VERNIA, Nicoletto

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 98 (2020)

VERNIA, Nicoletto

Marco Forlivesi

– Nacque a Chieti nel 1427 circa, da un Antonio Vernia; nulla è noto circa la madre.

Ebbe una sorella, Caterina, che ebbe figli, e una moglie, Margherita, consanguinea di Pietro de Salvato, dalla quale non ebbe figli che gli sopravvissero; adottò come proprio figlio il vicentino Pietro Antonio Dalla Scroffa (v. oltre). Si fregiò di uno stemma: scudo spaccato, nel primo d’oro a due pigne di verde, nel secondo d’azzurro a una pigna d’oro.

Della sua giovinezza non è noto quasi nulla. Gli unici dati certi sono il fatto che un suo conterraneo e parente, Nicola Manupello da Chieti, fu ospite a Venezia nel palazzo della famiglia Badoer e che Vernia entrò nelle grazie di un membro di tale famiglia, Sebastiano: un patrizio veneto che rivestì un ruolo non secondario nella vita politica veneziana, ma che frequentò anche le lezioni di Paolo Della Pergola. Lo stesso fece Vernia, presumibilmente presso la Scuola di Rialto, in Venezia, e si addottorò in artes nello Studio di Padova il 30 maggio 1458 avendo come promotore Gaetano Thiene, del quale si può supporre che seguì le lezioni.

Durante la sua formazione Vernia si recò anche a Pavia, al fine di approfondire lo studio delle calculationes di Richard Swineshead, ascoltando forse le lezioni di Giovanni Marliani. Le date di questo soggiorno (certamente posteriore al 1448, perché sino ad allora fu docente di teologia in quello Studio il domenicano Enrico Lugardo da Palermo, che Vernia non incontrò, almeno in quella sede) non sono note. Il 21 maggio 1464 e il 26 febbraio 1467 fu a Padova, in entrambi i casi testimone di una laurea.

Nel 1466 ricevette il primo incarico di docenza in Padova, nel 1468 ottenne la cattedra ordinaria di filosofia naturale che era stata di Thiene e nel 1469 entrò a far parte del Collegio dei filosofi e medici dello Studio.

Questa fulminante carriera mostra la forza delle entrature politiche di Vernia in Venezia. In particolare, il teatino venne ammesso nel Collegio grazie a una lettera del doge Cristoforo Moro, alla compiacenza di Cristoforo Rappi da Recanati, in quel momento priore del Collegio, e a un ‘compromesso’ che trasformò in permanente ciò che, in un primo momento, era stato accettato dal Collegio solamente come provvisorio. Di fatto, l’ingresso di Vernia nel Collegio avvenne forzandone gli statuti.

Un evento di poco successivo suggerisce i legami di Vernia con il nobile e giurista napoletano Aniello Arcamone, ambasciatore in Venezia di re Ferdinando I d’Aragona, del quale Vernia era suddito: su istanza di Arcamone, il 14 gennaio 1471 Vernia ottenne dal Consiglio dei Pregadi il raro privilegio dell’esenzione dalla ballottazione, ossia di non essere in futuro sottoposto, per la conferma nella cattedra, al voto della universitas.

L’esenzione dalla ballottazione era stata concessa in precedenza solo a pochissimi docenti: tra essi, in particolare, Gerardo Boldieri da Verona, nel 1456, e Thiene, nel 1465. Se il secondo era stato uno dei principali maestri di Vernia, il primo, celeberrimo e facoltoso docente in Padova e medico in Venezia, fu il dedicatario della Questio de gravibus et levibus di Vernia: un’opera che in almeno due incunaboli reca come data del termine di stampa il 28 settembre 1474. Il testo, che si presenta come un’appendice a un volume che contiene la Expositio in libros Aristotelis De celo et mundo di Thiene, inaugura la serie delle opere scritte e pubblicate dallo stesso Vernia. In effetti, Vernia dedicò i propri sforzi editoriali più alla cura di opere altrui che alla pubblicazione delle proprie, nondimeno affiancò regolarmente alle opere di cui curò l’edizione – o che, perlomeno, patrocinò – un proprio lavoro. La Questio de gravibus et levibus del 1474 è la prima delle sei opere di cui fu autore pubblicate lui vivente, alle quali si può aggiungere un ulteriore testo certamente terminato e preparato per la stampa da lui stesso, le Questiones de pluralitate intellectus contra falsam et ab omni veritate remotam opinionem Averrois, et de anime felicitate, che fu però stampato solamente dopo la sua morte.

