NICCOLÒ I papa, santo

Enciclopedia Italiana (1934)

NICCOLÒ I papa, santo

Raffaello Morghen

Nato da nobile famiglia romana, tra la fine del sec. VIII e gl'inizî del IX, entrato nel patriarchio lateranense sotto Sergio II, divenne durante il pontificato di Leone IV e specialmente sotto quello del suo successore Benedetto III, il consigliere più ascoltato del pontefice e il maggiore ispiratore della politica della Chiesa. Perciò, senza contrasti, anzi col favore dello stesso imperatore Ludovico II, alla morte di Benedetto III, fu eletto papa il 7 aprile 858.

Egli saliva al trono pontificio quando contro il principio dell'autorità e della primazia del vescovo di Roma, già da tempo affermata, si scatenavano gli assalti più violenti da parte degl'imperatori bizantini, che si atteggiavano a capi della chiesa orientale, dei sovrani carolingi, eredi del cesaropapismo di Carlomagno, riaffermato con la costituzione di Lotario dell'824, dei metropoliti delle principali chiese nazionali, che in nome di tradizionali prerogative, tendevano a sottrarsi al controllo di Roma o a limitarne molto l'efficacia e l'estensione. A tutte queste forze Niccolò I si oppose con indomita energia, ponendo le basi di quella che sarà poi fondamentalmente la concezione dei poteri del pontefice, che trionferà con Gregorio VII. Tutto il breve periodo del pontificato di Niccolò I è così sconvolto da contrasti tra i maggiori che la Chiesa abbia mai dovuto sostenere.

Fino dall'857 Lotario II re di Lorena aveva tentato con tutti i mezzi di far annullare il suo matrimonio con l'invisa Teuteberga, per unirsi a una sua concubina di nome Waldrada. Sul conto dell'infelice sposa erano state diffuse le accuse più infami, e nel biennio 860-862, in varî concilî, dominati dai due arcivescovi di Colonia e di Treviri, Guntero e Tilgaldo, il compiacente episcopato lorenese aveva pronunciato (Aix, 29 aprile 862) l'annullamento del matrimonio di Lotario, basandosi su una confessione di colpevolezza, che Teuteberga dichiarò estortale con la violenza.

Nell'858 Michele III, imperatore d'Oriente, aveva deposto dal seggio patriarcale Ignazio e vi aveva innalzato di sua autorità un grande funzionario laico della corte, il protospatario Fozio, che nell'860 inviava messi a Roma per chiedere la conferma. Nello stesso anno violente accuse e fieri lamenti venivano portati innanzi al pontefice contro Giovanni, arcivescovo di Ravenna, che, forte dell'appoggio imperiale di Ludovico II, ledeva apertamente i diritti della Chiesa di Roma, tiranneggiando senza pietà i suoi soggetti, e poco dopo, nell'861, con la deposizione di Rotade vescovo di Soissons da parte d'Incmaro di Reims, scoppiava un'altra grossa questione nella quale veniva coinvolta in pieno e discussa l'autorità del vescovo di Roma nei suoi rapporti con l'episcopato universale.

N., di fronte a tante e sì gravi difficoltà, mantenne una linea di condotta quanto mai energica e decisa, intesa a far trionfare i principi dell'assoluta supremazia del vescovo di Roma su tutte le altre cattedre vescovili, e della piena autonomia della Chiesa, nell'esercizio del suo magistero spirituale e morale, di fronte allo Stato. Ispirandosi ai concetti che nel medesimo tempo erano diffusi in Francia dai compilatori delle False Decretali (limitazione del potere dei metropoliti di fronte a Roma, e dell'ingerenza laica nelle questioni ecclesiastiche), e valendosi largamente della collaborazione di Anastasio Bibliotecario, tenace assertore dei diritti di Roma, alla cui penna si deve specialmente tutta la corrispondenza che riguarda l'affare di Fozio, N. venne così a determinare nettamente l'ambito della potestà pontificia di fronte al potere episcopale e al potere regio avvalorando, con la sua opera, una tradizione che andrà poi sempre più affermandosi, mentre il senso di moderazione che era in lui unito all'energia del carattere, e il tenersi pago solo del pieno esercizio del potere spirituale, senza pericolose invadenze nel campo dei poteri dello stato, diedero alla sua azione un carattere di equilibrio che mantenne la potestà pontificia ben lontana dalle pretese della posteriore dottrina del "potere diretto".

