Nichilismo

Dizionario di Storia (2010)

nichilismo


Dottrina che si caratterizza per la totale negazione dei valori e dei significati elaborati dai diversi sistemi religiosi, morali e filosofici. Il termine comparve in Germania con accezione filosofica negli ultimi anni del Settecento ed entrò ampiamente in circolazione con il Sendschreiben an Fichte di F.H. Jacobi del 1799. Nei primi decenni dell’Ottocento tedesco si fece sempre più forte rifiuto, teorizzato da Max Stirner, di tutte le astrazioni metafisiche religiose e morali, limitatrici della libertà dell’individuo. Nel 1853 uscì la novella-romanzo intitolata Die Nihilisten di K. Gutzkow, appartenente al gruppo di scrittori e poeti tedeschi dello Junges Deutschland che sempre più concepirono l’arte come espressione di impegno politico critico verso il modello di società esistente. Nella seconda metà dell’Ottocento il termine fu utilizzato per indicare una totale corrosione e caduta dei valori della civiltà europea e, di conseguenza, un atteggiamento di disperazione e di rivolta totale. Fu soprattutto F.W. Nietzsche a identificare il n. con la grande decadenza della civiltà europea e cristiana, le cui radici egli faceva risalire a Euripide e a Socrate. Allora l’uomo aveva cominciato a rinunciare alla propria carica vitale in nome di principi razionali ai quali essa venne sottoposta. La civiltà europea era stata segnata da quella rinuncia, causa prima e decisiva della sua decadenza. Tuttavia per Nietzsche il n. non era solo un sintomo di decadenza, ma, nella misura in cui veniva alla luce e se ne assumeva consapevolezza, esso poteva divenire un segno di forza, l’inizio di un «contro movimento» basato su concetti come quelli di superuomo, eterno ritorno, volontà di potenza, rovesciamento di tutti i valori. L’arte era il terreno principe di espressione del n. in entrambi i sensi. L’analisi del rapporto tra n. ed espressionismo artistico impostata da Nietzsche fu poi sviluppata negli scritti critici e filosofici di G. Benn. La nozione di «nulla» ha avuto poi una notevole importanza nelle filosofie esistenzialistiche del 20° sec., da Jaspers a Sartre e soprattutto a Heidegger e alla sua interpretazione della storia della metafisica come progressiva manifestazione del n. derivante dall’oblio dell’essere.

Il nichilismo russo

Dove il n. superò la dimensione strettamente filosofica, letteraria e artistica, assumendo il carattere di un vero e proprio programma di azione etica e politica fu in Russia, afflitta nella seconda metà dell’Ottocento da un grave stato di povertà delle masse popolari e da aspri conflitti politici e sociali. Il n. fu, inizialmente, più che una dottrina ben precisa e definita, uno stato d’animo, un modo di vivere e di sentire delle giovani generazioni, soprattutto di studenti, che aspiravano a un profondo rinnovamento della vita e della società concludendo con approdi positivistici, populistici e anarco-rivoluzionari. Il termine trovò ampia diffusione grazie a due romanzi usciti nel 1862-63 Padri e figli di I.S. Turgenev e Che fare di N.G. Černyševskij. In Padri e figli il protagonista Bazarov esprimeva fino alla morte la carica rivoluzionaria e distruttiva della nuova generazione contro l’autocrazia zarista, in contrapposizione all’ideologia blandamente riformista dei padri. In Che fare il nichilista è invece un «realista pensante» che, ubbidendo alla ragione, supera l’individualismo e segue l’impulso a dedicarsi al bene pubblico. Generalmente si colloca la comparsa del n. in Russia sul finire degli anni 1850, in parte come frutto della stessa politica riformista di Nicola I e di Alessandro II, concretizzatasi nell’emancipazione dei servi della gleba e in una serie di riforme amministrative (istituzione degli zemstva rurali e delle dume cittadine, prime embrionali forme di amministrazione decentrata e di partecipazione contadina e popolare alla vita dei comuni e delle province), giudiziarie (istituzione di tribunali uguali per tutti), militari (introduzione del servizio militare obbligatorio di massa), dell’istruzione universitaria (allargamento degli accessi e dell’autonomia all’università). Pur non dando luogo a una vera democratizzazione della realtà politico-sociale russa, tali riforme aprirono comunque il varco all’ascesa di gruppi popolari composti di piccoli artigiani, intellettuali, nobili di basso rango o decaduti, che modificarono la composizione della vecchia intellighenzia rivoluzionaria di estrazione nobiliare e determinarono la comparsa di atteggiamenti psicologici, culturali e politici di totale rifiuto non solo dell’oppressione autocratica zarista ma dell’intero assetto sociale russo incardinato sulla nobiltà e sulla dinastia imperiale. La lotta contro la realtà esistente avvenne attraverso la pubblicazione di libri e riviste ben presto soppresse (Sovremennik di N. Černyševskij e N. Dobroljubov; Russkoe slovo di D. Pisarev), attraverso il movimento populista e la creazione di organizzazioni anarco-rivoluzionarie e terroristiche. Intorno al 1860 centinaia di giovani appartenenti a famiglie nobili e agiate sfidarono arresti e misure repressive molto dure andando a vivere nei villaggi rurali con finalità umanitarie e filantropiche (medici e insegnanti), ma anche di diffusione delle idee socialiste non marxiste, dando corpo e concreta attuazione al programma populista sintetizzato nel motto «andare verso il popolo». Nel 1878 il movimento si organizzò in un partito socialista rivoluzionario denominato Terra e libertà: la terra ai contadini, le libertà costituzionali all’intera nazione. Moti e attentati si susseguirono con violenza crescente e nel 1879 la sua ala estremisa scatenò un’offensiva terroristica culminata nell’uccisione dello zar Alessandro II nel 1881. La reazione fu durissima e valse a contenere e ridurre sulla difensiva il movimento, che tuttavia entrò in contatto e in gran parte si trasfuse nel movimento socialista rivoluzionario, a riprova precoce che la via delle riforme democratico-borghesi avrebbero sempre trovato in Russia un terreno di diffusione molto impervio.

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