OCEANOGRAFIA

Enciclopedia Italiana - V Appendice (1993)

OCEANOGRAFIA

Antonio Brambati
Norberto Della Croce

(XXV, p. 157; App. II, II, p. 438; III, II, p. 294; IV, II, p. 638)

Utilizzazione e sfruttamento delle risorse economiche delle acque e dei fondali oceanici. − Le previsioni fatte dieci o venti anni orsono sullo sfruttamento dei depositi metallici del fondo oceanico (per es., la coltivazione dei noduli di manganese) non si sono ancora avverate. Nel contempo sono state individuate altre risorse potenziali, come le soluzioni iperaline e ipertermali; queste soluzioni, che contengono elevate concentrazioni di metalli, sono state rilevate nel corso di recenti ricerche che hanno consentito di osservare come esse fuoriescano dalle fratture del fondo oceanico. Il risultato forse maggiore degli studi geologici e geofisici marini, risalenti fin agli anni Quaranta, è quello della possibilità, ormai attuata, di ricavare materiali utili. Negli anni Ottanta circa il 40% degli idrocarburi utilizzabili, e utilizzati, è infatti coltivato dal fondo di piattaforma, sia nei pressi della costa sia in mare aperto; adeguati dispositivi perforano per lunghi tratti il fondo, e mediante condotte sottomarine il prodotto viene convogliato verso le coste ovvero verso impianti, opportunamente studiati e collocati al largo per il caricamento delle navi (v. anche offshore, opere, in questa Appendice). Dalle zone costiere della piattaforma, oltre che idrocarburi, vengono estratti anche diversi minerali presenti nelle sabbie e che costituiscono preziose fonti di metalli; fra questi citiamo la cassiterite per l'estrazione dello stagno, il rutilo o l'ilmenite per il titanio (coltivazioni di enorme importanza economica per paesi quali la Malaysia e l'Australia). Inoltre, miniere aperte in terraferma continuano in alcuni casi nelle zone costiere sotto il mare; spesso però in questi casi la coltivazione è subordinata alla possibilità di drenaggio delle acque che s'infiltrano dal fondo.

Agli inizi degli anni Ottanta, sono state evidenziate alcune probabili fonti di sfruttamento minerario. Si tratta degli ormai noti giacimenti minerari legati alle sorgenti termali oceaniche, presenti lungo le dorsali. La scoperta nei bacini oceanici di sorgenti calde, ricche di metalli e associate a giacimenti minerari, se analizzata nel dettaglio in vista di un'appropriata utilizzazione, potrà portare allo sfruttamento minerario marino su scala commerciale. La genesi di tali giacimenti risultante dalle ricerche connesse con le crociere oceanografiche, è che quando l'acqua marina, riscaldata dal calore proveniente dal mantello, circola attraverso le fratture della crosta oceanica, avvengono reazioni chimiche che favoriscono la concentrazione di importanti giacimenti metalliferi (solfuri di ferro, zinco e rame, in maggior parte), e anche di altri minerali. Un vero sfruttamento delle risorse dei fondi oceanici resta comunque ancora da studiare e analizzare: ciò appare inoltre strettamente legato a scelte di politica economica mondiale.

Per quanto riguarda altre forme di sfruttamento, per es. delle enormi risorse di energia dall'oceano, è da notare che la situazione delle centrali mareomotrici agli inizi degli anni Ottanta era ancora quella di dieci anni prima: una nella Manica (estuario della Rance) e un paio nel Mar di Barents. Tale stasi è dovuta a un tempo alle diverse difficoltà connesse con la tutela ambientale e a fattori economici che, nonostante l'esistenza di diversi progetti per lo sfruttamento energetico, hanno impedito ulteriori realizzazioni.

