NORVEGIA

Enciclopedia del Cinema (2004)

Norvegia

Stefano Boni

Cinematografia

Il cinema norvegese si sviluppò con notevole ritardo rispetto a quello degli altri Paesi nordici e soltanto negli anni Venti iniziò a ottenere una certa visibilità. La prima proiezione cinematografica pubblica ebbe luogo il 6 aprile 1896 a Cristiania (od. Oslo) e venne organizzata dal direttore del Circus Variété Johan Jacobsen, che aveva invitato in N. i fratelli Max ed Emil Skladanowsky con un programma di nove film. Nei dieci anni successivi si moltiplicarono le proiezioni di produzioni straniere e il 1° novembre 1904 venne inaugurata a Cristiania la prima sala cinematografica. Il pubblico era assai variegato e composto soprattutto da donne e bambini, entusiasti delle comiche francesi e italiane, presto superate in popolarità dai western statunitensi, dai drammi danesi e dai primi lavori di Charlie Chaplin. Ampio interesse suscitarono anche i film d'attualità, soprattutto quelli girati in N. (i primi realizzati a Bergen nel 1897), che documentavano gli sport invernali.

Gli anni del cinema muto

Ottenuta l'indipendenza dalla Svezia (1905), il cinema giocò un ruolo fondamentale nella costruzione dell'identità nazionale. Il primo imprenditore cinematografico norvegese fu Hugo Hermansen, proprietario di ventisei sale e autore del primo film di finzione, Fiskerlivets farer. Et drama på havet (1908, I pericoli della vita di un pescatore. Dramma sul mare) di Julius Jaenzon; ma nel 1909, in seguito a un tracollo economico, Hermansen dovette abbandonare l'attività. Nel periodo compreso tra il 1906 e il 1919 in N. vennero realizzati diciassette film che faticarono a competere con le produzioni statunitensi e danesi. Tra i pionieri va ricordato Peter Lykke-Seest (fondatore nel 1916 della Christiania Film Compagni, il primo studio cinematografico in territorio nazionale), che diresse sei film tra il 1917 e il 1919, suscitando notevole consenso con Historien om en gut (1919, La storia di un ragazzo), distribuito anche all'estero. Nel 1913 il Parlamento aveva stabilito che le proiezioni cinematografiche dovevano essere sottoposte al controllo dei comuni e vagliate dalla censura; i comuni iniziarono così ad acquistare le sale dagli esercenti privati e, nel 1925, quando anche a Oslo furono municipalizzate tutte le sale, cessò in via pressoché definitiva la proprietà privata dei locali, una peculiarità sopravvissuta nel tempo. Tale condizione ha ostacolato fortemente la produzione norvegese, poiché gli incassi venivano investiti in opere pubbliche e non nell'industria cinematografica. Gli anni Venti videro comunque la nascita di una cinematografia nazionale di buon livello, che cercava di conquistare il pubblico proponendo vicende romantiche d'ambientazione rurale, spesso tratte da opere letterarie o dalla tradizione popolare. Rasmus Breistein nel 1920 diresse Fante-Anne (Anne la vagabonda), tratto da un romanzo di K. Janson, il primo film norvegese a impiegare esclusivamente attori professionisti. Questa drammatica vicenda di discriminazione e d'amore contrastato ebbe un notevole successo e consentì a Breistein, anche produttore del film, di continuare la sua attività, diventando il regista più famoso del decennio. Nel 1930 realizzò l'ultimo film muto norvegese, Kristine Valdresdatter, in cui romanticismo e idealismo cedevano il passo a uno sguardo più critico e realistico. L'introduzione di una tassa sui biglietti e la concorrenza dei film americani ridussero via via i profitti e indebolirono la produzione, che nel 1931 fu limitata a un solo titolo.

