Nuovi reati tributari

Libro dell'anno del Diritto 2016

Nuovi reati tributari

Stefano Finocchiaro

Con il d.lgs. n. 158/2015 è stata riformata la disciplina dei reati tributari di cui al d.lgs. n. 74/2000. Nel presente contributo si offre un quadro delle novità apportate dalla riforma e si pone l’accento su alcuni snodi fondamentali della nuova disciplina. Tra questi: i nuovi istituti premiali connessi al pagamento del debito tributario, le possibilità di evitare la confisca, gli effetti della depenalizzazione, il nuovo assetto dei delitti di dichiarazione fraudolenta e i residui margini

di rilevanza penale dell’elusione fiscale.

La ricognizione

Con l’art. 8 della l. 11.3.2014, n. 23 era stata conferita al Governo delega, recante disposizioni per un sistema fiscale più equo, trasparente ed orientato alla crescita. Il comma 1 di tale articolo indicava i principi e i criteri direttivi per una revisione del sistema sanzionatorio penale tributario.

Con il d.lgs. 24.9.2015, n. 158 il Governo ha esercitato tale delega. Il decreto, entrato in vigore il 22 ottobre, si compone di tre titoli, il primo dei quali – dedicato alla Revisione del sistema sanzionatorio penale tributario – apporta rilevanti modifiche alla disciplina dei reati fiscali di cui al d.lgs. 10.3.2000, n. 74.

La Relazione governativa al decreto tiene ad evidenziare come si tratti di una “revisione”, e non già di una “riforma” o di una “riscrittura” della materia penal-tributaria. In realtà, il decreto n. 158/2015 – pur certo muovendosi entro le coordinate di fondo del sistema del d.lgs. n. 74/2000 – sembra aver operato una vera e propria riforma dei reati fiscali, introducendo numerose novità di rilevante portata che di seguito si andrà ad esaminare.

La focalizzazione

Per motivi di chiarezza espositiva, le novità apportate dalla riforma verranno indicate seguendo l’ordine dell’articolato del d.lgs. n. 74/2000.

Articolo 1, Definizioni. Nell’espressione «elementi attivi e passivi» (lett. b) vengono incluse le componenti che incidono sulla determinazione dell’imposta dovuta, come potrebbero essere le ritenute e i crediti d’imposta (atti a determinare una variazione dell’imposta netta). La nozione di «dichiarazioni» (lett. c) diviene comprensiva anche di quelle del sostituto d’imposta, nei casi previsti dalla legge; il che pare coerente con l’estensione anche ai sostituti d’imposta dell’incriminazione di cui al nuovo comma 1-bis dell’art. 5. Dalla definizione di «imposta evasa» (lett. f) viene espressamente espunta quella teorica e non effettivamente dovuta collegata a una rettifica in diminuzione di perdite dell’esercizio o di perdite pregresse spettanti e utilizzabili, così inducendo il giudice a tener conto, nell’accertamento che deve compiere per determinare l’ammontare dell’imposta evasa1, anche delle perdite considerate spettanti e utilizzabili. Vengono anche aggiunte due nuove lettere all’elenco dello stesso art. 1. Nella prima (g-bis) vengono definite le “operazioni simulate oggettivamente o soggettivamente” come «operazioni apparenti, diverse da quelle disciplinate dall’art. 10-bis l. 212/2000, poste in essere con la volontà di non realizzarle in tutto o in parte ovvero le operazioni riferite a soggetti fittiziamente interposti». Nella seconda (g-ter) si stabilisce che per “mezzi fraudolenti” s’intendono «condotte artificiose attive nonché quelle omissive realizzate in violazione di uno specifico obbligo giuridico, che determinano una falsa rappresentazione della realtà».

Articolo 2, Dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti. Il campo di applicazione della disposizione non viene più limitato alle dichiarazioni “annuali”, potendo così riguardare adesso qualsiasi dichiarazione (ad esempio, quelle per operazioni intracomunitarie sugli acquisti o quelle relative alle operazioni di trasformazione, fusione e scissione di società).