Un'ulteriore opportunità sarebbe quella di sfruttare anche l'energia potenziale delle correnti marine incanalate negli stretti (ove ovviamente la velocità delle correnti è maggiore), come per es. quelli di Messina, Gibilterra, Florida, ma al momento varie difficoltà tecnologiche impediscono l'attuazione di questa forma di sfruttamento. Anche l'utilizzo dell'energia del moto ondoso è rimasto per il momento un progetto irrealizzato, per lo meno a grande scala (timidi tentativi sono stati fatti qua e là, come per es. per l'alimentazione di fari o boe oceanografiche). Uno sfruttamento ben avviato già dagli anni Sessanta è invece quello della dissalazione dell'acqua di mare (v. dissalazione, in questa Appendice). Il processo è avviato comunque, da tempo, sulle navi, dove non viene considerato il costo dell'operazione. In modo più economico la dissalazione dell'acqua marina è sfruttata in regioni aride ove questo metodo è l'unico per poter disporre di acqua dolce. Spettacolare è la realizzazione in Israele di impianti di dissalazione che hanno consentito lo sviluppo di una fiorente agricoltura in zone tipicamente desertiche; tali impianti sfruttano l'energia solare.

Uno sfruttamento intensamente sviluppato riguarda l'utilizzo delle risorse biologiche degli oceani. A ciò si è giunti grazie all'enorme progresso della biologia marina, dell'o. fisica e specialmente chimica, e in particolare delle conoscenze sulla fisiologia animale e sull'ecologia (v. oltre: Oceanografia biologica). Al riguardo, diversi studi matematici sulla dinamica delle popolazioni hanno consentito d'individuare le leggi che regolano la coabitazione di più specie in uno stesso ambiente, la predazione e le fluttuazioni, per le quali intere popolazioni spariscono per tempi più o meno lunghi da certi ambienti. Inoltre, varie ricerche, compiute sulle catene alimentari alle quali sono soggetti gli organismi marini, hanno consentito di scoprire la variazione dell'alimentazione di tali organismi con l'età; ciò ha permesso la coltivazione, col massimo rendimento, di certe specie in certi ambienti. Sono stati altresì studiati i problemi della migrazione delle specie marine in connessione con le condizioni fisico-chimiche delle acque. L'applicazione di modelli matematici alla biologia marina (la biomatematica) ha infine dimostrato il modo in cui variano le dimensioni degli individui di determinate popolazioni, individuando le dimensioni ottimali per la pesca. Tenendo conto della dinamica ambientale, si tenta così di trovare il modo migliore per non depauperare le risorse marine. La necessità inoltre di proteggere alcune specie che, in determinate zone, avevano raggiunto una densità di popolazione troppo bassa e che quindi erano minacciate di estinzione, ha dato luogo, in vari mari, alla costituzione di aree protette, divenute in certi casi veri parchi marini di enorme utilità scientifica e di richiamo turistico.

Lo sfruttamento delle risorse oceaniche significa però anche la difesa dell'uomo (o delle opere umane) dalle ingiurie dell'oceano e la difesa dell'oceano dalle ingiurie dell'uomo, l'inquinamento in special modo. Nel primo caso sono sorti vari servizi locali di preavviso per l'assistenza alla navigazione e la previsione di tempeste e mareggiate. Nel Pacifico esiste un servizio avanzatissimo di difesa dalle ingiurie dell'oceano: la previsione dei tsunami (onde di maremoto). Nella zona artica, nell'Atlantico nordoccidentale e nella zona circumantartica sono presenti servizi di avvistamento degli iceberg, che prevedono pure il loro cammino di deriva. Nel secondo caso, ossia la difesa dell'oceano dalle ingiurie dell'uomo, è da ricordare anzitutto la protezione del mare dagli inquinamenti, che chiaramente limitano il campo dello sfruttamento delle risorse oceaniche. Per la loro prevenzione esistono sia modelli sia relazioni matematiche che spiegano la diffusione delle sostanze in mare, e così pure esistono chiare e ben specificate conoscenze su ciò che è un inquinante e perché lo è. Troppo spesso, però, manca un'adeguata sorveglianza degli inquinamenti sia costieri (soprattutto occasionali) che, in particolare, al largo e anche sul fondo dei bacini oceanici o marini. Inoltre quasi assente è la possibilità di eliminare un inquinante una volta riversato nelle acque. In questo caso, quasi sempre, ci si deve affidare all'autodifesa stessa dell'oceano che consente la diluizione di qualunque sostanza abnorme, grazie alla vastità dell'ambiente e alle precipitazioni meteoriche. I danni, di cui tuttavia non si conosce la portata esatta, si verificano in regioni limitate, scarsamente connesse con la massa intera dell'oceano.

