PICCINNI, Niccolò

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 83 (2015)

PICCINNI, Niccolo

Lorenzo Mattei

PICCINNI, Niccolò (Vito Niccolò Marcello Antonio Giacomo). – Nacque a Bari il 16 gennaio 1728 da Onofrio (impiegato dal 1719 nella basilica di S. Nicola come violinista, contrabbassista e, nel 1743, maestro di cappella ad interim prima dell’insediamento di Egidio Romualdo Duni) e da Silvia Latilla, sorella dell’operista Gaetano.

Ricevuta dal padre una prima formazione musicale, Piccinni proseguì gli studi, forse sotto il patrocinio di Muzio Gaeta juniore, arcivescovo di Bari, nel conservatorio napoletano di S. Onofrio, dove entrò come allievo nel maggio 1742. A facilitare il trasferimento a Napoli fu probabilmente lo zio Latilla, che là dimorava dall’aprile 1741 dopo essersi dimesso dall’incarico di vicemaestro di cappella in S. Maria Maggiore a Roma. Stando alla Notice (1801, pp. 6 s.) di Pierre-Louis Ginguené, suo amico e primo biografo, Piccinni sarebbe stato allievo di Leonardo Leo e, dal 1744, di Francesco Durante fino al 1754. L’intonazione del metastasiano Gioas re di Giuda, datata 1752, potrebbe riferirsi alla consueta prova di congedo dal tirocinio decennale, che l’operista avrebbe poi protratto per altri due anni in veste di ‘mastricello’. Un documento relativo al processetto matrimoniale di Piccinni (cfr. Prota Giurleo, 1954, p. 28) testimonia che fino al luglio 1753 il compositore era formalmente residente a Bari, ma domiciliato a Napoli. Nell’autunno di quell’anno dovette avverarsi l’effettivo cambio di residenza, come conferma il catasto onciario del novembre 1753, che lo segnala «assente in Napoli», e un atto della curia arcivescovile napoletana, del giugno 1756, che attesta la residenza in vico dei Maiorani a Napoli dal 1753. Durante gli anni di studio in conservatorio Piccinni ebbe comunque modo di tornare a Bari per coadiuvare l’attività paterna: in alcune occasioni nel 1749-50 il suo nome figura tra i violinisti impiegati in S. Nicola.

Il debutto operistico avvenne nell’autunno del 1754 al teatro dei Fiorentini di Napoli con Le donne dispettose, commedia per musica di Antonio Palomba; costui sarà il librettista buffo più frequentato da Piccinni nel primo decennio d’attività: otto commedie intonate fino al 1764. Adespoto il dramma giocoso Le gelosie, erroneamente attribuito a Giambattista Lorenzi, che la Notice di Ginguené cita come seconda opera di Piccinni e che forse fu dato nella primavera 1755 ai Fiorentini (poi ripreso a Barcellona ai primi di luglio 1762 e di nuovo a Napoli, con arie di Guglielmi, nella primavera del 1763). Nel gennaio 1756 al Nuovo di Napoli venne allestita la commedia per musica Il curioso del suo proprio danno. Il 13 luglio, nella parrocchia dei SS. Francesco e Matteo, Piccinni sposò la cantante quattordicenne Vincenza Sibilla, allieva sua, testimoni il violoncellista Francesco Valle e il violinista Giuseppe De Rinaldis (il primogenito, Giuseppe Maria Onofrio Gabriele, nacque meno di otto mesi dopo, nel 1757). Il 18 dicembre giunse il lusinghiero incarico di musicare per il teatro di S. Carlo la Zenobia del Metastasio. Incerta la data della farsetta per musica L’amante ridicolo deluso, ripreso al Capranica di Roma nel carnevale 1762, poi nel 1763 a Lisbona; ben documentata, invece, la seconda commissione sancarliana, la metastasiana Nitteti, andata in scena il 4 novembre 1757. Consolidata in patria la propria notorietà, Piccinni poté affrontare le scene di Roma nel genere serio: al teatro Argentina il 21 gennaio 1758 fu dato Alessandro nell’Indie, sempre del Metastasio. In quell’anno compose La morte d’Abele del poeta cesareo per i padri dell’Oratorio di Napoli, e nella stagione autunnale e invernale del Nuovo tornò a collaborare con Antonio Palomba (per il dramma giocoso Madama Arrighetta e la commedia La scaltra letterata), rimanendo poi inattivo – salvo per la commedia L’astuto balordo (teatro dei Fiorentini, estate 1759) – fino al 26 dicembre 1759, data della ‘prima’ del Ciro riconosciuto metastasiano al S. Carlo.