Articolo 3, Dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici. La norma perde la struttura trifasica che caratterizzava la disposizione previgente, la quale richiedeva una falsa rappresentazione nelle scritture contabili obbligatorie (i), l’utilizzo di mezzi fraudolenti idonei ad ostacolare l’accertamento della falsità (ii) e l’indicazione, nella dichiarazione dei redditi o ai fini IVA, di elementi attivi inferiori a quelli effettivi o elementi passivi fittizi (iii). Viene infatti eliminata la prima fase, non richiedendosi più la falsa rappresentazione nelle scritture contabili obbligatorie. Aumentano di conseguenza i potenziali autori del reato.

La condotta delittuosa consiste ora nel compimento di «operazioni simulate oggettivamente o soggettivamente» (descritte, come visto, dalla nuova lettera g-bis dell’art. 1), oppure nell’avvalersi di documenti falsi o di altri mezzi fraudolenti idonei ad ostacolare l’accertamento e ad indurre in errore l’amministrazione finanziaria (di cui alla lett. g-ter dell’art. 1). Viene altresì elevata (da un milione di euro) a un milione e cinquecentomila euro la soglia relativa all’ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all’imposizione e viene introdotta una soglia, alternativa, rapportata all’ammontare complessivo dei crediti e delle ritenute fittizie. La disposizione contempla, inoltre, due nuovi commi: in uno si precisa che «il fatto si considera commesso avvalendosi di documenti falsi quando tali documenti sono registrati nelle scritture contabili obbligatorie o sono detenuti a fini di prova nei confronti dell’amministrazione finanziaria» (co. 2); nell’altro che «non costituiscono mezzi fraudolenti la mera violazione degli obblighi di fatturazione e di annotazione degli elementi attivi nelle scritture contabili o la sola indicazione nelle fatture o nelle annotazioni di elementi inferiori a quelli reali»2.

Articolo 4, Dichiarazione infedele. La disposizione, anzitutto, vede elevata a 150.000 euro la propria soglia di punibilità e a 3 milioni di euro la soglia del valore degli elementi attivi sottratti all’imposizione. Non viene invece modificata la struttura della condotta incriminata, ma la locuzione “elementi passivi fittizi” viene sostituita da quella “elementi passivi inesistenti” (intervento invece non operato agli artt. 2 e 3)3. Nella disposizione compare anche un nuovo comma 1-bis, secondo cui «non si tiene conto della non corretta classificazione, della valutazione di elementi attivi o passivi oggettivamente esistenti, rispetto ai quali i criteri concretamente applicati sono stati comunque indicati nel bilancio ovvero in altra documentazione rilevante ai fini fiscali, della violazione dei criteri di determinazione dell’esercizio di competenza, della non inerenza, della non deducibilità di elementi passivi reali»4. Disposizione, quest’ultima, da leggersi in combinato disposto con l’abrogazione dell’art. 7 del medesimo decreto.

Articolo 5, Omessa dichiarazione. Tale fattispecie incriminatrice ha visto modificarsi al rialzo (da 30.000) a 50.000 euro la soglia di punibilità per “l’omessa dichiarazione” dei redditi o ai fini IVA e, parallelamente, aggravarsi il trattamento sanzionatorio, che diventa della reclusione da un anno e sei mesi a 4 anni. Nella disposizione, inoltre, è stato introdotto un comma 1-bis che punisce (con la reclusione da un anno e sei mesi a 4 anni) l’omessa dichiarazione di sostituto d’imposta, quando l’ammontare delle ritenute non versate è superiore a 50.000 euro.

