Oceania

Dizionario di Storia (2010)

Oceania


Continente che include l’Australia, la Nuova Guinea, la Nuova Zelanda e le isole del Pacifico, in gran parte nel quadrante di Sud-Ovest di tale oceano. È il continente di minore estensione, con una popolazione inferiore ai 33 milioni di abitanti, stanziati in massima parte nelle tre principali regioni insulari: Australia, Nuova Zelanda e Nuova Guinea (Near Oceania). La parte orientale di quest’ultima (Papua Nuova Guinea), rappresenta il più importante confine terrestre tra l’O. e il Sud-Est asiatico (Indonesia), ed è pertanto un’area che al pari delle vicine isole asiatiche è stata caratterizzata da intensi fenomeni migratori e da uno spiccato interscambio culturale, già a partire dall’Età paleolitica. La vasta famiglia delle lingue austronesiane accomuna infatti le popolazioni autoctone dell’area indonesiana a quelle degli arcipelaghi di Micronesia, Melanesia e Polinesia (Remote Oceania), del Madagascar (Africa) e dell’isola di Pasqua (Sud America). Il fervore di studi che circonda la recente scoperta dell’Homo floresiensis, l’ominide indonesiano che avrebbe convissuto con l’Homo sapiens sino alle soglie del neolitico (13.000 a.C.), ha d’altro canto indotto gli studiosi australiani a formulare nuove ipotesi sulle origini delle più antiche popolazioni di Australia e Nuova Guinea, direttamente provenienti dall’Asia continentale ma lentamente transitate anch’esse attraverso il corridoio indonesiano, presumibilmente dal 50.000 a.C. In questo quadro risulterebbe avvalorata la tesi che indica gli aborigeni australiani, una delle maggiori popolazioni autoctone dell’O., come portatori di una cultura orale tra le più antiche del pianeta, che sarebbe stata testimone del cammino evolutivo della specie sapiens già a partire dai lontani rapporti intercorsi tra quest’ultima e specie ormai estinte. Una lettura che si affianca a quella di O. come sinonimo di continente nuovo, in effetti privo di civiltà storiche (stabilmente dedite all’agricoltura, dotate di sistemi di scrittura e di strutture politiche articolate) o meglio entrato nella storia solo al termine del 16° sec., al tempo dei primi contatti con la cultura occidentale, anzitutto ad opera di navigatori spagnoli e portoghesi (Á.Mendaña de Neira, P.F.de Quiros, L.V.de Torres).

L’età delle esplorazioni e della colonizzazione (secc. 17°-19°)

