Gogol´, Nikolaj Vasil´evič

Enciclopedia dei ragazzi (2005)

Gogol´, Nikolaj Vasil´evič

Guido Carpi

Incanti e disincanti della vecchia Russia

La prosa di Nikolaj Gogol´, il grande scrittore russo vissuto nel 19° secolo, è come un tappeto magico, intessuto di ironia e di angoscia. Con esso sorvoliamo il fiabesco mondo del distretto di Mirgorod, le gesta eroiche dei cosacchi ucraini, la vita meschina dei proprietari terrieri e dei burocrati della Russia ottocentesca, l'allegra e spensierata plebe della Roma papalina

Fiaba e ironia

Gogol´ nasce nel 1809 in una famiglia di piccoli proprietari terrieri del distretto di Mirgorod, in Ucraina, la regione meridionale dell'Impero russo dove le memorie storiche sui guerrieri di frontiera ‒ i cosacchi ‒ si mescolavano a fiabe e credenze magiche. Un affascinante caleidoscopio di folclore, ora terrorizzante ora allegro e burlone, caratterizza i suoi primi racconti (Veglie alla fattoria presso Dikan´ka, 1831): l'ambiente provinciale e fiabesco descritto da Gogol´ è come sospeso fuori dal tempo, chiuso in una dimensione sua, con al centro la piccola città di Mirgorod, cara allo scrittore fin dall'infanzia e il cui nome, non a caso, può significare in russo sia "città-mondo" sia "città della pace".

Dopo una breve esperienza come professore di storia all'Università di Pietroburgo, Gogol´ decide di dedicarsi totalmente alla letteratura e nel 1835 pubblica due nuove raccolte di racconti: una intitolata proprio Mirgorod e l'altra Arabeschi. Nella prima l'ambientazione è sempre quella delle Veglie, ma il tono cambia, e, se si esclude l'inquietante racconto Il Vij (nome di un malvagio demone ucraino), il folclore e la magia lasciano il posto alla descrizione ironica di personaggi tanto meschini da suscitare ora pena ora repulsione.

Un presente meschino e un passato glorioso

Il ristagno mentale e la meschinità dominano anche la commedia L'ispettore generale, rappresentata nel 1836 a Pietroburgo alla presenza dello zar Nicola I: qui i corrotti funzionari di una cittadina di provincia scambiano un forestiero di passaggio ‒ un giovanotto sciocco e vanitoso di nome Chlestakov ‒ per l'ispettore mandato a controllare le loro malefatte e tentano di lusingarlo in ogni modo; il giovane ne approfitta per ottenere soldi e favori, ma si lascia coinvolgere dal gioco a tal punto che finisce per credere lui stesso di essere un personaggio straordinario. Sul più bello fugge, ma all'arrivo del vero ispettore gli altri personaggi riuniti rimangono folgorati nella famosa scena muta finale.

A questo mondo meschino e senza futuro Gogol´ contrappone il passato glorioso dei cosacchi nel racconto Taras Bul´ba, ambientato nell'antica Ucraina. L'eroe del titolo è un valoroso guerriero che non riconosce alcuna legge tranne la fedeltà ai compagni ‒ un legame definito da Taras "cameratismo" ‒ e il dovere di difendere il proprio popolo. Ad attrarre Gogol´ non sono solo l'eroismo e la libertà dei cosacchi, ma anche la loro semplicità, l'assenza di leggi scritte, l'allegria spontanea e primitiva che trasforma la vita in una festa ‒ "L'allegria è per Gogol´ lo stato creativo dell'anima", scriverà un secolo dopo il critico russo Jurij Lotman. Nella società moderna, però, l'allegria e la creatività sono scomparse e il principio della gerarchia si è sostituito al cameratismo, trasformando l'uomo in una macchina senz'anima.

L'oppressione della società moderna

Il carattere oppressivo del mondo moderno è ben rappresentato dalla burocrazia di Pietroburgo, che Gogol´ descrive nei racconti di Arabeschi (1835): Il ritratto, La prospettiva della Neva e Il diario di un pazzo; a essi si aggiungeranno poi Il naso (1836) e Il cappotto (1842) nel ciclo I racconti di Pietroburgo. Chi tenta di uscire dallo squallore e dalla routine è colpito da follia o morte, come mostrano le storie dei poveri impiegati protagonisti di Il diario di un pazzo e Il cappotto: il primo sogna di far carriera sposando la figlia del suo principale e, mano a mano che le sue speranze vengono frustrate, scivola in un delirio di grandezza che lo porterà a finire in manicomio; il secondo ripone tutte le proprie aspettative nell'acquisto di un cappotto nuovo che però gli viene subito rubato. Il pover'uomo muore così di freddo e di dispiacere: egli ricompare per le vie di Pietroburgo come fantasma che strappa cappotti dalle spalle dei passanti e si dilegua definitivamente dopo aver colpito il proprio principale, che in vita aveva rifiutato di aiutarlo.

