PORPORA, Nicola Antonio Giacinto

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 85 (2016)

PORPORA, Nicola Antonio Giacinto

Kurt Martkstrom

PORPORA, Nicola Antonio Giacinto. – Nacque a Napoli il 17 agosto 1686, terzo di dieci figli del libraio Carlo (morto nel 1717) e di Caterina di Costanzo (morta nel 1724).

Iscritto nel Conservatorio dei Poveri di Gesù Cristo il 29 settembre 1696, dovette essere allievo di Gaetano Greco per la composizione; dal 1699 la retta gli fu abbuonata (forse perché istruttore degli allievi principianti).

La prima commissione di peso fu il dramma per musica L’Agrippina (libretto di Nicola Giuvo; edizione a cura di H. Schmitt-Hallenberg, Älgarås 2014), dato a Palazzo reale nel novembre 1708. Nel libretto della seconda opera, Flavio Anicio Olibrio (Apostolo Zeno e Pietro Pariati; teatro di S. Bartolomeo, febbraio 1711), risulta maestro di cappella del principe Filippo d’Assia-Darmstadt, generale dell’esercito austriaco in Napoli. Alla partenza di costui da Napoli, nel giugno del 1713, Porpora aveva un nuovo patrono: il libretto della terza opera, Basilio re d’Oriente (Giovan Battista Neri; teatro dei Fiorentini), lo dà maestro di cappella dell’ambasciatore portoghese a Roma. Dal 1716 ricompare il patrocinio onorario dell’Assia: il principe Filippo era divenuto intanto governatore imperiale di Mantova. Il nome del musicista figura a volte con il titolo di «abate», probabilmente per aver preso gli ordini minori (non si sposò mai).

Per una dozzina d’anni, in coincidenza con il rientro di Alessandro Scarlatti a Napoli (1708), la carriera operistica di Porpora fu piuttosto fiacca: la scarsità di commissioni può essere ricondotta al rinvigorito predominio del vecchio maestro sulla vita musicale cittadina. Dal 1717, morti il padre e il fratello maggiore, Domenico, sul musicista gravò il peso della famiglia. Porpora si guadagnò da vivere come insegnante, sia nel Conservatorio di S. Onofrio dal 1715 sia come insegnante privato. Con il ritorno di Scarlatti a Roma (1719) si aprì qualche occasione in più: a novembre il Faramondo (Zeno) fu dato al S. Bartolomeo per l’onomastico dell’imperatrice Elisabetta Cristina, e il di lei genetliaco fu celebrato con le serenate Angelica (1720; edizione a cura di G. Pitarresi, Palermo 2002) e Gli orti esperidi (1721) su testo del Metastasio (vi brillò la prima donna Marianna Benti Bulgarelli, la ‘Romanina’, amica del poeta). In Angelica debuttò quindicenne anche il miglior allievo di Porpora, il soprano Carlo Broschi, detto il Farinelli, il quale ebbe poi per rivale un altro suo allievo famoso, Gaetano Majorano, detto Caffarelli. Negli stessi anni Porpora si fece apprezzare a Roma nel teatro delle Dame: al successo dell’Eumene (Zeno; carnevale 1721) tennero dietro due altre commissioni nel 1722 (seconda versione del Flavio Anicio Olibrio) e nel 1723 (Adelaide, Antonio Salvi), entrambe con Farinelli nella parte di prima donna.