Articolo 10, Occultamento o distruzione di documenti contabili. La disposizione è stata modificata aggravando il trattamento sanzionatorio: la pena diviene la reclusione da 1 anno e 6 mesi a 6 anni. Trattandosi di una modifica in senso peggiorativo ne è esclusa l’applicazione retroattiva. Un’eccezione potrebbe tuttavia valere nei casi in cui il reato consti di una condotta di “occultamento”, assumendo così la natura di reato permanente: in tale ipotesi la pena più grave oggi comminata potrebbe essere irrogata anche in relazione a condotte iniziate durante la vigenza della norma più favorevole e continuate anche dopo l’entrata in vigore della riforma5.

Articolo 10-bis, Omesso versamento di ritenute dovute o certificate. La soglia di punibilità per tale reato è stata triplicata, così divenendo pari a 150.000 euro, per ciascun periodo d’imposta. Anche l’area applicativa della disposizione è stata ampliata, riferendosi ora, non solo alle “ritenute certificate”, ma anche alle «ritenute dovute sulla base della stessa dichiarazione». Gli effetti della novella potrebbero essere due. Uno di tipo meramente probatorio, per cui la responsabilità per il reato diviene accertabile a prescindere dalla prova del rilascio delle certificazioni al sostituito, potendo bastare che la ritenuta risulti dal modello 7706. Un altro di tipo sostanziale, ipotizzato nella Relazione del Massimario della Cassazione, per cui la norma incriminerebbe ora il mancato versamento di qualsiasi tipo di ritenuta (e non solo di quelle ‘certificate’).

Articolo 10-ter, Omesso versamento dell’imposta sul valore aggiunto. Anche tale reato vede modificata al rialzo la propria soglia di punibilità, giungendo addirittura a 250.000 euro, per ciascun periodo d’imposta. Come per l’art. 10-bis, tuttavia, a tale modifica non si è accompagnato un aggravamento del trattamento sanzionatorio.

Articolo 10-quater, Indebita compensazione. Al contrario di quanto appena visto con riferimento alle fattispecie di omesso versamento, nella fattispecie di indebita compensazione non è stata ritoccata la soglia di punibilità, ma è stato modificato il trattamento sanzionatorio, che ora è diverso per l’ipotesi in cui il reato abbia ad oggetto crediti non spettanti (reclusione da sei mesi a due anni) oppure crediti inesistenti (reclusione da un anno e sei mesi a sei anni).

Articolo 12-bis, Confisca. Tale disposizione, introdotta ex novo dalla riforma, al primo comma ripete la formulazione dell’art. 322 ter c.p., già applicabile a molti reati tributari grazie al richiamo operato dall’art. 1, co. 143, della l. 24.12.2007, n. 244 (ora abrogato). Così, nel caso di condanna o di patteggiamento per qualunque delitto previsto dal d.lgs. n. 74/2000 «è sempre ordinata la confisca dei beni che ne costituiscono il profitto o il prezzo, salvo che appartengano a persona estranea al reato, ovvero, quando essa non è possibile, la confisca di beni, di cui il reo ha la disponibilità, per un valore corrispondente a tale prezzo o profitto». La riallocazione sistematica della norma è di certo pertinente. Eppure, la ripetizione della precedente formulazione ripropone le problematiche relative a questa forma di confisca. Tale misura, in particolare, continua a non poter essere indirizzata nei confronti dei reali detentori del profitto delittuoso, ossia le società al cui interno operano gli amministratoripersone fisiche, autori sì della condotta incriminata, ma spesso inadeguati soggetti passivi della confisca tributaria. Problema, quest’ultimo, a cui si sarebbe potuto far fronte ad esempio includendo gli illeciti tributari tra i reati presupposto della responsabilità degli enti ex decreto 231.

Del tutto nuova, invece, è la disposizione di cui al secondo comma dell’art. 12-bis, in base alla quale «la confisca non opera per la parte che il contribuente s’impegna a versare all’erario anche in presenza di sequestro. Nel caso di mancato versamento la confisca è sempre disposta». Dunque: perché la confisca “non operi”, non occorre più estinguere il debito tributario, ma è sufficiente “impegnarsi” a farlo, con il rischio – parrebbe – che il condannato, che fino a quel momento non ha mai versato alcunché, non vi provveda neppure dopo la pronuncia della sentenza definitiva (vd. meglio infra).