Il 20 settembre 1475 – in un periodo peraltro piuttosto turbolento per lo Studio, caratterizzato dall’annullamento di nomine di docenti da parte della Quarantia –, Vernia ottenne un aumento di stipendio da 250 a 300 fiorini. Il 2 novembre 1478, colpito da malattia, fece redigere un primo testamento, in cui designò come erede delle proprie sostanze – in particolare della propria biblioteca – il monastero dei canonici regolari lateranensi di S. Giovanni di Verdara, in Padova. Il documento rivela gli interessi di Vernia, informandoci del fatto che possedeva le opere complete di Alberto Magno, Avicenna, Giovanni di Jandun e Averroè.

Vernia si riprese da questa prima infermità e presumibilmente in più occasioni, una delle quali cadde probabilmente nel 1479, si recò a Chieti per curare propri interessi. Il 28 settembre 1479 fu beneficiario di un provvedimento ducale che stabiliva che gli fosse corrisposto anticipatamente lo stipendio per l’anno accademico incipiente, ossia il 1479-80.

Il 12 febbraio 1480 portò a termine una seconda opera: la Questio an ens mobile sit totius naturalis philosophie subiectum, pubblicata entro la fine di quello stesso mese congiuntamente alla Expositio in libros De generatione et corruptione Aristotelis cum textu di Egidio Romano e alle Questiones super libris De generatione et corruptione Aristotelis di Marsilio di Inghen. L’opera è in qualche modo dedicata, nella forma di una ‘richiesta di valutazione’, a un importante personaggio della corte aragonese in Napoli: il domenicano Enrico Lugardo (o Languardo), a quel tempo arcivescovo di Acerenza e Matera, confessore di Ferdinando I e governatore dello Studio di Napoli. La dedica va forse ricondotta alla possibile trattativa con Lugardo per un insegnamento a Napoli. La trattativa, se vi fu, ebbe esito negativo e quanto scrisse Giangiuseppe Origlia (Istoria dello Studio di Napoli, I, Napoli 1753, pp. 260 s.), secondo il quale Vernia insegnò fisica anche in tale sede, non corrisponde a realtà, tuttavia la documentazione che egli utilizzò potrebbe essere rivelativa delle intenzioni di Lugardo e Ferdinando I.

Nel 1480 Vernia compose anche un primo trattato dedicato alla natura dell’intelletto umano. Rimasto in forma manoscritta, ha il titolo Utrum anima intellectiva humano corpori unita tanquam vera forma substantialis dans ei esse specificum substantiale, eterna atque unica sit in omnibus hominibus. Nel 1481 (il 31 luglio, come dichiara lui stesso nell’opera) portò a compimento la Questio an celum sit ex materia et forma vel non, pubblicata però solamente nel 1483 all’interno dell’edizione delle opere di Aristotele di cui si dirà. Ivi si legge anche che nell’anno accademico corrente, ossia il 1480-81, Vernia aveva esposto il secondo libro del De anima di Aristotele. Nel 1482 curò la pubblicazione della Expositio in libros octo De physico auditu di Walter Burley, dedicata a Sebastiano Badoer, in quell’anno avogadore del Comun, e incluse in quel volume sia un breve scritto dedicato all’articolazione della filosofia (il testo, privo di titolo, è usualmente indicato come Quaestio de divisione philosophiae) sia la Questio an medicina nobilior atque prestantior sit iure civili. Probabilmente anteriore alla pubblicazione della Expositio è la stesura della breve opera Queritur utrum sint ponende rationes seminales in materia respectu rerum que ex ipsa generantur, lasciata inedita da Vernia.