Il 6 febbraio 1760 al teatro delle Dame di Roma andò in scena La buona figliuola, dramma giocoso di Carlo Goldoni musicato in precedenza da Duni a Parma nel 1756. Quest’opera, spesso citata sotto il nome dell’eroina eponima, Cecchina, era il sesto tra i titoli comici d’attribuzione certa, scritto a soli sei anni dal debutto teatrale; eppure in ogni segmento della partitura Piccinni palesò saldo dominio del ‘contrappunto timbrico’, padronanza nell’articolazione formale dei finali d’atto, dovizia dei registri espressivi nelle arie.

Nella Cecchina, la vitalità tutta ‘gestuale’ della commedia musicale napoletana pervade le agili strutture drammaturgiche goldoniane, non senza piegarsi a quella vena sentimentale – alimentata dalla voga dei romanzi di Richardson – che in forza del dilagante successo europeo di quest’opera fortunatissima assurse poi a cifra individuante dello stile di Piccinni.

Dopo la Cecchina Piccinni tenne un ritmo di produzione costante (da 3 a 5 opere buffe l’anno) almeno fino al 1767, confezionando «intermezzi a quattro voci» in due atti per Roma (dove fu copiosa la collaborazione con il librettista romano Giuseppe Petrosellini, che proprio grazie a Piccinni esordì a Venezia nell’autunno 1763 con Le contadine bizzarre), drammi giocosi per i teatri di Venezia e Bologna (qui nel maggio 1761 fu varata la fortunata continuazione della Cecchina, con la goldoniana Buona figliuola maritata) e commedie per musica a Napoli (nei teatri dei Fiorentini e Nuovo).

Meno costante la produzione di drammi per musica seri, non in tutti gli anni, e solo di rado un paio all’anno, come nel 1761, con il Tigrane attribuito a Vittorio Amedeo Cigna Santi (Torino, Regio, gennaio) e il Demofoonte del Metastasio (Reggio nell’Emilia, maggio; qui, a testimonianza del prestigio acquisito da Piccinni, che molti vedevano come l’erede di Durante accanto ad Antonio Sacchini, firmò la prefazione alla versione italiana del Gradus ad Parnassum di Johann Joseph Fux procurata dal reggiano Alessandro Manfredi, Carpi, 1761). Dal 1762 si registra una prima significativa diffusione europea delle opere buffe di Piccinni, che tuttavia – salvo la Buona figliuola – non toccò mai i livelli di un Paisiello; la corte di Dresda si stagliò per una pressoché sistematica importazione delle nuove opere comiche di Piccinni fino al 1780.

Dal 1763 il compositore abitava in affitto con la famiglia in un appartamento di Giovanni d’Alesio sito davanti al teatro di S. Carlo. Oltre a Giuseppe Maria, Piccinni ebbe cinque figlie (Maria Rosa Maddalena, Giulia Maddalena Luisa, Marianna Chiara Francesca, Barbara Rachele Maria Giuseppina e Teresa Giacinta Giovanna; le ultime due si monacarono) e un secondo figlio maschio, Luigi Pietro Flavio (Napoli, 1766 - Passy, 30 luglio 1827), che avrebbe poi seguito le orme paterne nei teatri d’Italia, di Parigi e di Stoccolma. Nel 1765, con due opere date al S. Carlo in gennaio e in maggio – Cajo Mario di Gaetano Roccaforte e Il re pastore del Metastasio (spesso erroneamente datato Firenze 1760) – Piccinni avviò un percorso di svecchiamento del «dramma per musica» che raggiunse un primo traguardo nel metastasiano Catone in Utica (Mannheim, 5 novembre 1770), notevole sia per la complessità dell’orchestrazione sia per le innovazioni d’ordine formale, e che culminò infine nell’intonazione di due altri drammi del Metastasio, Ipermestra (S. Carlo, 4 novembre 1772) e Alessandro nell’Indie (S. Carlo, 12 gennaio 1774), il cui successo determinò, di lì a due anni, il trasferimento a Parigi.

