NOTAZIONE musicale

Enciclopedia Italiana (1934)

NOTAZIONE musicale

Guido Gasperini

Tre sono state le maniere con le quali si è provveduto, nelle diverse epoche della storia musicale, alla rappresentazione grafica dei suoni musicali. La più antica è stata quella che si è valsa delle lettere dell'alfabeto, a ognuna delle quali si è fatto corrispondere un suono, determinato, della scala generale; maniera chiara e semplice che non lascia dubbio sulla intonazione da darsi ai singoli caratteri adoperati. La seconda maniera è stata quella dell'uso di segni convenzionali, maniera assai più complicata della precedente e che, in generale, ha avuto bisogno che il significato dei suoi segni fosse chiarito da altri segni tratti, talvolta, dalla prima maniera (così è della notazione moderna che per avere un significato esatto deve ricorrere al concorso del rigo e delle chiavi). La terza maniera è, in fine, quella dei numeri che è stata adoperata, in specie, per la rappresentazione delle musiche strumentali (organo, cembalo, liuto), a sé oppure con l'ausilio di altri simboli (v. intavolatura).

Notazione alfabetica. - È certamente la più antica come quella che meglio si adatta a sistemi musicali privi, com'erano gli antichi, di complicazioni polifoniche e limitanti il loro ambito modale e le loro melodie in una scala relativamente breve. La vediamo, infatti, adoperata in alcuni sistemi musicali orientali d'indubbia antichità, quali il cinese e l'indiano, nonché nel sistema musicale ellenico dove possiamo trovarne traccia sino dal sec. VII a. C. e dove essa fu largamente adoperata servendo a rappresentare i tre generi di musica allora usati: il diatonico, il cromatico e l'enarmonico; e dove caratteri alfabetici di origine diversa furono adoperati a rappresentare i suoni strumentali e i suoni vocali (v. per le scritture musicali della Grecia antica e dei popoli orientali le voci relative). E come nell'antica musica ellenica, così la troviamo ugualmente adoperata presso i popoli latini che, discepoli, nell'arte musicale, della scuola ellenica, seguirono l'esempio dato dalla scuola madre e fecero largo uso dell'alfabeto greco a rappresentare i suoni così della musica strumentale come della vocale. Sicure guide, anzi, nell'interpretazione della scrittura musicale greca sono gli scrittori fioriti nei primi secoli dell'era volgare, tra i quali Alipio, nelle cui opere didattiche il sistema semiografico musicale greco fiorisce in tutta la sua ricchezza, ampliamento svolto in quadri completi e precisi.

Dopo la caduta dell'impero romano e dopo lo sfacelo dell'antica civiltà la notazione alfabetica seguì la sorte dell'arte alla quale era legata. L'oscurità l'avvolse e ne rese incerte le tracce per varî secoli, mentre, intanto, sorgevano e fiorivano le nuove notazioni orientali a segni convenzionali e mentre, poi, sorgeva e fioriva in Occidente la notazione neumatica. Ma verso il sec. VIII e il IX, la notazione alfabetica riappariva, sebbene in nuova veste e con diverso indirizzo, e dava luogo alle seguenti trasformazioni che riguardano, in specie, così la nomenclatura dei suoni della scala come la forma della scala stessa.

Intanto alle lettere dell'alfabeto greco vennero sostituite quelle dell'alfabeto latino mentre queste lettere furono, però, adoperate in maniere diverse. Secondo una maniera che viene attribuita a Boezio, la scala generale del sistema che si distendeva per 15 suoni disposti in due ottave, adoperava quindici lettere diverse formanti il seguente prospetto:

Secondo un'altra maniera, che troviamo indicata nelle opere di Oddone di Cluny (sec. X) e di Guido d'Arezzo (sec. XI), la scala generale, che nel frattempo si era arricchita di un nuovo suono nel grave e di alcuni suoni nell'acuto, veniva rappresentata da lettere che seguivano il movimento dei suoni per ottava, sì da potersene dare, quindi, il seguente prospetto:

D'altra parte, verso il sec. IX, la rispondenza tra i suoni della scala e le lettere non era più quale la vediamo nel primo prospetto sopra segnato, nel quale alle lettere corrispondono i suoni della scala minore di la: verso il sec. IX, e in specie nelle opere di Ucbaldo di Saint-Amand, la rispondenza tonale cambiava e la serie delle lettere passava a rappresentare la scala di do.