Nuovo ordine economico degli oceani e diritto del mare. − La prima sessione della terza Conferenza internazionale sul Diritto del mare s'è svolta a Caracas (Venezuela) nel 1974, a pochi anni dalla costituzione di associazioni internazionali fra scienziati e istituzioni universitarie per le ricerche sugli oceani e sui fondali. Durante la conferenza, che si è protratta fino al 1983, sono state promosse varie cooperazioni internazionali per consentire a tutti i paesi di partecipare a questa importantissima fase di ricerca interdisciplinare e internazionale, ovviando in tal modo al fatto che ragioni puramente economiche impediscono a molti paesi di possedere navi attrezzate per una tale ricerca.

La nascita di un nuovo diritto del mare ha avuto, e tuttora ha, un ruolo essenziale sia per la programmazione scientifica di tutte le varie fasi di ricerca sia, soprattutto, per lo sfruttamento degli oceani e dei fondi oceanici. Inizialmente il diritto marittimo si occupava soprattutto di atti di pirateria, purtroppo sempre presenti in mare, e della proprietà o meno dei relitti, oltre che di questioni relative al risarcimento di danni in mare. Oggi il diritto marittimo è notevolmente progredito e ampliato, specie per quanto riguarda gli aspetti internazionali. Vengono delimitate le zone d'influenza (di pesca, di navigazione, di coltivazione del fondo) tra paesi diversi; per questo scopo sono stati tracciati confini sottomarini. Ciò specialmente per normalizzare le caratteristiche della pesca a seconda delle varie esigenze, sia per la pesca in acque costiere sia per quella in oceano aperto, e anche (sia pur velatamente) per ragioni di natura militare. Si tenta inoltre di regolarizzare gli interventi sul fondo oceanico, in vista di un suo futuro sfruttamento su larga scala. Negli ultimi anni sono stati più volte discussi, modificati o specificati i confini già tracciati da accordi precedenti fra i paesi nelle aree di mare. Tutto ciò per la tutela economica dei vari paesi per quanto riguarda lo sfruttamento sia delle risorse delle acque (pesca) sia del fondo marino (giacimenti minerali utili).

Bibl.: C. Benoit, Les ressources des océans, alimentaires, énergétiques, minérales, Parigi 1976; C. F. Earney Fillmore, Petroleum and hard minerals from the sea, Londra 1980; P. Halbach, R. Fellerer, The metallic minerals of the Pacific seafloor, in Geo Journal, 4,5 (1980), pp. 407-22; F. Bastianelli, I noduli polimetallici, in Ecos, 10, 100-01 (1981), pp. 49-51; United Nations, Third United Nations Conference on the law of the sea, in Intern. Legal. Mater., 21, 6 (1982), pp. 1245-354; T. Treves, Lo sfruttamento dei fondi marini internazionali, in Lo sfruttamento dei fondi marini internazionali, Milano 1982, pp. 3-34; D. Girard, Techniques d'exploration et d'exploitation des océans: évolutions et perspectives, in Economie et Humanisme, 273 (1983), pp. 8-19.

Oceanografia biologica. - Negli ultimi anni le ricerche nel campo dell'o. biologica hanno conseguito risultati interessanti che si possono giudicare addirittura sensazionali, se si considera che alcuni fenomeni non erano stati neppure previsti una dozzina d'anni prima.

Il risultato sicuramente meno atteso concerne la scoperta di comunità bentoniche in prossimità di orifizi idrotermali localizzati lungo le dorsali oceaniche e individuati per la prima volta a 2500 m di profondità sulla Fessura delle Galapagos. Queste comunità possono durare soltanto alcune decadi: secondo stime recenti, infatti, l'età di un sistema idrotermale attivo supera i venti, ma non raggiunge i cento anni. Il fluido idrotermale deriva dall'acqua marina che circola attraverso basalti porosi e reagisce, a elevate temperature, con la roccia delle camere magmatiche disposte lungo gli assi della dorsale dov'è in corso la formazione di nuovo fondo marino. Tale fluido, che si riversa da fenditure, crepe e fumaioli sul fondo marino, sostiene numerosissimi batteri di vario genere capaci di ottenere energia da sostanze chimiche ridotte, come l'idrogeno solforato. L'intensa crescita batterica è alla base dell'elevata produttività primaria che supporta le dense colonie di animali grandi e a rapido sviluppo di un sistema idrotermale. Le comunità bentoniche di tali sistemi sono importanti per una serie di fattori: l'uso di energia geotermica in sostituzione della radiazione solare; la presenza di numerose nuove famiglie di animali insoliti e di generi di microrganismi; l'unicità della fisiologia e della biochimica di animali con simbionti batterici; la differenza nei tassi di metabolismo, crescita e riproduzione rispetto agli organismi del benthos profondo in genere; le interazioni di specie in un sistema imperniato sui batteri.

