ROSSI, Nunzio

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 88 (2017)

ROSSI (Russo), Nunzio

Gianluca Forgione

ROSSI (Russo), Nunzio. – Nato a Napoli intorno al 1626, si formò probabilmente nella bottega di Massimo Stanzione o di Jusepe de Ribera (Susinno, 1724, 1960, p. 233).

Nel 1644 si trasferì a Bologna, dov’è documentato a servizio della chiesa di S. Girolamo della Certosa (Masini, 1650, I, 1666; S. Vicini, Bartolomeo Cesi nella Certosa di S. Girolamo: nuove precisazioni, in Accademia Clementina. Atti e memorie, n.s., XXVII (1990), pp. 17-36, in partic. p. 23 nota 28). Nei sei mesi di pensionato presso i certosini portò a termine un vasto ciclo di tele (Crespi, 1772, 1793), a cui appartengono l’Adorazione dei pastori oggi al palazzo comunale di Bologna, firmata e datata 1644 (Mazza, 2010, pp. 161-165, 175 nota 15, 280, fig. 4, 316 s., tavv. XXII-XXIII); i martiri certosini Guglielmo Horne e Tommaso Skryven, ora alla Pinacoteca nazionale di Bologna (pp. 161, 164 s., 177 nota 28, 281, figg. 5-6); i quattro Evangelisti tuttora in chiesa (Spinosa, 1984, figg. 688-691); e finanche i tre Paesaggi, i tre rami incisi all’acquaforte e i «sei altri quadretti di mezze figure» ricordati da Luigi Crespi (1772, 1793, p. 3) ancora in situ, di cui sopravvivono unicamente i ritratti a mezzobusto delle Ss. Cecilia e Barbara (Mazza, 2010, pp. 162, 175 s. note 16, 18, 283, figg. 9-10).

Non sono ancora chiare le motivazioni che spinsero Rossi a un trasferimento tanto precoce. Stando al referto di Bernardo De Dominici (1742-1745 circa, II, 2003, p. 899), il giovane avrebbe raggiunto Bologna nel desiderio di farsi allievo di Guido Reni, alla cui scuola sarebbe stato ammesso poco prima della morte del maestro, nel 1642. Più plausibilmente, e grazie forse alla mediazione di fra Bonaventura Presti, attivo in quegli anni nel cantiere napoletano di S. Martino (De Vito, 1989, p. 43), Rossi partì alla volta della città felsinea già sicuro dell’incarico certosino, propiziato dalla morte, nel 1644, di fra Marco da Venezia, cui era stata fin allora affidata la decorazione del monastero bolognese, e dalla nomina di Daniello Granchi, in quell’anno, a priore della certosa (Mazza, 2010, pp. 164, 176 nota 25).

L’esperienza bolognese del pittore non dovette sortire particolari entusiasmi nell’ambiente locale, alquanto impermeabile ai modi impetuosi della pittura del napoletano, «risoluta troppo» e ancora ribollente degli umori naturalistici di Ribera, del giovane Francesco Fracanzano e del Maestro degli Annunci ai pastori (Malvasia, 1686, 1969, p. 233; Novelli Radice, 1980, pp. 185, 196 note 3-4). Eppure, Rossi riuscì a intestarsi almeno un’altra importante commissione al di fuori dello stretto ambito certosino: il Sacrificio di Mosè dipinto a coronamento del camino monumentale di palazzo Davia Bargellini a Bologna (Brogi, 1985; A. Mazza, in Museo civico d’arte industriale e Galleria Davia Bargellini, a cura di R. Grandi, Bologna 1987, pp. 101-103 n. 27). Ignorata dalle fonti, la tela rivela i tratti salienti della tecnica del maestro, contrassegnata dai continui smottamenti della materia pittorica, stesa a pennellate liquide e sfioccate.

Di ritorno a Napoli, Nunzio lavorò agli affreschi della tribuna della chiesa di S. Pietro a Maiella, raffiguranti S. Benedetto che consegna la regola a s. Damiano e S. Pietro Celestino che concede la perdonanza (De Vito, 1989, pp. 43 s., 49 note 21-24, 56-72 figg. 6-22). Le pitture, siglate (Petrelli, 1988, p. 239), sono riferite da Carlo Celano (Notitie del bello, 1692, 2009, p. 62) a «un tal Nuntio Rosso napoletano, che le dipinse in età di 20 anni», ovvero probabilmente nel 1646, anno del trecentocinquantesimo anniversario della morte di papa Celestino V.