L'antica scala ellenica aveva, poi, ancora il sopravvento; sicché dal sec. X essa tornava in onore, accettando però la forma contenuta nel secondo prospetto segnato qui sopra, cioè iniziando la serie dei suoni non più dal la grave ma dal sol e sviluppandola sino al mi acuto.

È da aggiungere, infine, che altre maniere di rappresentare graficamente i suoni allo scopo di agevolare la lettura delle note furono concepite da Ucbaldo di Saint-Amand, da Ermanno Contratto e da altri, tra il sec. IX e l'XI. Ma di tali maniere che, sebbene ingegnose, non hanno avuto seguito, basta dare qui un semplice cenno.

Con il sec. XI e con l'adozione definitiva del sistema di notazione e di solfeggio ideato da Guido d'Arezzo e specialmente per l'uso, rapidamente diffusosi in Italia, del rigo di 4 linee, l'importanza e l'influenza della scrittura alfabetica rimasero assai limitate. Ogni movimento melodico, ogni combinazione armonica trovò, allora, la sua interpretazione, prima nelle figure della scrittura neumatica, poi in quelle della notazione quadrata, che del resto discendeva direttamente dalla neumatica; sicché al sistema alfabetico non rimasero altri campi d'azione fuorché quelli della musica teorica (scolastica) e della musica strumentale. E nell'uno e nell'altro campo esso dominò, infatti, ancora per varî secoli dopo l'XI, essendo adoperato nelle scuole a tradurre i passi oscuri della scrittura neumatica o a illustrare con lettere spiegative (lettere romaniche) il colorito e il movimento dei suoni; nella musica strumentale essendo usato a indicare con precisione, per ogni strumento, la corda o il tasto da toccare e da far vibrare, costituendo, così, una speciale notazione strumentale che ebbe larga diffusione nei secoli del Medioevo e del Rinascimento e che, adoperata in specie per l'esecuzione di musica per liuto (v. intavolatura), durò fin oltre il sec. XVI.

Ai tempi attuali l'uso della notazione alfabetica è del tutto scomparso. Tracce, però, dell'antico sistema si trovano ancora in alcune particolarità della notazione contemporanea: p. es., nelle chiavi, che non sono se non trasformazioni delle lettere F (chiavi di fa), C (chiavi di do), G (chiavi di sol), e nei segni del bemolle (v.) e del bequadro (v.), che, in origine, non furono se non un b rotondo e un b quadrato.

Notazione a segni convenzionali. - La notazione musicale che oggi è adoperata da tutti i popoli civili è appunto quella formata da segni convenzionali. Nella sua lunga esistenza, quella notazione assume varie forme: forme dapprima semplici e imprecise che hanno sviluppo, in seguito, nella cosiddetta notazione neumatica (cheironomica e diastematica); forme, poi, sempre, più precise e complesse, che hanno ampio svolgimento in quella notazione quadrata dalla quale sorge più tardi il sistema di scrittura musicale attuale. Sotto la forma neumatica la notazione a segni convenzionali fiorisce specialmente nel primo millennio dell'era volgare spingendo le sue ultime diramazioni sino ai secoli XII e XIII. Sotto la forma quadrata essa ha il suo periodo più luminoso tra il secolo XIV e il XVII.