Articolo 13, Causa di non punibilità. Pagamento del debito tributario. La norma contiene ora nuove cause di non punibilità connesse all’”estinzione del debito tributario”. In particolare, i reati di cui agli artt. 10-bis, 10-ter e 10-quater, co. 1, non sono punibili se il pagamento integrale del debito è effettuato prima dell’apertura del dibattimento di primo grado; i reati di cui agli artt. 4 e 5, invece, non sono punibili solamente se il ravvedimento operoso o la presentazione della dichiarazione omessa avviene « … prima che l’autore del reato abbia avuto formale conoscenza di accessi, ispezioni, verifiche o dell’inizio di qualunque attività di accertamento amministrativo o di procedimenti penali». Parallelamente, se prima dell’apertura del dibattimento di primo grado, il debito tributario è in fase di estinzione mediante rateizzazione è dato un termine di tre mesi (prorogabile, se necessario, di altri tre mesi) per il pagamento del debito residuo.

Articolo 13-bis, Circostanze del reato. La disposizione, di applicazione residuale rispetto alla precedente, prevede che, fuori dei casi di non punibilità di cui sopra, l’integrale pagamento degli importi dovuti comporti una diminuzione di pena fino alla metà. Il riconoscimento di tale circostanza attenuante, inoltre, è presupposto per l’applicazione della pena su richiesta delle parti ex art. 444 c.p.p. La stessa disposizione, infine, prevede una circostanza aggravante (determinante un aumento di pena della metà) qualora il reato sia commesso dal compartecipe nell’esercizio dell’attività di consulenza fiscale, svolta da un professionista o da intermediario finanziario o bancario attraverso l’elaborazione di modelli seriali di evasione fiscale.

Articolo 18-bis, Custodia giudiziale dei beni sequestrati. La disposizione prevede che i beni sequestrati, se diversi dal denaro e dalle disponibilità finanziarie, possono essere affidati dall’autorità giudiziaria in custodia giudiziale, agli organi dell’amministrazione finanziaria che ne facciano richiesta per le proprie esigenze operative.

Si segnala, infine, che la riforma non ha apposto nessuna speciale delimitazione nel tempo all’operatività delle novità in materia penale. Infatti, è stata rimossa la norma che, nella versione comparsa nello schema provvisorio di decreto7, ne avrebbe limitato la decorrenza temporale “a partire dal 1° gennaio 2016 e fino al 31 dicembre 2017”. Di conseguenza, le disposizioni di favore contenute nel decreto si applicano anche ai fatti commessi prima del 22.10.2015 (data di entrata in vigore della riforma), in conformità alle regole generali di cui all’art. 2 c.p. e al principio costituzionale (art. 25, co. 2, Cost.) e convenzionale (art. 7 CEDU) di retroattività in mitius.

I profili problematici

Scorse le singole novità introdotte dalla riforma, è ora possibile procedere ad individuare gli aspetti nevralgici della stessa.

3.1 I “premi” per l’estinzione del debito tributario

A tal fine, può essere utile prendere le mosse dalla ratio ispiratrice del decreto n. 158/2015, individuabile nell’intento – palesato anche nella relativa Relazione illustrativa – di far prevalere le pretese creditorie dell’erario su quelle punitive e ablatorie statuali. Si preferisce cioè consentire il pagamento “spontaneo”, anche se tardivo, del contribuente piuttosto che azionare la macchina del processo penale e/o procedere all’apprensione “coattiva” dei proventi delittuosi.

Invero, il pagamento del debito fiscale attiva diversi istituti premiali, permettendo – a seconda dei casi – di evitare la condanna (art. 13), di diminuire la pena (art. 13bis) o di sottrarsi alla confisca (art. 12-bis, co. 2).

