Obiezione di coscienza

Dizionario di filosofia (2009)

obiezione di coscienza


Rifiuto di adempiere un obbligo imposto dalla legge in quanto contrario ai propri profondi convincimenti morali e alla propria coscienza, perlopiù in quanto comporta l’uso delle armi o il ricorso alla violenza. L’o. di c. configura quindi un caso di conflitto tra gli obblighi e i doveri imposti al cittadino dalle norme dello Stato e i propri principi morali e religiosi. Nella maggior parte delle democrazie occidentali l’o. di c. è consentita dalla legislazione in quanto rientra nell’esercizio del diritto alle libertà di pensiero, di coscienza e religione riconosciute dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. Il riconoscimento anche formale dell’o. di c. è quindi connesso storicamente al riconoscimento pieno dell’individuo-persona e dei relativi diritti inalienabili. All’esistenza acclarata e giuridicamente garantita di tali diritti si giunge attraverso contributi successivi portati dal cristianesimo, dal Rinascimento, dalla Riforma protestante, dal giusnaturalismo, e, infine, dal liberalismo. Con il fissare la pari dignità di tutti gli uomini, oppure con la stessa nozione di peccato e di grazia individuali, il cristianesimo è il terreno più fertile su cui si comincia a costruire la nozione di individuo. Il Rinascimento, che pure recupera la civiltà classica, finisce per essere anche un’esaltazione dell’individuo, mentre il protestantesimo introduce l’idea dell’autonomia individuale anche nella sfera religiosa, una autonomia che può prescindere perfino dall’autorità costituita. Il giusnaturalismo postula chiaramente e sistematicamente una dottrina dei diritti innati che, poi, verranno precisati e sviluppati anche nella loro dimensione giuridica dal liberalismo, soprattutto nel sec. 19°.

Alcuni casi esemplari

La situazione più tipica in cui insorge il conflitto tra obblighi e doveri imposti al cittadino dalle norme dello Stato e i propri principi morali e religiosi è quella del servizio militare obbligatorio, rifiutato da quanti si oppongono all’uso delle armi e al ricorso a ogni forma di violenza – anche quella ‘legittima’ dello Stato – per motivi di carattere religioso, etico o ideologico. Antesignani degli obiettori di coscienza furono in questo senso i primi cristiani, i quali rifiutarono di bruciare incenso agli idoli e all’imperatore romano che pretendeva di essere chiamato dominus et deus. La disciplina ecclesiastica fino al 3° sec. proibì ai battezzati di farsi soldati (divieto di militare et bellare) e permise ai militari convertiti di rimanere nell’esercito a patto di non uccidere nessuno e di non commettere atti di idolatria. Un’altra situazione in cui insorge il problema dell’o. di c. si ha nel caso della legalizzazione dell’interruzione volontaria della gravidanza. Tutti gli ordinamenti occidentali che hanno liberalizzato l’aborto hanno riconosciuto agli ospedali privati e al personale medico e paramedico, anche impiegato in strutture pubbliche, il diritto di astenersi dal compiere operazioni di aborto. Questa norma risponde a un’esigenza imprescindibile del modello liberaldemocratico, non essendo ammissibile per esso coartare la libertà di coscienza di persone che potrebbero ravvisare nella cooperazione a un fatto come l’aborto la gravissima violazione di un importante principio morale. In diversi paesi occidentali il diritto all’o. di c. è riconosciuto anche ai medici, ai ricercatori e al personale sanitario che si oppongono alla violenza su tutti gli esseri viventi, rifiutandosi di prendere parte direttamente alle attività e agli interventi diretti alla sperimentazione animale.

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