CIAMPITTI, Nicola

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 25 (1981)

CIAMPITTI, Nicola

Maria Aurora Tallarico

Nacque a Napoli il 16 sett. 1749 da Domenico e Barbara Candido, genitori di modeste fortune ma solleciti della sua istruzione. Compì i primi studi nelle scuole dei padri gesuiti del collegio del Camminello al Mercato. sotto la guida dei padri Brycler, Vives e Del Giudice; questi ne intuirono la vivacità d'ingegno e lo esortarono, quando ebbe tredici anni, ad entrare nella Compagnia. Fu dissuaso in questa scelta dai genitori, che, riconoscendo tuttavia la sua vocazione per lo stato ecclesiastico, preferirono per lui gli studi regolari del Seminario Urbano.

Qui ebbe come maestri i nomi prestigiosi di S. D'Aula per le lettere latine, G. Mirtorelli per le greche, I. Della Calce per la lingua ebraica, .A. Capobianco per la logica e metafisica, G. Rossi per la teologia; discepolo diligente e straordinariamente inclinato per le lettere classiche, mise presto in luce la sua singolare padronanza della lingua latina pronunziando una elegante orazione in un'adunanza. per celebrare la memoria del dotto A. S. Mazzocchi.

Appassionato studioso di filosofia e di storia Aelle civiltà antiche, approfondì particolarmente l'opera di G. B. Vico, nella quale gli parve di trovare quasi la summa delle religioni, costumi, leggi e lingue dei primi tempi del mondo. Compiuti i corsi del seminario e ordinato sacerdote nel settembre del 1773, il C. ritornò nella casa patema ove continuò a dedicarsi ai prediletti studi delle lettere antiche; tanto era grande la fama di dottrina che lo circondava che pochi anni dopo fu chiamato dal rettore dei Seminario Urbano, il.can. G. Simioli, ad insegnar lingua latina ai convittori dapprima delle classi inferiori e poi della scuola cosiddetta d'umanità.

Ammalatosi il D'Aula, che nel seminario teneva lezioni di eloquenza, il C., per suggerimento del suo stesso antico maestro, ottenne di sostituirlo; e ne assunse poi definitivamente la cattedra, insieme con la carica di vicerettore, alla sua morte, nel 1782, per volontà dell'arcivescovo S. Filangieri, che aveva preso a stimarlo dopo averne ascoltato le fini composizioni in latino da lui pronunciate nelle accademie del seminario.

Il card. G. Capece Zurlo nominò il C. esaminatore degli ordinandi e dei confessori del seminario; e poi lo volle ascritto fra i soci della ripristinata Accademia Sacra, nelle cui dispute morali e teologiche che si tenevano periodicamente, per l'esercizio dei chierici, presso i padri dell'Oratorio, egli diede prova di vasta erudizione e di elegante eloquenza, dissertando su temi attinenti la religione.

La sua dottrina ebbe un riconoscimento ufficiale, al di fuori dell'ambito ecclesiastico, quando nel 1798. su proposta del cappellano maggiore A. Capobianco, il re Ferdinando IV lo chiamò a sostituire l'ormai molto vecchio Gennaro Vico, figlio di Giovan Battista, nella cattedra dì eloquenza latina all'università di Napoli: la prima nomina, come professore sostituto, fu "senza soldo, ma per amore del ben pubblico", come lo stesso C. aveva proposto; e fu seguita, nel 1806, da una nomina a professore ordinario di eloquenza antica e moderna, cioè a dire di italiano, che egli tenne fino al 1812; dal 1813 fino alla morte ricoprì poi la cattedra di eloquenza e poesia latina, che era stata istituita con la riforma universitaria murattiana del 1811.

