NULLITÀ

Enciclopedia Italiana (1935)

NULLITÀ

Virgilio ANDRIOLI
Emilio ALBERTARIO

. Nullità e annullabilità del negozio giuridico. - Le parole nullità e annullabilità indicano due diverse specie d'invalidità del negozio giuridico. Si ha nullità quando il negozio giuridico (v.) non può produrre gli effetti che sono suoi proprî negozio, affetto da qualche vizio, è considerato esistente e avente piena efficacia, fino a che la persona, interessata e legittimata a far valere il vizio, non ne provochi l'annullamento. Impropriamente il codice civile italiano adopera il termine nullità anche nei casi in cui si ha annullabilità: l'imprecisa terminologia è derivata dal codice francese che, del resto, la importò dal diritto comune. La nullitá del negozio giuridico può essere originaria o successiva: la prima colpisce il negozio nel momento stesso della sua costituzione; la seconda sopravviene quando il negozio è già perfetto (così nel caso del testamento fatto da chi viene poi condannato alla pena dell'ergastolo). Gli effetti di questa imalidazione saccessiva sono gli stessi della nullità originaria.

Le cause, ehe rendono il negozio giuridico nullo, si sogliono ricondurre a una delle seguenti:1. o nullità del negozio perché urtante contro norme dettate nell'interesse pubblico, quindi imperative, assolute, non derogabili dalla volontà del privato (riconoscimento d'un figlio adulterino, patto di non prestare il dolo); 2. o nullità del negozio perché manca uno degli elementi necessarî alla sua esistenza giuridica. La nullità non è sempre dichiarata dalla legge: se questa in alcuni casi la dichiara (ad es. negli articoli 1056, 1314, 1418, 1459, 1460, 1461 cod. civ.), ciò non vuol dire che nullità non si abbia in altri casi: è compito dell'interprete desumerla dai principî che informano il sistema giuridico. La nullità può essere totale o parziale: nel primo caso il vizio colpisce l'intera dichiarazione e ogni parte del negozio, nel secondo una clausola accessori:i o un elemento non principale. Quando questo secondo caso si verifica, si applica - almeno in linea generale - il principio: lutile per inutile non vitiatur. Così la fideiussione che eccede il debito è valida soltanto nella misura dell'obbligazione principale (art. 1900 cod. civ.). Talvolta, per quanto eccezionahente, la legge italiana pronuncia anche in questo secondo caso la nullità di tutto il negozio; così per gl'interessi stipulati in misura eccedente il tasso legale e non risultanti da atto scritto: se questo manca, tutta la convenzione è nulla e non è dovuto alcun interesse neppure entro la misura legale (art. 1831 cod. civ.).

Il negozio giuridico nullo non produce alcun effetto, senza che vi sia bisogno d'impugnatna della parte per impedire che esso ne produca né di una pronuncia del giudice, la quale, se anche intervenisse, avrebbe soltanto valore dichiarativo: la nullità può essere fatta valere da chiunque vi abbia interesse e non può essere sanata in alcun modo, neppure col decorso del tempo: quod initio vitiosum est non potest tractu temporis convalescere (Dig., L, 17, de div. reg. iur., 29). Sembra un principio veramente eccezionale, benché taluno (E. Finzi) lo contesti, quello contenuto nell'art. 1311 cod. civ. che ammette potersi consolidare il testamento e la donazione, nulli per vizî di forma, mediante conferma o esecuzione volontaria da parte degli eredi o aventi causa dal donante. Talvolta il negozio, nullo come negozio d'un dato tipo, può contenere in sé gli elementi sostanziali e formali d'un altro tipo; allora ha luogo la cosiddetta conversione dei negozî giuridici: la conversione è sostanziale, se il negozio valido è strutturalmente diverso dal negozio nullo; formale, se tra il negozio nullo e quello valido c'è soltanto la diversità della forma (il prestito a cambio marittimo può valere come mutuo semplice: art. 590 cod. comm.). In alcuni casi (ad es. con gli articoli 804, 1316 cod. civ.; 590 cod. comm.) la conversione è operata dalla legge. La conversione è fondata sul presupposto che l'agente deve avere la coscienza del negozio che compie, ma non è necessario che avverta la natura giuridica del negozio stesso.