Il ‘premio’ di cui all’art. 13, peraltro, risulta modulato in base al disvalore insito nelle rispettive fattispecie: per gli omessi versamenti8, il termine per godere della causa di non punibilità (apertura del dibattimento di primo grado) è infatti nettamente più favorevole rispetto a quello (presentazione della dichiarazione relativa al periodo d’imposta successivo, sempreché il reo non abbia già avuto formale conoscenza di accessi, ispezioni, verifiche a suo carico) fissato per i reati di cui agli artt. 4 e 5, in relazione ai quali l’istituto premiale non pare destinato a godere di un’ampia applicazione.

Inoltre, ai sensi dell’art. 13-bis, quando il pagamento del debito avvenuto prima dell’inizio del processo non determini già l’impunità, esso comporta un’attenuazione di pena e costituisce requisito per il patteggiamento.

Effetti assai rilevanti discendono altresì dall’eventuale pagamento successivo all’apertura del dibattimento: esso – come già era stato affermato in giurisprudenza9 – esclude la confisca (o, se parziale, la diminuisce corrispondentemente). Tale soluzione può ritenersi – con argomento a fortiori ratione – certamente recepita nel nuovo articolo 12-bis, il quale va addirittura “oltre” tale approdo giurisprudenziale: la confisca è oggi ‘preclusa’ non solo per la parte che il contribuente “ha versato”, bensì anche per quella che “si è impegnato a versare”. L’onere posto a carico del contribuente per evitare o ridurre la misura ablatoria risulta cioè drasticamente ridotto, così da permettere (incentivare?) adempimenti ancor più tardivi.

Certamente, l’unico modo per interpretare razionalmente il termine “impegno” sembra essere quello di richiedere, non già una dichiarazione unilaterale, ma un formale accordo con l’Agenzia delle Entrate (permettendo il ricorso alle speciali procedure conciliative e di adesione all’accertamento previste dalle norme tributarie).

In presenza di tale accordo, la lettera della disposizione indurrebbe a ritenere che il giudice della condanna non debba disporre la confisca per la parte oggetto dell’impegno. Si potrebbe ritenere, poi, che l’eventuale mancato versamento dopo la sentenza possa essere rilevato dall’Agenzia delle Entrate e che essa possa farne comunicazione al giudice dell’esecuzione10 (eventualmente per il tramite del PM) perché provveda, ex art. 676 c.p.p., a disporre la confisca (conferendo così senso anche all’ultima parte dell’art. 12-bis, secondo cui «in caso di mancato versamento la confisca è sempre disposta»). Il problema derivante da tale interpretazione è dato dal fatto che, secondo le regole processuali generali, al momento della condanna, l’eventuale sequestro preventivo dovrebbe venire meno laddove la sentenza non disponga la confisca (cfr. art. 323 c.p.p.), nonostante il perdurante mancato pagamento degli importi dovuti al fisco (dei quali il giudice per l’esecuzione dovrebbe poi disporre in un secondo tempo la confisca, in caso di mancato rispetto degli obblighi assunti dal condannato prima della sentenza). Pare dunque irragionevole che la misura cautelare reale venga meno proprio quando la responsabilità per il delitto è stata accertata definitivamente e le esigenze di salvaguardia della misura ablatoria non sono certo venute meno.

Pertanto, sembra plausibile una diversa interpretazione dell’art. 12-bis, per cui il giudice della condanna disponga comunque la confisca dell’intero profitto, esplicitando però che essa non produce effetti («non opera») per quella somma che il contribuente si è impegnato a versare. Per tale quota, la confisca rimarrebbe “condizionata” all’eventuale inadempimento dell’accordo assunto. Il mancato versamento dopo la sentenza, rilevato dall’Agenzia delle Entrate, potrebbe essere comunicato al PM11, che provvederà ad eseguire la confisca comunque disposta dal giudice della cognizione (residuando comunque la possibilità che l’interessato proponga incidente d’esecuzione ex art. 666 c.p.p., suscitando il contraddittorio)12.