Meno spettacolari, ma certamente di grande significato per l'economia generale delle acque oceaniche, sono i microscopici organismi che costituiscono il picoplancton, di cui solo di recente sono state messe in evidenza l'esistenza e l'importanza. Oggi è noto che il picoplancton costituisce una componente significativa e talora dominante della produzione vegetale in tutti gli oceani, anche se in minor grado alle alte che alle basse latitudini. Si tratta di cellule procariote fotosintetiche contenenti clorofilla, di diametro inferiore a 1 μm: la dimensione estremamente piccola implica un uso insolitamente efficiente della luce disponibile e un rapido utilizzo dei nutrienti; non essendo ancora noti molti aspetti della dinamica della loro crescita, è possibile ricostruire il loro modo di vita soltanto a grandi linee. Gli studi concernenti il picoplancton autotrofo porteranno a rivedere la stima della produzione vegetale su scala globale e i suoi risvolti economici; certamente costituiranno nuovo stimolo per lo studio ecologico del paleoceano, dove queste forme di vita molto primitive erano forse più importanti di oggi.

Un aspetto della ricerca che può acquistare particolare significato, soprattutto a livello locale, riguarda il fondo di mari poco profondi, dove una componente molto importante dello zooplancton emerge di notte per entrare a far parte temporaneamente dell'ecosistema pelagico, nascondendosi durante il giorno nell'acqua interstiziale dei depositi di sabbia. Il ruolo di questo ''plancton demersale'' comincia a essere studiato e sicuramente modificherà le conoscenze sull'ecologia delle barriere coralline e delle praterie marine.

In termini generici non si può non sottolineare il rinnovato interesse per gli ecosistemi delle alte latitudini e quindi per l'Artico e l'Antartico. L'Italia ha aderito al Trattato Antartico solo dal 1983. Nella regione antartica ancora oggi la biomassa e la produzione zooplanctonica costituiscono un problema ben lontano dall'essere chiarito. La maggior parte delle stime esclude i più grandi organismi, come meduse e salpe, che principalmente a causa della loro scarsa frequenza gravano in modo non realistico nelle analisi statistiche, e anche alcune forme particolarmente attive quali gli Eufausiacei (krill), che sono capaci di evitare le reti planctoniche con un'efficienza variabile a seconda delle condizioni nelle quali vengono effettuati i campionamenti. I Copepodi sono indicati nella maggior parte delle valutazioni come il gruppo dominante lo zooplancton. La biomassa, sebbene vi sia un marcato ciclo stagionale nei primi 50 m, può considerarsi più o meno costante nel corso dell'anno nei primi 1000 m; una stima mediata valuta la produzione per una superficie di 36 milioni di km2 pari a circa 180 milioni di t, per un valore medio di 50 mg/m3. Questa o altre valutazioni tuttavia debbono essere prese con riserva perché di norma derivano da campionamenti che non rappresentano lo zooplancton nel suo insieme e non includono il krill.

È agli esordi lo studio del ruolo degli organismi nei confronti della massa d'acqua oceanica quale potenziale ricettacolo dell'anidride carbonica di origine atmosferica, e di come gli organismi vegetali marini rispondano alla sua mutevole disponibilità. Scarse sono ancora le ricerche sulla sorte della maggior parte della produzione vegetale delle piattaforme continentali del pianeta e sul bilancio del trasporto dell'anidride carbonica atmosferica nelle profondità oceaniche attraverso le vie di platea e di mare aperto.

Anche alcuni aspetti della ricerca in o. biologica già ritenuti completamente chiariti sono oggi rimessi in discussione alla luce di nuovi risultati. Per la produzione vegetale netta oceanica, per es., le attuali stime appaiono più divergenti che convergenti, con scarti di parecchi ordini di grandezza. Parimenti s'incontrano grandi difficoltà nel dimostrare gli effetti ''pascolo'' degli organismi erbivori sulle distribuzioni spaziali delle popolazioni fitoplanctoniche: pare infatti che la dinamica delle fioriture algali stagionali non richieda l'intervento degli erbivori, com'è scritto nei libri di testo.