Tra il novembre del 1480 e il novembre del 1481 Vernia condusse, con il conterraneo Giovanni dall’Aquila, una doppia e parallela trattativa: una con gli ufficiali dello Studio di Pisa, l’altra con il Consiglio dei Pregadi. L’intento di Vernia era ottenere uno stipendio superiore a quello di cui godeva o l’assegnazione a vita di una cattedra. La prima trattativa giunse alla stipula di un contratto, che Vernia violò; la seconda si concluse con la concessione di uno stipendio base biennale di 500 fiorini.

Nell’anno accademico 1481-82 tenne un corso sulla Fisica di Aristotele. L’11 febbraio 1483 il teatino fu promotore alla laurea di Pietro Trapolin, che divenne poi docente dello Studio di Padova. Nel febbraio-ottobre del 1483 Andrea Torresani stampò una traduzione latina, in sei tomi, di numerose opere di Aristotele accompagnate dai relativi commentari di Averroè. Nel colophon dei due volumi che contengono le opere logiche e le opere etico-politiche di Aristotele si legge che il testo fu emendato da Vernia. Da riferirsi al volume contenente la Metafisica sono la Questio an celum sit ex materia et forma constitutum vel non e una dedica all’ex capitano di Padova Francesco Sanudo e al figlio di questi, Marco (il quale, ci informa Vernia, era stato un suo allievo, presumibilmente nel 1481-82), entrambe opera di Vernia.

All’ottobre del 1483 e al dicembre del 1484 risalgono due notevoli lettere di Ermolao Barbaro a Vernia.

Nelle prime righe della cosiddetta Quaestio de divisione philosophiae, pubblicata nel 1482, Vernia aveva lodato Barbaro per le sue traduzioni in latino delle parafrasi di Temistio della Fisica e dei Secondi Analitici, stampate nel 1481. Nella lettera dell’ottobre del 1483 Barbaro loda Vernia per la sua opera di restauro del testo e del lessico di Aristotele, accomunando implicitamente l’impegno del teatino al proprio. La seconda lettera invece, del 17 dicembre 1484, è spia di una crisi nei rapporti tra i due autori: essa costituisce una sorta di excusatio concernente il fatto che Barbaro stava tenendo in Venezia lezioni su Aristotele aperte al pubblico. Forse involontariamente, ma di fatto, Barbaro stava facendo concorrenza a Vernia e allo Studio di Padova; una concorrenza che sottraeva studenti alle lezioni di Vernia.

Il 20 ottobre 1486 il teatino ottenne dal Senato 50 fiorini aggiuntivi rispetto ai 250 annui già previsti. Il 23 ottobre 1487 fu tra i promotori alla laurea in artes di Domenico Grimani, rampollo di una famiglia patrizia veneziana in rapida ascesa. Nonostante i maneggi politici di Vernia, tuttavia, il 13 dicembre 1487 il Senato lo privò del diritto di tenere lezione in ore non ordinarie, e dunque, di fatto, del diritto di tenere lezione senza concorrente e a suo piacimento.

Nel 1489 Vernia si trovò a fronteggiare uno dei momenti politicamente più difficili della sua vita. Il 4 maggio di quell’anno il vescovo di Padova, Pietro Barozzi, e l’inquisitore di Padova, il francescano conventuale Martino da Lendinara, emanarono un editto, reso pubblico il giorno 6, con cui venne vietato di trattare la tesi averroista dell’unicità dell’intelletto umano. L’editto non nomina Vernia, né vennero presi specifici provvedimenti contro di lui, nondimeno è certo che tra gli obiettivi del documento vi fosse anche, e forse innanzi tutto, l’insegnamento del teatino.

Vernia, conformemente al proprio costume, si adattò rapidamente alla situazione, come dimostrano le Questiones de pluralitate intellectus contra falsam et ab omni veritate remotam opinionem Averrois, et de anime felicitate, che astutamente dedicò a Grimani, suo antico allievo (segretario apostolico e protonotario dal 1° ottobre 1491, cardinale dal 20 settembre 1493). Il 20 aprile 1491 il Senato veneto concedette al teatino una gratifica di 40 fiorini su un salario che era già lievitato a 325 fiorini annui.