Se nel genere comico Piccinni consolidò moduli stilistici già da altri collaudati, in quello serio andò sperimentando nuove tipologie di arie; e alcune di esse esibiscono una griglia formale non dissimile da quella che il violinista e teorico Francesco Galeazzi teorizzò poi negli Elementi teorico-pratici di musica (1791), e che i teorici dell’Ottocento denominarono ‘forma-sonata’. L’implementazione dei brani a più voci e dei compiti espressivi affidati all’orchestra furono tratti peculiari delle opere serie della maturità di Piccinni. Con diciassette opere, egli fu l’autore più frequentemente scritturato al S. Carlo nel XVIII secolo, assieme a Johann Adolf Hasse.

Almeno a partire dal 1767 Piccinni fu maestro di composizione al conservatorio di S. Onofrio (ne dà contezza il quaderno d’appunti dell’allievo Francesco Salari datato 23 giugno). Il miglioramento della situazione lavorativa lo spinse a trasferire la famiglia nel più confortevole appartamento dell’avvocato Giuseppe Caravita a Fontana Medina. Agli incarichi di organista della Real Cappella (dal 1773) e vicemaestro della cappella in Duomo (dal 1775) Piccinni affiancò una florida attività privata di docente e di maestro di cappella in vari conventi e istituti religiosi partenopei.

Nel 1776, su interessamento dell’ambasciatore napoletano a Parigi, Domenico Caracciolo, e dell’ambasciatore francese a Napoli, il marchese Clermont-d’Amboise, Piccinni fu chiamato a Parigi (il viaggio durò dal 16 novembre al 31 dicembre), dove la sua integrazione sociale e artistica fu affidata alle cure di Jean-François Marmontel e all’abate André Morellet. Dopo un primo concerto pubblico (6 gennaio 1777, Concert des Amateurs, Hôtel de Soubise), il 29 gennaio i parigini gustarono la versione francese della Cecchina alla Comédie Italienne (ma quella italiana, data nel settembre 1778 all’Opéra, non ebbe felice incontro). Il 19 febbraio Piccinni fu introdotto alla corte di Maria Antonietta, di cui fu poi maestro di canto e clavicembalo. La collaborazione con Marmontel sfociò nella tragédie-lyrique d’esordio, Roland, eseguita in privato l’11 ottobre 1777 e all’Opéra il 27 gennaio 1778 con ottima accoglienza (26 repliche fino al 28 giugno). Atys, la cui stesura occupò l’operista per l’intero 1779, fu eseguita a corte il 22 febbraio 1780, il 4 aprile all’Opéra. Il 23 gennaio 1781 andò in scena con esito mediocre Iphigénie en Tauride, resa celebre da una querelle combattuta a suon di libelli tra i fautori di Piccinni e quelli di Christoph Willibald Gluck, il musicista boemo autore di una diversa Iphigénie en Tauride data all’Opéra il 18 maggio 1779 (l’opera di Piccinni sarebbe dovuta essere allestita il 15 gennaio 1779, ma ritardi imputabili al librettista Alphonse du Congé Dubreuil e ragioni di concorrenza ne avevano fatto procrastinare di due anni la ‘prima’). Trasferitosi a Bagnolet con la famiglia, Piccinni lavorò ad Adèle de Ponthieu, tragédie-lyrique di Jean-Paul-André de Razins de Saint-Marc, eseguita nella nuova sala della Porte St-Martin il 27 ottobre 1781 per la nascita del Delfino: l’opera ebbe scarsa fortuna, come pure una cantata celebrativa al Concert spirituel il 2 novembre. Nel 1782 Piccinni, residente a Méréville presso il tesoriere reale Jean-Benjamin de La Borde, fu nominato direttore della scuola di canto dell’Opéra e avviò così un’intensa attività didattica, che incise in profondità sul sistema della vocalità francese tra Sette e Ottocento. Durante il periodo parigino la sola opera che riscosse autentico successo fu Didon, rappresentata a Fontainebleau il 16 ottobre 1783, poi a Parigi il 1° dicembre. Anche Le dormeur éveillé, opéra-comique di Marmontel (Fontainebleau, 14 novembre), ebbe ottima accoglienza insieme al Faux lord, su libretto del figlio Giuseppe Maria, chiamato insieme al padre alla ribalta del Théâtre Italien. Il favore fu tuttavia negato alle successive due tragédies, Diane et Endymion di Jean-François Espic de Lirou, 7 settembre 1784, e Pénélope di Marmontel, 2 novembre 1785; e lo scoppio della Rivoluzione impedì l’allestimento della promettente Clytemnestre su libretto di Louis-Guillaume Pitra.