Condotti «con felicità di pennello e con buono componimento», gli affreschi furono giudicati perduti da De Dominici (1742-1745 circa, II, 2003, p. 899), perché a quel tempo già coperti da due grosse tele tardosecentesche di Nicola Malinconico, rimosse nel secolo scorso e responsabili dell’evidente fenditura a croce delle pareti affrescate (De Vito, 1989, pp. 56, fig. 6, 66, fig. 15).

Tra il 1645 e il 1646 il pittore dovette licenziare anche l’Assunta della cattedrale di Castellammare di Stabia, restituitagli da Giuseppe De Vito (1982), e l’Abramo e gli angeli della chiesa napoletana di S. Maria Materdomini nel complesso della Ss. Trinità dei Pellegrini (A. Brejon de Lavergnée, in La peinture napolitaine de Caravage à Giordano (catal.), Paris 1983, pp. 122, 272 n. 75).

Sempre in quegli anni Rossi eseguì «anche alcuna tavola a olio» per il mercato (De Dominici, 1742-1745 circa, II 2003, p. 707), cui erano quasi di certo destinate le due versioni del Mosè e il serpente di bronzo in collezioni private, una delle quali in condizioni frammentarie (De Vito, 1985, pp. 12 s., 40-42, figg. 24-26; N. Spinosa, in Ritorno al Barocco. Da Caravaggio a Vanvitelli (catal.), a cura di N. Spinosa, I, Napoli 2010, p. 126 n. 1.47); il Mosè che fa scaturire l’acqua dalla rupe reso noto da De Vito (1989, pp. 42 s., 54, tav. II, 55, figg. 4-5), anch’esso in collezione privata; la Micol che avverte David dell’attentato ordito dal re Saul della Fondazione Cassa di risparmio di Cesena (A. Mazza, La Galleria dei dipinti antichi della Fondazione e della Cassa di risparmio di Cesena. Guida illustrata, Cesena 2008, pp. 60, 62 n. 41); e infine la S. Cecilia di raccolta privata bolognese (Mazza, 2010, pp. 173, 182 nota 81, 292, fig. 20). Ma la S. Agnese già Finarte attribuita a Rossi (pp. 173, 182 nota 79, 290, fig. 18) andrebbe più congruamente riferita ad Annella Di Rosa (per la quale cfr. da ultimo G. Porzio, Ordine teatino e contesto artistico napoletano nel Seicento: Francesco Maria Caselli, Gaspare Del Popolo e una nota su Diana Di Rosa, in S. Andrea Avellino e i teatini nella Napoli del Viceregno spagnolo. Arte religione società, a cura di D.A. D’Alessandro, II, Napoli 2012, pp. 581-622, in partic. le tavv. 5, 9, 11 e 13 alle pp. 612, 615, 617 e 619).

Poco dopo il suo ritorno a Napoli, Rossi fece tappa a Messina, dove per Antonio Ruffo, principe della Scaletta, «lavorò a fresco alcuni soffitti di stanze nel suo palaggio, ed altre gran tele a olio di figure baccanali» (Susinno, 1724, 1960, p. 233). Nella nuova residenza dei Ruffo, distrutta dal terremoto del 1908, Rossi affrescò entro il 1649 le scene di Nettuno con mostri marini, di Pietro Ruffo di Calabria a cavallo e della Favola di Danae, mentre per la galleria del principe dipinse tre Baccanali e un Giudizio di Paride (R. De Gennaro, Per il collezionismo del Seicento in Sicilia: l’inventario di Antonio Ruffo principe della Scaletta, Pisa 2003, pp. X-XI, 78, 119, 143), cui si sarebbero più tardi aggiunte altre sue sei tele, di cui cinque Baccanali e un Apollo e Marsia (V. Ruffo, La galleria Ruffo nel secolo XVII in Messina (con lettere di pittori ed altri documenti inediti), in Bollettino d’arte, X (1916), pp. 284-320, in partic. pp. 309 s.).

Parallelamente all’impegno con i Ruffo, il pittore realizzò per la chiesa messinese dei padri Crociferi «una gran tela de’ Ss. Apostoli Pietro e Paolo, figure in piè con in mezo la Madonna col Bambino in seno ed altri putti d’un impasto gustoso e carico di gran massa di colori» (Susinno, 1724, 1960, p. 233), identificata da De Vito (1983) nella rovinata Madonna della Lettera con i ss. Pietro e Paolo ora al Museo regionale di Messina (D. Spagnolo, in Dal golfo allo stretto. Itinerari seicenteschi tra Napoli e Messina (catal., Messina), a cura di G. Barbera - N. Spinosa, Napoli 2004, pp. 72 s. n. 24).