Grandi entusiasmi hanno inizialmente suscitato nella ricerca l'uso di sofisticate tecniche di calcolo e i cosiddetti ''mesocosmi'' che avrebbero dovuto portare un notevole contributo alla conoscenza di problemi classici nel campo dell'o. biologica. I risultati ottenuti hanno provato che queste strutture sono assai valide per certi aspetti e meno valide per altri, tanto che oggi i mesocosmi non vengono considerati come unità sostitutive della ricerca in mare, ma aggiunte sperimentali. Un altro aspetto della ricerca che non ha ancora contribuito nella misura auspicata allo svilippo dell'o. biologica è il telerilevamento, se si eccettua una maggiore precisione e sensibilità della strumentazione capace di misurare le concentrazioni superficiali di clorofilla su vaste aree.

Negli ultimi anni ha preso invece consistenza la ricerca interdisciplinare, che nel campo dell'o. biologica vede coinvolti per es. ecologi e fisici nello studio della dinamica dei processi di mesoscala nelle acque oceaniche. Le indagini su vortici modali, che si aggirano sui 400 km di diametro, hanno permesso di chiarire l'evoluzione di ecosistemi intrappolati in essi e le conseguenze ecologiche prodotte sulla platea continentale dalla loro invasione. L'esistenza di più piccoli vortici coerenti, capaci di trasportare acqua e organismi attraverso i bacini oceanici, costituisce un valido presupposto per un ulteriore impeto alla ricerca a indirizzo ecologico e zoogeografico.

Risultato di una fruttuosa collaborazione con i fisici è stato anche lo sviluppo di una teoria generale sui fronti della platea continentale, cioè sulle regioni dove i gradienti orizzontali delle proprietà delle acque − per es. temperatura, salinità, densità, torbidità o colore − sono più grandi della media e individuano zone di specifico significato biologico o, meglio, di elevata produttività, in corrispondenza di fronti; anche meccanismi diversi dalla crescita in situ vengono considerati almeno parzialmente responsabili dell'elevata produzione fitoplanctonica e non si esclude l'accumulo passivo per convergenza superficiale. Lungo i margini oceanici delle platee continentali vengono spesso messe in evidenza elevate concentrazioni di fitoplancton legate a determinate caratteristiche idrografiche, che si possono interpretare come i classici fronti marcanti il confine superficiale tra acque a bassa salinità sulla platea e acque più salate sulla scarpata continentale. Si deve tuttavia ricordare che, tra i molti tipi di fronti, anche alcuni dell'area oceanica possono rivestire importanza biologica.

La ricerca sull'inquinamento marino appare priva di chiari intendimenti forse perché i più importanti sviluppi riguardano aspetti fisiologici che non riescono a trovare facile e chiara espressione applicativa; d'altra parte i riferimenti alle variazioni dei livelli d'inquinamento su scala decadale sono piuttosto scarsi. In termini globali, l'ipersensibilità ai problemi dell'inquinamento sembra essere almeno in parte venuta meno, anche in considerazione del fatto che gli effetti dell'inquinamento marino paragonati, per es., a quelli prodotti sull'ecosistema dalle attività di pesca, sembrano meno importanti di quanto un tempo si pensasse. In relazione al problema degli effetti sia della pesca che dell'inquinamento marino, il progresso nell'analisi di lunghe serie temporali di dati biologici, che descrivono i meccanismi della variabilità naturale spaziale e temporale, è stato scarso anche a causa dell'insufficienza, frammentarietà e discontinuità dei dati sulla pesca commerciale, come del resto dei programmi di monitoraggio.

Bibl.: Oceanography. The present and future, a cura di P.G. Brewer, New York 1983; CNC-SCOR, Joint oceanographic assembly 1982 - General symposia, Ottawa 1983; Antarctic ecology, vol. 2, a cura di R.M. Laws, Londra 1984; Marine biology, vol. 23, a cura di J.H.S. Blaxter e A.J. Southward, ivi 1986.

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