CORRADINI, Nicolò

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 29 (1983)

CORRADINI, Nicolò

Martino Capucci

Nacque a Mirandola nel 1573 (data del battesimo, 21 aprile: cfr. Ceretti, I, p. 173), da Giuseppe e da una Lucrezia della quale è ignoto il casato. Secondo la dichiarazione del Maffei (p. 16) la famiglia era di origini genovesi. Le fonti danno scarse notizie sulla sua formazione: si può pensare che studiasse a Bologna, e certamente i suoi rapporti con l'ambiente bolognese furono stretti, soprattutto per il tramite dell'Accademia dei Gelati alla quale risulta ascritto col nome di Avvelenato e della quale fu eletto principe per il 1599 (cfr. Leggi dell' Acc. de' SS.ri Gelati di Bologna, Bologna 1681, p. 31). Fu pure membro della ferrarese Accademia degli Spensierati.

Verso la fine del sec. XVI era vissuto per qualche tempo alla corte di Urbino in qualità di gentiluomo del duca Francesco Maria II (Maffei, p. 16). Dovette tornare in patria agli inizi del nuovo secolo: il 26 nov. 1605 sposò Vittoria Maffei, figlia di Livio e di Livia Susi, morta prematuramente il 6 ag. 1615. Ne ebbe due figlie, Vittoria e Barbara, e due figli: Giuseppe (nato nel 1607 e premorto al padre) e Livio, nato nel 1615 e morto nel 1681. Membro di una delle prime famiglie della città, fu assai devoto ai signori di Mirandola. Il 18 ott. 1605 è tra i gentiluomini che accompagnarono a Modena Alessandro I Pico, cui era stato conferito, insieme con Cesare d'Este, il Toson d'oro (cfr. Papotti, p. 89). Più di una volta Alessandro si valse di lui per missioni diplomatiche: nel 1606 lo mandò a Venezia ad ossequiare il doge Leonardo Donà succeduto a Marino Grimani, e di fronte al Donà il C. pronunciò un'orazione poi pubblicata negli Affetti geniali del 1630, pp. 302-12. Le lodi iperboliche del nuovo doge convergono tutte in una apologia di Venezia che sembra riflettere la volontà dei Pico di rafforzare i legami con la Repubblica anche come antidoto alla pressione modenese, che aveva acquisito un punto di forza anche nel recente matrimonio (1603) di Alessandro con Laura d'Este, figlia del duca Cesare. Nel discorso peraltro manca una vera argomentazione, e l'autore sembra più interessato all'esercizio di uno stile oratorio di incontinente effiorescenza concettistica che allo svolgimento di una tesi politica.

Nel dicembre 1613 il C. fu a Parma presso Ranuccio I duca di Parma, con l'incarico di seguire le vicende diplomatiche conseguenti alla guerra per la successione del Monferrato. Tornato da Parma fu nominato, grazie alle sue competenze di matematico e idraulico, giudice delle Acque e delle Strade, e in questo ufficio, intorno all'anno 1615, egli si avventurò a sue spese in una grossa impresa, lo scavo di un canale tra Mirandola e Concordia, che doveva favorire, come favorì, il commercio con gli Stati limitrofi e segnatamente con Venezia, ma che gli procurò una lunga serie di controversie legali e di danni economici, poiché alcuni allagamenti di terreni costrinsero il C. a rifondere i danni e a consolidare gli argini del Naviglio. Dà testimonianza di queste amare vicende una lettera del febbraio 1617, parzialmente riprodotta dal Papotti (p. 114) e dal Ceretti (I, pp. 177 s.).

Il C. aveva rapporti di rispettosa amicizia con Maffeo Barberini, che era stato legato a Bologna dal 1611 al '14 e che come lui apparteneva ai Gelati; e quando nel '23 il Barberini divenne papa, ne celebrò l'elezione a nome degli accademici con un componimento in versi sciolti di solenne intonazione, parzialmente pubblicato negli Affetti geniali, pp. 277-90. Scrisse pure a Urbano VIII il 3 sett. 1623 e ne ricevette risposta il 7 settembre (la lettera del C. e un'altra di Alessandro Pico con le due responsive del papa sono pubblicate dal Papotti, pp. 110 ss.); successivamente il papa lo invitò a Roma, ma, mentre si apprestava al viaggio, il C. morì improvvisamente, a Mirandola, l'11 sett. 1624 (cfr. Maffei, p. 16).

L'appartenenza all'Accademia dei Gelati negli anni cruciali tra il Cinque e il Seicento è di per sé degna di rilievo perché collega il C. a un'esperienza di primaria importanza nella genesi della poesia concettistica. Pur senza possedere la esemplarità di un Cesare Rinaldi o di altri lirici bolognesi, il C. contribuisce alla elaborazione di quella lirica che sviluppa e stravolge il modello tassiano portando agli estremi la ricerca di uno spericolato metaforismo. Significativa è la frequente presenza del C. nelle varie miscellanee che direttamente o indirettamente furono promosse dai Gelati: una canzone e altre composizioni apparvero tra le Rime di diversi nelle nozze [di] Federico Pico et Hippolita d'Este, Ferrara 1594, pp. 61-70. Le Rime de gli Accademici Gelati, Bologna 1597, pp. 54-83, accolgono sette sonetti e tre egloghe: una certa fortuna ebbe la terza egloga detta da Tirsi, pp. 74-83, ripubblicata col titolo La fuggitiva ninfa. Idillio, in appendice a L'amorosa ambasciatrice. Idillio del... C. A. [Claudio Achillini], Vicenza 1612, pp. 15-25 (si citano anche edizioni del 1613, veneziana, e del 1614, vicentina, riusciteci irreperibili). Il tema della crudeltà della donna amata, che muove da uno spunto inequivocabilmente tassiano, è qui svolto con greve materialità e con la ostentata ricerca della battuta teatrale. Dal motivo, appena abbozzato, della sofferenza individuale, il C. passa, in forme ragionative e giocando sulle corde dell'iperbole e delle antitesi vistose, alle immagini di una cosmica lotta di forze antagonistiche: gli sfugge insomma quanto di inquieto è inerente al tema; e se il riferimento iniziale è al Tasso, la composizione nel suo insieme richiama piuttosto all'Achillini. L'idillio ha tuttavia, un certo interesse per l'inventario di metafore ardite che se ne può ricavare.