3.2 La riduzione dell’area d’intervento della sanzione penale

A tali novità si aggiungono quelle volte a restringere decisamente l’area di rilevanza penale degli illeciti fiscali. Un intento, quest’ultimo, palesato dalla legge delega nella parte in cui indicava “la possibilità di ridurre le sanzioni per le fattispecie meno gravi o di applicare sanzioni amministrative anziché penali, tenuto anche conto di adeguate soglie di punibilità”.

Di conseguenza il Governo ha drasticamente ridotto la punibilità delle fattispecie di omesso versamento ex art. 10-bis e 10-ter, che si riferiscono a condotte prive di qualsiasi carattere fraudolento, innalzando enormemente le relative soglie di punibilità. Queste ultime sono state elevate anche nella fattispecie di dichiarazione infedele ex art. 4, essendosi peraltro in parte modificata la definizione della condotta penalmente rilevante, e in quella di omessa dichiarazione ex art. 5, il cui trattamento sanzionatorio è stato peraltro aggravato.

Residua dunque l’esclusiva operatività delle sanzioni amministrative per una cospicua parte di condotte illecite, in relazione alle quali si è evidentemente ritenuto che la forza deterrente della pena non sia (più) necessaria. Una scelta, quest’ultima, della cui compatibilità con gli obblighi eurounitari (discendenti in particolare dall’art. 325 TFUE) di sanzioni effettive e dissuasive contro le frodi al bilancio dell’Unione potrebbe invero dubitarsi, quanto meno in materia IVA. Di certo, ne sono conseguite numerose pronunce assolutorie nei confronti di evasoriimputati per reati, ora, “sottosoglia”, nonché la possibilità per i condannati di richiedere al giudice dell’esecuzione la revoca della sentenza ex art. 673 c.p.p.

3.3 Dichiarazioni fraudolente ed elusione fiscale

Le direttive della legge delega erano invece di segno opposto in riferimento a «comportamenti fraudolenti, simulatori o finalizzati alla creazione e all’utilizzo di documentazione falsa».

Pertanto, nel reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (art. 2) è stato ampliato il novero delle dichiarazioni rilevanti ai fini della configurabilità del reato. Parallelamente è stata estesa la portata applicativa del reato di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici (art. 3). Il risultato, tuttavia, è un’imprecisa definizione dei confini tra queste due fattispecie. Ardua, in particolare, appare la distinzione tra le operazioni “inesistenti” ex art. 2 e le operazioni “simulate oggettivamente e soggettivamente” ex art. 3, rispettivamente definite alle lett. a) e g-bis) dell’art. 1. Posto che da tali definizioni non paiono trarsi elementi utili ad operare una netta distinzione fra le due fattispecie, una soluzione ragionevole pare quella di far leva sulla necessità, ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 2, di una condotta consistente nell’avvalersi di fatture o altri documenti aventi rilievo probatorio analogo13. Pertanto, le operazioni dotate di una copertura cartolare consistente nella fattura o in documenti equipollenti secondo il diritto tributario andrebbero inquadrate all’interno dell’art. 2; tutte le altre nell’art. 3. Permarrebbe tuttavia il dubbio che proprio quest’ultime condotte possano risultare in realtà maggiormente insidiose (e quindi più offensive) e, ciononostante, rimangano soggette al più ristretto campo applicativo dell’art. 3, dove sono poste soglie di punibilità, assenti invece all’art. 214.