L’abilità politica di Vernia non lo mise comunque del tutto al riparo da attacchi sul piano speculativo. Tra il 1485 e il 1492 (più precisamente, si potrebbe ipotizzare l’anno 1489) lo scotista francescano conventuale Gomes da Lisbona (Gometius Hispanus), docente presso l’Università di Pavia, pubblicò una Questio perutilis de cuiuscumque scientie subiecto principaliter tamen naturalis philosophie. L’opera fu una risposta, e una critica, alla Questio an ens mobile sit totius naturalis philosophie subiectum di Vernia. Essa si presenta come scritta a seguito di una sollecitazione di Anselmo Meia, un esponente della filosofia pavese che al tempo della pubblicazione della Questio di Vernia era in Padova.

Il 18 novembre 1491 Vernia concluse la Questio an celum sit animatum, pubblicata però solamente nel 1891 da Pietro Ragnisco, e il 17 febbraio 1492 la Questio an dentur universalia realia, esito di un lavoro cominciato anni addietro. Nel medesimo anno concedette il proprio placet intellettuale alla pubblicazione dello Opus præclarissimum commentorum omnium Averoys Cordubensis super libros physicorum Aristotelis expositorium, ossia della expositio dei commenti di Averroè alla Fisica, opera del servita trecentesco Urbano da Bologna, noto anche come Urbano Averroista, a cura dei serviti Defendino da Genova e Giacomo Filippo da Ferrara. La pubblicazione del volume, che si apre con la Questio an dentur universalia realia di Vernia, fu promossa dal ministro generale dell’Ordine dei servi di Maria, il bolognese Antonio Alabanti, fu implicitamente approvata – e presumibilmente finanziata – dal cardinale Giovanni Michiel, protettore dell’Ordine, ed ebbe termine in Venezia il 15 novembre 1492. Come in altri casi, Vernia collegò la pubblicazione dell’opera alla propria attività d’insegnamento, che nel 1492-93 riguardò precisamente la Fisica di Aristotele.

Presumibilmente nel 1493-94 Vernia tenne un corso di lezioni di cui potrebbe essere testimone una reportatio, giunta a noi in forma manoscritta, che reca il titolo di Expositio in Posteriorum librum priorem. Il 23 settembre 1494 l’eremitano Giacomo de’ Bonaguisi da Mantova, in quel momento priore a Venezia, pubblicò una Expositio super universalia Porphyrii et artem veterem Aristotelis di Paolo Veneto che si apre con una lettera dello stesso Bonaguisi a Vernia. In essa vi è un esplicito riferimento critico alle tesi sostenute dal teatino contro Veneto e si può pensare che Bonaguisi si riferisca precisamente ai due corsi tenuti da Vernia nel 1492-93 e nel 1493-94.

Nel 1492 Vernia adottò come proprio figlio Pietro Antonio Dalla Scroffa, già suo studente e membro di un’importante famiglia di Vicenza. Di tale città Vernia divenne anche cittadino, pur continuando a vivere in Padova. Il 16 gennaio 1495 il teatino fece redigere un secondo testamento, in cui nominò proprio erede Dalla Scroffa, e destinò i propri libri al monastero di S. Bartolomeo, in Vicenza: anch’esso un monastero di canonici regolari lateranensi, come quello di S. Giovanni di Verdara in Padova, ma con connessioni con i Dalla Scroffa.

Pietro Antonio Dalla Scroffa, Giovanni Barbarano – allievo di Vernia e padre di Elisabetta Barbarano, moglie di Pietro Antonio –, Evangelista Dalla Scroffa, cugino di Pietro Antonio e priore di S. Bartolomeo, e Pietro Pomponazzi costituirono in quegli anni un circolo di ‘averroisti’ che si riunì precisamente attorno a Vernia.

Il 9 settembre 1495 il Senato concedette a Vernia il diritto esplicito di tenere lezione senza concorrente; alla cattedra che era di Vernia venne nominato Pomponazzi e come concorrente di quest’ultimo venne nominato Agostino Nifo. Il 29 dicembre dello stesso anno il teatino ricevette anche la laurea in medicina, avendo tra i promotori quel dall’Aquila da tempo suo sodale in molte delle acrobazie accademico-politiche di cui fu protagonista.