Gli anni del decennio francese furono i più intensi di attività culturale e didattica: il vicario generale di Napoli, B. Della Torre, che aveva sostituito nel 1806 l'esiliato card. L. Ruffo, ne intuì le capacità pedagogiche ed organizzative e se lo associò nel programma di riforma degli istituti di formazione del clero che intendeva conduxre a termine, all'unisono con l'indirizzo riformistico francese. Nel 1807 lo fece nominare canonico della metropolitana di Napoli e lo scelse come rettore del Seminario Urbano; nello stesso anno i due prelati furono insieme nella commissione nominata da Giuseppe Bonaparte per vigilare sulla composizione e la scelta dei libri scolastici elementari e medi da adoperarsi in tutte le scuole del Regno, giusto il decreto del 24 febbraio che im-. pediva di far uso nelle scuole pubbliche di alcun libro che non fosse stato preventivamente approvato dal ministero dell'Interno. L'anno precedente il C. era stato anche chiamato a dirigereil Collegio dei nobili, riapertosi nel 1806, e qui si era adoperato massimamente affinché i giovani apprendessero insieme "i doveri del cristiano e del cittadino"; nel 1808 fece parte di una commissione convocata dal ministro dell'Interno per. studiare una riforma dei metodi d'insegnamento, secondo i nuovi principi del cosiddetto "metodo normale", che il re voleva adottare nelle scuole del Regno; nel 1809 fu nominato direttore di una delle quattro sezioni della Direzione generale della Istruzione; nel 1811 fu vicepresidente del "giurì" istituito col decreto organico per l'istruzione pubblica come organo di controllo su tutte le scuole dei Regno; nel 1812 fu professore nel Pensionato normale, il primo tentativo, peraltro di breve vita, di una scuola magistrale gratuita per professori, istituita col decreto organico nell'edificio del S. Salvatore.

La sua esperienza nelle scuole laiche gli fu poi utile per attuare insieme col Della Torre, nel 1811, la riforma degli studi seminarili, che egli volle organizzati come in una vera e propria scuola pubblica.

In consonanza con l'indirizzo voluto dai Napoleonidi, che intendevano assimilare gli istituti di istruzione religiosa a quelli pubblici, giusta il principio della uniformità della formazione culturale di tutti i cittadini, H C. adottò metodi pedagogici e disciplinari simili a quelli delle scuole laiche, insistendo in particolar modo sul momento culturale della formazione dei seminaristi: esaltò lo studio delle lettere latine, introdusse lo studio della lingua italiana, esclusa dai programmi tradizionali, della storia e della geografia antica e moderna, del diritto naturale, dedicò più spazio al-le scienze matematiche e fisiche. Nel complesso dunque mostrò una volontà di anunodernare il tradizionale bagaglio culturale dei chierici, di ampliarne gli interessi, aprendoli verso quelle discipline "profane" che egli riteneva necessarie alla formazione del sacerdote. Favorì la nomina di maestri accreditati ed abili, fra cui spiccano i nomi di S. Guarracino, G. Pellino, G. De Stefano, ricorrendo anche al suo patrimonio personale pur di poter disporre di un corpo insegnante scelto e dotto; e riuscì in breve tempo a veder rifiorire, sia dal punto di vista culturale sia da quello più propriamente religioso, il seminario napoletano, che, quando egli fu chiamato a dirigerlo, era decaduto dallo stato di antica floridezza.

La cura che dedicava al seminario non lo distrasse però da altre attività ed interessi: contemporaneamente infatti continuava a dedicarsi ai suoi studi prediletti e pubblicava articoli e trattati di erudizione e composizioni poetiche che gli valsero numerosi riconoscimenti ufficiali: nel 1807 fu annoverato prima fra i soci dell'Accademia Pontaniana e poi dell'Accademia Ercolanense, ripristinata col nome di Accademia reale di storia e antichità, ove lesse ffiolte memorie pregevoli, dimostrando perizia nella scienza dell'archeologia; nel 1809 ne arricchì gli Atti con l'opera Herculanensium voluminum tomus 2, contenente due frammenti di due papiri, l'uno in versi latini, l'altro in prosa greca, rinvenuti in Ercolano.