Va inoltre precisato che – per espressa previsione legislativa – dalle operazioni simulate oggettivamente o soggettivamente di cui all’art. 3 devono essere necessariamente escluse le condotte di “abuso del diritto” di cui al nuovo art. 10-bis l. n. 212/200015. Esse vengono definite come «operazioni prive di sostanza economica [cioè, inidonee a produrre effetti significativi diversi dai vantaggi fiscali16] che, pur nel rispetto formale delle norme fiscali, realizzano essenzialmente vantaggi fiscali indebiti» (cioè, benefici, anche non immediati, realizzati in contrasto con le finalità delle norme fiscali o con i principi dell’ordinamento tributario17). Il comma 13 dello stesso articolo stabilisce che le operazioni abusive ivi definite «non danno luogo a fatti punibili ai sensi delle leggi penali tributarie».

Tuttavia, non pare corretto ritenere che la norma abbia con ciò risolto la vexata quaestio della rilevanza penale dell’elusione fiscale, escludendola senza se e senza ma. A ben vedere, infatti, il comma 12 dello stesso articolo chiarisce che «l’abuso del diritto può essere configurato solo se i vantaggi fiscali non possono essere disconosciuti contestando la violazione di specifiche disposizioni tributarie»18. Pare discenderne che, laddove venga violata una qualsivoglia disposizione tributaria, non si dovrebbe parlare di “abuso del diritto” ex art. 10-bis e la relativa esclusione della punibilità non dovrebbe operare. Pertanto, se si ritiene che “utilizzare” in dichiarazione vantaggi fiscali, di cui una specifica norma tributaria (cd. antielusiva19) dispone l’inutilizzabilità, significhi violare quella stessa disposizione, allora si dovrebbe ritenere tale condotta estranea alla nozione di elusione di cui all’art. 10-bis. La sua punibilità non sarebbe dunque esclusa e se ne potrebbe vagliare la sussumibilità all’interno di una norma incriminatrice (ad esempio, nei reati di fraudolenta, falsa o omessa dichiarazione). Siffatta tesi pare trovare conforto in quella che, al momento, è l’unica sentenza della Cassazione20 in tema di art. 10-bis. Al riguardo, sebbene in forma di obiter dictum, la Corte afferma a chiare lettere che «rimane impregiudicata la possibilità di ravvisare illeciti penali – sempre, naturalmente che ne sussistano i presupposti – nelle operazioni contrastanti con disposizioni specifiche che perseguano finalità antielusive»21. In questo senso, l’art. 10-bis non pare aver affermato qualcosa di molto distante da quelli che erano, al momento della sua entrata in vigore, gli approdi della giurisprudenza maggioritaria22. Piuttosto, un ridimensionamento della punibilità dell’elusione potrebbe ravvisarsi nell’abrogazione (operata dallo stesso decreto n. 128/2015) dell’art. 37-bis d.P.R. 29.9.1973, n. 600 e, con lui, delle disposizioni antielusive ivi previste. Ancora, un intervento normativo verosimilmente in grado di sottrarre appigli normativi alla tesi della rilevanza penale dell’elusione fiscale è rappresentata dalla modifica (operata dalla riforma in esame) delle locuzioni “elementi passivi fittizi” in “elementi passivi inesistenti” all’art. 4 d.lgs. n. 74/2000. La riconducibilità di condotte elusive all’interno di tale fattispecie incriminatrice, infatti, è stata spesso fondata su di un’interpretazione del concetto di “fittizietà”, non già come inesistenza in rerum natura, ma come “indeducibilità” ai sensi della disciplina tributaria, così da ritenere integrato il reato anche laddove il contribuente abbia indicato elementi passivi (formalmente esistenti, ma) risultanti da condotte elusive inopponibili all’Amministrazione finanziaria. Una simile interpretazione diviene certamente più difficile da sostenere in seguito alla riforma. Eppure, ciò non significa, lo si ribadisce, che i recenti interventi legislativi abbiano escluso del tutto la rilevanza penale dell’elusione fiscale. Anzi, non si può escludere che nuovi spazi punitivi possano essere rinvenuti dalla giurisprudenza all’interno della riformata fattispecie di dichiarazione fraudolenta ex art. 323.