Per risolvere la questione dell'elezione di Fozio egli inviò a Costantinopoli, perché conducessero un'inchiesta, due legati, Rodoaldo di Porto e Zaccaria di Anagni; e quando questi, oltrepassando i loro poteri, si associarono al giudizio di condanna pronunciato contro Ignazio dal concilio di Costantinopoli (maggio 861), il papa, al quale era pervenuto l'appello d'Ignazio, condannò, in due sinodi di Roma (marzo 862 e aprile 863), l'opera dei due legati, anatemizzò Fozio come intruso e ristabilì sul seggio patriarcale Ignazio. E se nell'865 il papa, di fronte alla decisa ostilità dell'imperatore, accennò a mitigare il suo atteggiamento nel senso di sottoporre a un nuovo concilio, da tenersi in Roma, la questione dell'elezione di Fozio, la guerra poi rincrudì anche per la rivalità tra la chiesa greca e la latina circa i rapporti con i Bulgari, evangelizzati in parte dai Greci e attratti prima nell'orbita d'influenza della chiesa di Bisanzio; voltisi poi decisamente nell'866, per iniziativa di Michele Boris, verso Roma e verso Nicolò, che inviò loro una missione guidata da Paolo di Populonia e Formoso di Porto. Anche in conseguenza di ciò, il Concilio di Costantinopoli dell'867 proclamava apertamente la ribellione della chiesa greca al vescovo di Roma. Poco dopo però la morte del pontefice, una rivoluzione politica abbatteva Fozio e, almeno per il momento, faceva trionfare il vescovo, riconosciuto da Roma, Ignazio.

Non minore energia spiegò il papa nella questione del divorzio di Lotario II.

In relazione all'appello di Teuteberga egli inviò Rodoaldo di Porto, perché raccogliesse a Metz un concilio che riprendesse in esame la questione. Rodoaldo, invece d'inquisire sulla giustizia dei provvedimenti presi, fece causa comune coi vescovi lorenesi e nel concilio di Metz del giugno 863 Teuteberga fu di nuovo condannata. Informato da Teuteberga e da Carlo il Calvo sulle mene che avevano portato all'ingiusta risoluzione della questione, Niccolò I, nell'autunno 863, in un concilio tenuto a Roma, cassò senz'altro la decisione del concilio di Metz e senz'alcun giudizio, ex informata conscientia, depose Rodoaldo di Porto e i due vescovi di Colonia e di Treviri, Guntero e Tilgaldo, ch'erano venuti a Roma per giustificarsi. L'eccessiva severità del pontefice spinse i due vescovi alla rivolta aperta. L'imperatore Lodovico II sul principio si fece loro patrono e comparve minaccioso sotto le mura di Roma con un esercito; ma Niccolò, che per piegare Lotario II al rispetto dei canoni non aveva voluto trarre partito dall'alleanza politica offertagli da Carlo il Calvo contro il nipote, non si lasciò intimidire dalla minaccia imperiale e, dei due vescovi, Tilgaldo si sottomise, Guntero invano domandò nell'865 il perdono pontificio. Solo presso il successore di Niccolò, Adriano II, essi trovarono misericordia. Anche Lotario II si dovette piegare, sotto minaccia della scomunica, di fronte all'ingiunzione pontificia. Nell'865 si riconciliò con Teuteberga e rinviò Waldrada e, se pure la sua sottomissione apparve di lì a poco non sincera, e i rapporti con Waldrada continuarono, egli non osò mai ribellarsi apertamente a Niccolò I e riconobbe senza discussioni il principio dell'autorità pontificia. Così Niccolò riuscì a piegare Giovanni, arcivescovo di Ravenna che invano, per cercare aiuto contro il pontefice si era rifugiato a Pavia presso Ludovico II. Scomunicato e abbandonato dall'imperatore, egli dovette senz'altro sottomettersi (861). Dovette piegarsi anche il potente Incmaro di Reims che aveva annullato le ordinazioni fatte dal deposto vescovo Ebbon e aveva rimosso dalla sua cattedra il vescovo di Soissons, Rotade. Invano Incmaro cercò di opporsi al diritto di appello a Roma, sostenuto dal deposto. Niccolò I riuscì a far prevalere la sua autorità e, dopo avere ascoltato le giustificazioni di Rotade, lo riconfermò nel suo seggio vescovile (864) riaffermando nello stesso tempo la validità delle ordinazioni di Ebbon.

Tanti trionfi e tanti successi saranno poi in parte compromessi dall'influenza che l'impero e le grandi famiglie romane acquisteranno in seno al papato. Ma in ogni modo, il pontificato di Niccolò I ebbe un'importanza fondamentale per la futura organizzazione della Chiesa e per l'affermarsi del principio dell'autorità pontificia. Niccolò I morì il 13 novembre 867.

Urbano VIII inserì il suo nome nel Martirologio romano.

Bibl.: Liber pontificalis (ed. L. Duchesne), II, Parigi 1886-92, pp. 151-172; Lettere in Mon. Germ. Hist., Epist., VI, Berlino 1925; Capit. reg. Franc., in Mon. Germ. Hist., Leg., sec. II, Hannover 1897; Mansi, Conciliorum Collectio, XV, Firenze e Venezia 1759-1798; L. Duchesne, Les premiers temps de l'État pontifical, Parigi 1911; H. Laemmer, Papst N. I und die byzantinische Staatskirche seiner Zeit, Berlino 1857; I. Roy, Saint N. I., Parigi 1899; A. Greinacher, Die Anschauungen des Papstes N. I, Berlino-Lipsia 1909; E. Perels, Papst N. I und Anastasius Bibliothecarius, Berlino 1920; É. Amann, N. I, in Dictionn. de Theol. cathol., XI, Parigi 1930.