Le origini della primitiva scrittura a segni convenzionali risalgono a epoche anteriori all'era cristiana. È certo, infatti, che i segni di quella scrittura derivarono dagli accenti greci (acuto, grave e circonflesso), i quali progressivamente si trasformarono, acquistando caratteri sempre più schiettamente musicali, allorché nelle primitive chiese d'Oriente andarono delineandosi i primi canti liturgici della religione cristiana. Non è, però, possibile stabilire quando e in quale maniera gli accenti prosodici greci poterono trasformarsi in segni musicali, come non è possibile segnalare le varie fasi attraverso le quali la notazione a segni convenzionali passò prima di arrivare ad avere la forma completa che riscontriamo, sino dal sec. IX e dal X, nella notazione neumatica. È lecito quindi affermare soltanto che, mentre per la trasformazione degli accenti prosodici greci in segni musicali andavano sviluppandosi, nel primo millennio dell'era volgare, le primitive notazioni a segni convenzionali che dovevano trovare un favorevole campo di sviluppo nelle chiese della Siria, dell'Armenia, della Georgia e più specialmente di Bisanzio, sorgeva intanto, per l'influenza più o meno diretta di quella bizantina, la notazione musicale occidentale che, forse seguendo dapprima l'indirizzo delle chiese d'Oriente, e poi allontanandosene man mano, assumeva forme e significati proprî e sotto il nome di notazione neumatica formava un sistema di scrittura musicale abbastanza complesso, al quale, nonostante i suoi gravi difetti, spettava il compito di dare vita al moderno sistema di notazione.

Tracce di scrittura neumatica anteriori al sec. IX o, comunque, tali da dare luce all'intricato problema dell'origine e dello sviluppo di quella scrittura, non sono note. La nostra conoscenza dell'argomento è, quindi, forzatamente limitata, poiché essa si rifà soltanto a tempi nei quali il sistema neumatico è comunque già formato e anzi è già prossimo a trasformarsi con l'invenzione del rigo. Nelle sue linee generali, quel sistema può esser così, brevemente, descritto muovendo da un'epoca prossima a quella dell'invenzione del rigo.

Nel sec. IX, la serie dei neumi, che già appare completa nei suoi diversi segni, consta di due figure fondamentali, la virga e il punctum (derivanti direttamente dall'accento acuto e dall'accento grave), alle quali fanno seguito le figure composte che vengono formate mediante l'aggruppamento (variamente disposto) dei segni fondamentali. L'insieme dei principali segni dà luogo quindi, in quel secolo, alla seguente serie nella quale ognuno di essi indica i movimenti ascendenti o discendenti della voce, senza peraltro dare, neppure approssimativamente, l'intonazione precisa dei suoni ai quali giungere in tali movimenti:

A questo quadro sono, poi, da aggiungere varî altri segni, oltre quelli di abbellimento e quelle legature, formate di un numero maggiore di 3 suoni, che possono essere richieste dallo svolgimento della melodia, e poiché non è da escludere che ai segni stessi si possa attribuire un valore di durata corrispondente alle incerte esigenze mensurali dipendenti dal ritmo oratorio allora praticato, può darsi che la virga e il punctum abbiano potuto anche indicare, oltre che il movimento ascendente o discendente dei suoni, anche una durata di tempo forse non esattamente determinata, ma, comunque, preannunziante il non lontano avvento dei valori mensurali della longa e della brevis.

L'insieme dei segni neumatici, così com'esso ci appare nei canti dei secoli dal IX al XII, presenta inoltre due tendenze diverse, secondo che i segni neumatici sono disposti (sopra le parole da cantarsi) su una sola linea o ad altezze diverse. Nel primo caso, che si osserva più di frequente nei codici non provenienti da scuole italiane (codici di S. Gallo, codici di Reichenau, ecc.) l'intonazione dei suoni non può essere rivelata, approssimativamente, se non dalla forma dei neumi stessi, forma rettilinea all'interpretazione della quale doveva concorrere necessariamente il gesto della mano del direttore di coro (praecentor) riproducente le ondulazioni della melodia, donde il nome di cheironomica (da χείρ "mano" e νέμω "guido") dato a questa speciale maniera di comporre i nemici sopra le parole. Nel secondo caso, che si manifesta principalmente nella notazione neumatica proveniente dalle scuole d'Italia, l'intonazione dei suoni è più sicuramente indicata dalla posizione, a differenti altezze, dei neumi sopra le parole, posizione che, anche senza l'aiuto del gesto del direttore di coro, può avere servito a ricordare ai cantori i movimenti della melodia e a suggerire l'intonazione giusta da darsi ai suoni; scrittura, questa, che si può chiamare diastematica e che più della prima sembra destinata a un serio sviluppo.