1 Cfr. Cass. pen., sez. III, 4.6.2014, n. 38684.

2 Sull’art. 3, così riformato, si tornerà infra.

3 Sulla possibile influenza di tale modifica sulla rilevanza dell’elusione fiscale, si veda infra.

4 Al quale segue anche un nuovo comma 1-ter secondo cui «fuori dei casi di cui al comma 1-bis, non danno luogo a fatti punibili le valutazioni che singolarmente considerate, differiscono in misura inferiore al 10% da quelle corrette. Degli importi compresi in tale percentuale non si tiene conto nella verifica del superamento delle soglie di punibilità previste dal comma 1, lett a) e b)».

5 Cfr. la nota del procuratore dott. G. Amato, Riforma dei reati tributari: le note di indirizzo della Procura di Trento, in www.penalecontemporaneo.it, 14.10.2015, 10.

6 In giurisprudenza una simile lettura della disposizione era già stata offerta (vd., ad esempio, Cass. pen., sez. III, 27.3.2014, n. 19454) ma si scontrava con un diverso indirizzo giurisprudenziale (vd., ad esempio, Cass. pen., sez. III, 9.10.2014, n. 10475).

7 Al riguardo, si veda Cavallini, S., Osservazioni ‘di prima lettura’ allo schema di decreto legislativo in materia penal-tributaria, in www.penalecontemporaneo.it, 20.7.2015; cfr. Finocchiaro, S., Sull’imminente riforma in materia di reati tributari: le novità contenute nello ‘schema’ di decreto legislativo, in www.penalecontemporaneo.it, 16.7.2015.

8 Eccettuata l’indebita compensazione mediante crediti inesistenti.

9 Cfr. Cass. pen., sez. III, 15.4.2015, n. 20887; sez. III, 3.12.2012, n. 46726; sez. III, 16.5.2012, n. 30140.

10 Titolare di poteri in materia di confisca ex art. 676 c.p.p.

11 Depositario dei poteri di esecuzione della misura ablatoria.

12 Una più approfondita esegesi del comma 2 dell’art. 12-bis è svolta in un altro articolo a cura di S. Finocchiaro, attualmente in corso di pubblicazione su Dir. pen. cont.

13 Cfr. Cavallini, S., Osservazioni, cit., 6.

14 Cfr. la Relazione dell’Ufficio del Massimario, cit., 17, 18.

15 Recentemente introdotto dal d.lgs. 5.8.2015, n. 128.

16 Art. 10-bis, co. 2.

17 Art. 10-bis, co. 2.

18 Previsione, questa, a ben vedere già implicita nella definizione di “abuso del diritto” di cui al comma 1, laddove esige il «rispetto formale delle norme fiscali».

19 Si pensi, ad es., all’art. 73 d.P.R. n. 22.12.1986, n. 917 in tema di esterovestizione.

20 Cass. pen., sez. III, 1°.10.2015, n. 40272, con nota di Mucciarelli, F., Abuso del diritto e reati tributari: la Cassazione fissa limiti e ambiti applicativi, in www.penalecontemporaneo.it, 9.10.2015.

21 Cit. § 16 della sent. cit.

22 Il riferimento è all’orientamento che ha il proprio “leading case” in Cass. pen., sez. II, 22.11.2011, n. 7739 (cfr. sez. III, 24.1.2012, n. 7080, sez. III, 6.3.2013, n. 19100; contra sez. V, 16.1.2013, n. 36859).

23 In Cass. pen., sez. III, 1.10.2015, n. 40272, si afferma che «rimane salva la possibilità di ritenere, nei congrui casi, che – alla luce delle previsioni della normativa delegata e della [allora solo] possibile formulazione del delitto di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici … – operazioni qualificate in precedenza dalla giurisprudenza come semplicemente elusive integrino ipotesi di vera e propria evasione».

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