Dall'avvento del sonoro alla Seconda guerra mondiale

Per risollevare le sorti del cinema nazionale, le sale comunali decisero di finanziare la nascita della Norsk Film A/S, che presto divenne la principale casa di produzione norvegese e nel 1935 si dotò anche di un grande teatro di posa a Jar, poco fuori Oslo. La Norsk Film ha continuato a esistere con una maggioranza di azioni di proprietà statale. Il primo film sonoro fu diretto, nel 1931, da Tancred Ibsen (nipote di Henrik e del premio Nobel per la letteratura B. Bjørnson) ed Einar Sissener. Si trattava di Den store barnedåpen (Il grande battesimo), una storia d'amore e di disoccupazione ambientata nella capitale con un taglio decisamente realistico. Ibsen tornò a imporsi, nel 1937, con il thriller psicologico To levende og en død (Due vivi e un morto) e con il melodramma Fant (Vagabonda), costruito sul modello classico hollywoodiano, assai amato dal pubblico (il 60% dei film in distribuzione era statunitense). Grazie a film come questi e al successivo Gjest Baardsen (1939), il regista rivitalizzò il cinema norvegese contrastando la concorrenza straniera. In questa direzione si mossero anche Leif Sinding, autore di Fantegutten (1932, Lo zingaro) e di De vergeløse (1939, Gli indifesi), film di denuncia sullo sfruttamento del lavoro minorile, e Olav Dalgard, che concentrò la sua attenzione sulla vita in fabbrica, come dimostra Gryr i Norden (1939, Alba nel Nord), in cui si rievoca lo sciopero dei fiammiferai del 1889. Gli anni Trenta rappresentarono una sorta di età dell'oro per il cinema norvegese, segnando anche il passaggio dal genere romantico rurale a quello, più realistico, d'ambientazione cittadina.Nell'aprile del 1940 i tedeschi occuparono il Paese ed estesero il loro controllo anche sulla produzione, sulla distribuzione e sull'esercizio cinematografico. I film statunitensi e britannici furono banditi e sostituiti con quelli tedeschi, cui erano abbinati cinegiornali di propaganda. Il pubblico, tuttavia, continuò a frequentare le sale. Sinding, che accettò di collaborare con i nazisti, venne nominato responsabile della produzione nazionale; sotto la sua guida venne realizzato un solo film esplicitamente filo-hitleriano: Unge viljer (1943, Volontà giovanili) di Walter Fyrst. I generi più diffusi furono la commedia e il thriller, come Den forsvundne pølsemaker (1941, I fabbricanti di salsicce scomparsi) di Toralf Sandø ed En herre med bart (1942, Un signore con i baffi), diretto dall'attore Alfred Maurstad; di grande successo fu Vigdis (1943) di Helge Lunde, ambientato in campagna ma con personaggi d'estrazione borghese. In quel periodo la tassa sui biglietti passò dal 10 al 30% per i film stranieri e dal 5 al 25% per quelli nazionali, ma una parte di questi fondi fu destinata a nuove produzioni (un sistema che sarebbe sopravvissuto anche in seguito)

La fine della guerra e gli anni Cinquanta

Nel 1945 l'affluenza nelle sale aumentò notevolmente grazie al ritorno dei film statunitensi. Grande successo fu tributato ai cinegiornali della Norsk Film (i Filmavisen), che raccontavano la verità sulla guerra appena conclusa e infondevano speranza nel futuro e nelle opportunità offerte da una politica di ricostruzione e di espansione economica. Nel 1960, con l'avvento della televisione, i cinegiornali sarebbero scomparsi dagli schermi. Il dopoguerra segnò la nascita di un nuovo genere, il dramma occupazionale, che ricostruiva episodi bellici impiegando testimoni degli eventi; in quest'ambito vanno ricordati Vi vil leve (1946, Vogliamo vivere) di O. Dalgard e Rolf Randall, Kampen om tungtvannet (1948, La battaglia dell'acqua pesante) di Titus Vibe-Müller e Jean Dréville, Kontakt! (1956, Contatto!) di Nils R. Müller e, soprattutto, Ni liv (1957, Nove vite) di Arne Skouen, che seppe rinnovare il genere introducendo la figura dell'antieroe e prendendo le distanze dal patriottismo più acritico. Skouen, figura di primissimo piano nel dopoguerra, debuttò nel 1949 con Gategutter (Ragazzi di strada), una vicenda di povertà e delinquenza minorile largamente influenzata dal Neorealismo italiano; in vent'anni di attività diresse diciassette film, allontanandosi progressivamente dal dramma realistico per abbracciare quello da camera, come in Omringet (1960, Circondati) e Kalde spor (1962, Fredde scie). Notevole successo riscosse anche la commedia, che ebbe in N.R. Müller ed Edith Carlmar i suoi migliori autori. Müller conquistò il pubblico norvegese con Vi gifter oss (1951, Ci sposiamo), storia di una giovane coppia con il problema della casa; la Carlmar (prima donna regista in N.) firmò invece una divertente commedia degli equivoci, Fjols til fjells (1957, Pazzi in montagna). Caratteristica principale di queste produzioni era la capacità di combinare insieme romanticismo e riflessione sui problemi sociali e politici, distinguendosi così dalle classiche commedie hollywoodiane. Müller e la Carlmar si dedicarono anche al dramma sociale, affrontando i problemi della microcriminalità, della droga e della mancanza di ideali.Nel 1950 lo Stato iniziò a finanziare tutti i film con un minimo di qualità artistica, finendo così per elargire un contributo alla quasi totalità dei progetti presentati; pertanto nel 1955 si decise di restringere il premio soltanto ai film con maggiore incasso, inducendo però i produttori a concentrarsi su lavori di sicuro successo e, dunque, inevitabilmente più leggeri. Gli anni Cinquanta rappresentarono un momento importante per il cortometraggio e il documentario: ai film di finzione erano regolarmente abbinati cortometraggi diretti da giovani autori e anche i documentari venivano largamente distribuiti. Kon-Tiki (1950) di Olle Nordemar vinse nel 1952 l'Oscar per il miglior documentario e Same Jakki (1957, Jakki il lappone) di Per Høst ottenne un consenso di pubblico sorprendentemente ampio