Non è possibile dire quale delle due maniere di scrittura sia la più antica e quale, quindi, delle due abbia ricevuto impulso dall'altra. Poiché, però, la scrittura a differenti altezze nei secoli anzidetti è certamente assai più diffusa dell'altra, e poiché essa presenta, innegabilmente, un progresso in confronto della prima, è forse da credere che la scrittura a caratteri diastematici (cioè indicante con maggiore precisione l'altezza dei suoni) sia più recente della cheironomica e rappresenti un avviamento a una forma di notazione sempre più esatta e sicura, avviamento che doveva necessariamente condurre all'invenzione del rigo.

L'incertezza dell'intonazione, che è la qualità più caratteristica della scrittura musicale medievale e che è riconosciuta e deplorata dagli scrittori stessi di quell'epoca, non poteva cessare se non con l'invenzione di un procedimento che, togliendo importanza alla figura dei neumi, attribuisse un significato preciso non più ai neumi stessi, ma alla loro posizione rispetto a un punto determinato e fisso. Tale procedimento, costituito dal rigo musicale formato da una o più linee, sorse forse intorno al sec. X; ed ebbe, certamente, la sua conclusione definitiva nel sec. XI. Per esso le linee del rigo successivamente aggiunte alla prima (ch'ebbe forse, da prima, soltanto scopi calligrafici), nonché la prima linea stessa, assunsero funzioni di guida o di chiave per la retta intonazione delle note della melodia da eseguirsi e ognuna di esse rappresentò n suono fisso e determinato, che venne anche nettamente indicato dall'apposizione, in principio di ogni linea, di una lettera dell'alfabeto (principalmente la F, la C, o la G). Così sorse il rigo musicale che, se già appare adoperato nel sec. X, nell'abbazia di Corbie in Francia e se già fu annunziato e diversamente adoperato da alcuni scrittori di quell'epoca, ebbe il suo definitivo ordinamento soltanto a partire da Guido d'Arezzo (v.), il quale diede corpo ben ordinato e completo ai varî tentativi antecedenti, adottò (se pur non fu invenzione sua) l'uso dei colori giallo e rosso per meglio distinguere la linea del fa da quella del do (lettera F e lettera C) e diede uguale importanza così agli spazî come alle linee.

L'invenzione del rigo e l'adozione dei colori giallo e rosso non potevano, però, non influire sulle forme dei neumi che, piccoli ed esili, rimanevano troppo coperti dalle vivaci tinte stese sulla pergamena. La loro forma, quindi, si alterò; e poiché era necessario che i cantori distinguessero nettamente il punto preciso dove il neuma cadeva sulla linea o nello spazio, convenne che le note fossero impresse fortemente sulla pergamena allo scopo appunto di esser rese ben leggibili. Una nuove scrittura musicale sorse quindi, progressivamente, come conseguenza dell'invenzione del rigo; nuova scrittura che nei paesi latini si fondò sulla nota quadrata, con o senza coda, mentre nei paesi germanici usò la nota detta gotica, a ferro di cavallo.

Con la notazione che si può dire guidoniana (sec. XI) e che, a differenza della neumatica, è pesante e massiccia, ha inizio quindi un'era musicale nuova, nella quale la scrittura, ch'è ormai perfettamente leggibile, tende a semplificare i suoi segni, costretta a ciò non solo dalle strettoie del rigo nel quale viene rinchiusa, ma anche da un nuovo elemento che fino dal sec. IX cerca di farsi strada nel campo musicale portando in questo un nuovissimo modo di cantare. Questo nuovo elemento è la polifonia che, specialmente illustrata nelle opere di Ucbaldo di St.-Amand e di Guido d'Arezzo, si diffonde nelle forme dell'organum e della diafonia e poi in quelle del discanto (v. queste tre voci e contrappunto), tendendo a dare importanza alle combinazioni del canto polifonico piuttosto che alle eleganze del canto monodico. Sotto l'impulso della polifonia sorgono, allora, le prime figure di note (la longa e la brevis) alle quali viene attribuito un preciso valore di durata; nasce, cioè, il canto misurato. E mentre la musica misurata si sviluppa preparandosi ad arricchirsi di nuovi valori, parallelamente a quella si svolge la notazione quadrata non misurata che, adibita a rappresentare sulla pergamena il canto della liturgia, non conosce valori di durata pure adoperando l'una e l'altra delle figure del canto misurato.