Il C. si occupò della interpretazione, supplemento e commentario del frammento latino, sostenendo, nella prefazione, che esso trattava della vittoria di Ottaviano su Marco Antonio e Cleopatra ad Azio, oppure di tutta la guerra fatta dal medesimo in Africa; benché esso fosse stato attribuito da alcuni al poeta Vario, egli dimostrò con validi argomenti come invece fosse da attribuirsi a Gaio Rabirio, poeta del secolo aureo. Nelle annotazioni di cui lo arricchì, espose scrupolosamente i motivi che lo avevano spinto a supplire lettere, sillabe o intere parole nel testo mutilo.

Nel 1812, per incarico del ministro G. Zurlo, che riteneva che le opere degli scrittori latini da studiarsi nelle scuole dovessero essere in corretta edizione ed illustrate da schiarimenti valevoli a facilitarne l'intelligenza alla gioventù, il C. compose la sua opera più nota, Universae disciplinae elementa in usum scholarum Regni Neapolitani. Electa classicorum Latinorum (Neapoli 1812).

L'opera, che era stata progettata in cinquanta volumi, è preceduta da una Praefatio ad adulescentes, in cui il C. illustra i criteri della selezione e della organizzazione della materia: nella prima parte una scelta degli scrittori latini ordinati secondo l'importanza e le difficoltà del testo; nella seconda le nozioni di filologia, grammatica, geografia, storia e retorica necessarie alla comprensione della latinità; nella terza infine elementi di logica, metafisica, etica, fisica e delle scienze in generale. 1 tre volumi che furono pubblicati contengono le Lettere di Cicerone, le Favole di Fedro e le vite dei generali illustri di Cornelio Nepote, corredate di molte note utili a chiarire i passi oscuri dei testo, illustrare la storia antica, arricchire la conoscenza non solo della lingua ma anche dellaciviltà classica nel suo complesso. L'edizione è pregevole soprattutto perché fornisce un testo integro, e purgato dei molti errori che si ripetevano sempre eguali nelle stampe dei classici latini.

Nel 1814 pronunziò nel duomo di Napoli una Panegirica orazione in lode di s. Gennaro, nella quale tesseva le lodi del santo e ribadiva la veridicità del miracolo della liquefazione del sangue, messo in dubbio da qualche voce incredula; il modo in cui egli condusse il suo discorso dimostrò tuttavia in modo lampante come l'uomo di cultura, che pur si era dimostrato in altre occasioni aperto alle novità e sensibile alle suggestioni della età nuova, si inchinasse invece di fronte al dogma e al mistero della fede.

Egli rifiutò infaiti ogni disputa scientifica o pseudoscientifica e dichiarò che il miracolo andava accettato in sé, con un atto di sottomissione dell'intelletto alla fede, "come testimonianza dell'amor singolare di Dio verso Gennaro, e dell'amor costante di Gennaro verso i Napolitani... il suo sangue per 1400 anni si mantenne integro, ha vinto la natura, l'ha obbligata a disimparar le leggi sue e ad ubbidire a un novello ordine di cose...".

Nello stesso anno 1814, nonostante le numerose prove di dottrina da lui fornite e testimoniate dalle opere poetiche e didascaliche che via via andava pubblicando, fu costretto a laurearsi in lettere e filosofia, secondo le disposizioni contenute nel regolamento sulla collazione dei gradi del 1812, che obbligavano quei professori che ne erano privi a prendere il grado della, laurea. Fu comunque questa una pura formalità: infatti già nel 1798 era stato ufficialmente scelto, come uno dei più prestigiosi rappresentanti del mondo accademico napoletano, per pronunziare una Oratio pro solemni studiorum instauratione, e lo fu poi ancora nel 1811, nel 1825 e nel 1829; nel 1828 fu rettore dell'università, riconfermato anche nell'anno successivo; nel 1829 fu decorato con l'Ordine cavalleresco di Francesco I, destinato a premiare gli uomini più illustri nelle scienze, nelle arti e negli impieghi civili.

