SPADARO, Odoardo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 93 (2018)

SPADARO, Odoardo

Giorgio Ruberti

SPADARO, Odoardo. – Nacque a Firenze, in via S. Spirito 31, il 16 gennaio 1893, unico figlio di Gustavo Adolfo e di Mary Marchesini.

I genitori si erano sposati a Firenze il 17 luglio 1892, il padre ventottenne tenente dell’esercito, originario di Messina, la madre sedicenne arpista, di ricca famiglia fiorentina. In seguito alla prematura morte di Gustavo (8 ottobre 1897), la famiglia si trasferì in un’altra abitazione in via Cristoforo Landino, dove visse con la madre di Mary, Marianna Gabici, pianista, vedova del cavalier Odoardo. Le due donne, assidue frequentatrici delle sale da concerto, trascorrevano gran parte del tempo domestico con il far musica; e il piccolo Odoardo si divertiva a sonicchiare il pianoforte (le tappe essenziali della sua vita fino alla seconda guerra mondiale sono documentate nell’autobiografia: A richiesta del pubblico, Firenze-Roma 1945). Tuttavia il bambino, d’indole vivace, non inclinava allo studio, sicché dopo le scuole elementari fu affidato a un collegio privato. In capo a un anno fu espulso per motivi disciplinari e passò al liceo ginnasio Dante, dove pure ebbe problemi d’inserimento: non legò molto con i nuovi compagni e si attirò l’antipatia dei professori, che talvolta derideva. Dovette ancora cambiare istituto per ultimare il ginnasio e conseguire la licenza liceale.

S’iscrisse a giurisprudenza a Firenze, per volere della famiglia e nonostante la predilezione per gli studi medici. Frattanto seguiva le lezioni dell’attore e drammaturgo Luigi Rasi alla Real Scuola di recitazione di via Laura, con il fine di migliorare la dizione nella prospettiva dell’avvocatura. Non si accostò dunque per vocazione al teatro di prosa, di cui possedeva una conoscenza non più che ordinaria; mentre era stato spesso al teatro d’opera, non tanto per passione quanto perché costretto da madre e nonna: «Nelle parodie di opere che dopo alcuni anni ho presentato sui palcoscenici nel mio numero di fantasista, confesso, c’era una puntarella di vendetta per tutte le ore di noia che nella mia gioventù ho dovuto trascorrere tra il teatro La Pergola, il Verdi e la sala Filarmonica di Firenze» (A richiesta del pubblico, cit., p. 35).

Quel primo contatto con la recitazione fu decisivo per Spadaro. Per il saggio di fine corso del 1911 Rasi gli assegnò un monologo brillante, numero più adatto al suo potenziale artistico: l’apprezzamento riscosso e l’entusiasmo derivatone, insieme alla scarsa voglia di laurearsi in legge, lo indussero a perseverare nella strada intrapresa. Non appoggiato dalla madre, si fece scritturare come attore generico dalla compagnia di Alfredo De Sanctis, con la quale esordì nel 1912 al teatro del Pavone di Perugia. Per un paio d’anni tenne frustranti ruoli secondari o di comparsa, che però gli lasciavano molto tempo libero dalle prove. Mentre la compagnia era di scena al Valle di Roma iniziò a frequentare i teatri di varietà; e conobbe Armando Frittelli, direttore d’orchestra della Sala Umberto. Tra i due, concittadini, nacque un’amicizia che permise al maestro d’intuire le doti teatral-musicali del giovane attore e di convincerlo ad abbandonare la prosa per il varietà. Lo stesso Frittelli concorse a ideare il numero con cui, di lì a non molto, Spadaro debuttò proprio alla Sala Umberto: esso comportava l’imitazione di alcune vedettes del coevo caffè-concerto, quali Ettore Petrolini e Primo Cuttica, le parodie di una cantante inglese e di un fantasista nero, un pezzo comico al pianoforte eseguito in frac e cilindro, cembali ai piedi, fischio a pompetta sulla pancia. Il buon esito dello spettacolo fruttò scritture in sedi di un certo rilievo, tra cui il teatro Alfieri di Firenze e il San Martino di Milano: furono le prime tappe verso la notorietà.

Dal 1916 fu impegnato in veste di soldato a confortare le truppe con esibizioni in caserme, ospedali militari e teatrini al fronte. In quel clima nacque il primo successo, Ninna nanna delle dodici mamme, canzone presentata a Postumia nel 1919 in uno spettacolo offerto al contingente di presidio alla linea di armistizio. Nostalgico e patetico, il brano, dedicato alle madri che nel conflitto avevano perduto dei figli, si discostava dalla vena spensierata e ironica tipica di Spadaro, svelando anzi un’ispirazione malinconica che pure divenne caratteristica del suo stile.