Il negozio giuridico annullabile esiste, ma, per il vizio che lo colpisce, può essere giudizialmente annullato con effetto retroattivo. Un limite all'efficacia dell'annullamento si ha soltanto nei casi dell'art. 1307 cod. civ. L'annullabilità ha luogo: 1. per l'incapacità di agire della persona che compie il negozio (minore, interdetto, inabilitato); 2. per l'inosservanza delle forme prescritte a tutela degl'incapaci negli atti che si compiono per loro conto; 3. per vizio del consenso, causato da dolo, violenza, errore. La persona legittimata a provocare l'annullamento del negozio è di regola soltanto quella affetta da incapacità, e quella che dell'incapace ha la rappresentanza o l'assistenza (genitore investito della patria potestà tutore, curatore), o la persona il cui consenso fu viziato. L'invalidità non può esser fatta valere né dalle persone che abbiano contrattato con la persona incapace (art. 1107 cod. civ.) né dai terzi. Soltanto per il negozio compiuto dall'interdetto per causa di pena, l'incapacità può essere opposta da chiunque vi abbia interesse (art. 1107 cod. civ. capoverso). Il diritto romano provvedeva all'annullamento mediante l'istituto pretorio della restitutio in integrum, e così vi era restitutio in integrum propter dolum, propter metum, propter minorem aetatem; l'antico diritto francese con les lettres de rescission; il diritto moderno con l'azione di annullamento. Quest'azione si può esperire utilmente nel quinquennio dal giorno in cui è cessata l'incapacità o la causa che produceva il vizio del consenso: se il diritto di annullamento si esercita per via di eccezione, questa dura finché dura l'azione, secondo il noto adagio: quae teuiporalia ad agendum perpetua ad excipiendum. L'atto annullabile può essere sanato o col decorso del termine entro il quale la legge restringe il diritto d'agire per l'annullamento, o per rinuncia al diritto d'impugnatna, o per conferma (v. ratifica; rinuncia).

Dalla nullità e dall'annullabilità devono essere tenuti distinti i concetti di rescindibilità, di revocabilità, di riducibilità, di risolubilità. Presupposto della rescindibilità non è l'incapacità della persona o un vizio del consenso, ma una lesione (v .). L'azione di rescissione ha durata varia: due anni dal giorno del contratto per la rescissione della compravendita immobiliare (art. 1531 cod. civ.); cinque anni dal giorno dell'atto divisionale per la rescissione della divisione (art. 1300 cod. civ.). Presupposto della revocabilità è il compimento di atti da parte del debitore in frode delle ragioni dei creditori: art. 1235 cod. civ. (v. revoca) e presupposto della riducibilità è il diritto a una quota parte di eredità spettante ai cosiddetti legittimarî (v. successione ereditaria); nel primo caso i creditori, con l'azione revocatoria, chiedono l'annullamento degli atti compiuti dal debitore, nel secondo i legittimarî con l'azione di riduzione chiedono la riduzione delle disposizioni testamentarie e delle donazioni, in quanto ledano i loro diritti e nella misura in cui li ledono. Presupposto della risolubilità è quella particolare situazione in cui il negozio viene posto da una condizione che vi inerisce: il verificarsi della condizione ne determina la risoluzione.

Si vedano anche, per ciò che attiene alla nullità e annullabilità dei negozî giuridici, le voci dolo; errore; violenza.