Vivido di intelligenza e fertile di attività fino agli ultimi anni della vita, :il C. godette dell'amicizia dei grandi, da Francesco I a F. Ricciardi e G. Zurlo, ai vescovi G. Capecelatro, C.M. Rosini, B. Della Torre.

Morì a Napoli il 23 ag. 1832.

La sua tomba, nella chiesa di S. Restituta, vicina a quelle dei dotti ecclesiastici napoletani A. S. Mazzocchi, N. Ignarra, G. Simioli, è ornata da una iscrizione di G. Castaldi.

Fra le opere, oltre le citate, ventotto carmi in latino, di cui i più famosi In obitu Gabrielis fratris amantissimi elegia (Neapoli 1803) e In obitum Barbarae Candidae elegia (ibid. 1804), che furono giudicati dal dotto filologo V.M. Giovenazzi "un capolavoro di latino e di eleganza, di artificio poetico, di dottrina e proprietà di sentimenti, un quidmedium tra Catullo e Properzio" (cit. in Castaldi, p. 15);tre commentari in latino, S. Aulae vita (Neapoli 1782), De F. Danielli studiis sciptisque comment. (ibid. 1818)e De Brunonis Amantheae studiis, rebusque commentarius (inserito nel vol. Ultimi ufficii alla mem. di Bruno Amanteo, ibid. 1822), che si segnala per la singolare abilità mostrata dal C. nell'esprimere in lingua latina quasi tutte le moderne operazioni chirurgiche e i corrispondenti strumenti della scienza medica del celebre chirurgo napoletano; sette orazioni, fra cui meritano di essere ricordate l'Oratio pro recuperata valetudine Ferdinandi I utriusque Siciliae regis (inserito nella raccolta dei componimenti curati per tale occasione dall'università, Neapoli 1819), e l'Orazione funebre pel card. G. Firrao (ibid. 1830); diciotto epistole; un Tractatus de ponderibus, mensuris, et numeris veterum Graecorum (in appendice all'opera di L. Bos, Antiquitatum Graecarum, praecipue Atticarum, descriptio brevis), e centinaia di iscrizioni latine, esempio di stile e insieme di gusto, limpido che seppe sfuggire alla tentazione dell'adulazione nella difficile arte della epigrafia.

Quasi tutte le opere del C., escluse le poche di maggior mole, si possono leggere in Nicolai Ciampittii opera in unum collecta et recognita a Cajetano Barbati, cuius de vita et scriptis auctoris accedit commentarium, Neapoli 1844.

Fonti e Bibl.: Necr. in Giornale arcadico, LVII (1812), pp. 321 ss.; LX (1833), pp. 371-75; C. Dalbano, Vita di N. C., Napoli 1833; G. Castaldi, Elogio storico di N. C., Napoli 1833; S. Gatti, Elogiodel cav. N. C., Napoli 1833; C. A. Villarosa, Elogio di N. C., Napoli 1833; G. Royer, Elogio di N. C., Napoli 1834; E. De Tipaldo, Biogr. d. Ital. illustri, IV, Venezia 1837, pp. 382 ss.; C. Minieri Riccio, Memorie storiche..., Napoli 1844, sub voce;P. Santamaria, Hist. Collegii Patrum Canon. Metropolitanae Ecclesiae Neapolitanae, Neapoli 1900, p. 557; A. Zazo, L'ultimo periodo borbcnico, in Storia dell'univers. di Napoli, Napoli 1924, pp. 530 s., 534, 570, 586 s.; Id., L'istruz. pubblica e privata nel Napoletano (1767-1860), Città di Castello 1927, pp. 89 s., 96, 111, 135, 143; E. Codignola, Pedagogisti ed educatori, Milano 1939, p. 137; G. Gentile, Studivichiani, Firenze 1968, p. 246; M. A. Tallarico, Il vescovo B. della Torre..., in Ann. d. Ist. stor. ital. per l'età mod. e contemp., XXVII-XXVIII(1975-76), pp. 347 s.

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