Angustiato da ristrettezze economiche, al rientro in patria – il viaggio si protrasse dal 13 luglio al 5 settembre 1791 – Piccinni fu mal visto dal regime borbonico a causa delle tendenze giacobine del marito della sua seconda figlia Marianna Chiara Francesca, un commerciante francese di nome Pierre-François Pradez Prestreau. La pensione regia non risolse l’indigenza che attanagliò Piccinni dopo la rovinosa gestione della vendita per procura delle lastre delle sue partiture francesi e dei diritti di rappresentazione commissionata a Joseph Bucciarelli, «ordinaire de la musique du roi». Fallimentare si dimostrò anche il tentativo di tornare a imporsi come autore di drammi seri: la mescidanza tra drammaturgia francese e italiana attuata nell’Ercole al Termodonte, innovativo libretto di Antonio Simeone Sografi già musicato da Sebastiano Nasolini nel 1791, non fu gradita agli spettatori del S. Carlo (12 gennaio 1793). Dopo il rientro da Venezia, dove nell’autunno 1793 aveva seguito al S. Samuele l’allestimento del «dramma eroico comico» Griselda su libretto di Angelo Anelli (e pare che in quell’occasione abbia convinto il giovane Giovanni Simone Mayr a dedicarsi alla carriera di operista), Piccinni fu ufficialmente accusato di giacobinismo e messo agli arresti domiciliari per ben quattro anni, durante i quali si limitò a intonare alcuni Salmi nella traduzione di Saverio Mattei e a progettare una fuga da Napoli che concretò infine nel 1799. Lasciata la famiglia e rifugiatosi a Roma presso l’agente in capo delle finanze, Henri Reboul, rientrò a Parigi in compagnia d’un membro della legazione francese a Napoli, Pierre-Joseph de Lachèze-Murel. Acclamato dai musicisti del neocostituito Conservatoire come un martire della Rivoluzione, Piccinni ricevette una pensione di sostentamento e a luglio fu raggiunto dai familiari.

Risulta che abbia impartito lezioni di musica al nipote Luigi Alessandro Piccinni, il ventenne figlio adottivo di Giuseppe Maria, che dal 1801 al 1823 sarebbe poi stato un alacre fornitore di musiche di scena per i mélodrames dei teatri popolari di Parigi (morì a Baden il 30 marzo 1850). Nell’aprile 1800 Napoleone nominò Piccinni ispettore del conservatorio, onorificenza di cui poté godere per meno di un mese.

Niccolò Piccinni morì il 7 maggio 1800 a Passy per un blocco renale. Durante i funerali solenni Jean-François Lesueur lesse il discorso commemorativo, e il trasporto della salma fu accompagnato dalla musica del coro dei Sogni di Atys, con parole opportunamente parafrasate.

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