Nell’estate 1722, stimolato dai successi teatrali e didattici, Porpora si dimise dal Conservatorio. Onorate le commissioni napoletane con due altre opere al S. Bartolomeo, cercò fortuna Oltralpe, speculando sui suoi buoni contatti in ambito imperiale. Ma tolta la collaborazione con Domenico Lalli per Damiro e Pitia a Monaco di Baviera nell’autunno 1724, l’esito del viaggio dovette essere deludente (del tutto incerte le notizie di una sua presunta puntata a Vienna). Tornato in Italia ai primi del 1725, in primavera collaborò con Pietro Metastasio per una ripresa reggiana della Didone abbandonata. Nel giorno di s. Stefano del 1725 il Siface giovanile del Metastasio – uno dei drammi più fortunati di Porpora – andò in scena sia a Milano sia a Venezia. A detta di Owen McSwiny, longa manus della Royal Academy of music londinese a Venezia, «la musica, eccellente, è commendata da tutte le persone di gusto» (Owen McSwiny’s letters 1720-1744, 2009, p. 195). Nel libretto veneziano dell’opera Porpora, stabilitosi nel frattempo in Laguna, figura come «maestro del Pio Ospitale degl’Incurabili». Per parecchi anni a venire le sue opere comparvero sulle scene del maggior teatro cittadino, il S. Giovanni Grisostomo. Vi fecero spicco due nuovi drammi di Metastasio, Ezio (novembre 1728) e Semiramide riconosciuta (febbraio 1729; edizione a cura di H. Schmitt-Hallenberg, Älgarås 2015), creati quasi in simultanea con le ‘prime’ al teatro delle Dame di Roma: la Semiramide di Leonardo Vinci data a Roma anticipò di poco la Semiramide di Porpora a Venezia, mentre l’Ezio di Pietro Auletta a Roma seguì di un mese abbondante quello di Porpora, dedicato al nuovo viceré di Napoli di passaggio per Venezia. La concorrenza tra Porpora e Vinci, che a detta di Charles Burney doveva risalire agli anni del Conservatorio (cfr. Burney, 1776-1789, 1935, II, p. 916), era divampata quando ciascuno dei due fu scritturato sulla piazza concorrente, Vinci a Venezia nel carnevale del 1726, Porpora a Roma l’anno dopo. Secondo Friedrich Marpurg, la competizione culminò nel carnevale del 1730, quando i due si fronteggiarono con due opere a testa nei due teatri rivali di Roma, Vinci alle Dame e Porpora al Capranica. Morto Vinci in maggio, Porpora si trovò per concorrente Johann Adolf Hasse: nel carnevale del 1730, mentre il napoletano era impegnato a Roma, il tedesco trionfava a Venezia con l’Artaserse di Metastasio, che gli fruttò l’incarico di maestro di cappella dell’elettore di Sassonia, un posto per il quale sarebbe stato in lizza lo stesso Porpora (cfr. J.G. Walther, Musicalisches Lexicon, 1732, pp. 487 s.). Da lì in avanti le carriere dei due s’intersecarono spesso (Burney parlò poi di Porpora come del «vecchio e costante rivale» di Hasse, 1773, I, p. 157; trad. it. 1986, pp. 61 s.).

Nel marzo 1733 Porpora tentò, invano, la scalata alla cappella di S. Marco a Venezia. Più tardi nell’anno si dimise dagli Incurabili e partì per Londra, dov’era stato invitato dai nobili promotori della cosiddetta Opera of the Nobility (i londinesi avevano già apprezzato la sua musica nel ‘pasticcio’ Elisa, dato nel gennaio 1726 a Haymarket). Concepita per fare concorrenza a Georg Friedrich Händel, la nuova compagnia aprì i battenti in dicembre nel teatro di Lincoln’s Inn Fields con Arianna in Naxo di Porpora (libretto di Paolo Rolli). In poco più di due anni il musicista compose cinque opere (quattro di Rolli, una di Colley Cibber), un oratorio e una serenata, più tre pasticci di arie proprie e altrui. Due compagnie d’alta classe, «l’eccellente abilità dei compositori, il merito straordinario delle voci, lo spirito emulativo nell’esecuzione, tutto ciò faceva di Londra il seggio stesso della musica» (così il barone Jakob Friedrich von Bielfeld nel 1763; Händel-Handbuch, 1985, p. 330). Ma nessun’altra opera di Porpora eguagliò il successo dell’Arianna, neppure il Polifemo in cui debuttò a Londra Farinelli; a onta di una squadra di cantanti formidabile, che includeva anche il Senesino (Francesco Bernardi) e Francesca Cuzzoni, Porpora e l’Opera of the Nobility non scalzarono Händel.

A Londra videro la luce le prime musiche a stampa di Porpora: oltre le arie favorite delle opere, furono le dodici cantate op. 1, composte su versi di Pietro Metastasio, a lungo considerate «degne di grande stima» (Hawkins, 1776, 1875, II, p. 877) e le sei Sinfonie da camera a 3 op. 2. Alla fine del 1736 Porpora lasciò l’Inghilterra: avrà intuito che due compagnie d’opera difficilmente si sarebbero potute reggere al cospetto delle volubili platee londinesi.