Al tempo siciliano, cui sembra risalire la riscoperta nel pittore dei temi classici per la committenza Ruffo, è forse da riferire anche l’esecuzione di un Bagno di Venere di «Muzio Rossi» venduto da Rudolph Lepke a Berlino l’11 dicembre 1936 (The Getty Provenance Index Databases, Sale Catalogs, D-1887, n. 129).

Lasciata Messina, Rossi approdò a Palermo, città che «riempì» «d’altre sue pitture» (Susinno, 1724, 1960, p. 234), ma nella quale avrebbe trovato la morte nel 1651 circa, «in età di 25 anni» (De Dominici, 1742-1745 circa, II, 2003, p. 899).

Fonti e Bibl.: A. Masini, Bologna perlustrata (1650), I, Bologna 1666, pp. 140, 634; C.C. Malvasia, Le pitture di Bologna (1686), a cura di A. Emiliani, Bologna 1969, pp. 233 s.; Notitie del bello, dell’antico e del curioso della città di Napoli [...] date dal canonico Carlo Celano... (1692), a cura di S. De Mieri - F. De Rosa, Napoli 2009; F. Susinno, Le vite de’ pittori messinesi (1724), a cura di V. Martinelli, Firenze 1960, pp. 233 s.; B. De Dominici, Vite de’ pittori, scultori ed architetti napoletani (1742-1745 circa), a cura di F. Sricchia Santoro - A. Zezza, II, Napoli 2003, pp. 706 s., 898-900, III, 2, 2008, p. 119; L. Crespi, La certosa di Bologna descritta nelle sue pitture (1772), Bologna 1793, pp. 2-7; M. Novelli Radice, Inediti di Nunzio Russo, in Napoli nobilissima, s. 3, XIX (1980), pp. 185-198; G. De Vito, Una nota per N. R., in Ricerche sul ’600 napoletano. A. Falcone, B. Cavallino, A. De Bellis, M. Stanzione, N. Rossi, Milano 1982, pp. 73-75; Id., Un quadro di N. R. a Messina ed altri apporti napoletani, in Ricerche sul ’600 napoletano. Saggi vari, Milano 1983, pp. 7-38; Id., in Civiltà del Seicento a Napoli (catal.), I, Napoli 1984, pp. 430-433 nn. 2.217-2.220; Id., Ritrovamenti e precisazioni a seguito della prima edizione della mostra del ’600 napoletano, in Ricerche sul ’600 napoletano. Saggi vari in memoria di Raffaello Causa, Milano 1984, pp. 7-84 (in partic. pp. 15, 77, fig. 57); N. Spinosa, La pittura napoletana del ’600, Milano 1984, figg. 688-694; M. Novelli Radice, Pittura napoletana del ’600: inediti di Agostino Beltrano e Nunzio Russo, in Arte cristiana, n.s., LXXII (1984), 702, pp. 143-152 (in partic. pp. 149 s., 152 note 16-19); A. Brogi, Una segnalazione per N. R., in Paragone, XXXVI (1985), 429, pp. 80-83; G. De Vito, Apporti del Lanfranco alla cultura figurativa napoletana della metà del ’600, in Ricerche sul ’600 napoletano, Milano 1985, pp. 7-59 (in partic. pp. 12-14, 18 note 24-31, 38-57, figg. 20-43); F. Petrelli, Un affresco inedito di N. R., in Storia dell’arte, LXIV (1988), pp. 237-240; G. De Vito, Un sacrificio d’Isacco di N. R. ed altri passi lungo il suo percorso, in Ricerche sul ’600 napoletano. Saggi e documenti per la storia dell’arte, Milano 1989, pp. 41-99; S. Causa, Meglio tacere. Salvator Rosa e i disagi della critica, Napoli 2009, pp. 70-74; A. Mazza, N. R. a Bologna e la svolta naturalistica di metà Seicento, in Napoli e l’Emilia. Studi sulle relazioni artistiche. Atti delle giornate di studio... 2008, a cura di A. Zezza, Napoli 2010, pp. 159-182, 277-292, 316-318; N. Spinosa, Pittura del Seicento a Napoli. Da Caravaggio a Massimo Stanzione, Napoli 2010, pp. 145, 382-384 nn. 387-390.

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