Il significato della laurea in medicina di Vernia fu strettamente pratico-legale. Da sempre egli si qualificava come dottore in arti e medicina; si deve dunque pensare che con tale ‘nuova’ laurea intendesse infirmare ogni contestazione che avrebbe potuto essere sollevata di fronte a un suo esercizio della pratica medica, con la quale intendeva ulteriormente accrescere, e forse già accresceva, le proprie entrate.

Il 19 giugno 1498, con abile manovra riuscì a far assegnare a Nifo un insegnamento concorrente al proprio senza togliere un uguale insegnamento a un altro suo allievo, Antonio Fracanzani. Di fatto Vernia ottenne dal Senato sia la conservazione del proprio stipendio, sia la tacita concessione di poter tenere lezione se e quando a lui fosse piaciuto, sia la presenza di due docenti, e non di uno solo, che tenevano lezione di filosofia naturale contemporaneamente alla sua. La deliberazione del Senato del 19 giugno 1498 implica formalmente che, tra il 1495 e quella data, il privilegio di legere sine concurrente fosse stato revocato, cosa che, nella realtà, non sembra essere accaduta. La deliberazione del 1498 segnò – su un piano fattuale, non su quello formale – la cessazione dell’attività didattica di Vernia. Il 2 gennaio 1499 Vernia era a Venezia, assieme al solito dall’Aquila, ove esercitava lucrosamente la pratica medica.

Nel 1499 Vernia aveva già concluso, o concluse, almeno due opere che furono pubblicate poco dopo la sua morte: l’edizione delle Questiones Joannis Jandoni de celo et mundo e le Questiones de pluralitate intellectus contra falsam et ab omni veritate remotam opinionem Averrois, et de anime felicitate. La prima opera fu pubblicata per iniziativa di Giacomo Filippo Pellenegra nel 1501; la seconda fu pubblicata per la prima volta nel 1504, congiuntamente alle Acutissime questiones super libros de Physica auscultatione di Alberto di Sassonia curate da Giacomo Battista Alvisi da Ravenna. Le Questiones appaiono dedicate al cardinale e patriarca di Aquileia Grimani e risultano approvate, nel 1499, nientemeno che dal domenicano Vincenzo Merlini, dai francescani conventuali Maurice O’Fihely e Antonio Trombetta e dal vescovo Barozzi.

Il 3 agosto 1499 Vernia fece redigere a Vicenza un terzo e ultimo testamento. Oltre ad alcuni dettagli circa la sua famiglia e le sue proprietà nel Chietino e nel Veneto, sono degni di attenzione i passaggi relativi al destino della sua biblioteca, affidata al monastero vicentino di S. Bartolomeo, e dei suoi commenti manoscritti ad Aristotele: Vernia stabilisce che possano essere stampati solo dopo essere stati rivisti da Girolamo Bagolino e Pietro del Ben.

Bagolino si sarebbe dedicato alla preparazione della grande edizione delle opere di Aristotele, accompagnate dai commenti di Averroè, che sarebbe stata stampata da Giunta nel 1552 a cura del figlio di Girolamo, Giambattista. Tuttavia i commentari di Vernia alle opere di Aristotele non videro mai la luce e non risultano giunti fino a noi.

Vernia morì, presumibilmente a Vicenza o a Padova, il 5 ottobre 1499 e fu sepolto in Vicenza in S. Bartolomeo (S. Bortolo), attualmente sede storica dell’Ospedale civile, all’interno del quale si trova tuttora un suo monumento funebre.

Vernia fu il fondatore di una delle correnti principali dell’aristotelismo rinascimentale: quella caratterizzata da un’interpretazione del pensiero dello Stagirita basata – in opposizione sia all’aristotelismo dei teologi universitari, sia a quello degli interpreti neoplatonici, sia (in parte) a quello degli interpreti umanistici – dapprima sulla tradizione averroista e, successivamente alla morte di Vernia, sull’alessandrismo.

Opere. Quaestiones. Ristampa anastatica delle rispettive edizioni originali, a cura di E. De Bellis, Casarano 1998.

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