Movimento contro il femminicidio e la violenza sulle donne nato in Argentina nel marzo 2015, la cui denominazione ricalca i versi della poetessa messicana vittima di femminicidio S. Chávez Ni una mujer menos, ni una muerta más (Né una donna in meno, né una morta in più). Estesosi rapidamente come mobilitazione globale in altri Paesi sudamericani, quali il Messico, il Perù e il Cile, fino a raggiungere la Polonia, dove nel 2016 grazie alle proteste di piazza è stata bloccata una proposta di legge per vietare le interruzioni di gravidanza in caso di gravi malformazioni del feto, e gli Stati Uniti, in cui esso ha dato impulso al movimento di denuncia di molestie e abusi sessuali #MeToo, il collettivo femminista usa come forma di lotta lo sciopero – da occupazioni generalmente sottopagate, ma anche dalle attività quotidiane di gestione domestica e accudimento familiare – e le manifestazioni pacifiche di piazza, mirando alla base delle diseguaglianze di genere e sociali e assumendo il femminicidio come atto estremo di una catena di violenze che ha tra le sue maglie fenomeni quali lo sfruttamento, la misoginia e l’imposizione nelle relazioni sociali di un modello gerarchico e sessista. In Italia (dove, secondo i dati Istat, nel 2020 113 donne sono state vittime di omicidi legati a contesti violenti in ambito relazionale, e al novembre 2021 il numero è 103) il movimento Nonunadimeno, attivamente impegnato a difesa delle donne vittime di violenze fisiche, psicologiche e simboliche, ha fatto propri gli stimoli provenienti dal collettivo argentino, ponendo in primo piano modelli intepretativi che additano l’intersezionalità dei piani di potere e oppressione implicati nelle relazioni maschio-femmina, ma mirando anche a difendere e valorizzare gli spazi fluidi che debordano dalle categorie convenzionali di genere.