Bibl.: B. Windscheid, Zur Lehre des Code Napol. über die Ungültigkeit der Rechtsgecshäfte, Düsseldorf 1847; O. Gradenwitz, Die Ungültigkeit obligatorischer Rechtsgeschäfte, Berlino 1887; E. Hartemann, Étude sur la distinction des actes inexistants et des acts annulables, Nancy 1889; L. Mitteis, Zur Lehre von der Ungültigkeit der Rechtsgeschäfte, in Ihering's Jahrbücher, XXVIII, p. 85 segg.; Lutteken, Erörterung über den Satz "Quod ab initio vitiosum est", ecc., Halle 1890; C. Ferrini, L'invalidazione successiva dei negozi giuridici, in Archivio giuridico, 1901, p. 201 segg. (Opere, III, Milano 1929, p. 357); G. Satta, La conversione nei negozi giuridici, Milano 1903; F. Ferrara, Sulla conversione del negozio giuridico processuale, in Studi in onore di C. Fadda, I, Napoli 1906, p. 233 segg.; A. Rocco, La convalescenza dei negozi giuridici, in Riv. dir. comm., VIII (1910), ii, p. 178 segg.; G. Pacchioni, ibid., X (1912), p. 860 segg.; G.P. Chironi, L'inesistenza del negozio giuridico e la possibilità di sanarlo, ibid., XII (1914), ii, p. 182; E. Finzi, Studi sulla nullità del negozio giuridico, Firenze 1921; C. Sanfilippo, Il metus nei negozi giuridici, Padova 1934; C. Longo, Note critiche in tema di violenza morale, in Bull. ist. dir. rom., 1935. Tra le opere generali cfr. R. De Ruggiero, Ist. di dir. civ., 6ª ed., I, Messina s. a., p. 288 segg., ove è pure una più ampia bibliografia.

Nullità degli atti processuali.

La nullità è una sanzione, che la legge processuale commina per gli atti che manchino degli elementi necessarî al raggiungimento del loro scopo. Il criterio in base al quale si determina se il mezzo corrisponda o no al fine, è stabilito direttamente dalla legge per gli atti per i quali l'esistenza di alcuni requisiti è richiesta a pena di nullità, ma può essere posto dal giudice, quando questi si convinca che l'atto manca degli elementi che ne costituiscono l'essenza: mentre il codice di procedura penale (art. 184) segue esclusivamente il primo dei sistemi, il codice di procedura civile li contempera, statuendo, con l'art. 56, che le nullità sono bensì tassative, ma che il giudice può applicare la sanzione d'inefficacia, quando l'atto manchi dei requisiti essenziali.

Il criterio di corrispondenza del mezzo al fine trova anche applicazione nella sanatoria delle nullità, in quanto che un atto, pur mancando dei requisiti formali stabiliti dalla legge, non può dichiararsi nullo, se raggiunga ugualmente gli scopi per i quali è stato posto in essere.

Questo principio (per il processo penale formulato espressamente dall'art. 187, 2° cap.), è applicato nel processo civile alla sola citazione (art. 190).

Data la mancanza d'una norma generale, sembra conforme al sistema ritenere che la sanatoria sia applicabile nel processo civile ai soli atti per i quali, non essendovi declaratoria esplicita di nullità, si discuta se ne sussistano gli elementi essenziali: il raggiungimento degli scopi, ai quali era preordinato l'atto, può essere infatti un argomento, alle volte decisivo, per concludere che non manchi dei requisiti essenziali. Per gli atti, invece, per i quali la nullità è dichiarata dalla legge, l'indagine sulla corrispondenza dell'atto allo scopo può essere fatta solo nei confronti dell'atto di citazione, mentre per gli altri atti di procedura una tale indagine, in mancanza di una norma generale, non è consentita all'interprete, come quella che darebbe adito ad arbitrî.

Per alcuni procedimenti (ripartizione degli usi civici dinnanzi ai commissarî ripartitori, art. 31 della legge 16 giugno 1927, n. 1766, tribunali regionali e superiore delle acque pubbliche, art. 187 del testo unico di leggi sulle acque e sugl'impianti elettrici, approvato con r. decr. 11 dicembre 1933, n. 1775) non sono ammesse altre nullità degli atti del procedimento, fuorché quelle che lascino assoluta incertezza sulle persone, sull'oggetto dell'atto, sul luogo o sul tempo della comparizione, ovvero che concernano l'essenza dell'atto; di conseguenza è più ampio l'ambito della discrezionalità lasciata al giudice per determinare la corrispondenza dei mezzi allo scopo.