Di ritorno a Venezia, dove nel carnevale del 1737 diede il Lucio Papirio (Zeno; teatro di S. Cassiano), Porpora riprese provvisoriamente servizio agli Incurabili, rimpiazzando fino al settembre del 1738 il maestro in carica, Hasse, in congedo a Dresda. Ricevuta da Napoli una commissione per il nuovo teatro di S. Carlo, Porpora rimpatriò dopo dodici anni d’assenza. Una versione riveduta della Semiramide riconosciuta (edizione in facsimile a cura di H.M. Brown, New York 1977) fu data per il genetliaco del nuovo sovrano nel gennaio del 1739; e in giugno arrivò la nomina a maestro di cappella nel Conservatorio di S. Maria di Loreto. Porpora ottenne altre commissioni per il S. Carlo e per i due teatri dell’opera buffa, genere nuovo per lui. Ma nel 1741 il suo ritmo di produzione consueto di una o due opere all’anno cessò: come già Händel a Londra, Porpora cominciava a non ‘tenere’ più la scena. Questo calo di commissioni può essere stato uno dei fattori che determinarono le sue mosse successive. Nell’ottobre del 1741 Porpora ottenne licenza per recarsi a Venezia a mettere in scena un’opera nuova: in realtà, quando nel carnevale successivo al S. Giovanni Grisostomo comparve la sua Statira (Francesco Silvani), aveva già accettato il posto di maestro di coro all’Ospedale della Pietà.

Una volta assunto, cominciò a dare lezioni di canto anche agli allievi di un altro conservatorio veneziano, l’Ospedaletto. Da questo incarico extra moenia derivò nel gennaio 1744 la nomina a maestro di coro in questo istituto. Per ironia, dopo tante giravolte, a fine anno fece istanza per il posto di maestro di cappella alla corte di Napoli, rimasto vacante alla morte di Leonardo Leo (ottobre 1744): ma, avendo il re decretato di volerlo ricoprire mediante un concorso ch’egli avrebbe dovuto sostenere di persona a Napoli, ritirò la domanda. Il 4 gennaio 1745 fece istanza ai governatori dell’Ospedaletto perché gli concedessero un copista dedicato; e per documentare le proprie prestazioni allegò un elenco delle composizioni scritte «nel tempo di mesi undeci» (Arte e musica all’Ospedaletto, 1978, p. 127): la lista è suddivisa nelle quattro maggiori festività celebrate nell’Ospedaletto, Settimana santa, Pasqua, Assunta, Natale.

Delle quattro, la principale era l’Assunta, la festa patronale celebrata con vespri solenni (cfr. Vespers for the Feast of the Assumption. A reconstruction of the 1744 service at the Ospedaletto in Venice, a cura di K.S. Markstrom, Madison, Wis., 2015). Le mansioni di Porpora compositore sono comparabili per entità a quelle di Johann Sebastian Bach a Lipsia, anch’egli peraltro impegnato nell’insegnamento del canto: una quarantina di pezzi di musica da chiesa all’anno per Porpora, articolati in più sezioni (salmi corali o mottetti e antifone assolo), 58 cantate nell’anno liturgico per Bach.

Nella citata istanza Porpora dichiarò di voler restare all’Ospedaletto «per tutta mia vita», ma l’indole inquieta lo spinse infine ad allontanarsene, in cerca d’altre occasioni. Il 16 gennaio 1747 si dimise per «riparare quell’imminenti rovine e straggi che sovrastano alla mia povera famiglia» (Arte e musica all’Ospedaletto, 1978, p. 137). Tornò bensì in patria e in seno alla famiglia, ma le «rovine», se non erano state un pretesto, furono ben presto risanate, visto che in luglio era a Dresda impegnato a comporre il «dramma comico-pastorale» Filandro (Vincenzo Cassani) per il genetliaco della nuova principessa elettorale, Maria Antonia Walpurgis, musicista ella stessa e forse sua allieva di canto. Nella ‘prima’ del Filandro brillò la più recente pupilla di Porpora, il soprano Regina Mingotti, che venne a rinfocolare la rivalità con Hasse e stavolta anche con la di lui consorte, Faustina Bordoni. Il 13 aprile 1748 Porpora fu nominato maestro di cappella, ma si trattò di un incarico interinale (cfr. Fürstenau, 1862, p. 251: «bis auf weitere Verordnung»), in coincidenza con la temporanea residenza della corte a Varsavia e con il congedo di Hasse per impegni teatrali all’estero: ritornati a Dresda sia la corte sia Hasse, quest’ultimo assurse a «Ober-Kapellmeister»; Porpora mantenne il titolo, ma nel gennaio 1752 fu giubilato a un terzo del salario (ibid., p. 296), e si mise in viaggio per Vienna.