Nel dopoguerra Spadaro impresse una decisa svolta al proprio percorso artistico. Nella primavera del 1920 avviò una parallela carriera cinematografica recitando da protagonista nel film muto La collana del milione (diretto dal conte Alberto Orsi). A fine anno partì per Parigi: fu una scelta fondamentale, ancorché lì per lì azzardata. Il viaggio infatti non produsse alcuna scrittura per l’attore, sconosciuto Oltralpe e penalizzato da una conoscenza scolastica del francese. Ma dopo tre mesi trascorsi a Montecarlo ad affinare la lingua, ospite di amici, il ritorno nella capitale mondiale del variété fu più fortunato. A un contratto siglato nel 1921 con il music hall Alhambra ne seguirono altri con i teatri Européen di Montmartre e Bobino di Montparnasse, con il cinema Marcadet e la Salle Marivaux, infine con l’ambito teatro Olympia. Per un biennio vari ingaggi gli permisero di internazionalizzare la propria figura artistica: fu a Marsiglia (Palais de Cristal), in Nord Africa (Egitto, Tunisia), in Inghilterra (Hippodrome di Brighton, Victoria Palace di Londra).

Rientrò in Italia nel 1923, quando conobbe a Torino la ventenne Clementina Fiorentina Lovisolo, originaria di San Marzano Oliveto nell’astigiano. Si sposarono a Firenze il 26 dicembre 1923; fu una coppia molto unita, sebbene non ebbero figli. Sul piano professionale il rimpatrio non fu altrettanto felice, giacché i suoi spettacoli dovettero più volte subire gli interventi della censura fascista. Irritato dal clima culturale dominante in Italia, sempre attratto dalle sirene francesi, si ritrasferì a Parigi.

In questo periodo le fantaisiste Spadaro assurse a stella di prim’ordine del varietà, spesso paragonato, e non solo per l’uso dei copricapi, al più noto chansonnier del tempo, Maurice Chevalier. Dal 1925 fu al Palace, protagonista con la soubrette australiana Jenny Golder nello spettacolo Palace aux femmes, portato con gran favore di pubblico anche a Berlino e Londra. Nel 1927 fu chiamato dal Moulin Rouge come primo fantasista nella rivista musicale Bonjour Paris, al fianco della celebre Mistinguette e di due giovani Jean Gabin e Viviane Romance.

Tornò in Italia nel 1929. Compose allora una delle sue canzoni migliori, Firenze, ispirata dalla recente scomparsa della madre. Stimolato dalla diffusione della radio, in questi anni scrisse molti brani (alcuni musicati da Tito Petralia: Lyzy, I tetti, Arrivederci... addio...), che utilizzava pure in teatro (Per le scale, 1930). Fu inoltre protagonista in uno dei primi esperimenti di cinema sonoro, il cortometraggio in cui reinterpretava Ninna nanna delle dodici mamme (1930, regia di Luigi Almirante) accompagnato da dodici arpe e due pianoforti.

Nel 1932 partì per una lunga tournée americana. Nell’occasione nacque il suo capolavoro, Porta un bacione a Firenze: la canzone sarebbe stata scritta nel 1933 durante il viaggio di rientro in Italia a bordo del transatlantico Conte Biancamano, dopo che, all’imbarco a Montevideo, una giovane emigrata fiorentina lo aveva avvicinato pregandolo di portare per lei un bacio alla città d’origine. Edito nel 1938 da Suvini Zerboni, il brano fu poi un cavallo di battaglia anche di altri cantanti di successo, come Carlo Buti e Claudio Villa.

Tra il 1934 e il 1935 Spadaro tenne il ruolo principale in due film, La fanciulla dell’altro mondo (regia di Gennaro Righelli) e Maestro Landi (di Giovacchino Forzano). Dall’altro lato il teatro gli impose ancora la spola con Parigi, dove recitò fino allo scoppio della seconda guerra mondiale (nel 1935 fu alle Folies Bergères in Pour une cigarette), mentre il pubblico italiano lo apprezzò in Spadaro Varietà, in particolar modo dall’edizione del 1936, arricchita da sedici ballerine inglesi, le Bluebell, esordienti in Italia, ma ben note all’estero per la loro sensualità. Nel 1939 incise per la Cetra due sue note canzoni, Il valzer della povera gente e Sulla carrozzella (quest’ultima con parole di Riccardo Morbelli e musica di Gino Filippini); e debuttò al Mercadante di Napoli nella rivista di Michele Galdieri Mani in tasca, naso al vento, con Paola Borboni e Delia Lodi. La guerra non ridusse gli impegni: tra il 1940 e il 1944 fu il protagonista in 41 ma non li dimostra (di Luciano Ramo e Sandro Dansi, al fianco della soubrette Lucy D’Albert), Il dramma e la rivista oggi sposi (Ramo e Dansi), Il bazar delle illusioni (Alfredo Polacci e Giovanni D’Anzi), Evviva e abbasso (Morbelli e Oreste Biancoli) e Serviti per le feste (Morbelli, Biancoli ed Emilio Caglieri).