Del 1601 èl'omaggio Al s. co. Ridolfo Campeggio et alla s.ra Pantasilea Catanea, pubblicato a Bologna. In una nuova raccolta accademica (le Rime de i Gelati, Bologna 1615, pp. 121-32), la presenza del C. è affidata a due egloghe, poi ripresentate nella silloge del 1630, pp. 140-44 e 198-203.

Il catalogo dei mss. Campori (L. Lodi, Catalogo dei codici e degli autografi... Campori, Modena 1875 ss.) attribuisce al C. una cospicua raccolta di sonetti: in realtà il codice (Modena, Bibl. Estense, y. H. 3. 33)raccoglie le rime dell'omonimo pronipote (1693-1764) del Corradini. Relative al C. sono soltanto alcune annotazioni documentarie, specialmente a cc. 93 e 94 v. Un altro codice della Bibl. Estense, a. J. 9. 15 (It. 560), contiene, insieme a poesie del Tassoni, dell'Achillini, del Venier e di altri, l'Ercole moribondo, cc. 7-15, pubblicato negli Affetti geniali, pp. 45-54(un ms. della stessa egloga si conserva nella Bibl. universitaria di Bologna, ms. 1490 [2691], cc. 106-113). Tra i documenti lasciati dal C. si rammentano tre lettere all'Arch. di Stato di Modena, Letterati. Carteggi, caps. 16 (al card. d'Este, 16 maggio 1602; a destinatario ignoto, 21 maggio 1615; al p. Luigi Abrici, 24 dic. 1622, con minuta acclusa); cinque lettere a Giulio Giordani (1603-1622) a Pesaro, Bibl. Oliveriana, ms. 1561; una lettera al vescovo di Belluno, Luigi Lollino, 18 ott. 1612, conservata in copia a Vicenza, Bibl. Bertoliana, G. 4- 4. 10 (Le 7), cc. 59-61) è ricordata in E. A. Cicogna, Delle Inscrizioni Veneziane, V, Venezia 1842, p. 44).

La silloge maggiore, che accoglie anche alcune composizioni già edite, è quella degli Affetti geniali, della quale il Tiraboschi (II, p. 87) dice che fu pubblicata a Venezia nel 1624. Di questa stampa non resta traccia e le informazioni offerte dal Ceretti (I, p. 181) intorno al testamento del C. in data 31 marzo 1621, sembrano smentirla: è improbabile comunque che l'ipotetica prima edizione contenesse scritti poi esclusi dalla stampa del 1630. Il C. dispose che le sue carte passassero dopo la sua morte al nipote Orazio Possidoni, che non ne fece nulla, e fu il p. Agostino Agostoni che si assunse il carico della stampa (Affetti geniali, Vicenza 1630, con dedica al card. Francesco Barberini).

La raccolta è aperta e giustificata da lunghe Considerazioni aforistiche (pp. 9-44)non prive d'interesse nel quadro della poetica del primo concettismo. Vi si sostiene, secondo un principio che poi il Marino avrebbe portato alla perfezione, che il poeta deve scegliere favole, antiche o moderne, di fama consolidata, tali cioè da permettergli una maggiore libertà di variazione sul tema. In conformità di queste dichiarazioni proemiali il C. predilige argomenti e personaggi di larga notorietà (Elena, Cassandra, Andromaca, Laodamia e Protesilao, la morte di Ercole, il furore di Aiace ecc.), prelevati da un repertorio epico-mitologico che proprio per la sua ovvietà scolastica consentiva e anzi suggeriva l'esercizio delle più peregrine audacie metaforiche. Qui si leggono anche due prologhi per recite accademiche della Filli di Sciro e del Pastor fido, l'epitalamio Venere nascente per Alessandro Pico e Laura d'Este, e un frammento tragico, La Tebaide, sul quale cfr. una lettera al cancelliere Striggi, 8 nov. 1621, cit. dal Papotti, p. 113.

Bibl.: Prose de' Sig. Accademici Gelati, Bologna 1671, p. 114; Memorie, imprese e ritratti de'sig. Accademici Gelati, Bologna 1672, pp. 337-40; G. Maffei, Sulle famiglie nobili della Mirandola [1710], a cura di F. Ceretti, Mirandola 1878, p. 16; F. S. Quadrio, Della storia e della ragioned'ogni poesia, II, Bologna 1741, pp. 304, 583; III, ibid. 1742, p. 355; L. Allacci, Drammaturgia, Venezia 1755, col. 12; G. Tiraboschi, Biblioteca modenese, II, Modena 1782, pp. 87 s.; G. Melzi, Diz. di opere anonime..., III, Milano 1859, p. 130; F. I. Papotti, Annali o memoriestor. della Mirandola, I, Mirandola 1876, pp. 89, 91, 100 s., 110-115; F. Ceretti, Biografie mirandolesi, I, Mirandola 1901, pp. 172-84; IV, ibid. 1905, p. 249.

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