Nell’inverno 1753, a Vienna, Metastasio avrebbe voluto rinverdire l’antica collaborazione dandogli da comporre L’isola disabitata, commissionata da Farinelli per la residenza regale di Aranjuez; ma Porpora si ammalò, e l’«azione per musica» metastasiana fu musicata da Giuseppe Bonno. A Vienna il musicista diede alle stampe le XII Sonate di violino e basso (1754), dedicate a Maria Antonia Walpurgis, mentre i coevi VI Duetti latini sopra la Passione di Gesù Cristo circolarono a lungo manoscritti (furono stampati da Breitkopf & Härtel a metà Ottocento; ed. moderna a cura di S. Aresi, Pisa 2004; ed. aggiornata, Älgarås 2011).

Diede lezioni di canto a vari allievi, tra cui Marianna Martinez, protetta da Metastasio; questi gli presentò il giovane Joseph Haydn, che di Porpora fu accompagnatore al cembalo, valletto e alunno: e come tale Haydn poté poi affermare di aver appreso «dal celebre signor Porpora i veri fondamenti della composizione» (1776; F.J. Haydn, Gesammelte Briefe und Aufzeichnungen, a cura di D. Bartha, Kassel 1965, p. 77).

L’invasione della Sassonia durante la guerra dei Sette anni compromise l’erogazione della pensione dovutagli dalla corte di Dresda. Il 5 maggio 1757 Metastasio descrisse a Farinelli la «positiva mancanza del pane quotidiano» patita da Porpora «dopo le note disgrazie della Sassonia», chiedendogli di condonare ogni eventuale «irregolarità nel costume» dell’anziano musicista (Tutte le opere, IV, 1954, pp. 10 s.; il poeta alludeva forse all’indole intemperante del musicista, della quale vi sono sparsi indizi).

Nel gennaio del 1759 Porpora ottenne il posto di «altro maestro di cappella» al Conservatorio di S. Maria di Loreto, in vista del suo rientro a Napoli (cfr. Prota Giurleo, 1957, p. 28; Robinson, 1972a, pp. 43 e 94): il conservatorio ch’egli aveva abbandonato quasi vent’anni prima lo accoglieva di nuovo. L’epiteto «altro» si spiega con il fatto che vi erano già un maestro e un vicemaestro, Gennaro Manna e Pietro Antonio Gallo, i quali anzi accettarono una decurtazione di stipendio a favore del capriccioso reduce. I pagamenti iniziarono nell’aprile del 1760: evidentemente Porpora si prese il suo tempo; avrà fatto sosta a Venezia, dove diede agli Incurabili l’oratorio Israel ab Aegyptiis liberatus (1759). I pagamenti a S. Maria di Loreto cessarono nell’aprile del 1761: si era dunque trattato di un incarico annuale. Ebbe un altro incarico a S. Onofrio in autunno, essendosi dimesso Girolamo Abos, ma nel settembre successivo non fu rinnovato. Porpora ebbe anche una commissione dal S. Carlo (Walker, 1951, pp. 59 s.): ma Il trionfo di Camilla (maggio 1760), rifacimento di un dramma di vent’anni prima, fu un insuccesso.

In vecchiaia Porpora versò nell’indigenza. Tra gli ultimi allievi ebbe Giuseppe Gazzaniga e Domenico Corri; quest’ultimo riferì che «Porpora teneva una mensa così misera che spesso per la fame usciva in cerca di un boccone purchessia» (Burney, 1776-1789, 1935, II, p. 916).

Morì a Napoli il 3 marzo 1768; i musici della città si consorziarono per cantare gratis alle sue esequie nella chiesa dell’Ecce homo ai Banchi nuovi, dove fu sepolto.

Porpora conservava le proprie partiture, interamente o parzialmente autografe. Nel lasciare l’Ospedaletto nel 1747, per esempio, chiese e ottenne che tutte le opere da lui lì composte venissero ricopiate, per potersene tenere gli originali (Arte e musica all’Ospedaletto, 1978, p. 60). Alla morte, la sua biblioteca fu dispersa: in parte restò a Napoli (oggi nel Conservatorio di S. Pietro a Majella), in parte fu acquistata da Charles Compton marchese di Northampton attraverso il melomane e bibliofilo Gaspare Selvaggi (oggi nella British Library; cfr. Fabris, 2015).