Nel dopoguerra l’attività di palcoscenico proseguì senza soste, tra applausi (Col cappello sulle 23, 1945, diretto da Camillo Mastrocinque; Molto bene, Signor Prott!, 1945; Radio... radio... sempre radio, 1946; La zona tranquilla, 1947) e qualche primo insuccesso (Quando amor m’ispira, 1947). La stella teatrale di Spadaro si andava offuscando, per l’età avanzata, che minava ormai le abilità di attore brillante così come le qualità canore; per la difficoltà di adattarsi ai rinnovati gusti del pubblico, sempre più influenzati dalle tendenze giovanili d’Oltreoceano; per la definitiva ascesa del cinema, che accelerò la riconversione in atto dei teatri di varietà in sale cinematografiche. Seppe nondimeno farsi ancora apprezzare nella commedia musicale di Pietro Garinei e Sandro Giovannini, Buonanotte, Bettina (1956, protagonisti Walter Chiari e Delia Scala), in cui presentò l’ultimo suo successo, Il cappello di paglia di Firenze, musicato da Gorni Kramer.

Sul finire della carriera Spadaro trasse nuova vitalità artistica proprio dal cinema, oltre che dalla radio e dalla televisione: nel 1955 fu il Sor Ulisse nella versione radiofonica dell’operetta L’acqua cheta... (1920) di Giuseppe Pietri; partecipò poi a popolari radiodrammi (La medicina di una ragazza malata, di Paolo Ferrari; Merluzzo, di Marcel Pagnol). Dall’avvento della TV comparve in molte trasmissioni di varietà quale caratterista fiorentino, e nel 1964 fu chiamato da Lina Wertmüller nella parte di zio Venanzio nel Giornalino di Gian Burrasca, lo sceneggiato che lanciò Rita Pavone. Ma fu il grande schermo a impegnarlo di più, in ruoli secondari di film anche importanti. Fu don Antonio nella Carrozza d’oro (1952) di Jean Renoir, protagonista Anna Magnani; un cantore ambulante toscano in Musoduro (1953) di Giuseppe Bennati; interpretò la sua canzone più famosa, Porta un bacione a Firenze, nell’omonimo film (1956) di Mastrocinque; fu il padre del protagonista Marcello Mastroianni in Divorzio all’italiana (1961) di Pietro Germi, e un vecchio marinaio in Mare matto (1963) di Renato Castellani, con Jean-Paul Belmondo.

Durante la lavorazione di un ultimo film, Le ore nude (1964, di Marco Vicario), Spadaro accusò un malessere, sintomo di una malattia che il 21 marzo 1965 lo costrinse a un ricovero d’urgenza al Policlinico di Roma, città dove s’era trasferito per ragioni professionali. Gli fu diagnosticato un tumore alla gola, con conseguente intervento chirurgico e tracheotomia. Il quadro clinico peggiorò rapidamente; dopo un ciclo di trattamento al cobalto in un altro ospedale della capitale, il 19 giugno Spadaro fu trasportato in ambulanza alla clinica otorinolaringoiatrica di Careggi: fu così esaudito l’ultimo desiderio di rivedere Firenze.

Morì nel primo pomeriggio di sabato 26 giugno 1965, con accanto la moglie e alcuni intimi amici.

Durante i funerali del lunedì migliaia di concittadini si accalcarono davanti a S. Lorenzo, e un gruppo di posteggiatori, come riportarono i quotidiani, intonò Porta un bacione a Firenze in omaggio al feretro prima della sepoltura al cimitero di S. Miniato al Monte.

Fonti e Bibl.: Firenze, Archivio storico del Comune; Ufficio archivio di stato civile del Comune di Firenze; Enciclopedia dello spettacolo, IX, Roma 1962, pp. 159-161; Filmlexicon degli autori e delle opere, VI, Autori, Roma 1964, pp. 855 s.; Giornale del mattino, 27 e 29 giugno 1965; La Nazione, 27 e 29 giugno 1965; G.F. Vené, O. S., in La canzone italiana, a cura di E. Rescigno, n. 12, Milano 1970; G. Borgna, Storia della canzone italiana, Roma-Bari 1985, pp. 73-75; Dizionario enciclopedico universale della musica e dei musicisti, VII, Le biografie, Torino 1988, p. 393; G. Baldazzi, La canzone italiana del Novecento, Roma 1989, pp. 48-50; F. Borghini, O. S., Firenze 1993; M. Vannucci, I grandi protagonisti di Firenze, Roma 1995, pp. 368-370; Dizionario del cinema italiano, a cura di R. Chiti et al., Gli Attori, Roma 1998, pp. 396-401; Il grande dizionario della canzone italiana, a cura di D. Salvatori, Milano 2006, pp. 569, 662; F. Liperi, Storia della canzone italiana, Roma 2011, pp. 108 s.; La canzone italiana 1861-2011. Storie e testi, a cura di L. Colombati, Milano 2011, pp. 436-441.

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