In questi racconti Gogol´ elabora uno stile letterario che esprime il carattere assurdo della società russa: la narrazione non è mai obiettiva, pacata, ma oscilla sempre fra il grottesco e il patetico; i dettagli sono descritti in modo quasi maniacale e poi inspiegabilmente abbandonati; gli animali e gli oggetti si animano: celebre, per esempio, lo scambio di lettere fra due cagnolini in Il diario di un pazzo. Al contrario, le persone sono rese simili a maschere, si disgregano in una serie di particolari fisici che vivono come di vita propria: si pensi al naso dell'omonimo racconto o all'inizio di La prospettiva della Neva, dove abiti e pettinature passeggiano e agiscono al posto delle persone.

Nelle storie raccontate da Gogol´ la voce narrante divaga continuamente dal soggetto principale ed esprime spesso giudizi paradossali e illogici, in contrasto con le vere opinioni dell'autore. Questo flusso di parole che pare giocare a nascondino con sé stesso influenzerà profondamente la letteratura russa successiva, tanto che Fëdor Dostoevskij ammetterà: "Siamo tutti usciti dal Cappotto di Gogol´".

Le anime morte

Nel 1837, all'apice del successo, Gogol´ si reca in Europa occidentale e vi rimane per undici anni. Per la maggior parte del tempo risiede a Roma, dove gli sembra di aver trovato la sua vera patria: qui lavora a Le anime morte, in cui si narrano i viaggi del protagonista Pavel Čičikov, un ex funzionario corrotto. Egli percorre la provincia russa per accaparrarsi i servi della gleba già morti ma risultanti vivi dall'ultimo censimento: gli serviranno come garanzia per ottenere crediti dalle banche. Di qui il titolo, che però non si riferisce solo ai servi, ma anche ai loro padroni: gli abbrutiti e grotteschi proprietari terrieri che Čičikov incontra nel suo viaggio non mostrano infatti alcuna traccia di vita spirituale.

Le anime morte escono a Mosca nel 1842 e hanno subito una vastissima risonanza. Lo scrittore però considerava il libro (da lui definito "poema") come prima parte di un ciclo più ampio, una sorta di Divina commedia russa che avrebbe dovuto mostrare la successiva redenzione del protagonista e "la smisurata ricchezza dello spirito russo". L'ironia stessa con cui Gogol´ descrive i suoi personaggi nasconde una profonda compassione: "Un potere incantato mi impone di andare ancora a lungo mano nella mano con i miei strani eroi, di contemplare tutta la vita nel suo immenso scorrere, contemplarla attraverso un riso visibile al mondo e lacrime a esso invisibili, ignote!". La realtà del paese offriva però ben poco materiale per la parte positiva del poema: nel 1845 Gogol´ brucia quasi tutti i materiali della seconda parte, e i capitoli giunti fino a noi risultano fiacchi e poco convincenti.

L'estrema delusione

Il vicolo cieco creativo si unisce al disagio per i veloci mutamenti storici dell'epoca: in Europa occidentale lo scrittore assiste, infatti, al trionfo dell'individualismo borghese, che minaccia di penetrare anche in Russia. La tirannia del denaro è considerata da Gogol´ anche peggiore della burocrazia e della servitù della gleba: non a caso, nel racconto incompiuto Roma, alla Parigi del progresso borghese lo scrittore contrappone la plebe della città papale, che come i cosacchi di Taras Bul´ba conduce una vita misera ma spensierata e conforme alla natura.

Nel 1847 Gogol´ espone la sua nuova visione del mondo nel libro Brani scelti dalla corrispondenza con gli amici, in cui il potere assoluto dello zar, la servitù della gleba e l'integralismo religioso sono esaltati come baluardo contro la civiltà occidentale.

Il libro suscita uno scandalo enorme, soprattutto fra gli intellettuali progressisti che fino ad allora avevano considerato lo scrittore un alleato: il critico letterario Vissarion Belinskij, che più di tutti aveva contribuito alla diffusione del mito di Gogol´, lo accusa in una famosa lettera pubblica di essere diventato "predicatore della frusta e apostolo dell'ignoranza".

È un ennesimo colpo per Gogol´, che nell'ultimo periodo della vita si rifugia nel misticismo e, dopo un pellegrinaggio a Gerusalemme, torna in patria per ultimare Le anime morte. In condizioni psicologiche sempre più precarie, nel febbraio del 1852 brucia di nuovo il manoscritto del 'poema' e si dedica a lunghi digiuni che lo portano a morire di consunzione.

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