La produzione musicale di Porpora si lascia distinguere in tre periodi stilisticamente distinti: dapprima vige lo stile tardobarocco alla maniera dell’ultimo Scarlatti, documentato nell’Agrippina e nelle prime cantate e serenate; indi, dagli anni Venti, il moderno stile ‘napoletano’, di cui Porpora – a gara con Vinci e Hasse – fu il portabandiera (soprattutto nelle opere, cantate e serenate), uno stile che con il fraseggio melodico florido e soave, le sottigliezze ritmiche, il passo armonico placido e diatonico dettò legge in Italia e in Europa; infine, nel periodo tardo l’insegnante napoletano e veneziano ormai senescente coltivò principalmente la musica da chiesa, senza però trascurare in toto il teatro, la camera, e almeno un po’ la musica strumentale. Su tutto l’arco della carriera Porpora coltivò l’ornato melodico, tanto nel genere espressivo quanto in quello virtuosistico: lo si osserva sia nell’accesa espressività dei lamenti e delle arie amorose (come Alto Giove, è tua grazia, è tuo vanto nel Polifemo) sia nei brani acrobatici (come Nobil onda nell’Adelaide). Tale profusione melodica è però bilanciata da una elocutio sempre vigile e sostenuta, sia nelle «arie parlanti» (come quelle eminentemente declamatorie tagliate su misura del plurisettuagenario Nicolino nell’Arianna e Teseo; cfr. Conti, 2003, p. 169: «il parle plus qu’il ne chante») sia nel recitativo sempre espressivo delle cantate, il quale a molti contemporanei, Jean-Jacques Rousseau per primo, parve ineguagliabile. Non manca l’impulso descrittivo, nelle arie come nei recitativi: applicato vuoi puntualmente, per dare icastica illustrazione sonora a questa o quella parola, vuoi su vasta scala, in certe arie di paragone, come Salda quercia in erta balza in Arianna e Teseo, dove le tre metafore – l’antica quercia, i venti che la incalzano, il rinnovato vigore – suggeriscono via via il motivo di partenza, la transizione mediana e le formule cadenzali. L’elemento descrittivo pervade anche i gesti spiritati degli strumenti che intervallano le frasi canore nel ‘recitativo obbligato’, di cui Porpora fu un pioniere.

A differenza delle frasi melodiche succinte e finemente cesellate di un Vinci, che alla lunga avrebbero poi dato l’imbeccata al cosiddetto ‘stile classico’, Porpora predilesse il periodo espanso, di lunga gittata. Certo, anche le melodie di Porpora presentano nitide articolazioni fraseologiche, tagliate sulla misura del singolo verso, con le cesure marcate vuoi da tenere appoggiature vuoi da eleganti desinenze (tre notine consecutive discendenti o ascendenti): ma si osserva un maggior impegno nell’assicurare coesione e continuità alle singole frasi, combinandole o assorbendole in più ampi periodi. In un certo senso, si colgono in Porpora le radici del ‘bel canto’ di un Bellini. D’altro lato, Porpora presenta una varietà di figure ritmiche maggiore che in Vinci: terzine e sestine, ritmi puntati, ritmi lombardi, intrecciati con abbellimenti, trilli, sincopi. Nella musica da chiesa, la floridezza della melodia, la screziatura dei ritmi, il passo armonico disteso del nuovo stile napoletano si congiungono con il contrappunto osservato e producono quella miscela, invero eclettica, tra gusto tardobarocco nei cori e preclassico nelle arie che sarebbe poi divenuto tipico di tanta musica ecclesiastica del secondo Settecento, Mozart in primis.

Gran parte della musica di Porpora cadde in oblio prima ancora della morte, ma la sua fama d’insegnante di canto si perpetuò fin dentro l’Ottocento, soprattutto attraverso gli allievi, come Corri: la persistenza di questa tradizione didattica alimentò la fama di Porpora quale supremo didatta del canto (così egli compare nel romanzo Consuelo di George Sand, 1843), immortalata in un foglio di esercizi che il maestro avrebbe fatto studiare per cinque anni di fila ai propri allievi (riprodotto in Porpora’s elements of singing, London 1858; cfr. Amstad, 1969). Quanto alla reviviscenza attuale del Porpora compositore, essa è venuta in seguito alla renaissance vivaldiana nel tardo Novecento, che ha riportato in vita almeno alcune sue opere di ampia mole e parecchie arie d’opera, cantate, brani strumentali, fino a mietere una notevole popolarità tra i cultori del Settecento musicale.

Il Museo della musica di Bologna possiede un ritratto di Porpora che, secondo un’attribuzione recente, sarebbe di mano del ritrattista inglese Joseph Highmore (1735 circa).

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