Dagli anni Sessanta agli inizi del 21° secolo

La Nouvelle vague francese influenzò profondamente la giovane generazione di cineasti norvegesi che, negli anni Sessanta, presero le distanze dai modelli hollywoodiani per tentare nuove strade; il loro esordio fu facilitato dal governo che nel 1964 avviò una politica di prestiti finanziari destinati alla realizzazione di film le cui sceneggiature fossero state ritenute meritevoli da una commissione di esperti. Pål Løkkeberg fu profondamente colpito dall'opera di Jean-Luc Godard e gli tributò un esplicito omaggio con i suoi due film Liv (1967) ed Exit (1970), abbandonando poi il cinema per tornare al teatro. Lasse Henriksen, dal canto suo, nel 1971 conquistò un Orso d'argento per la fotografia al Festival di Berlino con Love is war (1970), un'opera girata in parte in video e in parte con pellicola a raggi infrarossi. Maestro della sperimentazione fu soprattutto Erik Løchen che, dopo il folgorante Jakten (1959, La caccia), realizzò nel 1972 Motforestilling (Rimostranza), un metafilm costruito in maniera tale che le sue parti potessero essere montate in centoventi modi diversi.Negli anni Settanta il cinema fu spesso utilizzato come strumento politico e di protesta sociale: grande rilievo ebbero Streik! (1975, Sciopero!) di Oddvar Bull Tuhus e Voldtekt (1971, Stupro) di Anja Breien, un docudrama di forte impatto emotivo. La Breien (accanto a Nicole Macé, Vibeke Løkkeberg e Laila Mikkelsen) promosse un cinema che dedicava maggiore attenzione alle donne e al loro ruolo in una società in via di trasformazione; ispirandosi a Husbands (1970) di John Cassavetes e alle esperienze del Cinéma vérité, realizzò nel 1975 Hustruer (Mogli), un film dedicato a tre amiche che riflettono sui problemi della condizione femminile, con dialoghi in gran parte improvvisati sul set. La vasta eco ottenuta dall'opera incoraggiò la regista che avrebbe poi diretto Hustruer ‒ Ti år etter (1985, Mogli ‒ Dieci anni dopo) e Hustruer III (1996, Mogli III). In Løperjenten (1981, Tradimento) di V. Løkkeberg, storia di adolescenti in crisi nel secondo dopoguerra, risultano sviluppati gli stessi temi, ma facendo ricorso a un impianto drammaturgico più solido e, in parte, più vicino ai canoni tradizionali. La regista si sarebbe successivamente messa in luce con l'affresco storico Hud (1986, Pelle), il dramma Måker (1990, Gabbiani) e con Der gudene er døde (1993, Dove gli dei sono morti), dedicato al conflitto nella ex Iugoslavia.Nel corso degli anni Settanta la produzione norvegese registrò un'autentica impennata: i film prodotti furono 98, a fronte dei 63 del decennio precedente. Nono-stante ciò, e al di là di alcuni dei casi citati, il cinema nazionale non incontrò il favore del pubblico locale, che comunque dette la preferenza a opere di minor impegno, come la serie inaugurata da Olsen-banden (1969, La banda degli Olsen) di Knut Bohwim, che aveva per protagonista un gruppo di sgangherati criminali.Per superare la crisi, negli anni Ottanta molti produttori hanno deciso di puntare su progetti di ampio respiro internazionale, coinvolgendo anche partner stranieri. Il modello di riferimento è tornato così a essere quello hollywoodiano e, in particolare, i film d'azione e di spionaggio. Paradigmatica in questo senso è stata l'esperienza di Ola Solum che, nel 1985, ha realizzato Orions belte (La cintura di Orione), un thriller fanta-politico considerato il film più costoso mai prodotto in Norvegia. Il successo dell'operazione ha spinto i produttori a continuare sulla stessa strada: Blackout (1986) di Erik Gustavson, Turnaround (1987, girato in inglese) di Solum, Etter Rubicon (1987, Dopo Rubicon) di Leidulv Risan, Blücher (1988) di Tuhus e Dykket (1989, Il tuffo) di Tristan de Vere Cole, tutti realizzati con l'aiuto di capitali statunitensi, hanno avuto un buon successo commerciale e hanno contribuito a risollevare notevolmente le sorti della produzione nazionale, che ha però perso terreno in termini di identità e personalità. In questa direzione si è mosso anche Nils Gaup, che ha conquistato nel 1988 una nomination all'Oscar per il miglior film straniero con Veiviseren (1987, L'arciere di ghiaccio), primo film girato in lingua lappone. Gli unici registi che si sono distinti rispetto a questa tendenza sono stati Oddvar Einarson, autore di X (1986), film che si ispira all'opera complessiva di Michelangelo Antonioni, segnalatosi con un Premio speciale della giuria alla Mostra del cinema di Venezia, e Unni Straume che, per il suo Til en unkjent (1990, A uno sconosciuto), ha fatto riferimento alle lezioni di maestri come Andrej A. Tarkovskij e Wim Wenders.Negli anni Novanta la situazione non ha subito radicali cambiamenti, con un numero elevato di produzioni: 93 (94 negli anni Ottanta). Tra gli autori emersi più di recente vanno segnalati l'attrice Liv Ullmann, che ha debuttato nella regia con Sofie (1992), drammatica vicenda di una giovane ebrea danese tra la fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento, e ha poi proseguito il suo percorso con Kristin Lavransdatter (1995), una saga medievale tratta dal celebre romanzo di S. Undset. La Ullmann è poi passata in Svezia per lavorare nuovamente con Ingmar Bergman, che le ha affidato due sue sceneggiature. Particolarmente significativi sono stati anche i film di Knut Erik Jensen Stella polaris (1993) e Brent av frost (1997, Bruciato dal gelo), ambientati nell'arido e freddo paesaggio del Finnmark, l'estremità settentrionale del Paese. Pochi lavori, tuttavia, hanno ottenuto una visibilità internazionale; tra questi il notevole Telegrafisten (1993, Il telegrafista) di Gustavson, tratto da K. Hamsun; la commedia Budbringeren (1997; Posta celere) di Pål Sletaune; Insomnia (1997) di Erik Skjoldbjærg; ed Elling (2001) di Petter Næss, distribuito anche in Italia. Estremamente interessante risulta invece la produzione di cortometraggi, molti dei quali di pregevole fattura e ricchi di invenzioni anche sul piano stilistico; in quest'ambito si ricordano le opere di Eva F. Dahr In transit (1995, In transito), Taktikk (1999, Tattica) e Veddemålet (1999, La scommessa), l'inquietante Dypets ensomhet (1995, La solitudine dell'abisso) di Joachim Solum e Thomas Lien, Nord og ned (1995, Su e giù) di Espen Vidar e Tann for tann (1998, Dente per dente) di Emil Stang Lund.