Nella prima metà del 17° sec., l’ascesa politica ed economica di Olanda e Inghilterra si tradusse in una formidabile propulsione commerciale verso l’Oceano Indiano e le più remote isole del Pacifico. Tra i navigatori olandesi conserva un particolare rilievo la figura di A.J. Tasman, che si spinse per primo nella Terra di van Diemen (Tasmania), in Nuova Zelanda e in prossimità delle isole Figi, per conto della Compagnia delle Indie orientali (1642-44). A sua volta l’inglese W. Dampier (1688-89, 1698-99), costeggiò un’ampia area dell’Australia settentrionale e tracciò preziose osservazioni di carattere geografico e zoologico. Quasi un secolo più tardi, l’equipaggio dell’Endeavour, capitanata da J. Cook, raggiunse l’isola polinesiana di Tahiti per conto della Royal society (1769). Le successive esplorazioni del brigantino inglese (1772-74) smentirono definitivamente l’esistenza  della Terra Australis (il gigantesco continente che si riteneva occupasse una considerevole parte dell’emisfero australe fino all’Antartide) o meglio consentirono di elaborare le prime attendibili stime dell’estensione dell’Australia orientale, di cui Cook prese ufficialmente possesso in nome della Corona britannica (Galles del Sud); egli fu inoltre lo scopritore dell’omonimo stretto che separa le principali aree insulari della Nuova Zelanda (Isola del Nord e Isola del Sud) e diffuse in Europa significative notazioni sulla grande barriera corallina e sulla popolazione maori della Nuova Zelanda. Già a partire dal decennio successivo, l’indipendenza raggiunta dalle colonie americane incoraggiò la colonizzazione inglese dell’Australia, mediante l’assegnazione di terre agli ufficiali e la nomina di un governatore. La regione di Sidney divenne pertanto la più importante colonia penale britannica, mentre ulteriori esplorazioni (in specie quelle di M. Flinders, 1797-1802) precisarono la morfologia e l’estensione di Australia e Tasmania. Tra il 1823 e il 1852, quest’ultima fu scelta per ricoprire in modo esclusivo la funzione di colonia di deportazione, decisione di cui beneficiarono le iniziative economiche e commerciali dei coloni australiani, il cui numero era in costante crescita per effetto di un’immigrazione proveniente ormai da tutto il Vecchio mondo. L’allevamento di ovini, la produzione laniera e la scoperta di giacimenti d’oro stimolarono anche la penetrazione nell’entroterra, acuendo i contrasti con gli aborigeni, sterminati, confinati in aree sempre più marginali e inospitali e talora resi oggetto di evangelizzazione coatta. Agli inizi della colonizzazione europea, questi ultimi costituivano una realtà etnica non omogenea e di dimensioni imprecisabili (forse superiore ai 500.000 individui), diffusa su tutto il territorio australiano, organizzata in gruppi di cacciatori-raccoglitori e caratterizzata da peculiari espressioni culturali (un’estrema varietà di lingue e dialetti, miti e culti legati alla terra, manufatti artistici talora molto pregevoli ecc.). Si stima che l’avanzata degli europei e la diffusione di numerosi agenti patogeni estranei al corredo immunitario degli aborigeni (influenza, vaiolo ecc.) ne abbiano causato un decremento affine per entità (oltre l’80%), rapidità e caratteristiche a quello delle popolazioni amerinde dei secc. 16°-17°. Coevi e analoghi processi sociali, economici e politici caratterizzarono lo sviluppo dell’intera Near Oceania, mentre la restante parte del continente divenne oggetto di contese territoriali da parte delle maggiori potenze occidentali. In Nuova Zelanda la decimazione dei nativi fu inizialmente perpetrata dai cacciatori di balene inglesi, francesi e statunitensi che si insediarono nei pressi dello stretto di Cook, e nel 1840 i capi maori (Isola del Nord) furono costretti ad accettare la sovranità della corona britannica (Trattato di Waitangi) e la nascita della colonia neozelandese. Negli anni a seguire, l’avanzata europea fu però violentemente contrastata dagli indigeni (1842-72), poiché a differenza degli aborigeni australiani, i maori (di stirpe polinesiana) avevano raggiunto un grado più elevato di organizzazione sociale e politica (agricoltura, artigianato, strutture tribali di discreta complessità ecc.) anche mediante la sottomissione dei moriori, verosimilmente i più antichi abitatori della regione (forse di origine melanesiana, confinati in prevalenza nell’Isola del Sud). Nei decenni successivi anche Papua Nuova Guinea divenne un dominio coloniale, e cioè ricadde sotto il controllo della Germania a N (Terra dell’imperatore Guglielmo e Arcipelago di Bismarck, 1884) e della Gran Bretagna a S (1884-88). Contemporaneamente i francesi, già in possesso della Nuova Caledonia (1853), consolidarono la loro penetrazione in O. con l’annessione di numerosi arcipelaghi a E dell’Australia (Possedimenti dell’Oceania), e posero in tal modo le premesse per la nascita della Polinesia Francese (Tahiti, Isole Marchesi ecc.). Il lento irrobustimento della presenza statunitense in O. fu invece dettato da un diverso indirizzo politico, in primo luogo mirante a ottenere il controllo delle nuove rotte commerciali tra Asia e Americhe, la cui importanza crebbe in seguito all’avvento della navigazione a vapore. Gli USA si videro per es. riconoscere il protettorato sulle Hawaii (1876), l’arcipelago polinesiano (già dominio britannico delle Isole Sandwich) in cui aveva trovato la morte J.Cook (1779); qui gli americani favorirono lo sviluppo delle piantagioni di canna da zucchero e la nascita di nuovi monopoli economici. Solo in seguito alla fine della monarchia hawaiana (1893) e alla vittoria sulla Spagna (con la conseguente conquista delle Filippine, 1896), il governo statunitense si dichiarò favorevole all’ingresso delle Hawaii negli Stati dell’Unione (un processo perfezionatosi solo nel 1959, quando l’arcipelago aveva ormai assunto anche un elevato valore militare).

Sviluppo politico, economico e sociale tra Grande guerra, guerra del Pacifico e tramonto del colonialismo