All'alba del secondo millennio, due speciali maniere di cantare procedono, quindi, parallelamente l'una all'altra, adoperando gli stessi caratteri: l'una è la musica misurata polifonica che ha davanti a sé un vasto cammino da percorrere; l'altra è la musica liturgica monodica che, chiusa nei limiti del ritmo oratorio e delle leggi della prima monodia cristiana non potrà avere sviluppi aulici e, anzi, durante parecchi secoli, sembrerà perdere importanza e bellezza di fronte all'espandersi del canto polifonico misurato.

Lasciando da parte quest'ultima corrente e limitandoci a seguire soltanto lo sviluppo della prima, è da avvertire che mentre sino dal secolo XII hanno vita i primi saggi di musica vocale polifonica che preludono ai prossimi primi saggi di contrappunto propriamente detto, la misura musicale crea accanto ai due valori della longa e della brevis i nuovi valori della duplex longa e della semibrevis, con i quali si forma il primo sistema mensurale medievale, piccolo sistema che basta ai bisogni dell'arte dei secoli XII e XIII e si forma principalmente dei quattro seguenti segni:

ai quali si aggiungono quellí delle relative pause e quelli delle legature e delle note plicate che riproducono in forma quadrata i movimenti, legati, del podatus e della clivis o quelli di alcuni abbellimenti (plica ascendente, plica discendente).

Ma il sopraggiungere, nel sec. XIV, delle correnti innovatrici sospinte dall'Ars nova (v.) turba il quieto sistema dominato dalla longa e dalla brevis. La nuova maniera di comporre che s'ispira agl'insegnamenti di Marchetto da Padova e di Philippe de Vitry, ha necessità di note di piccolo valore che bene interpretino i movimenti, sempre più agili, delle voci, nelle ballate e nelle canzoni del Trecento. Occorrono note di minore durata della semibrevis, note di piccolo valore che rispondano a tutte le esigenze del nuovo canto suscitato dall'ars nova. La semibrevis viene, quindi, suddivisa, sebbene dopo lunghi tentennamenti, e dalla suddivisione sorgono i nuovi valori della minima e della semiminima con i relativi segni, di pausa e le consuete legature, che vengono a completare il sistema di notazione mensurale trecentesco, sistema che si può ridurre ai seguenti segni, sebbene presso taluni compositori italiani di quell'epoca la suddivisione della semibrevis possa dare luogo anche a un numero maggiore di figure e di valori:

Con l'introdursi dei valori di note creati dall'ars nova e con l'avvicinarsi del sec. XV, che vedrà fiorire il grande stile contrappuntistico fiammingo, la notazione musicale medievale si avvia verso forme sempre più complesse, finché, nel Quattrocento e, poi, nel secolo successivo, essa raggiunge la sua forma più perfetta. Di questa sua evoluzione, che dalle forme semplici del Trecento sale a quelle della fine del Quattrocento e della prima metà del Cinquecento, impossibile è parlare, qui, distesamente. Basti, infatti, pensare che in questo lasso di tempo si è andato concretando il magnifico stile polifonico che ha avuto l'espressione sua massima nelle opere di G. Pierluigi da Palestrina (v.) e poi di J. S. Bach (v.). E basti pensare che in quel lasso di tempo l'intero sistema di notazione moderna è andato formandosi, passando attraverso numerose complicazioni e deviazioni che hanno, in varie epoche e in varie forme di composizione quattrocentesca e cinquecentesca, accumulato difficoltà su difficoltà, nell'ansiosa ricerca di un sistema di scrittura chiaro e completo. Limitandoci, quindi, ad accennare sommariamente ai principali fatti che hanno contribuito a dare completezza al sistema di notazione musicale fiorito nel Quattrocento e nel Cinquecento, basti qui ricordare che le figure delle note adoperate in quei due secoli sono ancora quelle già note e praticate nei secoli antecedenti, ma che ad esse, però, si è aggiunto da un lato la maxima, nota di lunga durata che si sovrappone alla duplex longa (di cui prende la forma), e dall'altro lato la croma o fusea che per molto tempo avrà funzione di nota di abbellimento (usando sino da allora la forma che ad essa è oggi abituale). E basti ricordare che mentre notevoli cambiamenti accadono nel colore delle note, sì che quelle di maggior valore divengono bianche restando il color nero alle note di piccolo valore, grande sviluppo prende la teoria delle proporzioni, per la quale si tenta di arrivare alle più complesse e svariate combinazioni di ritmi e di suoni, teoria che nella duplex, nella triplex, nella sesquialtera, nella emiolia, ecc., crea nuovi segni di misura e nuove serie di note colorate moltiplicando le difficoltà della lettura e dell'interpretazione. E, sorvolando su altri fatti che ci comprovano i singolari progressi della notazione in quell'epoca (p. es., il grande sviluppo e la particolare importanza del sistema delle legature), basti qui infine ricordare l'uso specialissimo dei segni di misure per il quale (specialmente in effetto della prolazione) in uno stesso pezzo sono adoperati nelle varie parti del canto i più diversi segni di misura, rendendo necessario il cambiamento di valore delle note delle parti stesse senza che occorra, però, cambiarne anche le figure.