Diversa è la regolamentazione della sanatoria dei vizî, che inficiano la citazione e in genere gli atti introduttivi del giudizio. Nella dottrina del processo civile si discute infatti se la comparizione del convenuto sani tutte le nullità dell'atto di citazione, oppure soltanto quelle che riguardano l'indicazione dell'autorità giudiziaria adita, il termine per comparire o l'identità della persona del convenuto. Si discute anche se le nullità della citazione possano essere rilevate d'ufficio dal giudice e se siano sanate dalla pronuncia della sentenza di primo grado: una parte della dottrina (G. Chiovenda, E. T. Liebman) ritiene che le nullità della citazione siano nullità del rapporto giuridico processuale e pertanto debbano essere dichiarate d'ufficio dal giudice e possano essere rilevate dall'interessato anche in grado d'appello; a questa teoria ha fatto recentemente parziale adesione la giurisprudenza, ritenendo che il giudice d'appello non può decidere in merito, ma deve rinviare la causa al giudice di primo grado, se rilevi la nullità della citazione.

La sanatoria degli atti è ottenuta anche con l'acquiescenza delle parti, cioè con il mancato rilievo in termini da parte di chi non ha dato causa alla nullità e ha interesse a impugnare l'atto viziato: dispone, a questo proposito, l'art. 191 cod. proc. civ. che le nullità degli atti di procedura posteriori alla citazione sono sanate, se non siano proposte nell'istanza successiva all'atto che si vuole impugnare; dal canto suo l'art. 187 cod. proc. pen. statuisce che il giudice il quale rileva una nullità, provvede, se è possibile, a eliminarla, e che la nullità è pure sanata se l'interessato ha tacitamente accettato gli effetti dell'atto.

Strettamente collegato al tema della sanatoria delle nullità processuali è il regolamento dei poteri del giudice nella dichiarazione di esse. Nel processo civile, ove si escludano le nullità che avrebbero dovuto rilevarsi dal contumace (art. 192 cod. proc. civ.) e l'intempestività del gravame (art. 466 cod. proc. civ.), è necessaria l'istanza della parte interessata; nel processo penale (art. 187) il giudice deve sempre rilevare la nullità, salvo a eliminarla nei limiti del possibile, e sempre che non vi siano motivi di sanatoria.

Le nullità degli atti processuali, poiché fanno parte della più ampia categoria dei difetti di attività (in contrapposto ai difetti del giudizio di diritto), costituiscono motivi di ricorso per cassazione della sentenza pronunciata nel procedimento in cui si sono verificate: nel processo civile l'ammissibilità del ricorso è subordinata alla condizione che la nullità non sia stata sanata nei precorsi giudizî (art. 517, n.1, cod. proc. civ.); nel processo penale costituiscono motivi di ricorso le nullità del giudizio di appello e le nullità del giudizio di primo grado, se queste ultime siano state dedotte con i motivi d'appello (art. 525 cod. proc. pen.). L'attività della Corte di cassazione nell'esame delle nullità degli atti processuali si estende anche al fatto, e la sua pronuncia nei casi di rinvio vincola il giudice di merito (art. 546 cod. proc. pen.; arg. ex-art. 544 cod. proc. civ.).

La nullità dell'atto, ove sia dichiarata, rende nulli gli atti consecutivi da esso dipendenti, e impedisce di regola la rinnovazione di esso se siano scaduti i termini stabiliti (art. 58 cod. proc. civ.; art. 189 cod. proc. pen.).

La questione, se gli atti processuali siano annullabili per i vizî di volontà dell'agente, si ricollega all'altra disputatissima sulla natura degli atti processuuli, per la quale si rinvia alla voce atto: Atti processuali.

Bibl.: P. Calamandrei, Vizi della sentenza e mezzi di gravame, in Studi sul processo civile, I, Padova 1930, p. 167; J. Goldschmidt, Der Prozess als Rechtslage, Berlino 1925, par. 25-30; F. Carnelutti, Processo di esecuzione, III, Padova 1931, nn. 502-545; E. T. Liebman, Le nullità della domanda e il giudizio d'appello, in Foro italiano, I (1932), p. 1639; G. Chiovenda, Istituzioni di diritto processuale civile, II, sez. 1ª, Napoli 1934, par. 41 e 46.

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