1700), e l'altra per la solenne traslazione del corpo di S. Leone Magno (Roma 1715); collaborò a pubblicazioni storiche per illustrare l'opera svolta dalla Congregazione di propaganda.

Bibl.: G. Procacci, N. F. e la satira toscana de' suoi tempi, Pistoia 1877; F. Camici, Notizie della vita e delle opere di N. F., Siena 1895 (in appendice, 20 apologhi latini inediti, e l'elenco degli autografi del F.); C. Zacchetti, Una vita inedita di N. F., Oneglia 1898; id., Il Ricciardetto dei N. F., Torino 1899; F. Bernini, Il Ricciardetto di N. F., Bologna 1900; G. Beani, Intorno ad alcuni scritti inediti di mons. N. F., Pistoia 1905.

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