Bibliografia

S. Evensmo, Det store Tivoli: film og kino i Norge gjennom 70 år (Il grande Tivoli. 70 anni di 'Film og Kino'), Oslo 1967.

T.H. Tørstad, Histoire du cinéma norvégien, Paris 1968.

N. Vibe, Filmen i Norge etter krigen: historikk og innholdsanalyse (Il cinema in Norvegia dopo la Seconda guerra mondiale), Stavanger 1977.

J.-H. Holst, Film in Norway, Oslo 1979.

Norsk Filmografi 1908-1979 (Filmografia norvegese 1908-1979), a cura di L.-E. Bech, Oslo 1980.

B.-C. Björk, Den nya norska filmen (Il nuovo cinema norvegese), Helsinki 1982.

Schiave bianche allo specchio. Le origini del cinema in Scandinavia 1896-1918, a cura di P. Cherchi Usai, Pordenone 1986, pp. 479-88.

Scandinavian cinema, ed. P. Cowie, London 1992, pp. 87-106, 201-12 e passim.

G. Iversen, Norway, in Nordic national cinemas, ed. G. Iversen, T. Soila, A. Söderbergh Widding, London-New York 1998, pp. 102-41.

P. Cowie, Straight from the heart. Modern Norwegian cinema 1971-1999, Kristiansund 1999.

Nordic explorations: film before 1930, ed. J. Fullerton, J. Olsson, London-Paris-Rome-Sydney 1999, pp. 91-136.

Storia del cinema mondiale, a cura di G.P. Brunetta, 3° vol., L'Europa. Le cinematografie nazionali, t. 1°, Torino 2000 (in partic. pp. 152-53, pp. 391-410, pp. 763-78, pp. 865-84).

CATEGORIE
TAG

Mostra del cinema di venezia

Industria cinematografica

Seconda guerra mondiale

Michelangelo antonioni

Festival di berlino