Australiani e neozelandesi (oltre l’80% dei quali ha origini europee) furono le prime popolazioni del continente a raggiungere significative conquiste politiche. Nel primo caso, l’autonomia amministrativa delle diverse aree del Paese (Galles del Sud, Queensland ecc.), garantita fin dal 1853 mediante la creazione di un Consiglio legislativo e di un’Assemblea elettiva, venne ulteriormente rafforzata dalla nascita della Federazione dell’Australia (1901), rimasta formalmente dipendente dalla Corona britannica fino al 1986. L’apprezzabile peso internazionale del dominion neozelandese (istituito nel 1907) e della Federazione australiana soprattutto (come riflesso di una crescita economica che in entrambi i casi era stata particolarmente vigorosa per tutto il 19° sec.) crebbe ulteriormente alla luce del valore strategico che Gran Bretagna e USA assegnarono alle due isole, nel corso del 20° sec., in funzione del controllo dell’area pacifica. Al termine della Prima guerra mondiale, combattuta insieme agli inglesi e ai neozelandesi, l’Australia ottenne dalla Società delle nazioni l’amministrazione di parte della Nuova Guinea (1921), mentre la Nuova Zelanda divenne uno Stato indipendente nell’ambito del Commonwealth britannico (1931). Allo scoppio della guerra del Pacifico (1941-45), con l’inizio della vasta offensiva giapponese contro i possedimenti inglesi e statunitensi (Indocina e Filippine, dic. 1941), Australia e Nuova Zelanda furono chiamate a sostenere uno sforzo bellico senza precedenti, che le rese alleate tatticamente irrinunciabili per le sorti dell’intera O., ovvero in rapporto all’esito della riscossa americana nel Pacifico (battaglie del Mar dei Coralli e delle Midway, 1942, campagne delle Isole Salomone, Gilbert e Marianne, 1943-44). L’immagine oggi prevalente della Near Oceania, come insieme di Stati tra i più progrediti del mondo sul piano della legislazione sociale, della maturità politica e dei parametri economici, in effetti propriamente descrive solo il quadro australiano e neozelandese, quello di un secondo dopoguerra caratterizzato da un nuovo slancio dei settori primario e secondario in particolare, ancora favorito dai rapporti di alleanza e cooperazione con gli USA. Tuttavia un’immagine non esaustiva, anche limitatamente alla storia più recente di Australia e Nuova Zelanda (né si dimentichi il caso di Papua Nuova Guinea, indipendente solo dal 1975, con una popolazione di origine europea solo per il 12%, i cui indici di sviluppo politico, economico e sociale sono i più bassi dell’intera O.). Per l’Australia, si pensi al progressivo affievolimento della politica filo-americana perseguito dai governi laburisti, a partire dai primi anni Settanta, in clima di guerra fredda (nel corso della guerra del Vietnam, che riportò australiani e neozelandesi in armi e la Vicina O. al ruolo di attore cardine della politica internazionale) o alle controversie che ancora oppongono il governo federale ai discendenti degli autoctoni (circa il 2% degli australiani). La minoranza aborigena ha ottenuto il diritto di voto solo nel 1967 ma non può dirsi pienamente emancipata, specie in ordine alle rivendicazioni concernenti le terre sottratte dai primi colonizzatori. Le lacerazioni prodotte dall’età coloniale sono state superate con maggiore efficacia in Nuova Zelanda, che tradizionalmente vanta numerosi primati sul piano dell’efficienza dello Stato sociale (le donne votano dal 1893): nel 1995 la componente maori ha per esempio ottenuto la revisione del Trattato di Waitangi, che ha imposto la restituzione o il risarcimento delle terre che furono espropriate ai nativi (circa il 15% dei neozelandesi). Anche in quest’ultimo caso, i recenti scenari economici (decremento del PIL, aumento della disoccupazione, indebolimento del sistema previdenziale ecc.) hanno tuttavia modificato i tradizionali equilibri politici, favorendo l’alternanza tra National party e Labour party e incrinando i rapporti economici con la Gran Bretagna. Come l’Australia, anche la Nuova Zelanda appare oggi maggiormente interessata alla costruzione di solidi legami con la restante parte del continente e con l’Estremo Oriente, ed è pertanto più partecipe dei processi politici, economici e sociali che caratterizzano la Remote Oceania. Sebbene il progresso tecnologico (specie nel settore delle comunicazioni e delle telecomunicazioni) abbia sensibilmente contribuito ad avvicinare quest’ultima alle realtà più dinamiche dell’O. e della vicina Asia, il profilo odierno di questa macroregione rimane quello di un pulviscolare insieme di sperduti Stati-arcipelago a sviluppo diseguale, in prevalenza scarsamente popolati e talora caratterizzati da un’intensa attività sismica e vulcanica (Hawaii). Accanto a territori che sono ancora variamente dipendenti da Gran Bretagna (le Isole Pitcairn in Polinesia, teatro del leggendario ammutinamento degli ufficiali britannici del vascello Bounty, 18° sec.), Francia (i dipartimenti francesi d’Oltremare della Nuova Caledonia in Melanesia e le numerose isole della Polinesia francese) o Stati Uniti (Guam e le Marianne settentrionali in Micronesia, sottratte alla Germania nel 1919), della Remote Oceania fanno parte anche isole protagoniste di un forte processo di emancipazione dalle antiche potenze colonizzatrici (Nuova Caledonia), o arcipelaghi come quello delle Isole Tonga (divenute autonome dalla Gran Bretagna nel 1970), governate da un’antica monarchia polinesiana convertitasi al cristianesimo e apertasi alla cultura occidentale. Tratti caratteristici dello sviluppo più recente di questi territori sono l’importanza conquistata dalle attività legate alla pesca e al turismo (da cui spesso interamente dipende l’economia locale), unitamente all’emergere di fenomeni connessi ai processi di decolonizzazione (instabilità e corruzione politica) e al permanere di consistenti sacche di povertà (elevati tassi di analfabetismo, mortalità infantile ecc.) tra la popolazione autoctona.

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