Ma con il finire del Cinquecento la composizione polifonica vocale perde progressivamente gran parte delle sue complicazioni. La nuova musica monodica d'arte si profila all'orizzonte e un forte movimento semplificatore si manifesta nel campo musicale influendo in particolar modo sulla notazione. Spariscono allora, poco per volta, le lunghe e pesanti legature, le note di lungo valore, i segni di misura rivelanti le proporzioni. Le minime, le semiminime, le crome, prendono il sopravvento, e già appare la semifusea o semicroma. Il valore della battuta, che era, nella pratica medievale, rappresentato dalla longa, passa ora alla brevis e alla semibrevis; e già appare, sebbene non ancora regolarmente, la stanghetta di misura. Il sistema di scrittura musicale moderno sorge quindi rapidamente, nei primi albori del Seicento, aiutato nella sua fioritura dalle nuove tendenze semplificatrici proprie dell'arte secentesca in genere.

Ed esso si estende, allora, anche alla musica strumentale, la quale, se nei secoli antecedenti aveva preferito la scrittura alfabetica o la numerale (v. intavolatura) come quella che più esattamente e più facilmente indicava al suonatore il tasto da premere o la corda da far vibrare, nel sec. XVII e nei seguenti adotta anch'essa la notazione a segni convenzionali adoperando il rigo (a 5, a 6, a 8 linee) e la nota quadrata o rotonda. Dura ancora, però, specialmente nelle stampe, l'uso della forma quadrata delle note. Essa non sarà definitivamente sostituita dalla forma rotonda oggi in uso se non in quel secolo XVIII, nel quale ormai più nulla rimarrà, nella scrittura musicale, delle complicazioni dei secoli passati.

Notazione numerale. - Poco è da dire su questa notazione che, evidentemente, fu soltanto strumentale. Essa fu adoperata principalmente per gli strumenti a corda nei quali ogni tasto corrispondeva a un numero. Quando si sia cominciato ad adoperare una tale notazione non è possibile sapere.

Essa, naturalmente, dovette incominciare quando il liuto e la viola acquistarono una particolare importanza, il che potrebbe far risalire la notazione stessa intorno al sec. XIV. Certo è che la notazione numerale fu largamente usata, nel Cinquecento e nel Seicento, in specie nelle intavolature per liuto, per chitarra e per strumenti affini. La sua diffusione cessò quando la musica per liuto passò di moda. Oggi, la troviamo adoperata ancora qualche volta per la musica per chitarra, o per altri strumenti, in pubblicazioni di carattere popolareggiante: danze, canzonette, ecc.

Bibl.: G. Jacobstahl, Die Mensural Notenschrift des XII. und XIII. Jahrhund., Berlino 1871; H. Riemann, Studien zur Geschichte der Notenschrift, Lipsia 1878; D. David, Histoire de la notation musicale depuis ses origines, Parigi 1882; C. F. Abdy, History of the notation, Londra 1903; G. Gasperini, Storia della semiografia musicale, Milano 1904; J. Wolf, Geschichte der Mensuralnotation von 1260-1460, Lipsia 1904-05; H. Bellermann, Die Mensulranoten und Taktzeichen, Berlino 1906; J. Wolf, Handbuch der Notationskunde, Lipsia 1919.

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